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Il neoliberalismo. Per una storicizzazione.

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Indice

(p.3) Introduzione

(p.6) Capitolo primo: il neoliberalismo come movimento di pensiero (p.6) 1.1. Premessa

(p.7) 1.2. Il Colloquio Walter Lippmann (p.12)1.3. La Mont Pèlerin Society (p.16)1.4. L’ordoliberalismo

(p.20)1.5. Friedrich August von Hayek (p.28)1.6. Milton Friedman e i Chicago boys (p.33)1.7. Conclusioni

(p.37) Capitolo secondo: il movimento di pensiero neoliberale nell’era del-la pianificazione

(p.37) 2.1. Premessa

(p.45) 2.2. La pianificazione statale tra le due guerre

(p.45) 2.2.1 La pianificazione statale tra le due guerre come risposta a una crisi generalizzata

(p.49) 2.2.2. Esempi di pianificazione: l’Urss (p.51) 2.2.3. I casi di Italia e Germania

(p.55) 2.2.4 Gli Stati Uniti di Roosevelt (p.58) 2.2.5. Le politiche sociali

(p.61) 2.3. La pianificazione nel secondo dopoguerra (p.61) 2.3.1. Il ruolo dello Stato nel secondo dopoguerra (p.68) 2.3.2. Le nazionalizzazioni

(p.71) 2.3.3. Il Welfare State

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2

(p.84) Capitolo terzo: Il neoliberalismo in pratica

(p.84) 3.1. La crisi degli anni settanta e l’affermazione del modello di svi-luppo neoliberale

(p.92) 3.2. L’esperimento neoliberale nel Cile di Pinochet (p.101)3.3. Il Regno Unito della Thatcher

(p.113)3.4. Gli Stati Uniti di Reagan

(p.125)3.5. Il Washington Consensus e l’America Latina (p.133) Conclusioni

(p.136) Bibliografia

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3

Introduzione

Definire il termine neoliberalismo è impresa tutt’altro che semplice, e que-sto per una serie di ragioni: anzitutto, in quanto esso è soventemente usato in accezione negativa da coloro i quali sono fortemente critici nei confronti del libero mercato, e tende a essere riferito a teorie e a fenomeni politici ed economici molto diversi tra loro.1 Di contro, tuttavia, coloro i quali vedono nel libero mercato un qualcosa di positivo, raramente definiscono se stessi neoliberali.2

Altresì, attualmente non esiste una scuola di pensiero neoliberale, così co-me non vi sono politici, economisti o accademici che ricollegano le proprie visioni o teorie a tale termine.

Infine, un altro elemento che rende difficile la definizione di neoliberali-smo sta nel fatto che, chi lo utilizza in accezione neutra o negativa, riferen-dosi a determinate teorie o pratiche politiche ed economiche, difficilmente si preoccupa di chiarire concettualmente che cosa intenda con questa locu-zione.3

1Cfr. Hartwich O. M. (2009), Neoliberalism, the genesis of a political swearword, The Centre

for independent studies, St. Leonards. AUS, pp. 4-5.

2

Cfr. Baos T. C., Gans-Morse J. (2009), ‘Neoliberalism, from new liberal philosophy to anti-liberal slogan’, Studies in comparative international development, Berkeley, US, p.2.

3Cfr. ivi, pp. 2-7.

Partendo da un’analisi di 148 articoli accademici pubblicati tra il 1990 e il 2004, in cui appare il termine neoliberalismo, Baos e Morse hanno desunto che, anzitutto, nel 90% dei casi il termine veniva utilizzato secondo un’accezione neutra o negativa (p.6), e, il 69% delle volte, esso non veniva definito concettualmente (p.7). Le riviste accademiche prese in considerazione dagli

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Dunque, la vaghezza e il frequente uso negativo che si fa del termine pone non pochi problemi nel tentativo di dare del termine stesso una definizione concettuale soddisfacente.

Premesso ciò, l’obiettivo del presente lavoro è quello di cercare di restituire al termine neoliberalismo una dimensione concettuale e storica, analizzan-do, da una parte, le teorie a cui tale locuzione viene ricondotta e, dall’altra, l’insieme delle pratiche politiche ed economiche che, storicamente, sono state definite neoliberali. Secondo la prima accezione, analizzeremo il neo-liberalismo inteso come movimento di pensiero, partendo dalle sue origini (risalenti al Colloquio Walter Lippmann del 1938), e prendendo poi in con-siderazione quelli che sono considerati i maggiori esponenti di tale movi-mento, ossia Friedrich von Hayek, Milton Friedman e gli ordoliberali tede-schi. Dopo aver analizzato il neoliberalismo nella sua accezione teorica, parleremo dapprima del contesto storico in cui la filosofia neoliberale viene teorizzata (il quale è caratterizzato, come vedremo, dal progressivo concre-tizzarsi di un insieme di concezioni relative al ruolo dello Stato nella socie-tà nettamente antitetiche rispetto a quelle prospettate dai neoliberali) e poi, in ultimo, dell’affermazione del neoliberalismo come vero e proprio model-lo di sviluppo politico ed economico. In tal senso, mostreremo come la

tori sono: Third World Quarterly; Studies in Comparative International Development; World

Development; Latin American Research Review; Latin American Politics and Society; Journal of Latin American Studies; Comparative Politics; Comparative Political Studies; World Poli-tics; (p.5).

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5

stagflazione che negli anni settanta colpì un po’ tutto il mondo industrializ-zato, costituì un momento fondamentale per la concretizzazione del neoli-beralismo, e faremo vedere come quest’ultimo sia stato adottato, progressi-vamente, da un sempre maggiore numero di paesi, prendendo in considera-zione alcuni casi specifici, quali: il Cile di Pinochet, il Regno Unito della Thatcher, gli Stati Uniti di Reagan, e l’America Latina tra gli anni ottanta e novanta.

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Capitolo I

Il neoliberalismo come movimento di pensiero

1.1. Premessa

L’analisi del neoliberalismo come movimento di pensiero richiede alcune precisazioni preliminari. Anzitutto, esso non va inteso come un gruppo di pensatori che condividono principi e dottrine rigidi e validi sempre e co-munque, bensì come un movimento intellettuale decisamente eterogeneo e dinamico al suo interno. Come sottolinea Plehwe, infatti

All’interno della Mont Pèlerin Society, il neoliberalismo viene elaborato e promosso da un movimento di pensiero collettivo composto da più di mille accademici, giornali-sti, professionigiornali-sti, imprenditori e leader politici di ogni parte del mondo per più di cin-quanta anni; il loro lavoro non può dunque essere certo ridotto a tre dottrine.4

In secondo luogo, il movimento neoliberale ha carattere transnazionale: ha radici soprattutto in Francia, Svizzera, Germania, Regno Unito e Stati Uni-ti, e le sue origini giungono fino al periodo fra la prima e la seconda guerra mondiale, nello specifico fino al 1938, anno in cui i primi neoliberali si riu-nirono nell’ambito del Colloquio Walter Lippmann.

4

Mirowski P., Phehwe D. (ed by) (2009),The road from Mont Pelerin, the making of the ne-oliberal thought collective, Harvard University Press, Cambridge, Massachusetts London, UK ,

p.8. Tr. Nostra.

Le “tre dottrine” a cui l’autore si riferisce sono quelle relative al monetarismo, allo Stato mini-mo e alla supply-side economics, identificate, evidentemente in maniera semplicistica, dall’economista Kevin Williamson come l’essenza delle teorie della Mont Pèlerin Society.

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Infine, partendo dal considerare l’ordoliberalismo, e le teorie di Friedrich Von Hayek e di Milton Friedman quali maggiori espressioni del pensiero neoliberale, consideriamo la Mont Pèlerin Society (di cui il Colloquio Wal-ter Lippmann costituisce l’incontro precursore) come il centro nevralgico attorno al quale il neoliberalismo, nelle sue varie espressioni, si è sviluppa-to e ha raggiunsviluppa-to gradualmente una dimensione sempre più globale.

1.2. Il Colloquio Walter Lippmann

La Mont Pèlerin Society (MPS) viene istituita nell’Aprile 1947, su inizia-tiva di Friedrich Von Hayek e Albert Hunold, e, nella sua prima riunione, vede la presenza di trentasei eminenti personalità di orientamento liberale, tra cui l’economista statunitense Milton Friedman, e due importanti espo-nenti dell’ordoliberalismo tedesco: Wilhelm Ropke e Walter Eucken.5

Diverse personalità che contribuirono a fondare la MPS avevano partecipa-to, nove anni prima, a un precedente incontro, il Colloquio Walter Lippmann,6 per discutere della crisi che il liberalismo stava attraversando

5Per la lista completa dei partecipanti al primo meeting della Mont Pèlerin Society,

http://explorersfoundation.org/glyphery/35.html

Alexander Rustow, altro importante membro del movimento ordoliberale tedesco, fu tra i parte-cipanti al Colloquio Walter Lippmann nel 1938 e, pur non partecipando al primo incontro della MPS, è indicato da Hartwell R.M. fra i fondatori della stessa (Cfr. Hartwell R.M., A history of

the Mont Pèlerin Society, Liberty Fund, Indianapolis, US, 1995, p.51).

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8

allora (soprattutto in relazione al diffondersi delle idee socialiste, del nazi-smo, del fascinazi-smo, ma anche delle teorie keynesiane) e, conseguentemente, per cercare di identificare le cause di tale crisi e di trovare delle soluzioni a riguardo. Fu proprio durante quell’incontro che venne messa in risalto la necessità di teorizzare un “neo” liberalismo,7

in quanto si riteneva che il li-beralismo classico, basato sui principi del laissez-faire,8 fosse essenzial-mente inadatto rispetto alla società di allora, soprattutto in quanto poneva lo Stato in una condizione di estrema marginalità rispetto ai meccanismi della società stessa, mentre nella visione neoliberale dei membri del Collo-quio Lippmann, seppur con alcune differenze, lo Stato doveva avere un ruolo di primaria importanza all’interno del sistema, come si chiarirà più avanti.

Il Colloquio venne organizzato nel 1938 a Parigi dal filosofo francese Louis Rougier, per discutere del libro del giornalista americano Walter

Quindici delle personalità che presero parte al Colloquio Lippmann parteciparono alla fonda-zione della Mont Pèlerin Society. Tra queste ricordiamo Raymond Aron, Louis Baudin, Frie-drich Von Hayek, Ludwig von Mises, Michael Polanyi, Wilhelm Ropke e Alexander Rustow.

7

Il termine neoliberalismo, tuttavia, non viene coniato durante il Colloquio Lippmann, bensì nel 1932 da quello che sarebbe stato uno dei suoi partecipanti più rappresentativi: Alexander Ru-stow (Cfr. Hartwich O.M., op. cit., pp. 13-14).

8Il liberalismo che i neoliberali criticano e il cosiddetto Liberalismo di Manchester, ossia una

scuola liberale del XIX secolo secondo cui, affinché si abbia un’allocazione ottimale delle risor-se, è necessario che al mercato sia consentita la piena auto-regolamentazione, e che, di conse-guenza, lo Stato riduca al minimo i propri interventi in esso .

Cfr. Jackson B., ‘At the origins of neo-liberalism: the free economy and the strong state, 1930-1947’, The Historical Journal, 53, I (2010), Cambridge University Press, Cambridge, UK, pp.129-151 (in particolare p.134).

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Lippmann, dal titolo The Good Society.9 Nell’introduzione generale del colloquio e dei vari interventi che si sarebbero poi svolti, Rougier afferma Il regime liberale non è solo il risultato di un ordine naturale spontaneo (…), ma è an che il risultato di un ordine legale che presuppone un interventismo giuridico dello sta-to. La vita economica si svolge, infatti, in un quadro giuridico che fissa il regime di pro-prietà, dei contratti, dei brevetti di invenzione, del fallimento, lo statuto delle associa-zioni professionali e delle società commerciali, la moneta e la banca, tutte cose che non sono dati di natura, come le leggi dell’equilibrio economico, ma creazioni contingenti del legislatore.10

E ancora

Essere liberali non significa, come per il liberalismo ‘manchesteriano’, lasciare circo-lare le automobili in tutti i sensi, secondo il proprio arbitrio (…), ma non significa nep-pure, come vuole il liberalismo ‘pianificatore’, fissare per ogni vettura l’orario di circo-lazione e l’itinerario obbligato; significa piuttosto imporre un Codice della strada, te-nendo conto che nell’epoca dei trasporti accelerati non potrà essere, per forza di cose, lo stesso che c’era all’epoca delle diligenze.11

Dall’intervento di Rougier si può desumere quello che è un elemento es-senziale del “neo” liberalismo che viene fuori dal Colloquio Lippman: un liberalismo che rifiuta tanto il laissez-faire (cioè il principio del mercato

9Nel suo testo Lippmann critica tanto il liberalismo del laissez-faire quanto ogni forma di

piani-ficazione statale dell’economia e mette in risalto la necessità di una revisione del liberalismo per combattere la diffusione dei totalitarismi (Cfr. Hartwich, op. cit., pp. 18-19; Mirowski P. & Plehwe D., op. cit., p. 13).

10

Foucault M. (2005), Nascita della biopolitica, corso al College de France (1978-1979), Fel-trinelli, Milano, p. 135.

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completamente auto-regolantesi) quanto la pianificazione statale dell’economia, favorendo invece una terza via in cui lo Stato, di fatto, ne le condizioni giuridiche e istituzionali che consentono al mercato di po-ter esprimere al massimo le proprie potenzialità.

Lo Stato, dunque, assume per i neoliberali una funzione importantissima, in quanto rappresenta l’entità che crea le condizioni per un corretto funziona-mento dei mercati sulla base del principio di concorrenza.

L’altro aspetto fondamentale del “neo” liberalismo del Colloquio Lippmann è il considerare la pianificazione economica da parte dello Stato come la causa prima della formazione di regimi totalitari. Secondo i neoli-berali, la mancanza di libertà nel regime fascista, nazista e sovietico, infatti, non è legata tanto alla mancanza di democrazia, bensì al fatto che, a vario modo, in tutti e tre i regimi lo Stato ha assunto il ruolo di pianificatore dell’economia, privando i cittadini della possibilità di interagire liberamen-te all’inliberamen-terno dei mercati.12

Secondo i neoliberali, dunque, la libertà economica rappresenta il principio cardine su cui la società deve fondarsi, e il presupposto essenziale e impre-scindibile di ogni altra tipologia di libertà. Partendo da tale principio, lo

12Questa tesi è sostenuta anzitutto dagli ordoliberali tedeschi (rappresentati al Colloquio da

Ro-pke e Rustow), come sottolinea argutamente Foucault (cfr. Foucault M., op. cit., pp. 99-103), e anche da Hayek (Cfr. Hayek F.v., La via della schiavitù, Rubbettino, Collana Biblioteca Au-striaca, Soveria Mannelli, 2011, pp. 74-75) e dallo stesso Walter Lippmann (Cfr. Mirowski P. & Plehwe D., op. cit. p.13).

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Stato viene identificato quale entità creatrice e garante di tale libertà, attra-verso l’istituzione di un sistema di leggi e ordinamenti all’interno dei quali gli individui possono autodeterminarsi e interagire liberamente, e soprattut-to possono competere per lo scambio e l’allocazione di beni e servizi.13

Chiarita l’essenza del neoliberalismo, c’è da dire che fra i partecipanti al Colloquio sussistevano comunque alcune differenze su come implementare praticamente il programma neoliberale,14 ma, nonostante questo, durante l’incontro si decise di lanciare una rivista (Cahiers du Liberalisme), e un think tank, il Centre international d’études pour la rénovation du

13Dire che lo Stato “crea” la libertà economica significa che esso pone le condizioni affinché

tale libertà possa effettivamente concretizzarsi. Senza lo Stato, infatti, non esiste libertà econo-mica, e questo in quanto l’esistenza di un libero mercato concorrenziale, che è il terreno su cui tale libertà si innesta, non è un “dato naturale”, bensì, come sottolinea Foucault, un “principio di formalizzazione, e, come logica economica essenziale, potrà apparire e produrre i suoi effetti positivi solo se sarà presente un certo numero di condizioni, che saranno state accuratamente e artificialmente predisposte (dallo Stato)” (Foucault M., op. cit., p.111).

14In particolare, sussistevano anzitutto differenze di vedute su come affrontare la questione dei

monopoli: secondo Alexander Rustow, ad esempio, i monopoli rappresentavano una degenera-zione del libero mercato, dunque lo Stato doveva intervenire attraverso misure legislative che ne impedissero la formazione; di contro, Ludwig Von Mises riteneva che i monopoli fossero il ri-sultato dell’interventismo statale (in particolare di politiche protezionistiche), pertanto auspica-va che lo Stato non fosse coinvolto nella loro regolamentazione, lasciando al mercato tale com-pito (Cfr. Hartwich O.M., op. cit., p. 19 e Jackson B., op.cit., p. 142).

Denord F. afferma invece che, all’interno del Colloquio Lippmann, vi erano due gruppi di pen-siero: uno, composto tra l’altro da Rustow, Ropke, e Rougier, secondo cui il liberalismo del

laissez-faire andava del tutto accantonato, e un altro, di cui facevano parte Mises e Hayek, che

invece erano più restii a riguardo (Cfr. Mirowski P.& Plehwe D., op. cit., p.49).

Mises, in particolare, sembra essere stato il partecipante in assoluto più diffidente nel rifiutare

tout court l’impostazione manchesteriana del liberalismo a favore di un libero mercato

regola-mentato dallo Stato. Egli, in riferimento alla Third way che viene teorizzata durante il Colloquio Lippmann infatti afferma: “All these advocates of a middle-of-the-road policy emphasize with the same vigour that they reject Manchesterism and laissez-faire liberalism. It is necessary, they say, that the state interfere with the market phenomena whenever and wherever the free play of the economic forces results in conditions that appear as socially undesirable…That means the market is free as long as it does precisely what the government wants it to do. It is ‘free’ to do what the authorities consider to be the ‘right’ things, but not to do what they consider the ‘wrong’ things; the decision concerning what is right and what is wrong rests with the govern-ment. Thus the doctrine and the practice of interventionism ultimately tend to abandon what originally distinguished them from outright socialism and to adopt entirely the principles of to-talitarian all-around planning’ (Von Mises L., Human action, 4th ed., Fox & Wilkes, San Fran-cisco, US, 1996, pp. 723-724).

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sme (CIRL), con sede principale a Parigi, e sede distaccate a Ginevra, Lon-dra e New York, con lo scopo di continuare il progetto di rinnovamento del pensiero liberale appena iniziato. Lo scoppio della Seconda guerra mondia-le, tuttavia, impedì temporaneamente ciò, ma una volta terminato il conflit-to, nel 1947, i pensatori neoliberali poterono riunirsi nuovamente, questa volta su iniziativa di Friedrich Von Hayek e Albert Hunold, e fondarono quello che costituirà il cuore pulsante del movimento neoliberale a partire dal secondo dopoguerra: la Mont Pèlerin Society.

1.3. La Mont Pèlerin Society

Una volta conclusa la Seconda guerra mondiale, il progetto neoliberale ri-prese rapidamente vigore. Questa volta furono Albert Hunold, e soprattutto il filosofo ed economista austriaco Friedrich von Hayek a prendere l’iniziativa nell’organizzare un nuovo meeting per la continuazione del progetto avviato nell’ambito del Colloquio Walter Lippmann.

Le motivazioni che spinsero Hayek e Hunold a fondare la Mont Pélerin So-ciety furono le seguenti: anzitutto la necessità di continuare nella teorizza-zione di uno “nuovo” liberalismo adatto alla società di allora, in opposizio-ne alle politiche di pianificazioopposizio-ne statale che, sia opposizio-nella versioopposizio-ne socialista

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sovietica, sia in quella più “morbida” del neocorporativismo adottato da molti paesi europei,15 stavano assumendo dimensioni sempre più globali. In secondo luogo, Hayek in particolare riteneva che, proprio in virtù di tale clima anti-liberale imperante, i sostenitori del liberalismo dovessero unire le proprie forze per evitare di rimanere completamente isolati.16

Il meeting di fondazione della MPS venne tenuto tra l’uno e il dieci Aprile 1947, all’Hôtel du Parc nel paese svizzero di Mont Pèlerin,17

e vi presero parte trentanove personalità provenienti da dieci paesi, di cui diciassette dagli Stati Uniti.18

Gli obiettivi dell’associazione furono specificati in uno Statement of Aims,

15Con il termine neocorporativismo si intende un modello di sviluppo che venne adottato da

molti paesi dell’Europa occidentale a partire dal secondo dopoguerra, caratterizzato da una stret-ta cooperazione fra imprese, lavoratori e governi, al fine di risollevare l’economia europea, no-tevolmente ridimensionata a causa del conflitto. Tale modello si concretizzò attraverso una serie di accordi istituzionali quali, ad esempio, la legge di codeterminazione tedesca (che collocava rappresentanti dei lavoratori nei consigli di sorveglianza delle grandi imprese), introdotta nel 1951 nell’industria siderurgica e nelle altre industrie nel 1952, che venne presa a modello da Austria e Paesi Bassi. La Norvegia istituì consigli di pianificazione e comitati per la produzione al fine di promuovere la partecipazione dei lavoratori alle decisioni imprenditoriali, e paesi co-me Belgio e Italia adottarono anch’essi misure volte a incentivare la cooperazione tra lavoratori e imprese. Il neocorporativismo diede vita a una forma peculiare di capitalismo di mercato, de-nominato economia mista, in cui lo stato svolgeva un ruolo importante nel regolare e perfino nel gestire la produzione industriale (numerose furono infatti le nazionalizzazioni in paesi come Regno Unito, Italia, Francia e Austria), era profondamente coinvolto nelle negoziazioni salariali e nelle decisioni di investimento, e offriva una generosa rete di protezione sociale ai suoi citta-dini. Il tutto innestato però su un’economia basata sulla proprietà privata (Cfr. Eichengreen B.,

La nascita dell’economia europea, dalla svolta del 1945 alla sfida dell’innovazione, Il

Saggia-tore, Milano, 2009, pp. 26-33 e p.54).

16Come sottolinea George H. Nash, citato in Mirowsky P. & Plehwe D. (op. cit., p. 16): «the

partipants, high in the Swiss Alps, were only too conscious that they were outnumbered and without apparent influence on policymakers in the Western world. All across Europe, planning and socialism seemed ascendant».

Vedi anche Butler E., A short history of the Mont Pélerin Society, p.4, in

https://www.montpelerin.org/montpelerin/documents/Short-History-of-MPS-2014.pdf

17Ibid.

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redatto l’otto Aprile 1947, e strutturato in sei punti fondamentali, quali: analisi della crisi del pensiero liberale; ridefinizione del ruolo dello stato, così da poter distinguere chiaramente tra ordine liberale e ordine totalitario; ristabilimento di una “sovranità della legge” (rule of law) tale da proteggere la libertà e i diritti individuali; stabilimento di standard minimi conformi al-la libera iniziativa individuale a al funzionamento del mercato; lotta all’uso della storia per fini ostili alla libertà; analisi riguardante la questione della creazione di un ordine internazionale che salvaguardi la pace, la libertà e le relazioni economiche internazionali.19

È da questi obiettivi, dunque, che il progetto neoliberale si propose di ripar-tire.20 Come ebbe a sottolineare Milton Friedman, i partecipanti al meeting di fondazione della MPS non condividevano un pensiero unico, ma tutti concordavano sull’importanza di preservare la libertà e la dignità

19Lo Statement of aims, scritto dall’economista inglese Lionel Robbins, oltre che dai sei punti

menzionati era costituito da un preambolo, il quale recitava: «the central values of civilization are in danger…The group holds that these developments have been fostered by the growth of a view of history which denies all absolute moral standards and by the growth of theories which question the desirability of the rule of law. It holds further that they have been fostered by a de-cline of belief in private property and the competitive market (…). Believing that what is essen-tially an ideological movement must be met by intellectual argument and the reassertion of valid ideas, the group, having made a preliminary exploration of the ground, is of the opinion that fur-ther study is desirable inter alia in regard to the following matters» (Cit. in Mirowski P. & Plehwe D., op. cit., p. 25).

Per la versione integrale vedi https://www.montpelerin.org/montpelerin/mpsGoals.html

20Èinteressante notare come, tuttora, dopo oltre sessanta anni dalla fondazione, i propositi

re-datti nello Statement of aims siano rimasti essenzialmente immutati, come sottolineato sulla homepage del sito ufficiale della MPS. In riferimento ai tempi odierni, l’associazione sottolinea il declino del liberalismo economico e politico, e individua fattori quali l’espansione del settore pubblico (non ultimo il welfare state), il potere dei sindacati e dei monopoli, e l’incremento dell’inflazione come alcune fra le maggiori minacce verso lo Stato liberale (cfr.

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duale, e consideravano il libero mercato quale maggiore strumento attra-verso cui perseguire tale scopo.21

Sin dalla sua fondazione, la Mont Pélerin Society ha acquisito un sempre maggiore prestigio a livello internazionale, in particolare grazie all’affiliazione di molte eminenti personalità, tra cui accademici, economi-sti, giornalieconomi-sti, influenti uomini politici, e ben otto premi Nobel.22

Ovviamente, va da sé che il pensiero neoliberale non possa certamente ri-dursi alle sei proposizioni presenti nella Dichiarazione di intenti citate poc’anzi; infatti, come già detto, esso poté svilupparsi grazie al contributo, in particolare, da parte degli ordoliberali, di Friedrich von Hayek e di Mil-ton Friedman, i quali furono tutti collegati a vario modo alle attività della MPS: tre importanti esponenti dell’ordoliberalismo (Walter Eucken, Ale-xander Rüstow e Wilhelm Ropke), infatti, furono tra i fondatori dell’associazione, e Ropke ricoprì la carica di presidente dal 1960 al 1961.

21 A parte le linee di principio, tuttavia, come sottolinea ancora Friedman, vi erano posizioni

molto eterogenee su come passare dalla teoria alla prassi, ad esempio per quanta riguarda que-stioni immediatamente concrete su come affrontare le politiche agricole, monetarie e quelle re-lativa al commercio internazionale nell’ambito della ricostruzione del dopoguerra (cfr.

http://hoohila.stanford.edu/friedman/pelerin.php).

Altresì, vi furono discussioni sul fatto se l’associazione dovesse focalizzarsi essenzialmente sul-lo studio e la ricerca, al fine di teorizzare una valida alternativa al socialismo, oppure se dovesse concentrarsi invece su obiettivi più pragmatici e di carattere politico (cfr. Butler E., op. cit., p.10). Infine, anche su questioni relative al ruolo e all’estensione del welfare state, al salario minimo, e al modo di concepire il sistema fiscale ci furono diversi contrasti (cfr. ivi, p.5).

22 Gli otto premi Nobel, tutti per l’economia, sono: Friedrich von Hayek, Milton Friedman,

George Stigler, James M. Buchanan, Maurice Allais, Ronald Coase, Gary Becker, Vernon Smith (cfr. https://www.montpelerin.org/montpelerin/mpsMembers.html).

Tra le personalità politiche ricordiamo Luigi Einaudi, secondo Presidente della Repubblica ita-liana dal 1948 al 1955, e Ludwig Erhard, Cancelliere tedesco dal 1963 al 1966 (cfr. Mirowski P. & Plehwe D., op. cit., p.22).

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Hayek, oltre a essere il maggior artefice della nascita della MPS, ne fu pre-sidente dal 1948 al 1960, e Milton Friedman assunse quest’ultima carica dal 1970 al 1972.23

1.4. L’ordoliberalismo

L’ordoliberalismo (conosciuto anche come Scuola di Friburgo o come neo-liberalismo tedesco) è una scuola di pensiero liberale che nasce in Germa-nia nei tardi anni ’20, nel contesto di grave crisi economica e dei tumulti politici della Repubblica di Weimar.24 I maggiori esponenti sono Walter Eucken, Franz Böhm, Alexander Rüstow e Wilhelm Röpke.25

La tesi centrale degli ordoliberali può essere riassunta in un’espressione che costituisce anche il titolo di un celebre discorso tenuto da Rüstow nel 1932, dinanzi a un’assemblea di economisti tedeschi: Free economy, strong state.26

23

Per la lista completa dei presidenti della MPS vedi Butler E., op. cit., pp.30-31.

24

Come sottolinea Hartwich: «the world economic crisis of the late 1920s and early 1930s had a severe impact on Germany, not least because of war reparations. Unemployment peaked at more than six millions people in 1932, which meant a rate of 16.2 percent. Poverty was widespread, and the Weimar Republic’s political situation became more and more fragile. The parties found it impossible to secure parliamentary majorities for any of their policies, and Germany was gov-erned by emergency decrees. The crisis also strengthened the national Socialist German Work-ers Party, which would eventually sweep their Führer, Adolf Hitler, to power» (op.cit., p. 13).

25Cfr. Bonefield W., “Freedom and the strong state: on german ordoliberalism”, New Political

economy, Volume 17, Issue 5, Routledge, London, UK, 2012, pp.1-22, in particolare p.1.

http://eprints.whiterose.ac.uk/67263/1/s1_ln11019519_896202810_1939656818Hwf159526605 1IdV_172829720011019519PDF_HI0001.pdf

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17

Gli ordoliberali hanno una concezione abbastanza convenzionale di “eco-nomia libera” (free economy): con essa intendono un contesto di libero mercato caratterizzato da fattori quali: il principio di scarsità, la proprietà privata, la libertà di stipulare contratti, gli scambi tra soggetti legalmente eguali in cui ognuno persegue il proprio interesse e, infine, il meccanismo dei prezzi come strumento di interazione tra domanda e offerta.27

Tuttavia, affinché vi possa essere un siffatto tipo di economia, lo Stato non deve semplicemente lasciare che i mercati si regolino da sé, ma, al contra-rio, deve porre e far rispettare un quadro di leggi e regolamenti che assicu-rino il corretto funzionamento dei mercati stessi, i quali, se lasciati liberi di auto-regolarsi, tendono invece a degenerare portando, ad esempio, alla formazione dei monopoli; questi ultimi sono considerati come una delle maggiori minacce sia rispetto alla libertà individuale, sia rispetto all’efficienza dei mercati, ed è dovere dello Stato impedirne la formazio-ne.28 Lo “Stato forte” (strong State) è dunque una Stato vigile, attivo, che assicura le condizioni affinché vi possa essere un mercato libero e competi-tivo,29 attraverso, come già sottolineato, il contrasto ai monopoli, ma anche

27

Cfr., ivi, p.3.

28Per combattere i monopoli Rüstow propose, ad esempio, una tassazione progressiva legata

al-la grandezza e al fatturato delle aziende, o anche al-la nazionalizzazione dei settori industriali non solitamente sottoposti a un adeguato regime di concorrenza, come ad esempio il settore ferro-viario e le industrie degli armamenti (cfr. Hartwich, op.cit., p.17).

Vedi anche Jackson B., op.cit., pp. 142-144.

29 Cfr. Megay N. E., “Anti-pluralist liberalism: The german neoliberals”, Political Science

Quarterly, Vol. 85, No. 3 (Sep., 1970), pp. 422-442, in particolare pp. 425-426.

In particolare, l’autore afferma: «Briefly, (german) neoliberalism wants the government to es-tablish and maintain the economic order, namely an open, free, and competitive market

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econo-18

attraverso altri due strumenti: le “azioni conformi”, come le definisce Fou-cault,30 e la politica sociale.

Le “azioni conformi” sono quelle azioni attraverso cui lo Stato favorisce le tendenze che sono caratteristiche e fondamentali nel mercato, tra cui: la tendenza alla riduzione dei costi, e la tendenza agli aumenti di profitto. L’azione fondamentale al fine di favorire tali tendenze è una politica che abbia come obiettivo principale la stabilità dei prezzi, intesa non come fis-sità ma come controllo dell’inflazione, la quale (politica), tuttavia, dovrà concretizzarsi senza fare ricorso a strumenti di pianificazione economica, in quanto considerata deleteria per il mercato e per la libertà individuale.31 Per quanto riguarda, infine, la politica sociale, è importante sottolineare che essa non deve essere intesa come politica redistributiva finalizzata a ridurre

my, but to leave the economic process to free private decisions within that economic order.» (pp. 424-425). E ancora: «Government interventions in the economy should be "liberal," that is conforming with economic developments and the market, rather than reactionary,that is trying under pressure by interest groups to stop a long-range economic process» (pp. 425-426).

30Foucault M., op. cit., p. 121

La teoria delle “azioni conformi” è esposta in un testo postumo di Eucken, intitolato Grundsätze

der Wirtschaftspolitik (I fondamenti della politica economica).

31Il controllo dell’inflazione è l’obiettivo primario di un’azione regolatrice (le “azioni

confor-mi” si dividono in azioni regolatrici e ordinatrici), e ciò significa che obiettivi quali, ad esempio, la conservazione del potere d’acquisto, il mantenimento del pieno impiego e l’equilibrio della bilancia dei pagamenti sono tutti secondari a esso. Il controllo dell’inflazione può avvenire at-traverso la politica del credito, instaurando il tasso di sconto, oppure servendosi del commercio estero attraverso la riduzione del saldo a credito (se si vuole contenere l’ascesa dei prezzi esteri). Non si farà mai ricorso, d’altra parte, ad alcuno degli strumenti utilizzati in genere da una politi-ca di pianifipoliti-cazione, vale a dire: fissazione dei prezzi, sostegno a un determinato settore di mer-cato, creazione sistematica di posti di lavoro, o investimenti pubblici. In particolare, la politica neoliberale riguardante la disoccupazione è del tutto chiara: a prescindere dal tasso di disoccu-pazione, non si deve assolutamente intervenire in maniera diretta o essenziale, come se il pieno impego dovesse essere un principio economico da salvaguardare a tutti i costi. Ciò che bisogna salvaguardare immediatamente è, invece, la stabilità dei prezzi per l’appunto, la quale permette-rà sia il mantenimento del potere d’acquisto, sia l’esistenza di un livello d’impiego più elevato rispetto a quanto accade nelle crisi occupazionali (cfr. ivi, pp. 121-122).

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19

le diseguaglianze;32 dunque, nessun livellamento e, di conseguenza, nessun trasferimento di reddito da una categoria di individui a un’altra.33 Più in particolare, il trasferimento dei redditi è pericoloso, poiché viene prelevato da quei redditi che producono i maggiori investimenti in termini economici, e ciò può dunque causare una diminuzione di questi ultimi, con conseguen-te diminuzione della crescita economica e del benessere generale. Per cui, anziché redistribuire, lo Stato deve preoccuparsi di stimolare la crescita economica, e ciò può essere fatto solo mettendo gli individui nelle condi-zioni di poter investire, produrre, scambiare beni, e soprattutto competere gli uni con gli altri in maniera del tutto libera e volontaria;34 questo perché è la concorrenza la condizione essenziale della crescita economica, ed è so-lo quest’ultima che consente a più individui possibili di raggiungere un li-vello di reddito tale da potersi garantire contro i rischi, sia individuali, co-me malattie o incidenti, sia quelli collettivi, coco-me ad esempio i disastri.35 La concezione di politica sociale degli ordoliberali non è, dunque, legata al tema della giustizia sociale propria del socialismo o del welfare state, bensì a una idea di responsabilità dello Stato che, creando le condizioni affinché

32

Ivi, p.125.

33Questo vale come principio generale. Tuttavia, come mette in risalto Foucault, gli ordoliberali

ammettono in alcuni casi misure limitate di trasferimento dei redditi, in particolare nei confronti di coloro che, per ragioni di difficoltà permanente, si trovano in una condizione di sotto-consumo (ivi, p. 126).

34Cfr. ivi, p.127. 35Ibid.

Lo Stato, dunque, non deve accudire gli individui come la madre fa con i propri figli, ma piutto-sto deve creare le condizioni affinché gli individui, autonomamente, possano provvedere a se stessi.

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gli individui abbiano la più ampia libertà possibile di interagire all’interno dei mercati, fa sì anche di creare le condizioni affinché vi possa essere un tangibile benessere sociale.36

1.5 Friedrich August von Hayek

Friedrich August von Hayek nasce a Vienna nel 1889. Premio Nobel per l’economia nel 1974, è stato un importante esponente della Scuola di pen-siero economico austriaca, di cui fece parte anche Ludwig von Mises. Inse-gnò prima alla London School of Economics, poi all’Università di Chicago, e infine all’Università di Friburgo, da cui si ritirò nel 1968. Fu inoltre, co-me già detto , presidente della Mont Pèlerin Society dal 1948 al 1960 e tra i suoi maggiori artefici.

Nel 1944 Hayek pubblica La via della schiavitù, in cui possiamo identifica-re i primi elementi della sua teoria neo-liberale, la quale troverà una defini-tiva sistemazione in due sue opere successive: La società libera (1969) e Legge, legislazione e libertà (divisa in tre volumi pubblicati tra il 1973 e il 1979). La filosofia politica hayekiana, rispetto al concetto di neoliberalismo che a noi interessa, prende in considerazione tre tematiche fondamentali: le

36Cfr. Bonefield W., op. cit., in particolare il paragrafo Social policy: freedom and enterprise,

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differenze tra totalitarismo e società libera, il ruolo che lo Stato deve avere in quest’ultima e, infine, la concezione di democrazia.

Il regime totalitario viene inteso da Hayek come una conseguenza della pianificazione economica, al di là delle specifiche finalità che essa si po-ne.37 La pianificazione è definita come «una direzione centrale di tutte le attività economiche secondo un piano unico, il quale determini il modo in cui le risorse della società dovranno essere consapevolmente dirette per servire a particolari fini in maniera definita»38; dunque, un regime totalita-rio non è tale in quanto in esso lo Stato, ad esempio, priva i cittadini del di-ritto di scegliere i loro rappresentanti o di partecipare attivamente alle deci-sioni politiche da prendere, ma in virtù del fatto che lo Stato priva gli uo-mini del diritto di autodeterminarsi all’interno di un mercato libero e com-petitivo. In altre parole, il totalitarismo è la conseguenza della privazione della libertà economica e non della libertà politica, intesa quest’ultima

37Il totalitarismo è, in altre parole, la conseguenza necessaria del collettivismo, cioè di un

siste-ma economico in cui l’imprenditore che lavora in vista del profitto è sostituito da un organismo centrale per la pianificazione. ”Collettivismo” e pianificazione economica, dunque, assumono per Hayek lo stesso significato. Un’economia basata sulla pianificazione è il contrario di una economia basata sulla concorrenza (cfr. Hayek F.v., La via della…, pp. 77-87).

38

Cit. Hayek F.v., ivi, p.80.

La definizione di Hayek viene ripresa ed estesa da Foucault, il quale afferma: «Un piano eco-nomico è qualcosa che ha una finalità. Ad esempio, quando si ricerca esplicitamente la crescita, oppure si cerca di sviluppare un certo tipo di consumo, o di investimento, o anche quando si cerca di ridurre lo scarto tra i redditi di classi sociali diverse. In secondo luogo, in un piano ci si dà sempre, proprio in funzione dell’esistenza di questi obiettivi, la possibilità di introdurre, nel momento che si riterrà opportuno, delle correzioni, delle rettifiche (…), a seconda che l’effetto ricercato sia stato raggiunto o meno. In terzo luogo, in un piano la potenza pubblica si presenta con un ruolo di soggetto di decisioni economiche, per esempio quando si sostituisce agli indivi-dui come principio di decisione, obbligandoli ad agire in un certo modo, per esempio a non su-perare un determinato livello di retribuzione» (Foucault M., op. cit., p.145).

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me potere da parte degli individui di contare in relazione alle decisioni di pubblica utilità. Ecco che, allora, qualsiasi società in cui lo Stato si fa gui-dare da ideologie che assumono come legittima la pianificazione delle atti-vità economiche, è necessariamente una società in cui gli uomini sono de-stinati a essere ridotti a uno stato di schiavitù. Di contro, una società in cui lo Stato lascia che siano gli individui a determinare le modalità e i fini delle attività economiche, attraverso il meccanismo della concorrenza, è una so-cietà libera.

Nazismo, socialismo, comunismo, pur essendo molto diversi tra loro dal punto di vista degli ideali che propugnano, assumono tutti la pianificazione economica come mezzo per perseguire i loro fini, e di conseguenza sono tutte ideologie totalitarie.39 Il liberalismo, invece, che non è quello del lais-sez-faire, costituisce l’unica via per la realizzazione di una società libera.40 Chiarito che il totalitarismo è la conseguenza della pianificazione e la so-cietà libera della concorrenza, da ciò consegue che la funzione precipua dello Stato liberale non può che essere quella di creare le condizioni affin-ché i meccanismi propri della concorrenza possano funzionare al meglio.41

39

Cfr. Hayek F.v., La via…, pp. 69-76.

40Secondo Hayek, infatti, «Forse niente ha arrecato più danno alla causa liberale quanto l’ottusa

ignoranza di alcuni liberali su certe rozze regole empiriche, soprattutto sul principio del

laissez-faire» (cit., ivi, p. 63). C’è bisogno, dunque, non di un sistema in cui il mercato si regoli da sé,

ma di un sistema in cui lo Stato crei una cornice legale e giuridica tale da fare della concorrenza un principio di organizzazione sociale (cfr. ivi, pp.81-82).

41Questo perché la concorrenza, in condizioni favorevoli, porta all’uso di maggiori capacità e

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pri-23

Tali condizioni comprendono, in primis, l’imposizione di regole astratte, di mera condotta, e uguali per tutti, che regolino l’attività sia dello Stato che degli individui (Rule of law).42 Nelle parole di Hayek, la legge deve essere tale da far sì che

le norme possano applicarsi a un numero indefinito di casi futuri, che servano al man-tenimento di un ordine astratto i cui contenuti concreti siano imprevedibili, ma non al raggiungimento di scopi concreti e particolari e, infine, che escludano tutte le misure concernenti individui o gruppi ben identificabili.43

Data questa definizione di legge, ne consegue che l’unica forma di coerci-zione legittima da parte dello Stato sia quella finalizzata a preservare la

mo luogo, verrà prodotto ogni bene che si sa come produrre, e come vendere profittevolmente a un prezzo a cui gli acquirenti lo preferiscono alle alternative a disposizione; in secondo luogo, ogni bene verrà prodotto da individui che sanno produrlo almeno altrettanto economicamente di coloro che non si sono messi a produrlo; in terzo luogo, ogni cosa sarà venduta a prezzi inferiori a quelli cui sarebbe venduta da coloro che di fatto non si sono messi a produrlo.

La concorrenza, inoltre, è un metodo attraverso cui spingere gli uomini ad agire razionalmente e a incrementare la conoscenza collettiva. Essa è, infine, un metodo per educare gli spiriti, e il motore per il progresso della società nel suo complesso (cfr. Hayek F.v. (2010), Legge,

legisla-zione e libertà, Il Saggiatore, Milano, pp. 448-452).

42Rule of law (Governo della legge) significa che sono le leggi, e non gli uomini, a governare.

Quando obbediamo alle leggi, intese come norme generali e astratte, stabilite senza tener conto del loro applicarsi a noi, non siamo soggetti alla volontà di altri e, pertanto, siamo liberi (cfr Hayek F.v. (1969), la società libera, Vallecchi, Firenze, p. 181).

Infatti «se governare significa far obbedire gli uomini alla volontà di un altro, il governo, in una società libera, non ha un simile potere. Il cittadino, come tale, in questo senso non può essere governato (…). (Egli) può essere, tuttavia, governato, ove per governare s’intenda applicare norme generali, stabilite senza tener conto del caso particolare e applicabili a tutti nello stesso modo» (cfr. ivi, p.184).

43

Cit. Hayek F.v., Legge…, p.484.

Si tratta, a ben vedere, di un concetto di legge che definisce un ordine economico che è il con-trario di un’economia pianificata: le norme, infatti, sono anzitutto formali, nel senso che vietano alle persone determinati comportamenti (norme di mera condotta), ma non si inscrivono all’interno di una scelta economica globale. La legge, inoltre, viene concepita sotto forma di re-gole fisse, e non può essere corretta in funzione degli effetti prodotti. In terzo luogo, la legge de-finisce un quadro all’interno del quale ciascuno degli agenti economici può decidere in tutta li-bertà, dal momento che sa che il quadro legislativo fissato per la sua azione non si modificherà. In quarto luogo, la legge formale vincola tanto lo Stato quanto gli altri soggetti, consentendo a ciascuno di conoscere esattamente in che modo si comporterà la potenza pubblica (cfr. Foucault M., op. cit., p.146).

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24

bertà individuale,44 mentre è illegittima la coercizione finalizzata al perse-guimento di altri scopi quali, in primis, la realizzazione della cosiddetta giustizia sociale.45

In secondo luogo, lo Stato ha il compito di fornire alcuni servizi essenziali di pubblica utilità attraverso l’imposizione fiscale, il cui criterio di progres-sività deve essere tuttavia rigidamente controllato;46 tali servizi compren-dono anche l’istruzione e la sanità, che lo Stato non può però erogare in una condizione di monopolio, bensì in una condizione di concorrenza con i pri-vati.47 Altresì, lo Stato deve assicurare la difesa dai nemici esterni, impedire la violenza e la frode, tutelare la proprietà privata, assicurare la garanzia dei contratti e riconoscere a tutti l’eguale diritto di produrre i quantitativi e

44Detto in altri termini, la legge fa sì, attraverso la la minaccia di coercizione, di creare e

preser-vare dalla coercizione arbitraria (sia da parte dello Stato che da parte degli individui) una sfera d’azione in cui l’individuo può scegliere le proprie modalità di autodeterminazione (cfr. Hayek F.v., La società,…, pp. 29-40 e pp. 159-166). Tuttavia, la coercizione può aiutare gli uomini li-beri nel perseguimento dei propri scopi solo facendo applicare un quadro di riferimento di nor-me universali che non li dirigano verso scopi particolari, ma pernor-mettano loro di creare per se stessi una sfera protetta contro perturbazioni imprevedibili causate da altri uomini (cfr. Hayek F.v., Legge…, p.504).

45

Cfr. Hayek F.v., La società…, pp. 265-266.

46

Cfr. Hayek F.v., La società…, pp. 344-363 e Butler E.(1986), Friedrich A. Hayek , Studio Te-si ed., Pordenone, pp. 157-160.

Hayek suggerisce come norma generale quella di fissare la massima aliquota marginale

ammis-sibile a quella percentuale del reddito nazionale che il governo incamera come gettito fiscale. Vuol dire che, se il governo percepisse, diciamo, il 25% del reddito nazionale, allora il 25 % sa-rebbe anche la massima aliquota marginale dell’imposta progressiva. L’aderire a questo princi-pio provocherebbe la salutare conseguenza di far sì che tutti i bilanci dovrebbero essere prece-duti da una valutazione della percentuale di reddito nazionale che lo stato intende prendere at-traverso i tributi. Questa aliquota fornirebbe l’aliquota standard dell’imposizione diretta sui red-diti che, per i redred-diti più bassi, sarebbe ridotta proporzionalmente ai tributi pagati indirettamen-te.

47Cfr. Hayek F.v., La società…,pp. 255-256, pp.418-437.

Allo Stato inoltre compete la costruzione di strade, la fissazione di indici di misura, e molti altri tipi d’informazione che vanno dai registri catastali, mappe e statistiche, ai controlli di qualità di alcuni beni e servizi. La tassazione serve a finanziare anche questi servizi.

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25

vendere ai prezzi che ognuno vuole.48 Qualsiasi controllo sui prezzi è con-siderato illegittimo. Per quanto concerne, infine, l’emissione di moneta, Hayek ritiene in generale che essa debba essere sottoposta a un regime di concorrenza,49 in quanto i governi spesso utilizzano la politica monetaria come strumento per perseguire fini quali la redistribuzione del reddito o il raggiungimento del pieno impiego, che sono del tutto arbitrari e illegittimi, e nel fare ciò essi fanno anche sì di manipolare artificialmente i prezzi at-traverso la creazione di inflazione.

In base a ciò, come appena accennato, la soluzione migliore sarebbe privare lo Stato del monopolio della produzione di moneta, anche se ne La società libera, Hayek afferma che il problema fondamentale non è tanto quello di inserire l’emissione monetaria in un contesto di monopolio o di concorren-za , bensì far sì che essa sia rigidamente regolata dalla legge, in modo tale che non venga usata dai governi per destabilizzare i mercati attraverso l’inflazione.50

48

Cfr. Hayek F.v.,La società…, p. 262 e Hayek F.v., Legge…, pp. 428-430.

49

Dice Hayek: «Se l’abolizione del monopolio del governo portasse all’uso generalizzato di numerose monete concorrenti, questo sarebbe di per se stesso un miglioramento rispetto al mo-nopolio monetario statale, che è stato usato per ingannare e defraudare i cittadini» (Hayek F.v.,

Legge.., p.431). E poco dopo aggiunge «non vi è giustificazione per il mito, assiduamente

ali-mentato, che vi debba essere un tipo uniforme di denaro o di valuta legale all’interno di un dato territorio» (ivi, p. 432).

50Cfr. Hayek F.v., La società…, pp. 364-379.

La moneta è uno strumento essenziale per il corretto funzionamento di un mercato concorren-ziale, per cui è necessario che essa non venga utilizzata in maniera discrezionale, ma solo in piena conformità con i principi della Rule of law precedentemente elencati.

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Sono queste, dunque, le caratteristiche fondamentali di una società libera (o neoliberale, secondo la nostra riflessione) e le funzioni legittime che lo Sta-to deve espletare in essa. Si tratta, in poche parole, di un sistema in cui l’ottimizzazione della concorrenza funge da principio regolatore della so-cietà e dell’azione dello Stato in tutte le sue varianti.

Per quanto riguarda, infine, la questione della democrazia, essa, lungi dall’essere un fine in sé che lo Stato deve perseguire, costituisce semplice-mente un mezzo attraverso cui prendere decisioni, il quale è importante ma non certo fondamentale in una società libera.51 L’autocrazia, infatti, che è il contrario della democrazia, può essere perfettamente compatibile con il li-beralismo, in quanto ciò che è importante è che lo Stato segua le regole precedentemente elencate, affinché sia considerabile un’entità che esercita legittimamente il monopolio della coercizione, mentre la legittimazione da parte della maggioranza assume un’importanza del tutto secondaria, e su-bordinata al mantenimento del sistema nel suo complesso.52 Qualora

Per fare ciò, è necessario che la legge limiti al massimo l’arbitrarietà con cui i governi possono utilizzare la moneta per perseguire vari fini,(redistribuzione del reddito e raggiungimento piena occupazione in primis). In senso più ampio, la legge deve far sì, da una parte, di “proteggere” la moneta dall’arbitrio dello Stato e, dall’altra, far sì che essa si accordi ai meccanismi di un mer-cato concorrenziale in cui i prezzi sono determinati dal meccanismo della domanda e dell’offerta, e condizionati il meno possibile da fattori “artificiali”, come l’aumento arbitrario di massa monetaria, che genera inflazione. La fissazione per legge del principio del mantenimento della stabilità dei prezzi come obiettivo della produzione di moneta rappresenta, allora, la solu-zione più idonea per perseguire tali scopi.

51

Cfr. Ivi, p.130.

52

Cfr. Hayek F.v., Legge…, pp. 472-478; Hayek F.v., La società.., pp. 127-142.

La differenza fondamentale tra liberalismo e democrazia, secondo Hayek, sta nel fatto che il primo è una dottrina su cosa la legge dovrebbe essere (ossia un mezzo attraverso cui ridurre al massimo la coercizione arbitraria sull’individuo), mentre la seconda una dottrina sul modo di stabilire che cosa sia legge (attraverso il criterio della maggioranza). Stando così le cose,

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secon-27

l’opinione della maggioranza contrasti con le regole del sistema, essa deve indietreggiare, e qualora la stessa maggioranza, direttamente o attraverso i propri rappresentanti, minacci o tenti di sovvertire il sistema stesso (attra-verso il tentativo, ad esempio, di passare da un’economia concorrenziale a un’economia pianificata) diventa legittima l’instaurazione temporanea di un “potere d’emergenza” (ossia di un regime autoritario) che ristabilisca l’ordine.53

Considerando la visione che Hayek adotta rispetto al ruolo tutt’altro che in-dispensabile che la democrazia ha da avere in una società “libera”, non stu-pisce il fatto che egli assunse una posizione per niente critica e, anzi, di de-cisa ammirazione, nei confronti della dittatura militare che Augusto Pino-chet instaurò in Cile nel 1973, del tutto illegittima da un punto di vista de-mocratico, ma considerata da Hayek evidentemente necessaria per riportare

do il liberalismo è importante che la legge segua determinati principi, mentre per la democrazia il problema è far sì di rendere sempre più estesa la sfera di questioni sottoponibili al parere della maggioranza, senza preoccuparsi di porre dei limiti a tale sfera. In altre parole, la democrazia in sé (intesa come governo della maggioranza priva di limiti) rappresenta l’anticamera di un potere arbitrario. Al contrario, se vi è un sistema di leggi che limita l’arbitrio sia dei governanti che dei governati (Rule of Law), proprio della società libera che Hayek teorizza, diventa del tutto se-condaria la questione se chi detiene il potere sia eletto o no, perché a governare sono le leggi, e non gli uomini. Per cui, se a governare è la legge, anche un autocrate può detenere il potere. Da sottolineare, infine, che se il contrario della democrazia è per Hayek l’autocrazia, il contrario del liberalismo è invece il totalitarismo, il quale, quest’ultimo, è perfettamente compatibile con un regime democratico.

53Ovviamente la minaccia di passare da un’economia concorrenziale a un’economia collettivista

non costituisce l’unica cagione che giustifica l’adozione dei “poteri d’emergenza”. Infatti, ciò è giustificato altresì «quando vi è la minaccia di un nemico esterno, quando esplode la ribellione o la violenza arbitraria, o una catastrofe naturale richiede un’azione veloce eseguita con qualun-que mezzo» (Hayek F.v., Legge…p.497).

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il paese sulla “retta via”, dopo aver rischiato di sprofondare nel socialismo durante il governo di Salvador Allende.54

Come vedremo nel prossimo paragrafo, la connessione tra la dittatura cile-na e il movimento neoliberale ha un carattere tutt’altro che casuale.

1.6 Milton Friedman e i Chicago Boys

Definito dal settimanale Economist, “uno dei più influenti economisti del XX secolo”55

, Milton Friedman fu docente all’Università di Chicago dal 1946 al 1977, e nel 1976 ricevette il Premio Nobel per l’economia per “i suoi risultati nel campo dell’analisi teoria dei consumi, della storia e della teoria monetaria, e per le dimostrazioni della complessità delle politiche di stabilizzazione”56

. Fu altresì membro attivo della Mont Pèlerin Society, e presidente della stessa dal 1970 al 1972.

54Nel 1981, quando un giornalista del venezuelano Daily Journal fece una domanda ad Hayek

sui regimi totalitari in America latina, questo rispose: «Non confondiamo totalitarismo con auto-ritarismo. Non conosco alcun regime totalitario in America latina. L’unico è stato il Cile durante il governo di Salvador Allende. Il Cile (sotto il regime di Pinochet) rappresenta ora un grande successo e il mondo riconoscerà la ripresa economica cilena come uno dei grandi miracoli del nostro tempo» (cit. in Mirowski P. e Plehwe D., op. cit., p.327, traduz. nostra).

E ancora, in un’intervista a El mercurio, sempre nel 1981, Hayek afferma rispetto al Cile: «sono contro la dittatura come sistema di governo a lungo termine, ma essa può essere necessaria per un periodo di transizione (…). Personalmente, preferisco un dittatore liberale che una democra-zia illiberale. La mia impressione personale è che in Cile assisteremo alla transizione da un go-verno dittatoriale a un gogo-verno liberale…Durante questa transizione può essere necessario man-tenere certi poteri dittatoriali, non in misura permanente, bensì temporanea» ( Farrant W., McPhail E., Berger S., “Preventing the abuses of democracy: Hayek, the military usurper and transitional dictatorship in Chile?”, American Journal of Economics and Sociology, Volume 71, Issue 3, pp. 513–538, July 2012; cit. p.521, traduz. nostra).

55

Milton Friedman, an enduring legacy”, The Economist,, Nov.17th 2006, vedi

http://www.economist.com/node/8190872

56Cfr. "The Sveriges Riksbank Prize in Economic Sciences in Memory of Alfred Nobel 1976".

Nobelprize.org. Nobel Media AB 2014. Web. 10 Jan 2015.

(29)

29

Proprio come Hayek, anche Friedman pone al centro del suo pensiero la questione della libertà individuale e, in Capitalismo e libertà (1962) e Li-beri di scegliere (1980), esplicita quali debbono essere le condizioni essen-ziali di una società libera, assumendo come punto di riferimento concreto per le sue riflessioni, il caso degli Stati Uniti.

Partendo da un’idea di libertà intesa come “libertà negativa” (si è tanto più liberi quanto più estesi sono gli ambiti in cui le scelte individuali non sono soggette a coercizione da parte di altri)57, l’economista statunitense ritiene che il fine precipuo da perseguire da parte dello stato sia di massimizzare tale libertà attraverso, anzitutto, la creazione delle condizioni affinché vi possa essere un’economia di mercato concorrenziale.58

La libertà economica è, infatti, la condizione essenziale della libertà politi-ca.59 In altre parole

Considerati nella loro qualità di mezzi per raggiungere il fine della libertà politica, gli ordinamenti economici sono importanti in virtù del loro effetto sulla concentrazione o sulla dispersione del potere. Il tipo di organizzazione economica che offre direttamente la libertà economica, vale a dire il capitalismo fondato sulla concorrenza, favorisce la

57

Cfr. Friedman M. (2014), Capitalismo e libertà, IBL Libri, Torino, pp.47-48.

58Cfr. ivi, p. 51. 59

La libertà economica si compone di tre fattori essenziali; in primis, la libertà di scegliere come impiegare il nostro reddito: quanto spendere per noi e in che cosa, quanto risparmiare e in che forma, quanto regalare e a chi. Il secondo fattore è la libertà di usare le risorse che possediamo in armonia con i nostri valori: libertà di intraprendere qualsiasi lavoro, di impegnarsi in qualsiasi iniziativa economica, di comperare e vendere a chiunque, fintanto che ciò avviene su basi rigo-rosamente volontarie, senza ricorso alla forza per costringere gli altri. Infine, c’è la libertà di es-sere proprietari (cfr. Friedman M., Friedman R., Liberi di scegliere, IBL Libri, Torino, 2013, pp. 107-109).

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30 libertà politica perché separa il potere economico dal potere politico, e in tal modo fa sì che l’uno possa contrastare l’altro.60

Poiché lo stato rappresenta la minaccia maggiore nei confronti della libertà dell’individuo, è fondamentale restringere al massimo gli ambiti in cui lo stato stesso possa esercitare misure coercitive, e il mercato assume anzitut-to tale compianzitut-to poiché, attraverso la libera cooperazione tra individui, esso riduce l’area sulla quale si esercita il potere politico.61

Il mercato, dunque, serve a limitare il potere dello stato sull’individuo, e lo fa creando uno spa-zio di cooperaspa-zione non soggetto a interferenze esterne.62

Tuttavia, come già visto nell’ordoliberalismo e in Hayek, pur non potendo intervenire in maniera diretta nel mercato, il ruolo dello stato è fondamen-tale in quanto entità che pone le regole per il buon funzionamento del mer-cato stesso. Gli interventi legislativi in questo senso sono molteplici,63 e nel

60Cit. Friedman M, op.cit. p.43

61Cfr. Friedman M., Friedman R., op. cit., p. 35. 62Cfr. Friedman M., op.cit., pp. 48-52 e pp. 61-64.

Secondo la visione di Friedman, vi sono solo due possibilità per coordinare le attività economi-che di milioni di individui: la prima consiste nella direzione centralizzata tramite ricorso alla coercizione, ossia il metodo utilizzato dagli eserciti e dai moderni stati totalitari. La seconda è la cooperazione volontaria degli individui, vale a dire il metodo che sottende il libero mercato. La collaborazione volontaria si fonda sul concetto che entrambe le parti di una transazione econo-mica traggono beneficio da essa, a patto che tale transazione sia per entrambi volontaria appun-to, e basata su informazioni adeguate. Lo scambio, quindi, permette di coordinare le azioni degli individui senza necessità di coercizione, ed esso sta alla base del cosiddetto capitalismo in regi-me di concorrenza.

63Cfr. ivi, p.77.

In particolare, lo stato deve mantenere la legge e l’ordine, definire i diritti di proprietà, servire da strumento per la ridefinizione di tali diritti e delle altre regole del gioco economico, fungere da arbitro in merito ai conflitti relativi all’interpretazione delle regole, far rispettare i termini dei contratti, offrire un quadro di riferimento monetario. Il governo potrebbe inoltre operare per contrastare i monopoli naturali e affiancare gli enti privati di beneficenza nella tutela degli indi-vidui irresponsabili (pazzi e fanciulli).

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31

complesso sono accostabili a quelli proposti da Hayek,64 anche se non mancano differenze, pure marcate, fra i due autori, soprattutto per quanto riguarda questioni quali la politica monetaria, la tassazione e la redistribu-zione del reddito.65 Al di là delle differenze, però, sia Hayek che Friedman (così come gli ordoliberali) condividono una decisa preoccupazione nei confronti di un potere politico considerato sempre più invadente e pervasi-vo nell’ambito dell’economia, e ritengono che, attraverso la legge, si possa porre una serie di regole che limitino fortemente gli interventi pubblici nel mercato, massimizzando in tal modo la libertà economica degli individui, la quale può così esprimersi attraverso l’estensione del principio della

64Sia Hayek che Friedman propongono interventi che fanno dello Stato il supremo garante e

protettore dei meccanismi del libero mercato. A parte gli interventi menzionati nella nota prece-dente, i due autori concordano sulla necessità di porre sanità e istruzione in un regime di concor-renza (per posizione Friedman a riguardo, cfr. Friedman M. e Friedman R., op.cit., pp. 164-172: Friedman M., op. cit., pp. 143-173), e in generale sono entrambi contro qualsiasi forma di piani-ficazione economica centralizzata.

65 Per quanto riguarda la tassazione, come visto, Hayek è favorevole all’adozione di un lieve

principio di progressività, mentre Friedman propone un sistema fiscale interamente basato su un’imposta ad aliquota unica (flat tax) del 23,5%, da applicare a qualsiasi reddito superiore a una certa soglia (cfr. Friedman M., op. cit., pp.260-261).

Relativamente alla redistribuzione del reddito, Friedman è a favore dell’introduzione di una

Ne-gative income tax (Imposta negativa sul reddito) per combattere la povertà. Si tratta, in poche

parole, di stabilire una soglia di reddito minima, e di erogare a tutti coloro che sono al di sotto di tale soglia un sussidio che copra in parte la differenza tra il loro reddito e la soglia stessa (cfr. Friedman M., op. cit., pp. 285-286). L’imposta negativa sul reddito dovrebbe sostituire tutte le forme di assistenzialismo da parte dello Stato, ed è positiva in quanto riduce fortemente il peso del settore pubblico nell’economia, è equa (ossia non va a favorire gruppi specifici a discapito di altri, come spesso succede con le misure di welfare, ma tutti i poveri), e favorisce la libertà individuale (in quanto il sussidio è in contanti e l’individuo può gestirlo come meglio crede). Hayek, a differenza di Friedman, ci risulta non proponga alcun intervento specifico da parte del-lo Stato per combattere la povertà.

Infine, per quanto riguarda la questione della moneta, sia Friedman che Hayek pongono in pri-mo piano la necessità di stabilire delle leggi precise che facciano sì di evitare che la politica monetaria diventi uno strumento per fini arbitrari, ed entrambi considerano l’inflazione come un qualcosa da evitare attraverso una politica monetaria accorta (per posizione Friedman, cfr. Friedman M., op. cit., pp. 98-99). Hayek, tuttavia, auspica la denazionalizzazione della moneta e il porre quest’ultima in un regime di concorrenza fra le possibili soluzioni, mentre Friedman si concentra sulla necessità di stabilire per legge un andamento della massa monetaria che sia mantenuto costante da parte della Banca centrale (Friedman M., op. cit., pp.81-103).

(32)

32

correnza (regolata dal meccanismo dei prezzi), a più ambiti e attività possi-bili.

In Liberi di scegliere, Friedman arriva addirittura a delineare una una Di-chiarazione dei diritti economici, in cui elenca una serie di principi legisla-tivi da adottare, proprio per proteggere gli individui (nella sfera delle loro attività economiche) da interventi illegittimi da parte dei governi. Essi comprendono, tra gli altri: il divieto da parte dello stato di porre limitazioni a importazioni o esportazioni, il divieto di porre controlli su prezzi e salari, il divieto di istituire una tassazione di tipo progressivo, e il divieto di usare la politica monetaria per produrre inflazione.66 A favore della libertà eco-nomica sono anche altri due interventi, quali: l’istituzione di un sistema di tassi di cambio flessibili e la privatizzazione del sistema pensionistico.67 Si diceva nel paragrafo precedente che l’accostamento tra il movimento neoliberale e il regime dittatoriale di Augusto Pinochet è tutt’altro che ca-suale, e ciò non semplicemente in virtù del coinvolgimento marginale e in-diretto di Hayek,68 ma soprattutto in quanto il pensiero economico di

66

Cfr. Friedman M., Friedman R., op. cit., pp. 396-402.

67

Cfr. Friedman M., op. cit., p.124 e pp. 272-282.

68

A parte gli apprezzamenti, già citati, da parte del filosofo austriaco nei confronti del modello cileno, Fisher fa notare che la Costituzione emanata in Cile nel 1981 risente molto dell’influenza del pensiero di Hayek (cfr. Mirowski e Plehwe, pp. 326-329). Altresì, Hayek si recò due volte in Cile: nel 1977 e nel 1981. La prima volta ricevette una laurea honoris causa presso la Universidad Técnica Federico Santa María, ed ebbe un colloquio con Pinochet, esprimendo giudizi positivi sulle riforme economiche del regime, e tacendo sulla totale mancan-za di democrazia e sui metodi repressivi utilizmancan-zati in esso. La seconda volta fu invitato da Jorge Cauas, presidente del Banco de Santiago, e venne nominato Presidente onorario del Centro de

Estudios Pùblicos (CEP), un think tank liberale che si ispirava alla idea hayekiana di “società

(33)

“Frie-33

Friedman ha fortemente influenzato il modo in cui è stata concepita la tra-sformazione dell’economia cilena durante quel periodo: Pinochet, infatti, non solo chiese personalmente a Friedman consigli sul tipo di riforme eco-nomiche da adottare,69 ma incamerò nella sua giunta un rilevante numero di economisti cileni (i cosiddetti Chicago boys) che si erano precedentemente formati all’Università di Chicago sotto gli insegnamenti di Friedman stes-so.70 Così, influenzato dalle idee dell’economista statunitense, e grazie al coinvolgimento attivo dei Chicago boys, Pinochet poté dar vita alla forma-zione del primo autentico Stato neoliberale (i cui caratteri essenziali ver-ranno analizzati successivamente), prima della sua implementazione, sep-pur nell’ambito di condizioni sociali e politiche differenti, in Europa e negli U.SA con Margaret Thatcher e Ronald Reagan.

1.7. Conclusioni

In questo primo capitolo abbiamo analizzato il neoliberalismo nella sua dimensione teorica, identificando la Mont Pèlerin Society, di cui il

drich Hayek and his visits to Chile”, Center for the History of political economy, CHOPE Working paper No 2014/12, Aug.2014, pp. 1-61),

vedi http://hope.econ.duke.edu/sites/default/files/Hayek%20and%20Chile-version11%20%282%29.pdf).

69 Per la consultazione della corrispondenza integrale fra Friedman e Pinochet vedi

http://wwww.naomiklein.org/files/resources/pdfs/friedman-pinochet-letters.pdf

70 Cfr. Silva P., “Technocrats and politics in Chile: from the Chicago boys to the CIEPLAN

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