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Le piantagioni di zucchero della Illovo Sugar

2. Acquisizioni di terra su larga scala: un quadro dal 2008 a oggi

4.2 Malawi

4.2.1 Le piantagioni di zucchero della Illovo Sugar

La Illovo Sugar Limited ha due progetti principali in Malawi, uno nel distretto di Nkhotakota nella regione centrale e l’altro nel distretto di Chikhwawa al sud. Chikhwawa (che significa ‘delta’ nel dialetto locale) è una zona con ottimo terreno arabile ai lati del fiume Shire River, che scorre fino a sfociare nell’Oceano Indiano. La Illovo Sugar (Malawi) Ltd vende melassa alle aziende del paese per produrre etanolo. La società produce in loco elettricità dalla biomassa, lo stretto necessario a soddisfare il consumo della struttura. Il sottoprodotto della melassa è lavorato dalla Press Cane Ltd. e dalla Ethanol Company che insieme producono circa 18 milioni di litri di etanolo. Il 50% circa della produzione annuale viene miscelato con la benzina per il mercato locale di carburante. L’altra metà viene esportata verso l’Africa Orientale e paesi limitrofi. Secondo i lavoratori della piantagione, la Illovo è un’azienda sudafricana, il che è solo in parte corretto. Oggi, Illovo è il più grande produttore di zucchero (e quello a minor costo a livello mondiale) con ampie risorse agricole e manifatturiere in sei paesi sudafricani; produce più di sei milioni di tonnellate di canna da zucchero e due milioni di tonnellate di zucchero all’anno. Pur essendo sudafricana, è in realtà di proprietà della Associated British Foods che possiede il 51% del pacchetto azionario della compagnia. Attualmente le vendite nei mercati dei paesi in cui il gruppo opera rappresentano il 66% delle entrate totali. Le vendite verso i mercati preferenziali in Europa e Stati Uniti, insieme a quelle verso i mercati regionali in Africa, rappresentano un altro mercato redditizio per la compagnia, così come le massicce esportazioni di materiale grezzo in tutto il mondo, venduto a nome dell’azienda attraverso la SASA. Sommate insieme queste entrate, realizzate in 29 paesi, rappresentano il 34% del totale. L’impegno della Illovo in Malawi in tema di responsabilità sociale di impresa viene portato avanti col piano strategico del Gruppo, che stabilisce che la compagnia, nel perseguire i propri affari, si renda al contempo ben voluta dalle comunità presso le quali opera. Istruzione e assistenza sanitaria per i dipendenti, i familiari a carico e le comunità del circondario sono fra i progetti previsti

in termini di responsabilità sociale di impresa della Illovo. A questo scopo le due strutture dell’azienda forniscono istituti scolastici e ambulatori medici per oltre 10.000 dipendenti ed i loro familiari a carico, e facendo un calcolo si stima che, nel momento culminante del raccolto, nelle due tenute dell’azienda vivano oltre 70.000 persone. Entrambe hanno a disposizione, a tempo pieno, un medico qualificato assistito da personale infermieristico professionale. L’assistenza sanitaria materna e infantile rientra nei servizi offerti dalle 12 cliniche della Illovo, che sorreggono lo sforzo del governo di assicurare una sana maternità. In quelle di Nchalo si va dalle 75 alle 100 nascite al mese in media, mentre presso la clinica di Dwangwa la media è di 58 nascite al mese. Tutti i parti sono assistiti da personale qualificato. Le cliniche della Illovo si occupano anche di casi provenienti dai villaggi circostanti; le donne, infatti, possono partorire lì senza costi a carico, come parte della responsabilità sociale di impresa del gruppo. Inoltre l’azienda dona attrezzature mediche a vari ospedali che si occupano di salute materna e infantile. Ad esempio, nel febbraio del 2010 la Illovo Malawi ha donato attrezzature per un valore di circa 5 milioni di Kwacha a supporto dell’iniziativa del Makuwira Health Centre for Safe motherhood, precedentemente sostenuta dal vicepresidente del Malawi. L’azienda ha 8 scuole elementari nelle sue tenute, frequentate da oltre 13.000 bambini. Le rifornisce di banchi, elettricità e nuove aule ove è possibile. Riguardo ai piani di sviluppo delle comunità, la Illovo, insieme all’African Economic Challenge Fund ha intrapreso progetti agricoli con la supervisione di un fondo fiduciario che sovrintenderà alla coltivazione della canna da zucchero, da vendere alla Illovo, sui terreni della comunità. Il guadagno realizzato dai ricavi sarà utilizzato per progetti di sviluppo comunitario stabiliti dal Fondo.

La popolazione di Thom Chipakuza è coinvolta in dispute fondiarie con l’azienda produttrice di zucchero da più di un decennio. Il capo tribù, Nickson Stasha, ha spiegato che nel 1974, la Lonrho ha pagato agli abitanti del villaggio metà della terra, così alcuni partirono e si sistemarono su terreni concessi dal governo all’interno del distretto. Coloro che aspettavano il pagamento rimasero sui loro terreni, ma a loro insaputa questi furono rivenduti ad un’altra azienda, la Illovo Sugar, che li sfrattò nel 2009 e li risarcì soltanto per le abitazioni ed il raccolto nei campi. Un abitante del villaggio ha ricevuto 583,00 dollari americani come compensazione per il raccolto, ma ora non ha più un terreno su cui coltivare qualcosa per nutrire la famiglia.

Con l’aumentare della domanda di zucchero come alimento e come carburante, è probabile che le piantagioni di zucchero si espanderanno. C’è stato un aumento nella produzione di zucchero nei distretti di Chikhwawa e di Nikhotakota a seguito di questa

politica espansiva verso le piccole tenute; ancor più preoccupante è l’espandersi dei confini delle piantagioni verso le piccole aziende agricole adiacenti.

4.2.2 La protezione giuridica delle comunità

La politica fondiaria nazionale del 2002 ha previsto di porre rimedio alla situazione precaria dei piccoli coltivatori permettendo loro di registrare le loro terre consuetudinarie come proprietà privata. Ma perché questo diventi legge, occorrono modifiche legislative che sono state bloccate e che attendono l’approvazione parlamentare (Bureau of Economic and Business Affairs, 2015).

Il quadro legislativo del paese risulta essere vago, tranne nel caso del diritto consuetudinario. La legge fondiaria in vigore stabilisce che la terra sottoposta a regime proprietario consuetudinario sia amministrata con le norme di diritto consuetudinario accettate zona per zona. Ne consegue una discrepanza con lo spirito costituzionale (1994), il che rappresenta un dato positivo e negativo al contempo. La Costituzione non fa riferimento alla necessità di consultarla, alla sicurezza della proprietà o a specifici diritti sulla terra per le donne. Il sistema consuetudinario è però di natura fortemente patriarcale, e nega i diritti femminili sulla terra, assegnando poteri fortemente discrezionali alle autorità tradizionali, soprattutto nelle aree rurali. Esiste una corte costituzionale, ma è priva di legittimità a livello locale ed è percepita come favorevole all’élite urbana. E’ complesso accedervi e tutto il meccanismo è fortemente burocratizzato (Chinsinga, senza data).

Le strutture istituzionali esistenti poggiano su norme e pratiche consuetudinarie e gli arbitri nelle dispute fondiarie sono i capi tribali.

La politica fondiaria propone meccanismi più progressivi per mediare e indennizzare, tramite un approccio più rispettoso dei diritti umani, ma non sono ancora operativi. Il Ministro del Territorio, delle Politiche Abitative e dello Sviluppo Urbano è nominalmente incaricato di rendere effettiva la legislazione, ma si concentra prevalentemente sulla gestione delle terre pubbliche e private ed evita quasi totalmente di occuparsi dei terreni consuetudinari. Il motivo risiede, storicamente, nella scarsa volontà politica e nelle risorse limitate per contrastare le pratiche consuetudinarie in modo da scuotere le autorità tradizionali (Alden, 2000). Il comitato parlamentare dell’Agricoltura e delle Risorse Naturali si è occupato prevalentemente di agricoltura e non di gestione del territorio o di riforme.

legali non sono allineati. Le Leggi Fondiarie (1965) non sono state armonizzate con la Politica Fondiaria Nazionale progressiva (2002), che risulta così difficile da mettere in pratica. La revisione della Legge Fondiaria, che permetterebbe di trasformare la politica in legge, è bloccata da diversi anni (ibidem).

Oltre alla discrepanza tra la legislazione e la possibilità di metterla in pratica, vi sono dinamiche tra la politica locale e quella nazionale che riflettono i sistemi consuetudinari di possesso e impediscono che le leggi vengano attuate. C’è una scarsa volontà politica in questo senso e le autorità locali detengono ancora molto potere, a garanzia del mantenimento dello status quo in tema fondiario. Questa situazione, cui si aggiunge una scarsa consapevolezza dei diritti in materia, impedisce che si realizzi quanto stabilito sulla carta e richiede una gestione del tema su basi maggiormente egualitarie (Chisinga, 2009).

A livello nazionale l’affitto della terra è sancito dal ministero ma in pratica il 66 % della terra viene amministrato dai capi locali a nome del governo. Essi detengono saldamente il potere in termini di amministrazione della terra e a livello politico, visto che sollecitano voti a favore dei partiti politici durante le elezioni, partiti che poi appoggiano una volta eletti. Questa gestione clientelare rende difficile per il governo, anche se detiene la maggioranza in entrambe le camere, portare avanti la legge fondiaria che limiterebbe il potere dei capi locali. Il rischio di manipolazione e corruzione dei leaders è alto, e le comunità locali intanto godono solo dei diritti in quanto utilizzatori del terreno (IRIN, 2012).

C’è una forte connessione tra l’élite politica del Malawi e i modelli alla base del diritto di proprietà ed uso commerciale della terra. Dai tempi della corsa verso l’agricoltura post coloniale, si è verificato un processo caratterizzato dall’assegnazione di terra alle élite locali che ha reso difficile l’accesso alla terra per chi era privo di contatti a livello politico, con conseguente rafforzamento del sistema clientelare in materia (Farm land grab, 2009).

Le pressioni politiche nell’ambito dei sistemi consuetudinari facilitano il passaggio delle terre da consuetudinarie a pubbliche o private, senza salvaguardare la comunità che la stava utilizzando e che su di essa basava il proprio sostentamento. Nei contesti urbani, il processo di acquisizione della terra è così complesso da aprire la strada a pratiche di corruzione e a pesanti condizionamenti (Business Anti-Corruption Portal, 2012).

4.2.3 L’uguaglianza di genere

Il Malawi non possiede dati statistici disaggregati per sesso in materia fondiaria su base nazionale. L’amministrazione e la gestione della terra sono basate su criteri fondamentalmente consuetudinari e patriarcali. I diritti delle donne sulla terra esistono sulla carta, ma nella pratica non sono riconosciuti. Nelle aree urbane, dove vive il 20% della popolazione, la situazione sta cambiando. Qui il Ministero raccoglie dati statistici disaggregati per sesso in materia fondiaria (CIA Factbook, 2012).

Tuttavia poche donne hanno delle terre a loro intestate, il che è contrario sia alla costituzione sia alla legge suprema, che riconosce alle donne il diritto di proprietà. L’arcaica legge fondiaria nazionale è lesiva dei diritti umani e delle aspirazioni socio- politiche delle donne, specie di quelle che dipendono dalla coltivazione della terra. A livello locale, l’amministrazione della terra è nelle mani di capi locali, la maggior parte dei quali ignora che le leggi statutarie difendono i diritti delle donne in merito.

La politica fondiaria (2002) trattava esplicitamente l’importanza dei diritti femminili sulla terra, e quindi istituirla è il primo passo per assicurare che questi diritti siano difesi nella legislazione (Social Institutions and Gender Index, 2012).

A causa delle difficoltà economiche del paese, le donne sono in condizioni di povertà ed analfabetismo, e pertanto restano lontane dalla possibilità di essere informate e tutelate legalmente. Per questa ragione la Commissione ha evidenziato la necessità che il parlamento approvi la Nuova Politica Nazionale di Genere, in sostituzione della precedente valida fino al 2005. Nelle famiglie a modello patrilineare, quando la donna divorzia deve lasciare la comunità senza aver diritto ad alcuna proprietà. Questo problema si collega all’interpretazione dell’Alta Corte che il solo fatto di sposarsi non implica che la proprietà sarà equamente suddivisa tra marito e moglie dopo il divorzio (CEDAW, 2010; Nidhi Tandon, 2010). Una strategia congiunta, che preveda programmi di educazione civica, potrebbe contribuire all’applicazione della legislazione.