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2. Acquisizioni di terra su larga scala: un quadro dal 2008 a oggi

2.7 Le conseguenze delle acquisizioni di terra su larga scala per le comunità rurali

2.7.2 Impatti sociali

L’impatto più immediato associato alle acquisizioni di terra su larga scala è la perdita di accesso e in alcuni casi il trasferimento forzato delle comunità che vivevano sulle terre oggetto del progetto di investimento. Nonostante molti accordi garantiscano alle popolazioni locali il diritto di permanere nelle proprie case, l’acquisizione del terreno da parte di un soggetto terzo implica la perdita della possibilità di utilizzare le aree precedentemente destinate alla coltivazione, al pascolo, alla pesca e alla raccolta di legna, oltre che l’accesso alle risorse idriche (Zoli, Sensi, 2014). La perdita di accesso (dispossession) delle terre comporta effetti potenzialmente gravi nel caso di gruppi sociali particolarmente vulnerabili, la cui sopravvivenza è in larga misura dipendente da pratiche di agricoltura di sussistenza. I soggetti maggiormente colpiti dal fenomeno risultano essere quelli storicamente meno tutelati e fortemente dipendenti dalle risorse in questione, come le donne e le popolazioni indigene (Rea, 2013).

Le donne svolgono un ruolo centrale nei sistemi agricoli di tutto il mondo e sono anche i soggetti più vulnerabili nel caso di land grabbing. Esiste un legame diretto tra la disponibilità di un accesso sicuro alla terra e la possibilità di godere di diritti come l’istruzione e la libertà dalla violenza, oltre alla possibilità di liberarsi da una situazione di continua sottomissione all’interno della società. In genere le donne affrontano una discriminazione sistematica in termini di accesso, proprietà e controllo sulla terra e molto spesso non hanno alcuna influenza nei meccanismi decisionali e di potere economico. Nei casi di accaparramenti di terra o di cambiamento nella destinazione d’uso delle superfici agricole, sono generalmente gli uomini ad assumere il controllo delle decisioni, mentre le donne vengono relegate ai lavori peggiori. In molti casi, la mancanza di accesso alla terra costringe le donne a lavorare come braccianti nelle fattorie, dove percepiscono un compenso inferiore a quello degli uomini e spesso sono soggette a discriminazione, molestie e violenze sessuali. Spesso le donne hanno anche il compito di procurare foraggio, combustibile, acqua e risorse aggiuntive da destinare alla vendita, e per questa ragione sono più vulnerabili alla perdita di accesso alle terre comuni. In altri casi, le donne finiscono con l’avere la completa responsabilità del mantenimento dei figli e della gestione della casa, quando gli uomini sono costretti a migrare alla ricerca di un lavoro per avere perso ogni capacità di sussistenza legata all’uso della terra. Anche in caso di conflitti sulla terra, le donne rischiano di avere la peggio: la legislazione è spesso discriminatoria e le donne hanno pochissime opportunità di essere coinvolte nei processi decisionali che riguardano i contratti, i progetti o la nuova legislazione (Zagema, 2011).

Uno degli elementi più emblematici e contraddittori del fenomeno delle acquisizioni su larga scala riguarda i diritti di proprietà delle popolazioni locali che sono fortemente vincolati a sistemi giuridici consuetudinari formalmente non riconosciuti e quindi poco tutelati. In Africa Sub-sahariana solamente il 10% delle terre rurali è soggetta a titoli legali di proprietà, mentre il restante è posseduta in base a diritti consuetudinari e adibita a culture tradizionali e al pascolo (Anseeuw et al., 2012). Quest’ultima viene spesso erroneamente descritta come marginale, inutilizzata, caratterizzata da una bassa o nulla densità di popolazione, soggetta all’improduttività o all’abbandono. La diffusione di una forviante retorica sulla disponibilità di terre marginali ha alimentato l’interesse degli investitori circa le opportunità di sfruttamento di una risorsa la cui domanda è in crescente aumento. Dall’altra parte, spesso sono le agenzie nazionali per gli investimenti a utilizzare il tema della grande disponibilità di terre inutilizzate per attirare i capitali stranieri. Alcuni casi studio hanno evidenziato la tendenza dei governi locali nell’utilizzare criteri di classificazione del territorio non del tutto ineccepibili, ma piuttosto legati alla volontà di individuare grandi superfici inutilizzate e da destinare agli investimenti stranieri. Un esempio è il caso della Tanzania, dove è emerso che il censimento commissionato dal Ministero dell’Agricoltura con l’obiettivo di classificare le superfici da destinare agli investimenti, fosse in realtà pesantemente influenzato da pressioni politiche e imprenditoriali per favorire l’emergere di dati a favore dell’esistenza di ampie superfici disponibili e inutilizzate (Rea, 2013). Altri studi hanno fatto emergere come spesso le terre non coltivate che rappresentano un obiettivo degli investitori, in realtà appartengano a foreste, savane, praterie o paludi che rappresentano una fonte di sostentamento per le comunità locali che raccolgono legame frutta, piante medicinali o cacciano e pascolano gli animali (Anseeuw et al., 2012). È quindi evidente come l’accaparramento di terra su un territorio occupato implichi necessariamente la perdita dei diritti di uso per la popolazione locale, così come la fonte primaria di reddito, alimentazione e di sussistenza. Anche il Global Hunger Index 2012 evidenzia una relazione diretta tra la mancanza di accesso alla terra coltivabile e l’aumento dell’insicurezza alimentare (ActionAid, 2012).

Trovo particolarmente significativo concludere questa analisi delle conseguenze negative del fenomeno del land grabbing sulle comunità rurali con la presentazione di alcuni elementi emersi nella ricerca sul capo realizzata dall’organizzazione internazionale ActionAid47 in Sierra Leone. La ricerca è stata realizzata con l’obiettivo 47 ActionAid è un’organizzazione internazionale indipendente presente in oltre 40 paesi che, insieme

di approfondire il reale l’impatto sui diritti e sulla sussistenza delle popolazioni locali di un progetto presentato alla comunità internazionale come un modello di investimento sostenibile per la produzione di biocarburante. In particolare, il progetto è stato sviluppato nei pressi di Makeni, da una sussidiaria dell’impresa svizzera Addax Petroleum, per la produzione di etanolo da canna da zucchero da destinare al mercato europeo, grazie a finanziamenti provenienti dalla Banca Africana di Sviluppo e da fondi di sviluppo europeo (inclusi quelli di Regno Unito, Paesi Bassi, Svezia, Belgio, Germania e Svizzera). Il progetto copre una superficie complessiva di 14.300 ettari, 10.000 dei quali dedicati alla produzione e il resto occupati dall’impianto di trasformazione e dall’infrastruttura collegata (incluso un impianto di generazione di energia), dai campi creati per la coltivazione del riso e dalle aree per la conservazione ecologica. Nel luglio 2013, ActionAid ha intervistato 100 persone in 10 villaggi: il 99% ha dichiarato una grave diffusione dell’insicurezza alimentare nell’area di progetto e la diminuzione della produzione di cibo. Per il 90% degli intervistati tale situazione è legata ai conflitti per la terra tra le comunità locali e l’impresa. Il 93% ha dichiarato che per realizzare il progetto erano state utilizzate le boliland, le principali aree pianeggianti destinate alla coltivazione del riso. Il 78% degli intervistati ha dichiarato di non aver mai visionato l’accordo di locazione e l’85% di non aver dato il proprio consenso preventivo a che la propria terra venisse presa o di non aver ricevuto informazioni adeguate su vantaggi e svantaggi del progetto. L’82% ha dichiarato di essere nel complesso insoddisfatto delle attività della Addax, mentre soltanto 22 persone delle famiglie allargate dei 100 intervistati sono state assunte su base permanente nella piantagione e di queste, solo due erano donne. Oltre ai gravi impatti sui diritti e sulla sicurezza alimentare delle popolazioni coinvolte, ActionAid evidenzia come il progetto sia un investimento discutibile anche per il governo della Sierra Leone, poiché da un recente rapporto sugli incentivi concessi alla Addax emerge una possibile perdita nelle entrate governative pari a 140 milioni di dollari nel periodo 2013-2020 (ActionAid, 2014).