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Il Washington Consensus e l’America Latina

Nel documento Il neoliberalismo. Per una storicizzazione. (pagine 125-142)

Il neoliberalismo in pratica

3.5. Il Washington Consensus e l’America Latina

Come già affermato nel precedente capitolo, fra gli anni cinquanta e ses- santa l’America Latina abbraccia un modello di sviluppo economico (l’ISI) caratterizzato da un forte interventismo pubblico nell’economia e da una generale chiusura verso i mercati internazionali. L’ISI, tuttavia, inizia a en- trare in crisi negli anni settanta e, fra gli anni ottanta e novanta, viene pro- gressivamente abbandonato a favore dell’adozione di un modello di svilup- po neoliberale, le cui caratteristiche peculiari sono state riassunte

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dall’economista Kevin Williamson, nel 1990, in una lista di dieci direttive di politica economica definite come Washington Consensus (poiché pro- mosse da una serie di istituzioni con sede a Washington, quali il Fmi, la FED, la Banca Mondiale e il Tesoro degli Stati Uniti), e presenti nel libro Latin American adjustment: how much has happened?263

Tali politiche, a detta di Williamson, costituivano, secondo l’opinione delle istituzioni sopracitate, la soluzione al riassetto dell’America Latina dalla crisi economica e finanziaria che l’aveva colpita negli anni ottanta, poiché avrebbero favorito crescita economica, un abbassamento dell’inflazione, l’equilibrio della bilancia dei pagamenti, e anche una più adeguata distribu- zione dei redditi.264

La prima direttiva riguardava la necessità che gli Stati latino-americani adottassero una decisa disciplina finanziaria per il contenimento dei deficit pubblici i quali, in linea di principio, non avrebbero dovuto eccedere l’1 o il 2% del Pil; la seconda individuava nei tagli alla spesa pubblica (anziché gli aumenti alle tasse) la migliore modalità per diminuire il deficit; la terza prescriveva di mantenere un livello di tassazione moderato e di estendere il più possibile la tax base, ossia il numero di persone a cui far pagare le tas- se; la quarta e la quinta riguardavano il tipo di politica da adottare rispetto

263Cfr. Williamson J.(1990) “What Washington means by policy reform”, Chapter 2 from Latin

American adjustment:how much has happened?, Peterson Institute for International Economics,

consultabile su http://www.iie.com/publications/papers/paper.cfm?researchid=486

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ai tassi d’interesse e ai tassi di cambio: i primi dovevano essere tenuti posi- tivi ma moderati, così da incentivare il credito e gli investimenti, mentre i secondi andavano resi competitivi rispetto alle altre valute, così da stimola- re le esportazioni e la crescita economica. La sesta direttiva riguardava la liberalizzazione del commercio, attraverso la progressiva riduzione delle misure protezionistiche; la settima concerneva l’apertura agli investimenti esteri e, dunque, presupponeva la riduzione dei controlli sui movimenti dei capitali; l’ottava riguardava le privatizzazioni delle imprese pubbliche; la nona la deregulation dei mercati e, infine, la decima la salvaguardia dei di- ritti di proprietà, che a quanto pare erano scarsamente tutelati un po’ in tut- ta l’America latina.265

Il decalogo di Williamson venne pubblicato quando la regione latino- americana era già sulla via del cambiamento: a parte il caso del Cile, di cui si è già parlato, già nella metà degli anni ottanta anche la Bolivia aveva in- fatti avviato una terapia shock, nell’ambito della presidenza Estenssoro ini- ziata nel 1985, su iniziativa in particolare del Ministro della pianificazione Gonzalo Sànchez de Lozada (altresì detto Goni), che di fatto trasformò l’economia boliviana da un’economia dominata dallo Stato a una fondata sul libero mercato.266 Gli eventi che portarono la Bolivia, e poi gli altri pae-

265Perun sunto degli aspetti essenziali del Washington Consensus, vedi Birdsall N., de la Torre

A., Caicedo V.F., “The Washington Consensus: assessing a damaged brand”, The Oxford hand-

book of latin american economics, July 2011, pp. 1-40. Vedi in particolare p.7.

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si dell’America latina negli anni novanta, ad abbandonare lo statalismo e il protezionismo a favore del libero mercato (e, più specificamente, a favore del neoliberalismo riassunto nel Washington Consensus), sono legati alla profonda crisi economica che interessò la regione a partire dal 1980 (e che di fatto si protrasse per un decennio), la quale si tradusse, in particolare, in una colossale inflazione e un aumento spropositato del debito estero. Nel 1983, quest’ultimo si aggirava sui 340 miliardi di dollari, mentre l’inflazione continentale alla fine degli anni ottanta arrivò ad aumentare in media del 1000%.267 La crisi debitoria in America latina iniziò a manife- starsi, come detto, nel 1980, quando l’impatto della seconda crisi petrolife- ra fece sì che i paesi industrializzati riducessero le importazioni ed elevas- sero i tassi d’interesse a livelli senza precedenti. La regione aveva resistito al primo aumento del greggio accumulando debito a buon mercato, grazie alla ingente disponibilità di petrodollari resi disponibili dalle banche ameri- cane, e legando dunque la propria crescita economica sempre più alla di- sponibilità di risorse finanziarie esterne.268 Lo shock del ’79 portò tuttavia i creditori (in primis gli Stati Uniti) ad aumentare i tassi d’interesse per di-

267

Cfr.Rouquié A. (2000), L’America latina, Mondadori, Milano, p.283.

268 Poiché il rialzo dei prezzi del petrolio nel 1973 aveva indotto un’abbondante liquidità, le

banche si impegnarono a “riciclare” i petrodollari (ossia, in altre parole, l’enorme quantità di dollari –questa era la valuta per le transazioni in ambito petrolifero- che i paesi esportatori di pe- trolio si trovarono a disposizione grazie al surplus di profitti conseguente all’aumento dei prez- zi), moltiplicando i prestiti, sovente a breve termine e a tassi variabili, a paesi in via di sviluppo (come quelli latino-americani) che stavano attraversando un periodo di espansione, oppure pra- ticavano politiche favorevoli ai capitali speculativi.

Cfr. Sims J., Romero J.,”Latin American debt crisis of the 1980s”, Nov.22, 2013, in

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fendersi dall’inflazione, e ciò si tradusse in un aumento del debito che ben presto divenne insostenibile, mentre la recessione spinse i paesi industria- lizzati a diminuire le importazioni, il ché si tradusse in una contrazione del- le esportazioni per i paesi latino-americani.269 La crisi scoppiò ufficialmen- te nell’agosto del 1982, quando il Messico si dichiarò insolvente verso gli Stati Uniti per un debito di oltre 80 miliardi di dollari, seguito a ruota da al- tri paesi. Le banche chiusero i rubinetti del credito, e l’America latina si trovò così sull’orlo del baratro. Durante gli anni della crisi, tutti i costi dell’ISI vennero inesorabilmente alla luce: le aziende industriali, sia private che pubbliche, erano inefficienti a causa del protezionismo, dell’assenza di competizione e di innovazione tecnologica; l’agricoltura versava in pessi- me condizioni, e i deficit di bilancio erano cresciuti a dismisura. Altresì, un’inflazione alta e persistente bruciava i risparmi delle famiglie e impedi- va ai lavoratori di andare in pensione, e le economie domestiche (data la lo- ro sostanziale chiusura verso l’esterno), non potevano godere dei benefici che potevano provenire dal commercio internazionale.270

In virtù di ciò, i paesi latino-americani intrapresero così un drastico ripen- samento di quelli che erano i principi di fondo inerenti il ruolo dello Stato nell’economia, spinti anche dalle pressioni degli Stati Uniti, del Fmi e della Banca Mondiale, i quali erano disposti ad acconsentire all’implementazione

269Cfr. Sims J., Romero J., art. cit.

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di piani di ristrutturazione dei debiti, a patto che gli Stati latino-americani si impegnassero a intraprendere a loro volta una serie di riforme strutturali nelle loro economie in senso neoliberale, che Williamson riassumerà poi nel Washington Consensus.271 Come detto, la Bolivia fu la prima a proce- dere in tal senso: la shock therapy volta a eliminare lo statalismo economi- co fu avviata con il Decreto 21060 dell’agosto 1985: con esso si elimina- vano i controlli sui prezzi, si istituivano drastiche riduzioni di bilancio, si abbattevano le barriere tariffarie, e si avviava un massiccio programma di privatizzazioni delle imprese pubbliche, che allora pesavano per il 60% dell’intero settore industriale. In più, venne liberalizzato il tasso di cambio e, per combattere l’inflazione, vennero congelati gli aumenti salariali nel settore pubblico.272 Con l’ausilio dell’economista di Harvard Jeffrey Sachs, altresì, venne riformato il sistema fiscale: la Bolivia aveva 450 tasse diver- se, gran parte delle quali non veniva riscossa. Di queste ne furono tenute soltanto sette, ma facilmente riscuotibili.273 Entro il 1987 l’inflazione si era stabilizzata (dal 24.000 al 9%), e la Bolivia poté mettere in atto il primo programma di riduzione del debito sotto gli auspici del Fmi.274 In poco più

271

In tal senso si muoveva il Piano Baker del 1985, ma soprattutto il Piano Brady del 1989, il quale si basava principalmente sul sostegno del Fmi e della Banca Mondiale (28,5 mld USA complessivamente) ai paesi che avessero intrapreso riforme di struttura volte a razionalizzare la spesa pubblica, ad aprire i mercati al commercio internazionale, e ad attuare liberalizzazioni e privatizzazioni. Cfr. Almandoz A.(2015), Modernization, urbanization and development in Lat-

in America, 1900s-2000s, Routledge, New York, pp.146-147

272Dunkerley J., Morales R., “The crisis in Bolivia”, New Left Review, I/155, Jan-Feb. 1986,

pp.86-106; vedi in particolare p.86.

273Cfr. Yergin D, Stanislav J., op.cit., p.365. 274Cfr. Ibid.

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di due anni, l’intero sistema ISI era stato smantellato. La svolta neolibera- le inaugurata dalla Bolivia, a partire degli anni novanta, verrà seguita in America Latina su larga scala, seppur ovviamente con modalità e gradazio- ni differenti da paese a paese. Un po’ ovunque, si procedette attuando am- pie privatizzazioni, abbassando le barriere commerciali, liberalizzando i mercati dalle briglie dello Stato, e tagliando la spesa pubblica per ridurre deficit e inflazione.275 Le politiche riassunte all’interno del Washington Consensus, influenzarono in particolare l’Argentina del Presidente Menem (1989-1999), il Perù di Fujimori (1990-2000), il Messico di Salinas (1988- 1994), e il Brasile di Cardoso (1995-2003).276

Nel complesso, i risultati più impressionanti relativi all’implementazione delle politiche del Washington Consensus in America Latina riguardarono la stabilizzazione macroeconomica: anzitutto, tra il 1990 e il 2000, l’inflazione passò in media nella regione dal 60% a meno del 10%,277

e ciò soprattutto grazie agli ingenti tagli di spesa e alla diminuzione dei finan- ziamenti dei deficit tramite emissione di nuova moneta. Altresì, il deficit pubblico passò da una media del -2,4% nel periodo 1980-89 a quasi lo 0% durante la metà degli anni novanta, mentre il debito estero medio, nello stesso periodo, passò dal 60 al 40% del PIL.278 Considerando le specifiche

275Cfr. ivi, p.370. 276Cfr. ivi, pp. 380-411.

277Cfr. Birdsall N., de la Torre A., Caicedo V.F, art.cit., p.11, “Figure 3a. Latin American infla-

tion (1990-2000)”.

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componenti delle riforme strutturali adottate, le liberalizzazioni in ambito commerciale e finanziario ebbero un peso notevole: riguardo le prime, le tariffe sulle importazioni, in media del 50% nei primi anni ottanta, furono abbassate al 33% nei primi anni novanta, e ulteriormente fino al 10% entro il 1999.279 Per quanto riguarda l’indice di liberalizzazione in ambito finan- ziario, nell’arco di circa dieci anni (1989-1999), esso venne portato a un li- vello quasi identico a quello medio dei paesi industrializzati (Europa e USA in primis), attraverso varie riforme, tra cui la deregolamentazione dei movimenti dei capitali e l’apertura agli investimenti esteri.280 Anche le pri- vatizzazioni costituirono un elemento preponderante delle riforme: tra il 1988 e il 1997, infatti, esse interessarono oltre 800 imprese pubbliche in tutta l’America Latina.281

In virtù della stabilizzazione macroeconomica e delle riforme volte a trasformare le economie latino-americane in economie fondate sul libero mercato e ben inserite all’interno del sistema economico internazionale, infine, fra il 1990 e il 1997 l’afflusso dei capitali esteri vide incrementarsi notevolmente, passando dai 14 ai 96 miliardi di dollari, pri- ma di diminuire in relazione allo scoppio della crisi asiatica del 1997.282 Focalizzando la nostra attenzione su altre variabili, quali il tasso di povertà, il PIL e la distribuzione della ricchezza, possiamo notare tuttavia che le po-

279 Cfr. ivi, p.10 e p. 13, in particolare “Figure 5. Latin American import tariff liberalization

(1985-1999)”.

280Cfr. ibid. e p. 13 “Figure 6. International financial liberalization index (1973-2002)”. 281Cfr. ivi, p.12.

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litiche del Washington Consensus non apportarono particolari migliora- menti. A dire il vero, complessivamente il PIL crebbe negli anni novanta a un tasso maggiore (il 3% l’anno) rispetto al decennio precedente (l’1,1%),283

ma, nonostante ciò, il numero di persone sotto la soglia della povertà si mantenne costante, intorno alle 200 milioni di unità, e le dise- guaglianze economiche (misurate attraverso il coefficiente di Gini) aumen- tarono.284 Così, l’America Latina, che già negli anni ottanta registrava uno dei peggiori livelli di diseguaglianza al mondo, nel decennio successivo vi- de peggiorare ulteriormente tale trend.285

Conclusioni

Sulla base di quanto scritto, e a conclusione del presente lavoro, riteniamo sia opportuno cercare di rispondere, per quanto succintamente e senza al- cuna pretesa di dogmaticità, alla seguente domanda: dunque, in sostanza, che cos’è il neoliberalismo?

A parere di chi scrive, il neoliberalismo è anzitutto un movimento di pen- siero, molto eterogeneo e variegato al suo interno, il quale è tuttavia carat-

283Cfr. Ibid. Il tasso di crescita maggiore si registrò in Cile, con un aumento medio del PIL del

6,4%.

284Cfr. ivi, p.17.

285Sulla questione dell’aumento delle diseguaglianze economiche in America latina negli anni

novanta, vedi Sainz P., Equity in Latin America since the 1990s, Department of Economics and Social Affairs, Working Paper No.22, June 2006, United Nations.

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terizzato da una generale avversione nei confronti della pianificazione sta- tale in ambito economico e sociale, sia che essa si esprima all’interno di un’economia di mercato (in tal senso emblematica è la critica nei confronti delle politiche keynesiane e della redistribuzione della ricchezza su inizia- tiva pubblica), sia che si esprima all’interno di un’economia in cui i settori produttivi sono completamente controllati dal potere pubblico. Questo poi- ché il neoliberalismo ha come fondamento essenziale l’esaltazione della li- bertà economica individuale, e dato che tale libertà trova proprio nello Sta- to la sua maggiore fonte di minaccia, è necessario che quest’ultimo si limiti fortemente nell’esercizio delle sue prerogative, concentrandosi esclusiva- mente sulla creazione delle condizioni affinché vi possa essere un mercato interamente basato sul principio di concorrenza, che di quella libertà costi- tuisce la dimensione e il contesto di piena realizzazione. Per cui, il neolibe- ralismo è primariamente una filosofia politica ed economica che ha come obiettivo la difesa di un determinato tipo di libertà (la libertà economica, appunto), e che teorizza un’idea di Stato consequenziale al perseguimento di tale obiettivo. Relegato in una condizione di marginalità tra il primo e il secondo dopoguerra, in un periodo storico in cui la pianificazione statale assume, secondo varie modalità, un ruolo sempre più preponderante per lo sviluppo economico e sociale in vari paesi, il neoliberalismo ottiene la sua rivincita a partire dagli anni settanta, concretizzandosi attraverso l’implementazione del monetarismo e della supply-side economics e, in ge-

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nerale, attraverso una generale ritirata dello Stato dai mercati a favore dei privati. Accanto al neoliberalismo come movimento di pensiero, dunque, va posto il neoliberalismo inteso come modello di sviluppo e di politica economica, il quale, inaugurato nel Cile di Pinochet, è stato poi implemen- tato, in maniera non omogenea e con risultati contrastanti, come visto, nel Regno Unito, negli Stati Uniti e in America Latina fra gli anni ottanta e no- vanta.

Come specificato nell’introduzione, obiettivo di questo lavoro era restituire al termine neoliberalismo una sua dimensione concettuale e storica. Trat- tandosi di una tematica decisamente complessa, la quale tocca vari pensato- ri, fenomeni politico-economici, e si dipana in un periodo storico decisa- mente lungo, il rischio di cadere in generalizzazioni e semplificazioni era abbastanza elevato. Chi scrive è conscio di ciò, e si assume la piena respon- sabilità qualora tale rischio si sia effettivamente concretizzato. A parte que- sto, la speranza è di essere riusciti nell’intento di stimolare degli spunti di riflessione, e di aver fatto un po’ di chiarezza intorno a un tema che è tutto- ra controverso e di grande attualità.

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