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La musealizzazione del bronzo nel primo Novecento

III. ALLESTIMENTO MUSEALE DEI BRONZI ANTICH

3.2. La musealizzazione del bronzo nel primo Novecento

Negli esempi appena esaminati si è vista l‟applicazione di criteri di ordinamento e organizzazione delle collezioni che oggi risultano profondamente datati, ma che talvolta, proprio in virtù della storicità delle collezioni e delle istituzioni, sono stati non solo conservati ma anche riproposti ex novo in allestimenti contemporanei.

Buona parte dei nuclei di materiali appena trattati sono stati organizzati secondo un principio tipologico che, a seconda dei casi, è stato capace di discriminare tra grandi

Fig. 13 Parigi, Louvre, l'Apollo di Piombino nella mostra della Petite Galerie, 2019

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bronzi, piccoli bronzi o manufatti dello stesso materiale. Abbiamo visto come al Palazzo dei Conservatori la statuaria in bronzo sia presentata in una sezione a sé stante, così come al MAF di Firenze, mentre al Museo Gregoriano Etrusco il Marte e i due putti sono esposti insieme a un ampio campionario di materiali in bronzo anche d‟uso comune, e fino al 2018 lo stesso accadeva anche al Musée du Louvre in Francia.

In tutti i casi, complice anche l‟impossibilità di ricostruirlo con certezza, il contesto di rinvenimento non era in alcun modo evocato e risultava completamente assente nell‟allestimento. Anche laddove in anni recenti si è deciso di rimettere mano alle collezioni, si è proceduto tutt‟al più, come nel caso del Louvre, a realizzare un‟esposizione che tenesse conto del solo ambito culturale delle opere, senza accennare al contesto archeologico di rinvenimento.

Negli esempi che andremo ora a proporre vedremo come già con i primi anni del Novecento, sia in Italia che in Europa, si siano cominciati ad applicare principi museologici e tecniche museografiche capaci, almeno in parte, di conservare l‟integrità del contesto anche all‟interno del museo; è in questo periodo che nascono le collezioni topografiche, i reperti cominciano a essere organizzati non più solo per materiale, ma anche per cronologia, corredi o contesti.

Il Novecento, per la museologia, si delinea come un importante periodo di passaggio e d‟evoluzione. Il secolo, iniziato con ancora in auge il “modello Louvre” come paradigma principale dell‟esposizione, si è poi concluso con quella riflessione sul rapporto tra museo, reperto e ambiente che, soprattutto in Italia, ha portato alla diffusione del nuovo modello del museo locale. Con il secolo breve possiamo dunque osservare le tappe d‟acquisizione di una sempre maggiore consapevolezza circa i rapporti tra contesto e museo.

Come detto sopra, i siti vesuviani furono i primi nei quali gli archeologi del passato ebbero la possibilità di osservare un gran numero di manufatti, reperti, testimonianze ed evidenze materiali ancora poste in situ.

La vicinanza delle aree di scavo alla capitale del regno borbonico, unita a un‟efficiente legislazione nel campo della tutela, impedì a molti dei materiali rinvenuti nei siti vesuviani di essere dispersi e fuoriuscire dal regno di Napoli, garantendo dunque una caratterizzazione territoriale alle successive esposizioni.

Dopo lo smantellamento del Museo Ercolanense della Villa di Portici, il luogo individuato per accogliere la maggior parte dei reperti provenienti dallo scavo dei siti vesuviani fu l‟ex

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edificio della Cavallerizza, dal 1816 Real Museo Borbonico e dall‟Unità d‟Italia Museo Nazionale.

I primi allestimenti del museo si datano agli anni della dominazione napoleonica (1805- 1815), quando il Real Museo Borbonico, caratterizzato da una forte vocazione universalistica, ospitava ancora istituti, biblioteche e accademie182.

In epoca più recente il museo è stato poi oggetto di nuovi riallestimenti, prima a cura di Paolo Orsi (tra il 1900 e il 1901), quindi di Ettore Pais, rimasto in carica come direttore dell‟istituto fino al 1904183

.

L‟esposizione curata dall‟Orsi prevedeva una suddivisione della collezione per classi o tipi di materiali; era prevista ancora una Sala dei Grandi Bronzi (fig. 14) nella quale i materiali erano presentati senza tenere di conto di alcun criterio topografico o cronologico ma considerando solo la loro tipologia e il materiale costitutivo, lo stesso criterio di distinzione tra grandi e piccoli bronzi già visto per il Museo Archeologico di Firenze.

Fu il successivo ordinamento del Pais a introdurre all‟interno dell‟istituzione napoletana nuove forme d‟organizzazione della collezione. Questa fu completamente rivista e ordinata secondo un criterio che tenesse conto della cronologia e dei contesti di ritrovamento, rappresentando un precocissimo e fortunato caso d‟applicazione di princìpi capaci di evidenziare l‟importanza dell‟ambito di ritrovamento nella pratica museologica.

Dagli anni Settanta a oggi, poi, i materiali del Museo Archeologico Nazionale di Napoli sono stati soggetti a nuovi allestimenti; in particolare, la sezione del museo dedicata ai mosaici e alle pitture parietali – quella di cui si tratterà adesso – è stata completata solo nell‟anno 2000.

Il bronzetto del Fauno danzante, scoperto in una domus pompeiana e arrivato nel museo napoletano nel 1843, è oggi esposto nella sezione dedicata alla decorazione musiva e pittorica che ornava le ricche abitazioni di proprietà aristocratica (fig. 15)184. Il bronzo è posto su una semicolonna inserita all‟interno di una piccola vasca quadrata che va a evocare l‟impluvio posto al centro dell‟atrio tuscanico nel quale era originariamente inserito il fauno. Attorno al bronzo sono esposte porzioni di mosaico tutte provenienti dallo scavo della Casa del Fauno.

182 https://www.museoarcheologiconapoli.it/it/storia-del-museo/. 183 DE CARO 1999, p. 14.

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Due colonne isolano poi lo spazio dove si espone il mosaico della Battaglia di Alessandro da quello dove si trova invece il Fauno, associando in questo modo l‟ambiente del mosaico al tablinum della domus e quello del bronzo al suo atrio.

Pur non essendo documentato il periodo di realizzazione del primo allestimento museale relativo alla Casa del Fauno, non sarà difficile collocarlo tra l‟esperienza del Pais (che introdusse un criterio d‟organizzazione contestuale delle collezioni) e la metà del XX secolo. Seppur vero che la sezione fu risistemata nel 2000, l‟attuale forma dell‟allestimento è sicuramente almeno in parte anteriore.

La corrente esposizione del Fauno danzante riesce a portare all‟interno delle sale del museo il contesto archeologico, e lo fa adattando lo spazio circostante alla necessità di evocare le relazioni tra i reperti rinvenuti e gli ambienti dell‟edificio dove anticamente furono esposti, a partire dal celebre mosaico dell‟esedra, esposto tuttavia a parete come se fosse una composizione pittorica. In questo allestimento vediamo ottimamente declinate quelle intuizioni che saranno poi espresse da Franco Minissi nel 1978 in occasione della mostra itinerante organizzata dall‟ANMLI185

e intitolata Museo come-museo perché: “[il museo deve agire] per potenziare una conservazione globale che escluda per principio

l‟estrazione degli „oggetti‟ musealizzati dal loro contesto storico-ambientale, e, laddove tale contesto risulti compromesso o lacerato, intervenire con le scienze museologiche e le tecniche museografiche per ricostruire l‟unitarietà potenziale” 186.

185 Associazione Nazionale Musei Locali e Istituzionali. 186

MINISSI 1980, p. 65.

Fig. 14 Napoli, Museo Archeologico Nazionale, la sala dei Grandi Bronzi

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A Napoli le riflessioni museologiche e le tecniche museografiche sono state impiegate per adattare la forma dell‟ambiente in cui il bronzo e i mosaici sono esposti, colmando quell‟inevitabile distanza che al momento dello scavo si crea tra reperto e contesto di ritrovamento.

Una seconda sezione del MANN di Napoli che dev‟essere citata come degna di rilievo per l‟esposizione della statuaria in metallo antica è il grande atrio del museo.

Anche per questo spazio d‟ingresso al museo risulta difficile datare l‟attuale allestimento, ma, ancora, dovremmo ricercare nel lavoro del Pais quanto meno i presupposti scientifici e concettuali alla base dell‟esposizione.

Il criterio classificatorio delle opere esposte nell‟Atrio, infatti, è nuovamente contestuale, o quanto meno lo è per una parte del nucleo delle statue in metallo187. I monumentali bronzi rappresentanti Agrippina Minore velato capite, Livia, Lucio Mummio e Tiberio provengono tutti dallo stesso scavo del teatro d‟Ercolano, e oggi sono disposti addossati ai lati dell‟atrio del museo (fig. 16). Le opere sono poste su basamenti cubici realizzati in metallo verniciato di grigio con piccole didascalie che riportano il nome del personaggio raffigurato, la datazione, il luogo di rinvenimento e il numero d‟inventario; per alcune statue – è questo ad esempio il caso di Agrippina Minore – si è conservata parte di una

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Nell‟Atrio sono esposte anche altre opere di diversa origine.

Fig. 15 Napoli, Museo Archeologico Nazionale, il Fauno danzante da Pompei nell'attuale

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precedente base con ancora l‟originale targhetta dorata recante il numero d‟inventario con cui l‟opera fu registrata al momento dell‟ingresso nella collezione.

Nello stesso ambiente sono poi esposte le iscrizioni marmoree celebrative di Appius

Claudius Pulcher, Marcus Nonius Balbus e Lucius Annius Mamminus Rufus, patroni e

mecenati della costruzione dell‟edificio, provenienti dal medesimo scavo del teatro ercolanense188.

L‟attuale allestimento dei bronzi scoperti nel teatro di Ercolano è pertanto in accordo con quelle idee di rispetto e conservazione delle realtà contestuali che a Napoli si erano manifestati già nei primi del Novecento, senza tuttavia ricercare nella forma dell‟esposizione quella volontà di riconfigurare l‟ambito di provenienza dei materiali tramite l‟architettura stessa del museo, come visto nel caso della sala della Casa del Fauno. Se, dunque, possiamo considerare il risultato dell‟esposizione del Fauno danzante come efficace e concettualmente ancora attuale, seppur realizzata mediante un uso dell‟architettura oggi datato – e altrettanto possiamo fare per quel che riguarda i bronzi dell‟Atrio – si deve invece notare come l‟allestimento della Sala del Plastico di Pompei, con i tre bronzi a grandezza naturale di Apollo, Diana e dell‟Efebo, presenti invece problematiche maggiori.

Nella sala, posta al secondo piano del museo, il focus principale dell‟ambiente è proprio il grande modello in scala 1:100 voluto alla fine del XIX secolo da Giuseppe Fiorelli, allora curatore del museo e direttore dello scavo pompeiano189. Oggi nello stesso ambiente è stato ricavato un piccolo spazio dedicato al multimediale, con uno schermo che trasmette un audiovisivo sulla storia del sito e degli scavi di Pompei.

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DE CARO 1999, p. 31.

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In questo ambito risultano fuori contesto proprio le statue bronzee esposte; queste provengono sì da Pompei (e dunque esiste una relazione con il plastico del Fiorelli), ma da aree diverse della città. L‟Apollo saettante e il busto di Artemide sono da riferire probabilmente al tempio cittadino dedicato al dio, l‟Apollo citarista alla cosiddetta Casa del Citarista mentre il bronzo dell‟Efebo lichnouchos è da ricondurre all‟omonima Casa dell‟Efebo190

.

Nella sala del plastico i dispositivi museografici che sono stati utilizzati per presentare i bronzi sopra citati sono eterogenei e ciò contribuisce a restituire un senso di incompiutezza all‟ambiente. L‟efebo lichnouchos (fig. 17) è esposto davanti a una riproposizione a parete del plastico di Pompei, su un‟ampia piattaforma circolare nella quale sono incassati dei faretti per l‟illuminazione ma priva di una didascalia che identifichi l‟opera, l‟Apollo citarista è collocato su un semplice pancale ligneo – privo di alcun supporto didascalico – in un allestimento apparentemente provvisorio (il MANN è stato visitato da chi scrive nel marzo del 2019, ma dal confronto con la documentazione fotografica precedente sembra che queste siano le ordinarie condizioni d‟esposizione). L‟Apollo saettante è invece presentato – anch‟esso privo di didascalia – su una base composita in metallo, mentre il busto di Diana, probabilmente contestuale all‟Apollo, si trova su un alto parallelepipedo di supporto dove è apposta una didascalia con soggetto, luogo di provenienza, datazione e

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DE CARO 1999, p. 113.

Fig. 16 Napoli, Museo Archeologico Nazionale, i bronzi esposti nell'Atrio del MANN con le

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numero d‟inventario; dal punto di vista stilistico quest‟ultimo elemento didattico si allontana da quelli visti per l‟Atrio o da quelli utilizzati per i bronzi della Villa dei Papiri e rappresenta forse la rimanenza di un precedente allestimento.

Nella sala del plastico i contesti non sono dichiarati esplicitamente, e anche i due bronzi provenienti dal tempio di Apollo, e che quindi condividerebbero la stessa origine topografica, si trovano privati di ogni relazione, sia tra loro che con il loro sito di rinvenimento.

L‟esposizione dei bronzi e quella del plastico, pur condividendo lo stesso ambiente, sono completamente svincolate tra loro. Se per le statue dell‟Atrio e il Fauno danzante il rapporto tra reperti e luogo d‟origine era chiaro e ben manifestato (in modo più esplicito per la casa del fauno e più sottaciuto per il teatro di Ercolano), per l‟Apollo, la Diana e l‟Efebo l‟unica attinenza tra l‟esposizione e i contesti originari è rappresentata dalla blanda relazione che essi possono avere con la riproduzione in scala della città dove si trovarono anticamente.

Fig. 17 Napoli, Museo Archeologico Nazionale, l‟Efebo lichnouchos (o di Via dell‟Abbondanza)

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Se in Italia l‟esperienza napoletana di Ettore Pais ebbe come esito un‟accresciuta consapevolezza circa l‟importanza del rapporto tra museo, opera e contesto, anche nell‟Europa di inizio Novecento vi furono musei che cominciarono a riflettere sulle medesime tematiche. E‟ questo il caso del Kunsthistorisches Museum di Vienna, dove l‟esposizione del cosiddetto Atleta di Efeso si caratterizzò fin dal suo primo allestimento per la capacità di valorizzare gli aspetti contestuali relativi ai manufatti presentati.

Come già ricordato in precedenza, l‟Atleta fu trasportato a Vienna nel 1906 come dono del sultano Abdul Hamid II alla corona imperiale austriaca.

Il bronzo non arrivò da solo nella capitale austriaca ma insieme a un ricchissimo nucleo di materiali, reperti e opere d‟arte antica scoperti congiuntamente nello scavo di Efeso191. Il primo luogo d‟esposizione per il consistente nucleo di materiali di provenienza efesina fu il Tempietto di Teseo, edificio in stile neoclassico situato nel Volskgarden di Vienna e originariamente costruito per esibire il Teseo del Canova oggi al Kunsthistorisches Museum (fig. 18). Oggi il bronzo dell‟Atleta, insieme a tutto il materiale emerso durante lo scavo dell‟antica città microasiatica, si trova esposto all‟interno dell‟Ephesos Museum,

191 Questa acquisizione da parte dell‟allora Impero Austroungarico di materiali provenienti dalla missione

efesina fu l‟ultima. Nel 1907, infatti, con la promulgazione della Legge sulle Antichità Turche, lo stato

ottomano sancì il definitivo divieto di esportazione delle antichità rinvenute sul suolo nazionale, https://www.khm.at/en/visit/collections/ephesos-museum.

Fig. 18 Vienna, il primo allestimento dell‟Atleta all‟interno del Tempietto di

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distaccamento del Kunsthistorisches Museum inaugurato nel 1978 e ricavato all‟intero delle sale dell‟Hofburg, l‟antico palazzo imperiale di Vienna (fig. 19)192

.

L‟attuale esposizione dell‟Atleta, così come quella originaria allestita nel Tempietto di Teseo, si caratterizza per una duplice natura: se da una parte il bronzo è presentato in spazi architettonici caratterizzati da un indubbio pregio estetico (cosa che abbiamo visto essere propria degli istituti museali più antichi o dei grandi musei nazionali, Louvre e British Museum su tutti), notiamo anche come l‟opera sia inserita all‟interno di una collezione più ampia la cui peculiarità risiede nella provenienza comune dei materiali.

Tra gli esempi di musealizzazione che abbiamo visto fino ad ora, il confronto più stringente per l‟Ephesos Museum del KHS di Vienna è certamente il Louvre di Parigi. In entrambi i casi si tratta di due dei più grandi musei dell‟epoca moderna, sedi delle collezioni nazionali di stati – la Francia e l‟Austria – che tra XIX e l‟inizio del XX secolo si impegnarono in una politica di acquisizione delle antichità particolarmente aggressiva e che non è stata alimentata soltanto dalla ricerca archeologica, ma anche dal mercato antiquario e da spoliazioni. Ciononostante, l‟esposizione dell‟Atleta di Efeso (sia l‟attuale che quella d‟inizio Novecento) e quella della dei bronzi parigini comunicano qualcosa di profondamente diverso, e ciò perché diverse sono state le contingenze che hanno portato le opere a essere esibite nelle loro rispettive destinazioni museali.

Il Louvre ha ottenuto le sue due statue bronzee di Apollo attuando una politica d‟acquisto sul mercato antiquario resasi necessaria per rinvigorire le sue collezioni quando, in seguito alla Restaurazione, molte delle opere che con Napoleone erano arrivate in Francia tornarono ai loro luoghi d‟origine; si comprende quindi il perché le statue dell‟Apollo di Piombino e di Lillebonne arrivarono nel museo da sole, senza altri reperti scoperti nello stesso sito e, nel caso dell‟Apollo italiano, seppur mancassero informazioni certe sull‟area di rinvenimento.

L‟acquisizione da parte di Vienna dell‟Atleta di Efeso s‟inserisce invece nel frangente di una cooperazione tra stati alla base della quale vi era un progetto di ricerca scientifica: lo scavo della città di Efeso da parte dell‟Istituto Austriaco d‟Archeologia.

192 L‟Ephesos Museum è oggi luogo d‟esposizione anche dei numerosi materiali provenienti dagli scavi

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Questo ha fatto si che l‟Atleta non sia arrivato a Vienna da solo ma insieme con altri reperti provenienti dallo stesso scavo e che dunque erano riferibili allo stesso sito193.

L‟esposizione del bronzo efesino all‟interno dell‟Hofburg di Vienna, a differenza della sala dei bronzi del Louvre e al pari degli allestimenti che abbiamo visto per il Museo Archeologico Nazionale di Napoli, ha in sé un grande potenziale informativo; non si limita soltanto a presentare una statua in virtù delle sue palesi qualità estetiche, ma racconta, attraverso i reperti, anche la storia di un sito, Efeso, e di un‟importante missione archeologica.

L‟esposizione dell‟Atleta a Vienna, dunque, può essere considerata certamente ben riuscita, capace di coniugare i valori estetici dell‟opera con quelli dell‟ambiente espositivo senza tuttavia porre in secondo piano l‟importanza del contesto; quest‟ultimo, sebbene il bronzo sia conservato in un museo di una nazione diversa da quella dove fu rinvenuto, è comunque evocato dalla presenza nelle sale dell‟Hofburg dei materiali provenienti dalla città di Efeso .

Tuttavia, a differenza di ciò che si è visto per l‟esposizione del Fauno di Napoli, gli spazi nei quali anticamente l‟opera fu esposta e rinvenuta (un impianto termale tardoantico) non sono suggeriti dalle architetture del museo, e l‟Atleta di Efeso è presentato in un pregevole ambiente in stile neoclassico. Le caratteristiche architettoniche delle sale dell‟Ephesos Museum hanno certamente influenzato la forma dell‟allestimento stesso: gli elementi di supporto delle opere, così come gli impianti d‟illuminazione, le vetrine e le sedute si

193 https://www.khm.at/en/visit/collections/ephesos-museum/

Fig. 19 Vienna, Kunsthistorisches Museum, l'attuale allestimento dell'Ephesos Museum

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caratterizzano per una spiccata linearità che emerge nella ricchezza dell‟architettura storica senza tuttavia entrarvi in contrasto. In questo senso vediamo il bronzo dell‟Atleta presentato su un basamento caratterizzato da lineari forme pure – un gradino circolare sormontato da un cubo – al centro di una sala a pianta centrale della quale la statua rappresenta il fulcro attorno a cui ruota il resto dell‟esposizione.

L‟uso di tecniche museografiche ed espedienti architettonici utili a suggerire l‟articolazione dei volumi di antichi edifici all‟interno del museo e quindi di ricreare in esso il contesto è stato invece utilizzato nel primo allestimento del Museo Archeologico di Delfi194.

Voluto dalla missione francese che da anni lavorava allo scavo del santuario d‟Apollo e inaugurato nel 1903, il nuovo museo archeologico, posto a valle del cantiere di scavo (tra la città contemporanea e l‟antico santuario), si andava a delineare come un istituto context

oriented ante litteram, costituendo uno spazio per l‟esposizione di tutti quei manufatti

scoperti nel sito di scavo che anticipava quindi di più di mezzo secolo le successive acquisizioni in ambito museologico circa i rapporti tra museo e sito archeologico. Il primo allestimento del museo, curato dall‟archeologo Théophile Homolle, direttore della missione francese, era rivolto a rievocare gli spazi dell‟antico santuario mediante l‟uso dell‟architettura dello stesso edificio museale, al fine di meglio contestualizzare i reperti esposti195.

Seppur non organizzato secondo un chiaro criterio cronologico, già il primo allestimento del Museo Archeologico di Delfi si delineava dunque come particolarmente innovativo e attento a tutti quei valori e implicazioni propri del contesto archeologico.

L‟attuale forma del museo rappresenta il termine di un percorso d‟evoluzione che l‟istituto ha compiuto nel corso del Novecento, un cammino lungo e reso estremamente difficoltoso dagli eventi politici e bellici che tra la seconda guerra mondiale e l‟ascesa dei Colonnelli