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Nel 1905 appare una sua prima recensione estremamente critica a un articolo di Roberto Ardigò intitolato La perennità del positivismo78. L’articolo di Ardigò, apparso nel numero 1-2 del 1905 della «Rivista di filosofia e di scienze affini», intendeva a sua volta rispondere ai feroci attacchi e alle irrisioni impietose che egli, «il teologo del positivismo», aveva ricevuto da parte del gruppo fiorentino facente capo alla rivista «Leonardo»79, gruppo al quale guardò subito con interesse lo stesso Benedetto Croce80, e nel quale Lombardo Radice contava parecchi amici.

La recensione del giovane catanese, estremamente battagliera, appariva dominata da un tono decisamente antipositivistico. «Tutta l’essenza del nostro positivismo […] pare si debba ridurre a questa semplice operazione: cessar di pensare […] Perciò il positivismo è la filosofia per l’universalità degli uomini, mentre le metafisiche sono paucis contentae iudicibus. Esso rimane perennemente vuoto di dottrina, nemico del lottare, cioè del vivere. Tantalo ….. senza sete!»81

. Improntata a uno spirito vivacemente polemico nei confronti della filosofia positiva, risultava anche una recensione pubblicata su «La Critica» del 1906 al volume di Herald Höffding, Moderne Philosophen82. L’ «illustre storico» danese, che era apparso a Lombardo Radice nei suoi Studi sulla scuola secondaria, come uno dei più acuti studiosi della filosofia moderna, veniva ora presentato come un semplice

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G. LOMBARDO RADICE, Recensione a R. ARDIGÓ, La perennità del positivismo, in «La Critica», III [1905], pp. 231-233.

79

Cfr. in particolare G. PAPINI, Il teologo del positivismo. Roberto Ardigò in «Leonardo. Rivista di idee», II [1904], 2, pp. 12-13.

80

«Il presente fascicolo del Leonardo è davvero attraente – scriveva Croce in una delle sue prime lettere con Prezzolini nell’aprile del 1904 -. Ottimo il suo articolo sul Sergi. Non si poteva dir meglio contro ogni genìa positivistica». (Cfr. B. CROCE – G. PREZZOLINI,

Carteggio, a c. di E. GIAMMATTEI, Roma, Edizioni di Storia e letteratura, 1990, vol. I, p.

6).

81

G. LOMBARDO RADICE, Recensione a R. ARDIGÓ, La perennità del positivismo, cit. p. 233.

82

G. LOMBARDO RADICE, Recensione a H. HÖFFDING, Moderne Philosophen, (Vorlesungen gehalten an der Universität in Kopenhagen, im Herbst 1902, unter Mitwirkung des Verfasser übersetzt von F. Bendixen). – Leipzig, Reisland, 1905 (8.°, pp. 217), in «La Critica», IV [1906], pp. 211-215.

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«cronista del pensiero filosofico contemporaneo», di fatto incapace di addentrarsi «nel fondo dei sistemi». Non solo infatti nella sua ricostruzione della storia della filosofia italiana dopo il Rinascimento Höffding riscontrava, tranne «qualche nome», una completa assenza di filosofia; ma, tra i nomi che egli citava – Vico, Rosmini e Gioberti, Mamiani, Villari, Angiulli, «l’enciclica tomistica di Leone XIII e la scolastica», ed ancora «il canonico Roberto Ardigò» – mancava qualsiasi riferimento a Bertrando Spaventa e all’idealismo napoletano.

La parte più cospicua della recensione di Lombardo Radice era dedicata a una confutazione del positivismo, il cui «ciclo» poteva ormai considerarsi definitivamente «chiuso»83, ed in particolare, del suo più autorevole esponente, vale a dire proprio quell’Ardigò, definito da Höffding come un «energische Denker»84 e «l’ακμη della cultura filosofica italiana»85

, il quale in realtà mostrava «il nessun desiderio di concludere e di pensare filosoficamente»86.

Le serrate e sferzanti critiche rivolte da Lombardo Radice, e più in generale, dagli altri collaboratori del periodico crociano, a partire, in prima linea, dallo stesso Croce e da Gentile, provocarono piccate reazioni da parte della compagine positivista. La misura di tali reazioni la offriva un articolo di Giovanni Marchesini, il quale, sulla «Rivista di filosofia e scienze affini», non solo prendeva decisa posizione contro gli usi praticati dai collaboratori de «La Critica», che poco avevano a che fare con «gli usi praticati dai gentiluomini», ma addirittura dichiarava, di aver pensato, salvo in un secondo momento rinunciare al proprio proposito, di voler «ricorrere

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Ivi, p. 213. Un giudizio analogo veniva pronunciato anche da Benedetto Croce, il quale, in un articolo apparso quel medesimo anno su «La Critica», nella rubrica «Varietà», dichiarava: «Il positivismo ha da un pezzo descritto la sua parabola, e anche in Italia è ora stremato e ridotto presso a morte». (B. CROCE, A proposito del positivismo italiano. Ricordi personali, in «La Critica», III [1905], p. 171). Quale fosse il giudizio che Benedetto Croce nutriva nei confronti della cultura positivista appare evidente immediatamente nell’incipit di tale articolo, in cui tra l’altro scriveva: «[…] tra le corbellerie che nel corso della vita si possono commettere da chi si occupa di filosofia e di studii in genere, ce n’è una, dalla quale mi vanto di essermi sempre tenuto puro, anche nei primi anni della mia giovinezza: non sono stato mai positivista». (Ivi, p. 169).

84

G. LOMBARDO RADICE, Recensione a H. HÖFFDING, Moderne Philosophen cit., p. 214.

85

Ivi, p. 211.

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all’ausilio del “Codice penale”», nel quale «aveva trovato “una solida base di diritto”»87

.

Le minacce di Marchesini, le quali venivano accolte con sarcasmo da Gentile - «E - chi sa? - in un’aula di tribunale penale il positivismo del sig. Marchesini avrebbe trovato miglior fortuna che non nei tribunali filosofici»88 - inducevano Lombardo Radice, in una nota apparsa anch’essa nel 1907, ad attaccare ulteriormente i positivisti italiani, accusati di essere incapaci di «accettare la discussione su un determinato problema o su un determinato filosofo»89, senza ricorrere a minacce penali o alla pubblica indignazione. Quanto all’Ardigò, Lombardo Radice non aveva alcuna intenzione di offendere la «venerata canizie» di un «monumento del passato», e tuttavia non poteva convenire con quei «molti pappagalli giovani, giovanetti e giovanissimi», che ne facevano il «simulacro di un idolo» affermando e ripetendo «che la filosofia ha sbagliato strada da Socrate ad Hegel, e che gli idealisti sono patologia mentale sopravvissuta»90.

Lungo la stessa linea polemica Lombardo Radice recensiva lo scritto di Annibale Pastore, Il nuovo spirito della scienza e della filosofia, di cui egli sottolineava immediatamente la «vacuità del contenuto», la «retorica degli annunzii» e gli «artifizii e grovigli verbali»91. Le critiche che Lombardo Radice muoveva al libro di Pastore, di cui egli non poteva fare a meno di parlare, in quanto scritto da «uno dei rappresentanti della filosofia ufficiale»92, erano più in generale rivolte a «tutto il positivismo». Nel positivismo infatti, precisava il giovane professore catanese, non era ancora penetrato il benché minimo «barlume della verità che il terreno della scienza è lo spirito, non la natura, e che le cosiddette scienze non provano nulla di scientifico nel dominio dello spirito». Ed in questo, un Ardigò, precisava Lombardo Radice, «vale quanto un Pastore»93.

87

G. GENTILE, La filosofia e il Codice penale, in «La critica», V [1907], p. 175.

88

Ivi, p. 176.

89

G. LOMBARDO RADICE, Le “venerate canizie”, in ivi, p. 255.

90

Ivi, p. 256.

91

G. LOMBARDO RADICE, Recensione a A. PASTORE, Il nuovo spirito della Scienza e

della Filosofia, [Torino, Bocca, 1907], in «La Critica», V [1907], p. 219. 92

Ivi, p. 223.

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