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Il terzo millennio: contesto, tecnologie, multimedialita’

III. ALLESTIMENTO MUSEALE DEI BRONZI ANTICH

3.4 Il terzo millennio: contesto, tecnologie, multimedialita’

Dal punto di vista degli allestimenti e delle nuove acquisizioni, il terzo millennio si è aperto con un nuovo “caso” estremamente delicato per le sue molteplici implicazioni sia in ambito archeologico che giudiziario: l‟esposizione, in America, al Cleveland Museum of Arts, di un bronzo antico diventato poi estremamente noto per la sua presunta attribuzione prassitelica: l‟Apollo Sauròktonos. Con questa nuova esposizione inaugurata nel 2004, anno della prima presentazione al pubblico dell‟opera, tornavano ad aleggiare sui musei americani – dopo il caso Getty – i fantasmi di presunte acquisizioni illecite all‟interno del mercato antiquario clandestino.

Nel 2004, la portavoce del museo di Cleveland, Katerine Lee Reid, così annunciava pubblicamente l‟acquisto di una statua di bronzo antica:

“By far the most important work of Classical sculpture to come to light and be acquired

by a North American art museum since World War II”.274

L‟Apollo proveniva dalla galleria d‟arte Phoenix Ancient Art S.A., specializzata nella compravendita di antichità classiche. Secondo la ricostruzione fatta dai curatori del museo di Cleveland, la statua del Sauròktonos proveniva da una collezione privata tedesca, dove sarebbe arrivata in un periodo non ben specificato, ma certamente antecedente alla promulgazione degli accordi internazionali per la tutela del patrimonio archeologico firmati nel 1954 all‟Aja. Se le cose fossero andate effettivamente così, allora, il museo americano si sarebbe mosso all‟interno dei limiti imposti dalla legge275

.

Salvatore Settis, che nel 2004 fu il primo in Italia a dare l‟annuncio dell‟acquisto e dell‟esposizione dell‟Apollo al Cleveland Museum of Arts, ritiene tuttavia che la storia della scoperta dell‟opera sostenuta dagli americani sia “non impossibile, ma nemmeno

274 Le parole sono di David G. Mitten, curatore dell'arte antica e bizantina presso l'Harvard University Art

Museums; CEVOLI 2010, pp. 11-12.

275«La versione dei fatti sostenuta dalla galleria Phoenix e dal Museo di Cleveland è una sorta di sistema di

scatole cinesi che legittimerebbe il possesso dell‟Apollo Sauroctonos da parte del museo americano, in quanto esso sarebbe stato acquisito dalla famiglia di Ernst-Ulrich Walter prima delle normative e degli accordi internazionali per la tutela del patrimonio archeologico, firmata all‟Aja nel 1954» , queste le parole dell‟archeologo Tsao Cevoli; secondo la ricostruzione ufficiale della filiera di provenienza dell‟opera nel 1930questa sarebbe stata vista dal collezionista ed esperto d‟arte Ernst-Ulrich Walter all‟interno del proprio palazzo di famiglia, dunque lo stesso Walter l‟avrebbe venduta nel 1994 a un ignoto mercante olandese dopo il quale, con altri passaggi di mano, sarebbe arrivata nella galleria Phoenix Ancient Art S. A., http://www.patrimoniosos.it/rsol.php?op=getarticle&id=108924.

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troppo plausibile: come poteva restare tanto invisibile una statua di tale qualità proprio in Germania, patria dell'archeologia filologica?”.276

Le ricostruzioni circa l‟origine dell‟opera effettuate dal museo americano e che, ovviamente, lo mettevano al sicuro da possibili critiche d‟aver operato fuori dalla legalità non sono state accettate all‟unanimità.

276

https://ricerca.repubblica.it/repubblica/archivio/repubblica/2004/07/12/apollo-di-prassitele-risorge- cleveland.html.

Fig. 45 Cleveland, Cleveland Museum of Arts, l'Apollo nel suo primo allestimento del 2004 (fonte

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Concorde con Settis l‟opinione di Tsao Cevoli, dal 2004 al 2014 direttore dell‟Osservatorio Internazionale Archeomafie, secondo il quale l‟Apollo avrebbe fatto parte del carico di una nave affondata tra l‟Italia e Cartagine in età tardoantica, forse in seguito al saccheggio dei Vandali del 455 d.C.. Se questa ipotesi fosse in qualche modo confermata, allora, l‟opera proverrebbe da uno scavo subacqueo clandestino, e dunque non potrebbe essere esposta negli Stati Uniti in quanto frutto di traffici illeciti277.

Nonostante questi forti dubbi sulla provenienza dell‟opera, tra l‟altro provati non solo da archeologi italiani ma anche dall‟ambiente intellettuale greco, non vi sono ancora state proposte per un possibile ritorno in Europa del bronzo278.

277 CEVOLI 2010, pp. 11-54.

278 Nel suo articolo Cevoli sostiene che la Grecia abbia più volte dichiarato l‟origine illecita del bronzo

sostenendone una provenienza da acque nazionali greche. Su quest‟affermazione non ho trovato riscontri né sulla stampa italiana né su quella internazionale in lingua inglese.

Fig. 46 Cleveland, Cleveland Museum of

Arts, l'Apollo nel suo attuale allestimento, in secondo piano la teca con al suo interno gli attributi della statua ormai disgiunti da essa (hivemier.com).

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Qualunque sia la sua provenienza, il Sauròktonos negli Stati Uniti si trova certamente fuori contesto, almeno che non si voglia accettare, come d‟altra parte fanno i curatori dei musei americani, quel già più volte citato internazionalismo culturale che nega l‟importanza delle realtà contestuali in virtù di un patrimonio che può dirsi universale, solo per giustificare la permanenza nei propri musei di opere che certamente devono essere considerati dei capolavori.

Discutere ulteriormente sull‟Apollo Sauròktonos e su una sua eventuale ricontestualizzazione non ha senso, almeno fino a quando non si acquisiranno evidenze archeologiche sicure che possano in qualche modo far luce sull‟origine del bronzo.

Gli studi che sono stati condotti sull‟opera sono estremamente parziali e certamente insufficienti per ricostruire con certezza quali siano state le sue collocazioni in antico e quale dovette essere il contesto di ritrovamento279. Settis, nel 2004, affermò che del caso “Apollo di Cleveland” si sarebbe parlato a lungo, ma di fatto non fu così; l‟opera non è diventata oggetto d‟interesse scientifico, mediatico e giuridico al pari del Bronzo Getty, almeno in Italia, e ciò sta permettendo al museo dell‟Ohio di disporre pienamente del bronzo.

E‟ evidente che, se la filiera che ha portato l‟opera fino a Cleveland fosse confermata come lecita, allora, nonostante gli evidenti e, a questo punto, insormontabili problemi di ambito museologico e contestuale, il Cleveland Museum of Arts avrebbe tutto il diritto di esporre nelle sue sale il Sauròktonos. Se invece così non fosse, allora, vi potrebbero essere forse i presupposti perché l‟autorità competente europea (ma quale, l‟Italia? la Grecia?) possa richiedere la restituzione dell‟opera.

Dal punto di vista dell‟allestimento, il Sauròktonos oggi si trova esposto nell‟atrio di quel primo edificio del complesso museale che fu realizzato nel 1916. L‟opera è qui presentata al centro dell‟ambiente, su un basso basamento; esposti in una vetrina posta sulla parete sinistra troviamo invece la mano del dio e la piccola lucertola, parti della statua ormai staccate (figg. 46, 47).

L‟attuale assetto dell‟esposizione è da ricondurre a quel lavoro di profonda revisione degli allestimenti che ha interessato il museo di Cleveland dal 2005 al 2010 e che ha avuto come esito, tra i tanti, anche una nuova collocazione per l‟Apollo.

279

In base al confronto iconografico tra il bronzo e alcuni coni monetali è stata ipotizzata come città d‟origine dell‟opera Apollonia sul Rindaco, cf. CORSO 2013, pp. 22 e sgg. Se questo sembra un fatto supportato da prove consistenti anche di natura archeologica, il ritrovamento dell‟opera nel Mar Mediterraneo tra l‟Italia e Cartagine ad oggi sembra ancora fortemente ipotetico.

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Nel 2004, infatti, per garantire la più rapida visione al pubblico dell‟opera appena presentata, questa era stata collocata in una delle corti interne del museo (fig. 45)280.

Oggi, insieme all‟Apollo Sauròktonos, nella stessa prima sala del museo trovano posto anche una statua sumera acefala in granito datata al III millennio a.C., una croce lignea di ambito pisano di XIII secolo e una pala d‟altare del Sassetta (XIV- XV secolo). Risulta evidente come le quattro opere non abbiano nessun carattere comune tra loro, sul piano tipologico, materico né tanto meno cronologico. L‟esposizione che va in scena nella prima hall del museo vuol dunque rappresentare un‟anticipazione di ciò che il museo offrirà al suo primo piano mediante alcuni pezzi elevati allo status di capolavori. In effetti, superata la Sala 100, là dove si trova l‟Apollo, il percorso museale prosegue attraverso un itinerario che toccherà, tra le tante, anche le epoche già evocate dall‟ambiente introduttivo.

Nel suo attuale layout, l‟esposizione dell‟Apollo di Cleveland, decontestualizzato per sua stessa natura, soffre quindi anche di un isolamento all‟interno dello stesso museo.

La statua nella hall del museo non può che essere apprezzata di per se stessa, e quasi esclusivamente per i suoi innegabili attributi estetici; le opere che si trova ad avere attorno, di vari ambiti ed epoche diverse, non dialogano con il bronzo, non ne aumentano la leggibilità e la comprensione come prodotto di una cultura che a questo ha dato un significato proprio e ne ha fatto uso.

Probabilmente se il Sauròktonos fosse stato esposto in una delle poche sale del museo dedicate all‟arte greco-romana, la percezione sarebbe stata diversa; seppur decontestualizzata dal punto di vista archeologico (e necessariamente sarà per sempre così), il bronzo sarebbe stato inserito tra opere relative a uno stesso ambito culturale, del quale l‟Apollo avrebbe potuto essere un tassello della narrazione.

280 Questo ambiente oggi non è più esistente; i suoi volumi corrispondono alla sala 217 del piano II del

museo.

Fig. 47 Cleveland, Museum of Arts, l‟Apollo nel suo attuale allestimento (hivemier.com).

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Tuttavia l‟isolamento dell‟Apollo dal resto della collezione non è da considerare l‟esito di una musealizzazione incerta e disattenta ad alcuni aspetti per noi fondamentali, quanto piuttosto il raggiungimento di un obiettivo che potremmo definire politico e programmatico. Per Michael Bennett, fino al 2018 curatore della collezione greco-romana del museo di Cleveland, l‟esposizione dell‟Apollo in una posizione di esclusività e preminenza sulle altre opere, coincideva con la consacrazione del Cleveland Museum of Arts a nuovo tempio delle muse d‟America. Così come il dio vinceva il rettile simbolo del disordine e del caos, il museo di Cleveland si doveva ergere in difesa della cultura e del sapere universale, guardando il futuro, ma in continuità con quella tradizione del passato di cui l‟Apollo era incarnazione281

.

Confrontando dunque il caso della musealizzazione dell‟Apollo Sauròktonos con quello già ricordato dell‟Atleta di Fano al Villa Getty Museum, osserviamo come presupposti analoghi quali l‟esposizione in suolo americano di due importanti bronzi provenienti dal bacino mediterraneo abbiano avuto esiti completamente diversi. Se infatti da una parte il museo Getty si è impegnato a restituire l‟opera quanto meno al suo originale contesto culturale, dall‟altra il Cleveland Museum of Arts ha invece negato ciò, esponendo l‟Apollo non nella galleria d‟arte classica ma fuori da questa, nel primo spazio che il visitatore incontra prima dell‟avvio del percorso museale. Se quindi il Bronzo Getty può essere apprezzato per le sue qualità estetiche e artistiche all‟interno di un contesto museale che tenta di riportare l‟opera al suo ambito originario, l‟Apollo di Cleveland risulta forse fruibile quasi soltanto nella sua accezione estetica, mancando completamente di un legame con il suo contesto d‟origine.

Se negli Stati Uniti il nuovo millennio è dunque cominciato con la riscoperta e la presentazione di un bronzo che seppur antico era ancora “inedito”, e tornava dunque a far riflettere sulle relazioni tra il Nuovo Continente, i suoi musei e l‟antichità mediterranea, in Europa il Duemila è stato inaugurato con nuovi e importanti riallestimenti che hanno talvolta riguardato nuclei di opere facenti parte di collezioni ormai storicizzate.

In particolare in Italia il terzo millennio si è aperto con la realizzazione di nuovi allestimenti per opere ormai note da secoli e che facevano parte di due delle principali collezioni storiche della città di Roma: il Museo Capitolino e il Museo Nazionale Romano.

281

Le informazioni sui principi alla base dell‟attuale esposizione sono il risultato di una mia corrispondenza con l‟attuale curatorial assistant della collezione d‟arte classica, la dottoressa Amanda Mikolic.

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L‟esperienza romana di Carlo Aymonino, architetto e autore del nuovo padiglione del Museo Capitolino, non trova confronti con nessuno dei casi fino a ora presi in considerazione. Qui, infatti, l‟inserimento di un‟architettura dichiaratamente moderna all‟interno di un contesto costruttivo certamente storico ha avuto come riflesso, dal punto di vista museologico e museografico, la completa ridefinizione di un nucleo di opere in bronzo fondamentali per il Museo Capitolino.

L‟allestimento della cosiddetta esedra del Marco Aurelio si trova agli antipodi del già citato Appartamento dei Conservatori, nello stesso museo (cf. supra, cap. 3.1, pp. 42-45). Se infatti in quest‟ultimo caso l‟attuale esposizione rappresenta una riproposizione estremamente fedele di quello che dovette essere l‟allestimento originario, nel nuovo padiglione di Aymonino opere che ormai da secoli facevano parte del patrimonio dei Musei Capitolini sono proposte in una forma dichiaratamente moderna, e che ha ormai reciso tutti i legami con l‟aspetto primitivo dell‟esposizione.

All‟origine del nuovo padiglione del Capitolino vi era la necessità di ampliare la planimetria del museo al fine di ricavare uno spazio coperto sufficientemente grande per accogliere il bronzo equestre del Marco Aurelio il quale, dopo il restauro del 1990, doveva essere ricoverato al chiuso, nonché gli imponenti resti del tempio di Giove Capitolino che stavano emergendo dallo scavo dell‟area282.

282

Il padiglione di Aymonino ha consentito al museo di aumentare la sua superficie visitabile di circa un terzo.

Fig. 48 L'allestimento del Marco Aurelio in un

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Il primo progetto risale al 1993 e l‟apertura del cantiere al 2003. Nel 2005 il nuovo padiglione, collocato nel Giardino Romano del Palazzo dei Conservatori, è stato definitivamente aperto al pubblico283.

La struttura contemporanea si caratterizza per essere organizzata su più livelli, marcati sia dall‟andamento della copertura vitrea che dalle quote del pavimento.

Il fulcro del padiglione è la cavea centrale, di forma ovale e posta a una quota più bassa rispetto al resto del museo. Qui la copertura vetrata è più in alto della restante struttura ed è sorretta da pilastri in metallo verniciato di azzurro, disposti attorno alla platea ovale. Nella conformazione di questo spazio e nell‟insieme delle opere esposte si può intuire come il progetto di Aymonino interagisca direttamente con l‟organizzazione urbanistica della Piazza del Campidoglio, andando in un certo modo a evocarne la forma.

283

L‟idea di realizzare una struttura dietro al Palazzo dei Conservatori non era però nuova. Già alla fine dell‟Ottocento in quel luogo era stato costruito un padiglione ottagonale, abbattuto poi nel 1902, dedicato all‟esposizione delle più recenti acquisizioni del museo.

Fig. 49 “Inquadratura della sala che evidenzia il felice rapporto tra la statua equestre e lo spazio

nella quale è inserita. La grande vetrata verso il giardino Caffarelli consente inoltre di apprezzare l'opera in rapporto con gli elementi dello spazio esterno, con i quali originariamente conviveva : il cielo, gli edifici, la natura”, allestimentimuseali.beniculturali.it (foto dell‟autore).

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Tra le opere principali esposte all‟interno dell‟esedra vetrata vi sono alcuni dei bronzi che fin dal Rinascimento furono esposti presso il museo istituito con la donazione di Papa Sisto IV: il bronzo di Costantino con mano e palla Sansonis, l‟Ercole del Foro Boario e soprattutto il Marco Aurelio.

Quest‟ultimo vive di un particolare rapporto con il volume architettonico realizzato da Aymonino, in quanto spazio appositamente edificato per la sua conservazione: una delle linee guida per la realizzazione del progetto dell‟esedra e dell‟allestimento museografico è stata la volontà di ricreare tramite il linguaggio dell‟architettura contemporanea l‟originario contesto della Piazza del Campidoglio, dove il Marco Aurelio era stato esposto fino al 1987.

Il vano centrale del padiglione è di forma ovale, così come la piazza del Campidoglio progettata da Michelangelo. Al centro dello spazio espositivo si trova l‟originale bronzo del Marco Aurelio, ora posto su una lunga pedana composita progettata dall‟architetto Francesco Stefanori che, seppur più lunga e bassa del podio michelangiolesco posto ancora in Piazza del Campidoglio, ne evoca la funzione senza tuttavia riproporne la forma284.

284

Il podio realizzato per il Marco Aurelio da Francesco Stefanori non soddisfò né Andrea Carandini né Carlo Aymonino, l‟architetto a capo di tutto il progetto. Il nuovo basamento per il bronzo fu infatti criticato per la sua cromaticità e per le sue forme massicce; architettiroma.it. (rassegna stampa sull‟inaugurazione dell‟esedra del Giardino Romano)

Fig. 50 Roma, Musei Capitolini, la testa bronzea dell‟imperatore Costantino con i suoi

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L‟esito è un allestimento che esalta i caratteri di dinamicità della figura del cavallo che, non più confinato allo spazio di un basamento convenzionale, con il suo passo sembra incedere sulla pedana, dai margini verso il centro della sala285.

Ma è anche lo stesso contesto atmosferico che rimanda all‟originale collocazione esterna del Marco Aurelio, nonché all‟uso di giardino che si era fatto dell‟area fino al 2003. Le pannellature in vetro che costituiscono la copertura dell‟esedra, appositamente schermate da elementi che attenuano i raggi solari diretti e diffondono la luce, insieme a un sistema d‟illuminazione artificiale particolarmente ridotto, riescono a far sì che le opere esposte sotto l‟architettura progettata da Aymonino siano visibili in un chiarore naturale e confrontabile a quello di un ambiente esterno.

Oltre al Marco Aurelio, certamente l‟opera principale del padiglione, anche gli altri bronzi della collezione capitolina hanno goduto della nuova architettura contemporanea, con l‟Ercole che oggi è esposto su un basamento classico davanti al muro del tempio di Giove Capitolino (fig. 51) e i frammenti del Costantino che si trovano invece nella cavea principale dell‟esedra su più recenti prismi in pietra nera screziata di bianco (fig. 50).

285

L‟allestimento del giardino romano curato da Carlo Aymonino non è stato apprezzato da tutti, proprio per il suo carattere estremamente innovativo. Marcello Barbanera, archeologo, critica alcuni aspetti del nuovo padiglione. Particolarmente problematica sembra essere la forma del basamento del Marco Aurelio, che secondo Barbanera risulterebbe dozzinale se confrontata con quella ellittica proposta da Aymonino in una versione non definitiva del progetto, BARBANERA 2013, pp. 61-68, fig. 2.18.

Fig. 51 Roma, Musei Capitolini, l‟Ercole dorato dal

Foro Boario davanti al muro del tempio di Giove Capitolino (foto dell‟autore).

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La disposizione nello spazio dei tre grandi bronzi, nonché delle altre opere poste al di sotto della copertura di Aymonino, fa sì che si costituisca un rapporto inedito tra le statue, un dialogo all‟interno dello spazio al centro del quale si viene a trovare il visitatore stesso286

. Ciò che è stato fatto con il Marco Aurelio di Piazza del Campidoglio, ovvero lo spostamento dell‟originale all‟interno del museo e la sua sostituzione con una copia, già era stato sperimentato circa vent‟anni prima con i cavalli dorati della Basilica di San Marco a Venezia: per ragioni conservative dal 1982, infatti, le quattro statue bronzee sono state tratte all‟interno del museo della cattedrale, e al loro posto, sulla terrazza della facciata si trovano delle loro copie.

In questo modo, come sarà poi fatto a Roma, gli originali non sono stati allontanati dal loro luogo d‟origine, ma esposti in uno spazio controllato e al sicuro dagli agenti di degrado. Al contempo, mediante l‟uso di riproduzioni realizzate ad hoc, non si è compromessa l‟immagine ormai storicizzata di un luogo: a Venezia la facciata di San Marco, a Roma la Piazza del Campidoglio287.

Nel solco del riallestimento di opere da secoli acquisite al patrimonio culturale si colloca, ancora di ambito romano, il caso dei bronzi del Museo Nazionale Romano di cui il

Pugilatore e il cosiddetto Principe delle Terme rappresentano certamente i soggetti più

noti. Dal 2006 queste opere sono esposte nella sede del Museo Nazionale che dal 1998 si trova presso il Palazzo Massimo alle Terme.

In precedenza i bronzi del Pugile e del Principe – con le riorganizzazioni in occasione dell‟anno giubilare del 2000 – erano stati esposti all‟interno dell‟Aula Ottagona del