Dalle recensioni, cui si è accennato, dai toni decisamente polemici, si distaccava la recensione al volume di Carlo Caviglione: Il rimorso, saggio di psicologia e metafisica del 1903. Il libro di Caviglione suscitava infatti immediatamente in Lombardo Radice sincera simpatia, «perché scritto davvero con l’anima, senza pedanterie, e perfino, in qualche parte, senz’ordine»120
. Più sensibile alla pura creatività che non alla rigorosa sistematicità, Lombardo Radice apprezzava molto lo stile discorsivo del volume, che, nato dall’ esigenza di «una libera conversazione col lettore», mostrava «nessuna preoccupazione dell’effetto». Egli inoltre giudicava «profondamente bello […] l’amore, l’ardore di verità, l’ερως filosofico» che animavano l’autore, come pure il suo stato d’inquietudine, la sua brama di scendere in fondo alle cose.
Tali riconoscimenti apparivano tanto più disinteressati e sinceri nella misura in cui forti erano in ogni caso le riserve che egli formulava intorno ad alcuni aspetti e giudizi che l’autore esprimeva nella sua opera e in particolare soprattutto per quanto riguarda l’interpretazione di Rosmini, che Caviglione riconosceva come «suo maestro e suo autore». Per quanto riguarda quest’ultimo punto, Lombardo Radice, mentre da una parte sottolineava «lo stridente contrasto che v’è tra i due Rosmini: il dommatico, che pone l’a priori oggettivo, e il Kant italiano, quale appare nelle esposizioni critiche e veramente interpretative dello Spaventa, del Jaja, del Gentile»121, dall’altra si chiedeva se fosse «poi proprio Rosmini quello che espone il C.? o non piuttosto Alessandro Manzoni del dialogo nell’Invenzione, o il prof. Morando, o il prof. Buroni? Proprio, in Rosmini non c’è altro che il platonico?»122
. Probabilmente la recensione di Lombardo Radice non avrebbe avuto seguito se l’autore di quel saggio non fosse stato uno dei più preparati e competenti studiosi del pensiero del roveretano e uno dei più tenaci critici dell’interpretazione che gli idealisti ne avevano dato. Fatto sta che Caviglione indirizzò a «La Critica» una nota
120
G. LOMBARDO RADICE, Recensione a C. CAVIGLIONE, Il rimorso, saggio di
psicologia e metafisica, Torino, Baravalle e Falconieri, 1903, p. 214, in «La Critica», IV
[1906], p. 218.
121
Ivi, p. 219.
122
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che venne pubblicata, con il significativo titolo: Qual è il vero Rosmini?, nel fascicolo successivo a quello in cui era apparsa la recensione lombardiana123.
La nota di Caviglione, sulla quale non è qui il caso di soffermare l’attenzione, veniva seguita da una Postilla firmata da Giovanni Gentile124, il quale, prendendo le parti dell’amico, ne difendeva le argomentazioni. Questo episodio diede luogo a una lunghissima polemica che durò diversi anni tra Gentile e Caviglione e altri interpreti di Rosmini125, che costituisce una delle pagine storicamente più interessanti della cronaca culturale italiana di quegli anni.
Una polemica alla quale in ogni caso Lombardo Radice non ebbe più alcuna voce, non solo, probabilmente per una sua oggettiva impreparazione a intervenire in una discussione di carattere storico-filologico e filosofico circa il Rosmini autentico, ma anche per la curvatura decisamente pedagogica che avrebbe catturato di lì a poco la sua attenzione.
Lombardo Radice, di cui si è descritta l’intensa partecipazione a «La Critica» crociana, compare, per quanto riguarda il 1906, tra i collaboratori della «Rassegna Critica della Letteratura Italiana». Oltre a una breve comunicazione di carattere filologico dal titolo Conobbe Dante il «Timeo» di Platone?, motivata da alcune osservazioni sviluppate da Fraccaroli nell’ Appendice alla traduzione del Timeo, che, agli occhi di Lombardo Radice, non apparivano comunque tali da far fare «un nuovo passo» a una questione già ampiamente affrontata da altri interpreti126, lo studioso
123
Cfr. C. CAVIGLIONE, Qual è il vero Rosmini?, in ivi, pp. 328-331.
124
G. GENTILE, Postilla, ivi, pp. 331-332.
125
Cfr. a questo proposito, oltre alla nota citata: C. CAVIGLIONE, Gnoseologia, in «Rivista rosminiana», 1906, 2, pp. 47- 49; G. MORANDO, Qual è il vero Rosmini?, ivi, pp. 54-55; C. CAVIGLIONE, G. MORANDO, Ancora del vero Rosmini, in «Rivista rosminiana», 1907, 8, pp. 466-470 e 9, pp. 535-536; C. CAVIGLIONE, Il Rosmini vero, in «La cultura filosofica», 6, pp. 575-600. Per quanto riguarda le repliche di Gentile alla sua interpretazione di Rosmini apparse su «La Critica» negli anni 1906, 1907, 1909 e 1911, esse sono state ristampate nella
Appendice alla terza edizione del suo Rosmini e Gioberti: Saggio storico della filosofia italiana del Risorgimento, in G. GENTILE, Opere complete, vol. XXV, Firenze, Sansoni,
1958, pp. 325-362.
126
Cfr. G. LOMBARDO RADICE, Conobbe Dante il Timeo di Platone? in «Rassegna Critica della Letteratura Italiana», XI [1906], pp. 241-246.
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siciliano affrontava, in una recensione al libro di Manfredi Porena: Che cos’è il bello?, una questione prettamente estetico-filosofica127.
Il tono dell’intervento appare improntato ad una severità di giudizio in linea con gli interventi polemici già esaminati di Lombardo Radice. E tuttavia questa volta il suo sarcasmo appariva in maniera affatto aperta, senza alcuna reticenza: ciò che nel libro si esprimeva era da rifiutare interamente. Le argomentazioni di Porena, «scrittore di studi letterari», ma privo di qualsiasi spessore come «filosofo»128, di cui si faceva nel corso della recensione «una piccola antologia», venivano svilite al rango di vere e proprie «amenità»129.
Le critiche di Lombardo Radice non erano in ogni caso fini a se stesse, ma rivolte a ribadire il ruolo fondamentale delle teorie estetiche di Croce, che egli riteneva «quanto di più saldo io riesca a vedere in questa materia […] Sono stato», in questi termini lo studioso catanese concludeva il suo intervento, «come il libro meritava, severo. La filosofia non ammette dilettanti. È dovere di chi ha amore agli studii seri, di richiamare alle antiche occupazioni, per le quali è nata, la mente del P. Continui nelle ricerche di storia letteraria, in cui prima era versato. Se sarà il caso, applaudiremo allora»130.
Nel 1907 Lombardo Radice, docente di pedagogia dal 1906 alla Reale Scuola Normale maschile di Palermo, dove insegnò fino al 1908131, pubblicava, sempre presso l’editore Battiato, il secondo volumetto di Studi sulla scuola secondaria, dedicato a L’istruzione magistrale e l’insegnamento della Pedagogia, in cui sulla scorta della propria duplice esperienza, come allievo, prima e poi come insegnante e direttore di tirocinio, nella scuola elementare, accanto ai maestri, dopo aver
127
Cfr. G. LOMBARDO RADICE, Recensione a M. PORENA, Che cos’è il bello? Schema
di un’estetica psicologica, Milano, Hoepli, 1905, in Ivi, pp. 71-77. 128 Ivi, p. 71. 129 Ivi, p. 75. 130 Ivi, pp. 76-77. 131
A Palermo, Lombardo Radice insegnò nel 1906-1907 in qualità di professore incaricato, quindi nel 1907-1908 in qualità di straordinario. Cfr., Cronache di una vita (1879-1938), in «Riforma della Scuola», XIV [1968], 8-9, p. 106. Il fascicolo della rivista intitolato: Nel
trentesimo della morte. Giuseppe Lombardo Radice contiene come specificato nel
frontespizio: Studi, testimonianze, inchiesta, documenti, lettere inedite, biografia, bibliografia, ricordi fotografici.
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denunciato le gravi deficienze della scuola normale per ciò che riguardava la scarsa preparazione professionale e culturale e per le modalità di reclutamento degli scolari, avanzava il progetto di una sua riorganizzazione articolato, in continuità con una scuola media a indirizzo umanistico, in un «primo biennio selettivo e preparatorio» cui avrebbe dovuto far seguito un «triennio propriamente professionale».
Arricchita nella sostanza e depurata nella forma, la scuola normale, cui era affidato il compito di preparare i futuri maestri elementari, prevedeva nel primo biennio, oltre a corsi di cultura generale, «corrispondenti almeno agli insegnamenti della scuola ginnasiale superiore», e a insegnamenti pratici, come il lavoro manuale e il disegno, anche i primi insegnamenti ed attività di tirocinio essenziali per il futuro maestro; insegnamenti ed attività che presentavano, nel triennio successivo, nuove articolazioni, in modo tale, auspicava Lombardo Radice, da parificare una buona volta «l’insegnamento delle scuole magistrali […] completamente a quello del liceo»132.
132
Oltre alla cultura generale e agli insegnamenti pratici, il curricolo degli studi del primo biennio prevedeva al primo anno: legislazione scolastica, igiene generale - leggi sanitarie, psicologia infantile, assistenza al tirocinio; al secondo anno: propedeutica alla pedagogia, igiene infantile, psicologia infantile, assistenza al tirocinio e primi esercizi pratici nelle classi elementari. Il successivo trienno prevedeva al primo anno: psicologia, basi per una educazione estetica, esercizi di tirocinio; al secondo: logica, basi per una educazione intellettuale, esercizi di tirocinio; al terzo anno: filosofia pratica, basi per una educazione morale ed economica, storia della pedagogia, esercizi di tirocinio pratici e teorici. Cfr. I. PICCO, Giuseppe Lombardo Radice, Firenze, La Nuova Italia, 1951, p. 13-14.
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