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La pianificazione in Cina e in America Latina

Il movimento di pensiero neoliberale nell’era della pia nificazione

2.3. La pianificazione nel secondo dopoguerra 1 Il ruolo dello Stato nel secondo dopoguerra

2.3.4 La pianificazione in Cina e in America Latina

Se in Europa occidentale, a partire dal secondo dopoguerra, l’interventismo statale nella società e nell’economia avvenne nell’ambito della costruzione dell’economia mista, come si è visto, ponendo come base politico- istituzionale quella della democrazia liberale, in Cina e in America latina le cose andarono diversamente.

Nel caso della Cina, con la nascita della Repubblica Popolare nel 1949, il Partito comunista cinese (Pcc) instaurò una dittatura fondata su una pianifi- cazione centralizzata molto simile a quella sovietica, mentre in molti paesi dell’America latina vennero instaurati regimi autoritari che adottarono un modello di sviluppo economico fortemente dirigista che prende il nome di Import substitution industrialization (ISI), o “industrializzazione per sosti- tuzioned’importazioni”. Il primo ottobre 1949, con l’insediamento del governo popolare centrale coordinato dal Pcc quale massima autorità politica del paese, e Mao Ze- dong a capo di esso, nacque ufficialmente la Repubblica popolare cinese.155 Dal 1949 al 1952, il controllo e la direzione dell’economia cinese da parte del Pcc furono volti al riordino economico e amministrativo e alla riforma

di studio destinate a studenti meritevoli appartenenti a famiglie non abbienti. Tutti questi prov- vedimenti, tuttavia, non modificarono il carattere prevalentemente privato del sistema di prote- zione sociale statunitense e confermarono comunque il ruolo residuale dello Stato nelle politi- che di welfare.

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agraria, i quali avrebbero dovuto porre la basi per la costruzione di uno Sta- to autenticamente socialista. In pochi mesi venne domata l’iperinflazione e stabilizzata la moneta, e alla fine del 1952 gli indici dei principali beni su- perarono le medie del 1936, ultimo anno precedente all’invasione giappo- nese. L’industria cinese era già stata largamente statalizzata sotto il gover- no Guomindang nel dopoguerra, anche grazie alla confisca delle industrie già gestite dai giapponesi. Queste imprese, alle quali si aggiunsero quelle gestite dai potentati finanziari che facevano capo alle quattro grandi fami- glie Zhang, Kong, Song, Chen (il cosiddetto “capitale burocratico”) espro- priate senza indennizzo, le banche, e in seguito tutte le imprese fondamen- tali per l’economia del paese, costituirono il primo nucleo delle attività in- dustriali e finanziarie nazionalizzate nel 1949-50. Durante la guerra di Co- rea vennero pure sequestrate e incamerate le proprietà americane, e tutte le altre imprese, di proprietà della “borghesia nazionale”, con varie modalità vennero via via trasformate in imprese miste.156 Le ferrovie, la maggior parte della flotta marittima e fluviale, le linee aeree civili passarono dall’amministrazione statale del Guomindang all’amministrazione statale popolare. Il commercio all’ingrosso, nel 1952, venne nazionalizzato al 66 per cento, e quello al dettaglio venne gradualmente trasferito dai privati a imprese miste o di vendita su commissione per conto dello Stato.157 Nel 1950 venne promulgata la legge di riforma agraria per tutto il paese, che

156Cfr. Castronuovo V. (a cura di) (2001), op. cit., p. 385. 157Cfr. ivi, p.386.

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fondò il sistema della proprietà contadina, ed entro il 1952 vennero confi- scate ai proprietari fondiari e redistribuite ai contadini terre equivalenti a circa il 43 per cento della superficie coltivabile complessiva.158 Altresì, prendendo spunto dall’esperienza dell’Urss (con la quale tra l’altro la Cina siglò un trattato di amicizia e di mutuo aiuto nel febbraio 1950)159, nel 1953 venne lanciato il primo piano quinquennale finalizzato a modernizzare il paese dal punto di vista industriale, prediligendo in primo luogo lo sviluppo dell’industria pesante.160

Tutte queste trasformazioni vennero messe in moto e pianificate dai vertici di partito e di Stato e trasformate in mobilitazione dagli interessati grazie alla cinghia di trasmissione di decine di migliaia di “quadri”. Con un’intensità e un’efficacia senza precedenti nell’ambito della storia cinese, nell’arco di pochi anni dalla presa di potere dei comunisti, lo Stato inter- venne nella vita di ogni singolo cittadino.

Per quanto riguarda l’America Latina, dopo una breve ondata democratica negli anni quaranta,161 il decennio successivo vide una generale restaura- zione di regimi autoritari nella maggior parte dei paesi della regione.162

158

Cfr. Osterhammel J. (1992), Storia della Cina moderna, Giulio Einaudi Editore, Torino, p.534.

159

Cfr. Castronovo V. (a cura di) (2001), op.cit., p.388.

160Cfr. Osterhammel J., op. cit., pp. 544-545.

161Cfr. Zanatta L. (2010), Storia dell’America Latina contemporanea, Editori Laterza, Roma-

Bari, pp. 121-122.

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Fu allora, specie da quando nel 1948 assunse la guida della Commissione Economica per l’America Latina delle Nazioni Unite (Cepal), che l’economista argentino Raùl Prebisch gettò le basi teoriche del modello ISI, ossia del modello di sviluppo basato sull’industrializzazione per sostituzio- ne delle importazioni (Import substitution industrialization).163

In sostanza, l’ISI designa una strategia di sviluppo basata sulla sostituzio- ne di beni importati con beni prodotti sul mercato interno; tale sostituzione si realizza principalmente attraverso una politica industriale e commerciale che garantisce protezione alle industrie nazionali, in particolare a quelle na- scenti (dazi alle importazioni), attraverso l’intervento diretto dello Stato nei settori industriali considerati strategici. Tale intervento può concretizzarsi attraverso varie misure, quali: nazionalizzazioni e sussidi alla produzione; costruzione di infrastrutture per favorire la produzione industriale; accordi con le banche per la concessione di prestiti a tassi agevolati nei confronti di determinate imprese; controlli sui tassi di cambio.164 Abbiamo a che fare, dunque, con un modello di sviluppo in cui lo Stato ha un ruolo preponde- rante, il quale (modello) è incentrato su misure protezionistiche, sulla cre- scita del mercato interno e sull’integrazione economica regionale.

163Cfr. ivi, pp. 125-126.

164Cfr. Baer W., “Import substitution and industrialization in Latin America: experiences and

interpretations”, Latin american research review, vol.7, No. 1 (Spring 1972), The Latin ameri- can studies association, pp. 95-122. Vedi in particolare p. 98.

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Il modello ISI fu adottato dalla maggior parte dei paesi latino-americani tra gli anni cinquanta e gli anni sessanta,165 anche se alcune politiche legate a esso erano già state implementate nella regione dopo la fine della Prima guerra mondiale, e soprattutto in seguito alla crisi del ’29, come risposta al- la diminuzione delle importazioni dall’Europa e dagli Stati Uniti, causata dal crollo della produzione conseguente alla crisi stessa.166

I risultati economici prodotti dall’ISI sono controversi: grazie all’implementazione di quest’ultimo, la produzione industriale in rapporto al PIL crebbe sensibilmente in America Latina tra gli anni cinquanta e ses- santa,167 ma il prodotto interno lordo ebbe complessivamente un incremen- to modesto nella regione (in media del 2%),168 a causa soprattutto della scarsa integrazione fra i mercati di quest’ultima (troppo protetti e rivolti verso l’interno) e i mercati internazionali. Tale scarsa integrazione, in par- ticolare, disincentivò fortemente le esportazioni, e ciò causò una contrazio- ne della crescita nel suo complesso.169

165

Cfr. ivi, p. 95.

166

Cfr. ivi, p. 97 e Zanatta M., op. cit., p. 126.

167

Cfr. Castronovo V. (a cura di) (2001), op. cit., p. 406. Vedi Tab.2.

168Cfr. Zanatta M., op. cit., p. 127. 169

Cfr. Castronovo V. (a cura di) (2001), op. cit., pp. 409-410.

Come mette in luce Carmagnani M., in un periodo in cui le principali economie mondiali si li- beralizzavano e davano vita a un rapido smantellamento del protezionismo prebellico, aderendo all’Accordo generale sulle tariffe e il commercio (Gatt), le principali economie latino-americane andavano nella direzione opposta alla tendenza internazionale, incrementando costantemente le proprie tariffe. Nel decennio del 1960, mentre in America Latina la protezione nominale supe- rava il 200 per cento per i beni di consumo, era del 100 per cento per i beni di consumo durevo- le, del 40 per i beni semilavorati, del 50 per le materie prime, e del 50 per i beni di investimento,

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A causa di questi risultati non proprio esaltanti, già verso la fine degli anni sessanta l’ISI iniziò a essere messo radicalmente in discussione, e gra- dualmente venne in seguito abbandonato da un numero sempre maggiore di paesi: il Cile in tal senso fu il paese pioniere già a partire dal 1973, mentre gli altri paesi ne seguirono l’esempio fra gli anni ottanta e gli anni novanta, in relazione a un decennio catastrofico (gli anni ottanta) dal punto di vista economico e sociale, tanto da essere stato definito da più parti come il de- cennio perduto.170

Al posto dell’ISI, iniziò così a farsi largo un nuovo modello di sviluppo fondato su una più marcata integrazione economica con i mercati interna- zionali, lo smantellamento del protezionismo, e la sostituzione del privato rispetto al pubblico quale attore principale dell’iniziativa economica nelle sue varie forme. In altre parole, l’era dell’interventismo statale in America Latina iniziò a cedere gradualmente il passo a quello che sarebbe stato un

di contro, la protezione nominale nei paesi della Comunità economica europea non superava il 19 per cento e la media della stessa era appena del 13 per cento (p.409).

170

Cfr. Zanatta L., op. cit., pp. 194-198.

Gli anni ottanta, in riferimento all’America Latina sono ricordati con l’espressione decennio

perduto per via della pessima congiuntura economica che interessò l’intera regione in quegli

anni, accompagnata dal peggioramento dei più significativi indicatori sociali: dalla disoccupa- zione alla percentuale di popolazione sotto la soglia della povertà, dalla distribuzione della ric- chezza alla mobilità sociale. Alla fine degli anni ottanta i dati parlavano chiaro: il prodotto me- dio per abitante era minore di quello di dieci anni prima e il debito estero era cresciuto dismisu- ra, al punto che la sua restituzione era divenuta una enorme zavorra per le economie della regio- ne. Quest’ultima, infatti, fu attraversata da crisi così profonde da destabilizzare l’intero sistema economico internazionale: a cominciare dalla crisi messicana del 1982, esplosa quando il go- verno del Messico annunciò di non essere più in grado di ripagare il debito estero, per finire con quella argentina del 1989, dove l’inflazione andò fuori controllo e divenne iperinflazione. Un fenomeno che lungi dal rimanere confinato alla sola Argentina, si manifestò in forme virulente, benché in tempi diversi, anche in vari altri paesi: dal Brasile al Perù, dalla Bolivia al Nicaragua.

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modello di sviluppo completamente nuovo: quello improntato sul neolibe- ralismo.

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Capitolo III