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Musealizzare la copia

III. ALLESTIMENTO MUSEALE DEI BRONZI ANTICH

3.5 Musealizzare la copia

La grande notorietà e il grande interesse che il bronzo ha suscitato fin dal Rinascimento ha fatto sì che nel corso dei secoli siano state prodotte numerose repliche e riproduzioni delle antiche opere in metallo che mano a mano venivano scoperte. Se in un primo momento il fenomeno della copia fu innescato dalla necessità di riempire il vuoto lasciato dall‟originale all‟interno di una collezione privata signorile – questo il caso dell‟Adorante

di Rodi oggi ancora conservato a Venezia – o dalla volontà dei committenti di fregiarsi di

un‟antica opera in bronzo seppur in replica – si vedano le statue fuse dal Primaticcio per Francesco I di Francia – con il tempo ha assunto un valore sempre maggiore sia nell‟ambito museologico che in quello proprio dell‟archeologia sperimentale318

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Se le riproduzioni dei bronzi antichi realizzate nel corso dell‟epoca moderna devono essere oggi approcciate con le stesse cautele e attenzioni riservate a una creazione originale della stessa epoca, le copie prodotte in età contemporanea, non essendosi ancora rivestite di quel valore che la storicità e l‟antichità sono solite aggiungere, presentano certamente meno problematiche nel loro utilizzo, e possono dunque essere più liberamente sfruttate a fini espositivi. La copia non è l‟originale, non è un manufatto antico e dunque non necessita di tutti quegli accorgimenti di cui si tiene comunemente di conto per i bronzi autentici; le repliche non sono soggette a stringenti norme di tutela e, soprattutto, non sono circondate da quell‟aura di sacralità che talvolta ammanta i prototipi originali.

Quest‟accezione attribuita alla copia realizzata in età contemporanea ha fatto sì che potesse essere utilizzata a supporto dell‟esposizione dell‟originale, talvolta sostituendolo quando le condizioni di conservazione di quest‟ultimo ne hanno imposto lo spostamento all‟interno di un museo, talaltra mostrando l‟opera nella sua interezza laddove il prototipo fosse mancante di qualche parte.

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Un‟interessante casistica sulle riproduzioni moderne e contemporanee di originali antichi è proposta anche dal bronzo della Vittoria di Brescia. Questa statua, complice il suo valore simbolico, è stata frequentemente riprodotta fin dalla sua scoperta nel 1825, con copie che oggi si trovano non solo in Europa ma anche negli Stati Uniti. Tra gli esemplari più noti si ricordi la replica bronzea fusa per celebrare la vittoria di Napoleone III nella battaglia di Solferino e quella commissionata da Gabriele D‟Annunzio per il Vittoriale degli Italiani. Per una approfondita analisi dell‟immagine della Vittoria di Brescia nelle arti tra età moderna e contemporanea cf. BONOLDI 2005.

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Oggi la realizzazione di una riproduzione a partire da un‟opera antica può far uso di tecnologie che tutelino gli originali durante il processo di copiatura; questo fatto assume particolare valore laddove l‟oggetto del processo sia un bronzo in condizioni di conservazione particolarmente critiche e la cui copia serva a consentire lo spostamento dell‟originale in un ambiente più sicuro e controllato. Questo è il caso del monumento equestre di Marco Aurelio presso il Campidoglio a Roma. Quando le esigenze di tutela portarono allo spostamento dell‟originale bronzo romano dalla piazza michelangiolesca al nuovo padiglione vetrato del Giardino Romano, l‟ICR di Roma, in collaborazione con l‟Istituto Poligrafico e Zecca dello Stato, realizzò una fedele riproduzione della statua utilizzando non dei calchi per ottenere le forme del corpo ma un rilievo fotogrammetrico a partire dal quale si ottenne un modello in resina che fu poi la base per la creazione della copia319. In quel caso la realizzazione di una riproduzione fu un fatto estremamente importante perché se da una parte consentì l‟utilizzo di tecnologie all‟avanguardia all‟interno di un processo produttivo artigianale, e dunque rappresentò un importante momento di studio e conoscenza del Marco Aurelio, dall‟altra permise alla piazza michelangiolesca del Campidoglio di perpetuare la sua forma ormai storicizzata da secoli. Allo stesso modo le riproduzioni dei quattro cavalli dorati oggi esposte sulla terrazza della Basilica di San Marco a Venezia hanno consentito lo spostamento all‟interno del museo

319 Istituto Poligrafico dello Stato, https://www.sam.ipzs.it/marcoaurelio.jsp.

Fig. 72 Venezia, Museo Archeologico Nazionale, copia

rinascimentale dell'Adorante di Rodi; si noti l'assenza delle braccia integrate sull'originale in un secondo momento (culturaitalia.it).

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marciano degli originali senza tuttavia privare la chiesa cattedrale della sua iconica immagine.

Se i due casi appena esposti ci mostrano come le riproduzioni contemporanee possano essere strumenti utili non solo alla conservazione dell‟originale ma soprattutto a quella dell‟immagine di un contesto architettonico e urbanistico, si vedrà adesso come l‟uso della copia possa permettere una rinnovata lettura dell‟opera d‟arte all‟interno del suo originario contesto d‟uso e rinvenimento. Questo è ciò che accade a Pompei, luogo d‟origine di molte delle statue in bronzo oggi al Museo Archeologico Nazionale di Napoli. All‟interno di quegli ambienti ed edifici di Pompei che rappresentarono i luoghi di rinvenimento dei bronzi esposti al MANN, oggi sono inserite alcune loro riproduzioni anch‟esse in metallo. E‟ dunque così che presso il Tempio di Apollo si possono osservare le figure della Diana e dell‟Apollo saettanti (fig. 78, 79), e che all‟interno dell‟atrio della Casa del Fauno si trova ancora il piccolo e iconico bronzetto (una copia) da cui deriva il nome alla famosa domus (fig. 80). L‟utilizzo della copia all‟interno del parco archeologico di Pompei diminuisce così la distanza tra il museo e il luogo di rinvenimento delle opere, presentando al visitatore una ricostruzione seppur parziale della posizione dei bronzi all‟interno di quello spazio che li conservò in antico e nel quale furono rinvenuti.

Come già ricordato sopra, oggi la realizzazione di copie di opere in bronzo ha assunto un‟importantissima funzione anche nello studio archeologico e archeometrico delle leghe metalliche, dei processi produttivi e di rifinitura utilizzati in antico; si pensi alle esperienze dell‟italiano Edilberto Formigli con i suoi Laboratori di Murlo o delle più recenti sperimentazioni dei giapponesi Matsumoto e Koichi sulle tecniche di produzione dei

Bronzi di Riace e i cui primi risultati sono stati presentati al convegno internazionale “I

Bronzi di Riace e la bronzistica di V secolo a.C.”320

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Tra le altre esperienze di archeologia sperimentale e ricostruzione dell‟originaria foggia dei bronzi antichi si devono certamente ricordare quella di Georg Römer, artista tedesco e autore nel corso del primo XIX secolo di una riproduzione bronzea del Doriforo, e quella di Vinzenz Brinckman, artefice, in anni più recenti, delle riproduzioni dei due bronzi rinvenuti a Riace.

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Il convegno si è svolto nell‟ottobre 2018 presso il Museo Archeologico di Reggio Calabria ed è stato organizzato in collaborazione con l‟Università degli Studi di Messina; ad oggi (2019) gli atti del convegno non sono ancora disponibili. Per le esperienze di Formigli si veda FORMIGLI 1999 e FORMIGLI 2004; i lavori di Matsumoto e Koichi sono invece ancora inediti, un‟intervista ai due studiosi circa il loro operato è comunque disponibile on-line, http://www.quellochenonho.it/1773/bronzi-di-riace- fatti-a-mano-in-giappone-lo-studioso-nipponico-hada-scoperte-inedite-ora-serve-sostegno-per-

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Qualunque sia stato il motivo che ha portato alla sua realizzazione, la replica è stata frequentemente esposta, sia fuori dal museo (come si è visto per il Marco Aurelio, per i cavalli di San Marco e per i bronzi di Pompei), che al suo interno. In quest‟ultimo caso le soluzioni museografiche che sono state adottate per la presentazione della copia contemporanea si sono frequentemente caratterizzate per la loro innovatività che in certi casi si differenziava molto dalla convenzionalità con cui gli originali erano presentati. Come già ricordato, il bronzo antico, per le sue caratteristiche di rarità, originalità e valore, ha talvolta suscitato un certo imbarazzo nei curatori degli allestimenti che raramente si sono spinti a realizzare esposizioni fantasiose e vivaci.

Tra le esperienze internazionali più interessanti e che hanno riguardato la musealizzazione di copie di originali bronzei, si dovrà certamente ricordare la ricca collezione di copie conservata presso il Museo Nazionale di Stettino in Polonia (fig. 81); questa include rifacimenti in bronzo di opere i cui originali in metallo sono ormai andati perduti e le cui forme sono state perpetuate dalle numerose repliche realizzate in marmo (il Doriforo di Römer si trova in questa collezione). Altra interessante esperienza d‟esposizione, questa volta temporanea, è stata quella di Gods in Colours, mostra itinerante più volte proposta e aggiornata, e che ha visto il suo ultimo allestimento tra l‟ottobre 2017 e il gennaio 2018 al Legion of Honor Museum di San Francisco321. L‟evento, dedicato a copie che riproducevano le opere nella loro originaria policromia, ha visto anche la presenza dei due bronzi di Riace realizzati da Vinzenz Brinkman (fig. 73), uno dei quali (Bronzo A) era già stato ospitato a Milano per la mostra Serial Classic del 2015.322

Il modo con cui le due copie del Brinkmann erano esposte nell‟edizione 2017-2018 di

Gods in Colours si differenziava e non poco da come i due originali bronzi sono presentati

all‟interno del Museo Archeologico Nazionale di Reggio Calabria. Se là le opere sono presentate da sole (se si escludono le due teste bronzee di Porticello), isolate tra loro, e all‟interno di un ambiente estremamente neutro che fa dell‟uso del bianco la sua particolare cifra stilistica, a Los Angeles i bronzi del Brinkmann erano esposti insieme, sopra uno stesso podio e davanti a un pannello grigio dal quale ben emergevano i colori estremamente vividi delle due riproduzioni contemporanee.

La distanza che vi è tra i due originali a Reggio e la vicinanza che invece caratterizza le due copie, le quali sembrano dialogare tra loro, non è un fatto da trascurare giacché ci

321 Il Legion of Honor Museum è parte del Museum of Fine Arts di San Francisco. La prima edizione di Gods

in Colours si data al 2003.

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Fig. 73 Los Angeles, Museum of Fine Arts, le due copie dei Bronzi di Riace realizzate dal Vinzenz Brinkmann esposte durante la mostra Gods in Colours (artpractical.com).

mostra come l‟interpretazione di un contesto archeologico possa influenzare le modalità con cui questo è stato allestito nell‟esposizione museale.

Già si è visto nei capitoli precedenti come ancora oggi non ci sia uniformità nel modo con cui i due bronzi da Riace sono interpretati; e ai pareri di chi sostiene che questi fossero parte di un unico gruppo si contrappongono quelli che invece lo negano. L‟incertezza che si cela dietro i Bronzi può forse aver determinato il modo con cui queste opere sono state presentate nel corso del tempo. Sia nella loro prima apparizione pubblica a Firenze nel 1980 che nei due successivi allestimenti al Museo Archeologico Nazionale di Reggio (1981 e 2013), i Bronzi di Riace sono stati esposti sì nello stesso ambiente ma separati tra loro, su basi differenti, isolati e mai in relazione diretta, quasi a voler dichiarare tramite il mezzo museografico le incertezze che vi erano (e vi sono) sugli originari rapporti tra le due statue.

Nell‟allestimento di Gods in Colours le due copie sono invece vicine, contrapposte sullo stesso basamento e interagiscono tra loro; Vinzenz Brinkmann, nel realizzare le sue due riproduzioni, ha fatto una scelta interpretativa riconducendo le figure dei bronzi a Eretteo ed Eumolpo, due protagonisti di uno stesso evento mitico. Per lo studioso i Bronzi di Riace facevano dunque parte di un unico gruppo, e quello che si è voluto fare con l‟esposizione di Los Angeles è stato proprio ricostruire l‟ipotetica unità originaria tramite il particolare allestimento delle copie.

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Un‟altra esperienza molto particolare e che ha portato alla temporanea esposizione di una replica è stata quella del già citato seminario sulla bronzistica tra antichità e Rinascimento organizzato da Edilberto Formigli a Murlo nel 2004. Tra gli obiettivi dello studio vi era la ricostruzione, mediante le tecniche dell‟archeologia sperimentale, dell‟Idolino di Pesaro oggi conservato al Museo Archeologico di Firenze.

La replica fu realizzata nella sua interezza, integrando le lacune dell‟originale con parti ricostruite filologicamente. L‟efebo, in questo modo, tornava ad avere tra le mani i racemi di vite su cui in età romana poggiavano le lampade e che qualificavano il bronzo come

lychnouchos, lampadoforo (fig. 74).

L‟opera così ricomposta fu dunque esposta all‟interno di un ambiente oscurato, illuminato solo dalla tenue fiamma delle lucerne. Grazie a quest‟esperienza di archeologia sperimentale si è potuto godere, anche se per un tempo estremamente limitato, di un tipo di allestimento espositivo che tenesse conto dell‟uso che in antico si fece dell‟opera nonché delle importanti interazioni tra la superficie del bronzo e la luce proveniente dalle lampade che il lychnouchos reggeva tra le mani323.

Talvolta le copie sono state utilizzate anche per proporre ipotesi ricostruttive e mostrare stadi precedenti dell‟opera senza intervenire direttamente su questa. Questo è ciò che avviene per ben due volte all‟interno del percorso del MAF di Firenze (fig. 6, 75).

323 BERTELLI et al. 2013. pp. 91-95.

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La collezione conserva infatti due riproduzioni bronzee rappresentanti la Minerva – anch‟essa esposta nel museo fiorentino – nella sua forma storicizzata e antecedente agli ultimi interventi di de-restauro avvenuti nel 2008. Una prima copia, più piccola dell‟originale si trova esposta nel corridoio al primo piano del museo, accanto all‟autentica

Minerva di Arezzo, mentre una seconda la si può osservare nell‟area di sosta e

approfondimento posta al primo piano dell‟edificio dell‟ex Museo Topografico (fig. 75). Questa nuova sezione si caratterizza per un allestimento profondamente diverso da quello di tutto il resto del museo e che insiste su temi quali la contestualizzazione, il restauro e le cronologie. Tutti questi aspetti sono trattati mediante l‟uso di fedeli riproduzioni degli originali ora poste fuori vetrina e che possono dunque essere approcciate dal visitatore anche attraverso il senso del tatto.

La copia della Minerva di Arezzo, anche qui nella sua forma posteriore alle integrazioni del Carradori, è posta fuori vetrina, su un basamento metallico e davanti a un fondale realizzato nello stesso materiale. I testi e la didascalia della statua, posti direttamente sulla quinta retrostante la Minerva fanno riferimento all‟atto del restaurare e al come questo sia sempre un gesto non neutro ma culturalmente determinato324.

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https://museoarcheologiconazionaledifirenze.wordpress.com/2015/04/04/firenze-musei-archeologici- nazionali-inaugura-un-nuovo-percorso-di-approfondimento/.

Fig. 75 Copia della Minerva al MAF, nuova

sezione presso l‟Ex Topografico (foto dell‟autore).

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L‟uso delle riproduzioni, oltre a duplicare l‟opera all‟interno di distinti contesti espositivi, è servito per dirimere conflitti e contese tra diversi istituti della cultura. Il già citato caso di Pergola ha avuto, tra i tanti esiti, anche quello della realizzazione di due copie del gruppo dei bronzi dorati; una che riproduceva lo stato nel quale gli originali si trovavano dopo l‟ultimo restauro, e un‟altra che invece li ricostruiva ipoteticamente, completi degli attributi ormai mancanti e dell‟originale colorazione dorata. Queste riproduzioni furono realizzate al tempo dell‟ipotizzato pendolarismo degli originali tra Ancona e Pergola, al fine di non lasciare nessuno dei due musei in conflitto privo delle statue da esporre, fossero esse le originali o le riproduzioni. Con la mancata attuazione di quel progetto e la stabilizzazione degli originali al Museo dei Bronzi Dorati di Pergola, le due copie realizzate sono rimaste presso il Museo Archeologico Nazionale di Ancona; quella che coglieva il gruppo nella sua forma originale, realizzata non in bronzo ma in una resina dorata (fig. 77), è stata esposta all‟esterno, sulla terrazza del museo, mentre la seconda copia, è invece oggi visibile all‟interno del museo, in quella teca che l‟architetto Franco Minissi aveva realizzato per accogliere gli originali bronzi di Pergola325.

Anche dello Zeus di Ugento è stata realizzata una riproduzione in resina a grandezza naturale esposta al Museo Archeologico di Ugento (fig. 76), utile a far conoscere al pubblico l‟opera mentre l‟originale giaceva ancora nei depositi del museo archeologico di Taranto. Oggi attorno alla replica di Ugento è stata organizzata l‟ala del museo dedicata agli antichi culti locali. L‟attuale allestimento della copia, realizzato tra il 2015e il 2016, ha superato totalmente il feticcio dell‟originalità, riservando alla riproduzione un‟attenzione e cura che potevano ben spettare anche all‟originale. Lo Zeus in resina, infatti, è oggi posto davanti a delle quinte rosse, in penombra, e con un fascio di luce che proietta sul fondale la

silhouette della statua, a voler dunque ricreare un‟ambientazione estremamente suggestiva

e d‟impatto, seppur dedicata a una riproduzione.

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Il posizionamento della copie in resina sulla terrazza del Museo Nazionale voleva evocare l‟ipotetica originaria posizione delle statue sulla sommità della basilica di Sentinum, così come prospettato da Mario Pagano; DE MARINIS, QUIRI 2007, pp. 27-29.

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Fig. 77 Ancona, Museo Archeologico Nazionale,

replica in resina dei Bronzi di Cartoceto esposto sulla terrazza del museo (fonte web).

Fig. 76 Ugento, Museo Archeologico, copia in

resina dello Zeus nel museo archeologico di Ugento (fonte web).

Fig. 79 Pompei, riproduzione dell‟Apollo esposto

presso il Tempio di Apollo (foto dell‟autore).

Fig. 78 Pompei, riproduzione della Diana esposta presso il Tempio di Apollo (foto dell‟autore).

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Fig. 80 Pompei, riproduzione del Fauno esposta nel luogo del suo ritrovamento (foto dell‟autore).

Fig. 81 Stettino (Polonia), Museo Archeologico Nazionale, collezione di copie di originali greci

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