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La conjuration de juillet e il rientro di Ntare

Gli sviluppi storici di Burundi e Ruanda (1971-1984)

1. La fine degli anni ‘60 nei due Paesi: l’ultima instabilità (1971-1973)

1.1.1. La conjuration de juillet e il rientro di Ntare

Il 1971 si apre in Burundi in un clima di rinnovata tensione politica: al contrasto fra i Tutsi (in maggioranza hima ma anche nyaruguru16 della provincia di Bururi) al potere e gli Hutu

a cui si stava cercando di precluderne l’accesso, si somma il conflitto tutto interno al gruppo tutsi, che vede contrapporsi l’ala più “progressista” del gruppo a quella più “moderata”17. Il rimpasto ministeriale del marzo 1971 (decreto presidenzale n.1/13 del 03.03.1971) sancisce l’affermazione dei primi, in particolare del triumvirato Shibura (neo ministro degli interni e della giustizia) – Simbananyie (nominato ministro degli esteri, della cooperazione e della pianificazione) – Yanda (neo Segretario generale dell’UPRONA). Nel giro di qualche mese (luglio 1971) il confronto fra “progressisti” e “moderati”, che assume connotazioni non solo politiche ma anche claniche (hima versus nyaruguru) e regionalistiche (Bururi versus Muramvya), si sposta dal piano dell’indebolimento a quello dell’eliminazione politica. La “conjuration de juillet”, presunta congiura filomonarchica denunciata nel luglio 1971 dal comandante Shibura, può essere infatti interpretata in questi termini. La maggior parte degli osservatori ritiene che non solo il processo ai presunti cospiratori, ma lo stesso tentato colpo di stato risulti “monté de toutes pièces par les progressistes”18, prosecuzione attraverso altri mezzi del conflitto tutto interno al gruppo dirigente fra “progressisti” e “moderati” (con le implicazioni clanico-regionalistiche sopra accennate) cominciato con il rimpasto ministeriale

16 La distinzione fra Tutsi hima e nyaruguru è legata ad una ragione di status. I Banyaruguru (“quelli che vengono

dall'alto”) in epoca precoloniale erano vicini alla monarchia e godevano di uno status sociale privilegiato (nella gerarchia sociale si trovavano immediatamente al di sotto dei Ganwa). Gli Hima erano invece considerati inferiori e impuri (non era loro permesso di sposare membri della famiglia reale) – alcuni studiosi (come Julien Gorju e François Rodegem) ritengono che gli Hima burundesi siano ricollegabili agli Hima presenti nel nord- ovest del Congo, nella regione di Mutare in Ruanda e in Uganda. Durante il periodo coloniale gli Hima burundesi vennero privilegiati nella gestione del potere e nell’accesso alle risorse e questo garantì loro una posizione dominante all’indomani dell’indipendenza, che seppero abilmente sfruttare: la storia repubblicana burundese è dominata dal gruppo hima. J.P. Chrétien, M. Mukuri, Burundi la fracture identitaire, L’Harmattan, Parigi, 2002, p.15.

17 Per la distinzione fra “progressisti” e “moderati” si rimanda al capitolo 1, paragrafo 2.2 relativo alle motivazioni

politiche del rapporto franco-africano. I principali esponenti della fazione progressista nell’epoca in analisi sono Albert Shibura, Arthémon Simbananyie, André Yanda, Térence Nsanze e François Gisamare. I principali esponenti della componente moderata sono invece Libère Ndabakwaje, Joseph Hicuburundi, Baragengana, Bitariho, Ntahokaja, Gabriel Mpozagara.

di marzo. Diversi dispacci diplomatici enfatizzano, infatti, l’inconsistenza delle accuse e il vantaggio che deriverebbe all’ala “progressista” dall’eliminazione dei personaggi sotto processo sia attraverso una condanna che attraverso un’assoluzione – anche un’assoluzione infatti li avrebbe screditati a livello politico19. L’insoddisfazione degli imputati nei confronti del regime era di dominio pubblico, belgi e francesi ritengono che Micombero fosse a conoscenza di generici piani complottistici di alcuni suoi ministri, fra cui Jérôme Ntungumbaranye (ministro dell’informazione, uno dei principali accusati della “conjuration de juillet”) e Libère Ndabakwaje (ministro dell’economia), e li tenesse sotto sorveglianza – le accuse nei loro confronti risultavano quindi in questo senso credibili. I belgi arrivano a ipotizzare che Simbananyie e Shibura (le cui posizioni non sempre coincidono con quelle del presidente Micombero) abbiano persino incoraggiato Ntungumbaranye nei suoi progetti, per approfittarne in caso di riuscita e allontanarlo in caso di insuccesso20.

Durante tutta la durata del processo ai protagonisti alla presunta cospirazione, la sensazione nel Paese è di forte instabilità: circolano voci di minacce rivolte alle diverse personalità politiche burundesi, molte delle quali (come Ndabemeye – comandante delle forze armate – e Bizindavy capo della sicurezza) pur di non essere immischiate nella faccenda, si allontanano da Bujumbrua per missioni definite “suspectes”21. La componente moderata della società civile

che gravita intorno alla vita politica burundese, influenzandola pur non facendone direttamente parte, denuncia in diverse occasioni in questi mesi il deterioramento del clima politico del Paese, di cui la “conjuration de juillet” è considerata riprova. Nel novembre del 1971 il nuovo rettore dell’Università Ufficiale di Bujumbura, il padre gesuita Gabriel Barakana, molto influente sul Presidente Micombero, nel suo discorso inaugurale dell’anno accademico, denuncia come il tribalismo e il regionalismo mettano in pericolo il Paese, che sembra aver perso il senso nazionale. Denuncia analoga arriva qualche giorno dopo (4 novembre) dai vescovi burundesi, che attraverso una lettera aperta al presidente Micombero, per la prima volta sanciscono la condanna della Chiesa locale nei confronti della giustizia e dell’amministrazione del Paese – descritto come dominato da concussione, nepotismo e regionalismo, dove il processo-simulacro della “conjuration de juillet” viene presentato come “menzogna

19 CADN, 134PO/1/62 de la Bruchollerie – Schumann n.93/DAM 22.08.1971. L’ambasciatore britannico a

Kinshasa aggiunge un’interpretazione affaristica del processo: la società Lonrho (London and Rhodesian Mining and Land Company), messa al bando dall’OUA, aiutata dal nipote di Olympo avrebbe cercato di impadronirsi della gestione delle esportazioni di caffè burundese con l’appoggio dell’ala “progressista” del regime (Simbananyie in testa). Chi ostacolò l’affare sarebbe stato implicato nella congiura. NA, FCO 31/1099 TH.Steggle (Ambasciata del Regno Unito in Zaire) – Ministero degli affari esteri e del commonwealth, Rapporto n.2 31.01.1972.

20 CADN, 134PO/1/15 de la Bruchollerie – Schumann n.750/AL 13.07.1971.

istituzionalizzata”22. Il 21 novembre gli studenti della JRR (Jeunesse Révolutionnaire

Rwagasore) organizzano un’importante manifestazione per protestare contro l’assenza di giustizia – già la Conferenza della Commissione Studentesca delle JRR nel luglio aveva dimostrato il malcontento studentesco nei confronti della corruzione e del nepotismo del regime –, il tour in elicottero che Micombero fa per rassicurare la popolazione nelle settimane successive non riuscirà a placare gli animi e confermerà al presidente la disaffezione popolare23. Un editoriale di “Flash Infor”, giornale governativo, nel gennaio 1972 stigmatizzerà la società burundese di regionalismo, tribalismo, clanismo e nepotismo, salvando però l’esercito e il Presidente della repubblica da questa accusa impietosa24.

Di fronte al montare di questo malcontento, Micombero risulta assente, limita i propri spostamenti (eccezion fatta per il tour in elicottero menzionato), sospende le riunioni settimanali del consiglio dei ministri, “regna ma non governa”. Gli osservatori esterni si chiedono a più riprese se il suo atteggiamento sia espressione di debolezza o di opportunismo25. Manirakiza, ministro degli affari esteri dell’ultimo governo istituito dal re Mwambutsa nel 1965, ritiene che il comportamento del presidente sia espressione di una precisa strategia, adottata spesso da Micombero nei momenti di difficoltà: resosi conto dell’inconvenienza politica di continuare a sostenere il piano dei suoi tre stretti collaboratori ai danni dei “moderati” (coinvolti nella “conjuration de juillet”), il presidente ne prende progressivamente le distanze allontanandosi dalla scena politica, al fine di addossare a loro la responsabilità degli eventi e presentarsi in un secondo momento come salvatore della patria26. Per quanto questa

interpretazione provenga da una fonte non oggettiva (Manirakiza è imputato nel processo alla “conjuration de juillet”), la successiva evoluzione degli eventi parrebbe renderla condivisibile. Il 24 gennaio 1972, dopo un contestato e discontinuo processo, vengono emesse dal Consiglio di Guerra di Bujumbura (tribunale militare, più rapido e malleabile di un tribunale civile) 9 sentenze di morte, 7 ergastoli, 3 condanne a 20 anni di carcere, una a 5 anni e 6

22 ANF, AG/5(F)/2177 Ministero dell'interno, SCTIP Diefenbacher – Foccart Rapporto n.958/SCTIP/DOC

01.12.1971. La lettera è allegata. Nel corso degli anni ’60 si erano registrate alcune prese di posizione di personalità eminenti del clero burundese, ma sempre a titolo personale e dai toni più concilianti.

23 CADN, 134PO/1/16 de la Bruchollerie – Schumann n.1140/AL 24.11.1971.

24 L’editoriale è stato commissionato dallo stesso Micombero all’ex ministro dell’informazione Martin Ndayahoze,

che nel novembre 1968 aveva denunciato una vera e propria opera d'intossicazione da parte della classe dirigente burundese, accusata di ricorrere al messaggio etnicistico, privo di fondamento storico, per mantenere i propri privilegi. CADN, 134PO/1/62, Editoriale del ministro dell'informazione Martin Ndayahoze, 25.11.1968.

25 CADN, 134PO/1/15 Roussy – Schumann n.844/AL 31.08.1971. Già all’indomani del rimpasto ministeriale del

marzo 1971, Micombero aveva dato quest’ambigua impressione di impotenza, CADN, 134PO/1/15 de la Bruchollerie – Schumann n.382/AL 07.04.1971.

26 M.L.Manirakiza, Burundi: de la révolution au régionalisme 1966-76, 1992, p.70. La strategia di Micombero

parrebbe funzionare, considerata l’affluenza alla manifestazione di sostegno al presidente dell’8 febbraio 1972 (all’indomani della concessione della grazia) – a cui partecipano 10.000 persone.

assoluzioni per i cospiratori di luglio27. Le pene risultano marcatamente sovradimensionate

rispetto alle prove portate durante il processo e sorprendono tutti gli osservatori occidentali, dal momento che una settimana prima della sentenza il Procuratore della Repubblica Leonard Nduwayo nella sua requisitoria aveva de facto riconosciuto l’inconsistenza delle accuse verso molti degli imputati – l’ambasciatore belga a Bujumbura si chiede se la sentenza non sia legata al successo della visita di Simbananyie a Pechino, che avrebbe dato slancio ai “progressisti”28. Alla maggior parte dei condannati verrà concessa una grazia presidenziale per ragioni umanitarie (4 febbraio 1972), in virtù delle pressioni in primis belghe (Harmel, ministro degli esteri belga, scriverà di persona a Micombero), a cui si accoderanno francesi e americani29, ma anche il presidente Mobutu30 ed il clero burundese. La grazia presidenziale è ricollegabile, oltre che a queste pressioni esterne, anche ad un dato interno da non sottovalutare: da un lato la classe dirigente e la società civile burundese risultava spaccata di fronte al processo, dall’altro, se le sentenze di morte fossero state rispettate, sarebbe stata la prima volta che una querelle fra fazioni tutsi veniva regolata al prezzo del sangue – creando nuove divisioni e risentimenti all’interno della minoranza dominante31. La grazia presidenziale non servirà, tuttavia, a risanare il clima politico burundese: non passò inosservato come appena due anni prima i cospiratori hutu fossero stati eliminati fisicamente, mentre ora i cospiratori tutsi rimanessero impuniti. Il sospetto inoltre di un processo-montatura utile a disfarsi di personaggi scomodi continuava ad aleggiare sull’intera questione. Di lì a pochi mesi il ritorno nel Paese dell’ex monarca burundese in esilio turberà ulteriormente il clima politico nazionale.

In concomitanza con il processo ai responsabili della “conjuration de juillet”, le autorità burundesi si adoperano infatti per il rientro in Burundi dell’ex monarca Charles Ndizeye (Ntare V) – ultimo re burundese, deposto da Micombero nel 1966. Le ragioni che spingono Bujumbura a prendere questa decisione non sono ancora del tutto chiare: considerata l’irrequietezza dell’ex re burundese – implicato in commerci illeciti d’armi e presunti piani d’invasione del Paese – l’entourage di Micombero ha probabilmente pensato di approfittare della sua presenza nel vicino Uganda per eliminare un (altro) potenziale oppositore politico e dimostrare la propria forza a eventuali simpatizzanti dell’ex re. Alla richiesta di chiarimenti rispetto alle motivazioni che hanno portato il regime a far rientrare Ntare nel Paese, un membro dell’entourage

27 In particolare fra i condannati a morte spiccano i nomi del ministro dell'informazione Jérôme Ntungumburanye,

del ministro dell’economia Libère Ndabakwaje, del suo direttore di cabinetto Charles Baranyanka e dell'ex ministro degli affari esteri del re Marc Manirakiza (all’epoca amministratore aggiunto della BAD).

28 AECCD, Dossier n.16.363, Film n.P2510 Tel. n.45 Pierre Van Haute (Ambasciatore del Belgio in Burundi) –

MAE 25.01.1972.

29 AECCD, Dossier n.16.363, Film n.P2510 Tel. n.49 Van Haute – MAE 25.01.1972.

30 ANF, AG/5(F)/2179 Tel. n.15-16 Alphand (MAE-DAM) – Ambasciata di Francia in Burundi 29.01.1972. 31 ANF, AG/5(F)/2177 Tel. n.219-228 Roussy – MAE 01.10.1971.

presidenziale risponde infatti “il vaut mieux de l’avoir à l’interieur qu’à l’éxterieur”32. La

discrezione con cui è stata portata avanti l’intera operazione dimostra, peraltro, l’accurata organizzazione del piano da parte delle autorità di Bujumbura: è probabile che Simbananyie abbia incontrato Ndizeye a Bruxelles qualche settimana prima della sua visita in Uganda (marzo 1972) e in quell’occasione abbia proposto all’ex monarca di rientrare in Burundi. Nei giorni successivi, le fonti attestano la presenza del ministro degli esteri burundese a Kampala, presumibilmente per organizzare il trasferimento di Ndizeye con le autorità ugandesi, ben felici di disfarsi di un ospite “ennuyeux” – incoraggiate in tal senso, secondo il ministro della giustizia e degli interni burundesi Shibura, dagli alleati americani33. Ai sensi delle dichiarazioni del pilota britannico dell’elicottero con cui l’ex monarca burundese fu trasportato a Bujumbura, al momento dell’imbarco Ndizeye era ignaro della destinazione del volo e, venutone a conoscenza, si sarebbe opposto alla partenza. Le autorità ugandesi sostennero, tuttavia, che era stato lo stesso Ntare a chiedere ad Amin di adoperarsi per permettergli di rientrare in Burundi, e che il presidente ugandese lo avesse informato delle trattative in corso con Micombero per ottenere garanzie sulla sua incolumità nel Paese34. Probabilmente l’opposizione di Ndizeye alla partenza è legata al fatto che questo rientro, per quanto nell’aria, era sopraggiunto all’improvviso (le trattative ugando-burundesi durarono meno di una settimana) e poteva nascondere quindi delle insidie.

I timori dell’ex re si rivelarono fondati: al suo arrivo a Bujumbura (30 marzo 1972) viene infatti immediatamente posto agli arresti domiciliari a Gitega. La notizia del rientro e dell’arresto dell’ex monarca viene data solo il giorno successivo (31 marzo), attraverso un comunicato governativo trasmesso dalla radio “Voix de la Revolution” e apparso sul quotidiano Flash Infor. La versione ufficiale dei fatti riporta un improbabile tentativo da parte di Ndizeye di riprendere il potere nel Paese con l’aiuto di mercenari “al servizio dell’imperialismo mondiale”, a partire da un non meglio precisato “Paese africano” che avrebbe facilitato il piano d’attacco35. La presenza di uomini bianchi e del figlio di Biha (Ganwa del gruppo Bezi, primo

32 AECCD, Dossier n.16.393, Film n.P2516-17 Tel. n.159 De Wilde (Ambasciata del Belgio in Ruanda) – MAE

01.04.1972.

33 A. Nsanze, Le Burundi contemporain. L'état-nation en question, Parigi, L’Harmattan, 2003, p.216. Il

coinvolgimeto degli Stati Uniti – ed in particolare della CIA – nel rientro di Ntare è tuttavia da accogliere con le dovute precauzioni, sembra infatti più che altro servire a dimostrare un complotto regionale ai danni della stabilità del Burundi – gli Stati Uniti secondo Shibura avrebbero anche organizzato la sollevazione dell'aprile successivo, mentre fonti accreditate attestano come lo stesso Micombero all’epoca riconosca l’estraneità americana rispetto alla sollevazione – Washington, al massimo, non ha agito per evitare che si reallizzasse (per cui si rimanda al capitolo 3, paragrafo 1.1.1. J.P. Chrétien, J.F. Dupaquier, op.cit., p.419.

34 AECCD, Dossier n.16.363, Film n.P2510 Tel. n.167 Ambasciata del Belgio in Burundi – MAE 08.04.1972. I

dispacci diplomatici francesi dell'epoca confermano questa versione.

35 Per il testo del comunicato radio e stampa, CADN, 318PO/1/16 de la Bruchollerie – Schumann, Allegato a

ministro nominato dal re Mwambutsa nel 1965) fra i passeggeri dell’aereo in arrivo a Bujumbura, i traffici illeciti di armi in cui era coinvolto l’ex monarca burundese e le voci di piani d’invasione del Paese di Ndizeye rendevano se non credibile, almeno verosimile, la versione governativa36. Di fatto tuttavia, questa ricostruzione dei fatti legittimava la messa sotto stretto controllo di un personaggio importante, non allineato alle posizioni governative, attentando alla sua immagine e prestigio (non più monarca in esilio ma prigioniero traditore)37. Le condizioni economiche di Ndizeye rendevano peraltro poco credibile l’ipotesi di un progetto d’invasione del Paese. Nei giorni successivi all’arresto, la semi-astensione popolare alle manifestazioni di solidarietà verso Micombero contro l’ex re “aggressore capitalista e traditore”, prova la riserva con cui viene accolta dalla popolazione la versione ufficiale dei fatti38. La successiva polemica con l’Uganda per il non rispetto degli accordi relativi all’incolumità di Ndizeye e l’assenza di precisazioni ufficiali burundesi a questo proposito, gettano ulteriori ombre sull’innocenza delle intenzioni di Bujumbura.

Alla notizia dell’arresto di Ndizeye, Amin esporrà ufficialmente le sue lamentele nei confronti di Bujumbura. Il presidente ugandese sosterrà infatti in primis di essere estraneo a qualsiasi tentativo di invasione del Paese per mezzo di Ntare – accusa implicitamente ventilata dal riferimento al “Paese africano” che avrebbe facilitato il rientro in armi dell’ex monarca. Inoltre, affermerà di aver consegnato Ndizeye alle autorità burundesi, previa assicurazione scritta in merito alla sua incolumità fisica. In una conferenza stampa a Kampala il portavoce del presidente ugandese mostrerà le fotografie dello scambio di documenti con la presidenza burundese, da cui si evince l’effettivo impegno di Micombero a garantire l’incolumità dell’ex monarca39. I documenti diplomatici occidentali attestano una tendenziale fiducia delle rispettive cancellerie nella buona fede di Amin40, probabilmente veramente all’oscuro (o, se non altro, poco interessato) circa i reali piani burundesi. La tensione diplomatica ugando-burundese verrà messa a tacere attraverso la diplomazia segreta di Nkunda, consigliere all’ambasciata burundese a Kampala e alcuni incontri fra i rispettivi ministri degli esteri (Kibedi-Simbananyie). Sulla “questione Ndizeye” cala nel giro di poche settimane il silenzio – voci all’epoca parlano

36 ANF, AG/5(F)/2179 Ministero dell'interno, SCTIP Diefenbacher – Foccart Rapporto n.450/SCTIP/DOC

17.04.1972.

37 Confidenza di Simbananyie a Melady, ambasciatore statunitense a Bujumbura. CADN, 318PO/1/16 de la

Bruchollerie – Schumann “Situazione politica in Burundi” n.490/DAM 12.04.1972.

38 NA, FCO 31/1100 Mark Allen (Ambasciatore del Regno Unito in Zaire) – Simon Dawbarn (Ministero degli

affari esteri e del commonwealth, dipartimento Africa orientale) “Sviluppi Politici in Burundi” 30.05.1972.

39 Lo scambio epistolare fra i due presidenti è riportato in tutti i dispacci diplomatici dell'epoca. NA, FCO 31/1112

Lettera del Presidente Micombero al Presidente Amin 28.03.1972.

40 Tanto i documenti reperibili negli archivi diplomatici belgi, quanto quelli degli archivi francesi e britannici

dimostrano tale fiducia. Al contrario, lo SCTIP crede in una complicità fra le autorità burundesi e ugandesi. ANF, AG/5(F)/2179 Ministero dell'interno, SCTIP Diefenbacher – Foccart Rapporto n.488/SCTIP/DOC 28.04.1972.

addirittura di una sua fuga verso il Ruanda o qualche altro Paese in virtù delle intercessioni ugandesi e zairesi. La rapidità con cui verrà archiviato il caso in Uganda lascia pensare se non alla complicità ex ante denunciata dai servizi di cooperazione poliziaria francese, almeno ad una connivenza ex post di Amin rispetto all’arresto di Ndizeye. Mwambutsa cercherà invano di intercedere in favore del figlio presso le ambasciate occidentali, che si dichiareranno tuttavia disponibili ad agire solo per ragioni strettamente umanitarie, ossia laddove la vita di Ndizeye sia in pericolo41.

Questa disponibilità e queste rassicurazioni occidentali verranno tuttavia smentite nel giro di poche settimane. La notte del 29 aprile 1972 Ntare V viene infatti ucciso, senza che alcuna potenza occidentale intervenga in suo favore. Le dinamiche della sua uccisione non sono ancora state pienamente chiarite: le autorità nazionali parlano dapprima di un incidente durante un tentativo di evasione, poi di un processo per cospirazione42. Altre fonti riportano un’azione delle guardie poste a sua sorveglianza, su indicazione di Albert Shibura (ministro della giustizia e degli interni)43. Se si esclude l’ipotesi, poco probabile considerate le circostanze, di un tentativo di evasione, l’eliminazione dell’ex monarca viene direttamente ricondotta ad un ordine governativo. Le autorità burundesi furono da subito divise rispetto al destino di Ndizeye, alcuni in particolare sottolineavano l’opportunità di tenerlo prigioniero ma in vita, altri al contrario premevano per eliminarlo definitivamente dalla scena politica burundese. Il fatto che sia prevalsa questa seconda corrente, in questo specifico momento storico, può essere legato a una duplice ragione. Da un lato, può aver giocato un ruolo il timore che Ntare V potesse collaborare con il gruppo banyaruguru e con gli altri oppositori del regime – indeboliti dal processo del 1971, ma non del tutto annientati – dall’altro può avere influito il sospetto di un’implicazione dell’ex monarca nell’organizzazione della ribellione che si stava per scatenare nel Paese (di cui il governo era al corrente). Entrambi questi timori appaiono in realtà privi di fondamento, ma risultano coerenti con la paranoia di un ritorno della monarchia che affliggeva Micombero e parte del suo entourage in quegli anni.