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Una volta analizzati i profili generali del processo di due diligence, in particolare, dopo aver compreso come esso possa configurarsi in maniera diversa a seconda del caso operativo concreto a cui viene applicato, dopo aver inteso la pluralità delle funzioni che può assolvere e dopo aver rilevato quale è il modus operandi, nonché la programmazione dell’incarico degli advisors del potenziale acquirente, si esamina l’attività di due

diligence dal punto di vista strettamente giuridico. In questo paragrafo verranno illustrati

alcuni dei profili più significativi delle implicazioni giuridiche del processo di due

diligence, successivamente all’analisi avvenuta nell’ambito del capitolo 1 di quelli, per

così dire, propriamente98 precontrattuali.

In primo luogo, si consideri il caso in cui il potenziale acquirente non sia una persona fisica, ma una società di capitali (dotata della personalità giuridica). Lo svolgimento dell’attività di due diligence in tal caso può assumere una certa rilevanza nei rapporti tra la società (potenziale acquirente) ed il suo amministratore od i suoi amministratori. In

97 A proposito della preparazione dell’attività di due diligence si veda: D. Martinazzoli, G. Gagliardi, Manuale di due diligence, op. cit., pp. 30 – 34; A. Motta, R. Lupi, Manuale delle acquisizioni di imprese, op. cit., pp. 243 – 244.

98 In particolare, si fa riferimento agli aspetti di natura giuridica relativi, in generale, all’operazione di

acquisizione di partecipazioni sociali, più precisamente, alle tante problematiche approfondite nel capitolo primo della nostra trattazione, riguardanti: 1) la mancanza nell’ordinamento italiano del corpus di norme che disciplini specificatamente il contratto di compravendita di partecipazioni sociali, nonché quelle sulle garanzie a tutela delle parti coinvolte in questo tipo di operazione; 2) i profili di responsabilità precontrattuale delle parti alla luce del generale principio di buona fede, ex art. 1337 c.c.; 3) il recesso dalle trattative; etc.

71 particolare, è possibile escludere l’ipotesi di responsabilità in capo a quest’ultimi soggetti (nei confronti della società e dei suoi soci) quando l’affare considerato si sia rivelato meno conveniente e prima della stipulazione del relativo contratto definitivo gli amministratori abbiano fatto affidamento alle risultanze della due diligence esperita dagli advisors esterni. Questo è l’orientamento della Corte d’appello di Milano99 che ha enunciato l’esclusione della responsabilità dell’amministratore di una società acquirente nel caso della stipulazione di un affare rivelatosi meno vantaggioso, poiché questi aveva usufruito dei servizi di una nota società di consulenza e, sulla base delle conclusioni dell’attività di

due diligence svolta da quest’ultima, aveva stipulato il contratto di compravendita di

partecipazioni sociali, che non ha prodotto in seguito i vantaggi prospettati e voluti. Per converso, è possibile affermare la responsabilità degli amministratori nel caso del mancato esperimento della due diligence, soprattutto se l’affare posto in essere non si sia rivelato vantaggioso e redditizio. E questo perché parte della dottrina maggioritaria, pur non potendosi qualificare come un obbligo l’esecuzione della due diligence, riconosce che questo sia un elemento ormai irrinunciabile nell’ambito delle trattative sull’operazione di compravendita di partecipazioni100. Infatti, anche in assenza di un obbligo di legge all’esecuzione dell’attività di due diligence, dal momento che si riconosce la piena libertà delle parti nella determinazione delle modalità di svolgimento delle trattative fra di loro e dal momento che il processo di due diligence costituisce ad oggi la prassi comune, si ritiene che l’esperimento o meno di tale attività d’indagine possa essere rilevante nell’ambito della valutazione della figura dell’amministratore diligente.

99 Si fa riferimento alla pronuncia della Corte d’appello civile di Milano del 30 marzo 2001 sulla

controversia tra RCS Editori S.p.a. v Fattori (nell’ambito dell’acquisizione del Gruppo Editoriale Fabbri S.p.a.), in Giurisprudenza commerciale, 2002, vol. 2, parte 2, pp. 200 e ss., Riccardo Ventura, “Diligenza degli amministratori nelle acquisizioni societarie”.

100 U. Tombari, Problemi in tema di alienazione della partecipazione azionaria e attività di due diligence,

in Banca, borsa e titoli di credito, 2008, 1, p. 71; F. Gambaro, Brevi considerazioni in tema di cosiddetta Due Diligence, in Rivista di diritto privato, 2006, 4, p. 897; L. Picone, Contratti di acquisto di partecipazioni azionarie, op. cit., p. 256. Una parte della dottrina si spinge anche a fare i prognostici positivi sul futuro riconoscimento dell’obbligo di esperimento dell’attività di due diligence, dato che nella prassi questo strumento investigativo è ormai entrato, per così dire, a pieno titolo. M. Speranzin, Vendita di partecipazioni di “controllo” e garanzie contrattuali, Milano, op. cit., pp. 345 – 349.

72 In secondo luogo, si considerino i profili di responsabilità dei professionisti, consulenti del potenziale acquirente. Per comprendere quali sono le circostanze al verificarsi delle quali si può invocare la responsabilità professionale di tali soggetti (nel nostro caso del

team di advisors) è necessario analizzare alcuni aspetti relativi all’incarico che questi

assumono. L’attività di due diligence rientra nell’alveo di molte altre attività tradizionalmente rese dai professionisti (consulenti, commercialisti) e che vengono qualificate dalla dottrina e dalla giurisprudenza come un’obbligazione di mezzi e non un’obbligazione di risultato101. Il fatto che lo svolgimento dell’attività di due diligence comporti l’assunzione in capo al team di advisors di un’obbligazione di mezzi e non di risultato102, produce conseguenze di non poco conto sul piano delle responsabilità, poiché la distinzione tra le due categorie di obbligazione comporta una diversa disciplina applicabile e, soprattutto, una diversa ripartizione dell’onere della prova in caso di inadempimento. Infatti, nel caso di inadempimento di un’obbligazione di risultato trova applicazione l’art. 1218 c.c., intitolato Responsabilità del debitore, a norma del quale: “Il

debitore che non esegue esattamente la prestazione dovuta è tenuto al risarcimento del danno, se non prova che l’inadempimento o il ritardo è stato determinato da impossibilità della prestazione derivante da causa a lui non imputabile”. Ne deriva che, il debitore di

un’obbligazione di risultato si assume il rischio della mancata realizzazione di quel determinato risultato e, eventualmente, per liberarsi dalla responsabilità per l’inadempimento deve dimostrare che la mancata o non conforme esecuzione della prestazione è dipesa da circostanze esterne che hanno reso del tutto impossibile l’adempimento. Per converso, l’inadempimento di un’obbligazione di mezzi (di una

101 In particolare, si veda, la dottrina: V. Lega, Le libere professioni nelle leggi e nella giurisprudenza,

Milano, 1974, p. 876; V. Fortino, La responsabilità civile del professionista. Aspetti problematici, Milano, 1984, pp. 65 e ss. In giurisprudenza, a proposito del professionista tenuto ad una prestazione di mezzi, cfr. Cass. civ., 31 agosto 1990, n. 8218, in Foro italiano (Repertorio), Professioni intellettuali, p.114; Cass. civ., 21 giugno 1983, n. 4254, in Foro italiano (Repertorio), Professioni intellettuali, p. 49.

102 Secondo la distinzione tradizionale, le obbligazioni contrattuali , comprese quelle derivanti dal contratto

di prestazione d’opera intellettuale (che nel nostro caso ovviamente è rappresentato dalla lettera di incarico del team), sono classificabili in due fondamentali categorie: 1) le obbligazioni di mezzi, che hanno ad oggetto soltanto un comportamento professionalmente adeguato; in altre parole, il debitore è obbligato a svolgere a favore del creditore una determinata attività senza garantire il risultato che da quest’attività il creditore si attende; 2) le obbligazioni di risultato, che hanno, invece, ad oggetto il risultato che il creditore della prestazione ha interesse a conseguire. G. D’amico, Responsabilità per inadempimento e distinzione tra obbligazione di mezzi e di risultato, in Rivista di diritto civile, 2006, n. 6, Padova, p. 141.

73 prestazione tipica del professionista) dovrà essere valutata sulla base dei doveri di diligenza, in particolare, applicando in luogo del parametro generale della “diligenza del buon padre di famiglia” (ex l’art. 1176, comma 1° c.c.) il criterio della “diligenza professionale”, fissato dall’art. 1176, 2° comma c.c. che sancisce: “Nell’adempimento

delle obbligazioni inerenti all’esercizio di un’attività professionale, la diligenza deve valutarsi con riguardo alla natura dell’attività esercitata.”.103 Ne deriva che il debitore

(nel nostro caso il consulente) è libero da responsabilità se esegue la propria obbligazione con idonea diligenza, anche se il creditore (il committente) non ottiene il risultato atteso104. Infatti, l’oggetto della prestazione dei consulenti del potenziale acquirente non

è il raggiungimento di un risultato utile per il committente, ma (nel nostro caso di specie) l’esecuzione di un’indagine conoscitiva (due diligence) necessariamente con la messa in atto di un insieme di idonee competenze tecniche. Pertanto, affinché al team di advisors possa essere imputata la responsabilità per un eventuale inadempimento nei confronti del potenziale acquirente, quest’ultimo dovrà dimostrare che la prestazione pattuita non è stata eseguita con il dovuto grado di diligenza. L’onere della prova dell’inadempimento del professionista ricade sul committente danneggiato, cioè, generalmente parlando, sul creditore dell’obbligazione di mezzi (mentre con riferimento alle obbligazioni di risultato, come si è visto poc’anzi, l’onere probatorio grava, invece, in capo al debitore). Quindi, le obbligazioni assunte dai professionisti intellettuali nell’esercizio dell’attività di due

diligence vengono normalmente qualificate come obbligazioni di mezzi, poiché il

professionista, con l’assunzione di un incarico, si impegna a svolgere, a favore del proprio committente, una prestazione di consulenza ed assistenza avente adeguato contenuto tecnico ed un idoneo livello di competenze e conoscenze professionali, senza assumere, solitamente, particolari vincoli circa il preciso risultato di tali attività.105 Pertanto, nel

103 Si rinvia a quanto già esposto nel paragrafo 1 del presente capitolo, p. 48.

104 Ovviamente, il risultato atteso e sperato dal committente deve costituire un elemento essenziale

nell’ambito dello svolgimento dell’incarico, ma dal punto di vista strettamente giuridico non è un aspetto rilevante ai fini esperimento contro il consulente dell’azione di responsabilità per l’inadempimento. In più, non si esclude che un professionista (consulente) possa accettare un incarico nell’ambito del quale dovrà adempiere, invece, un’obbligazione di risultato, conseguentemente con l’applicazione di disciplina diversa in tema di responsabilità.

105 Nel contempo si osserva come la giurisprudenza, volendo tutelare la “parte debole” del rapporto (cioè il

cliente), tende ad ampliare la categoria delle obbligazioni professionali da considerarsi in termini “di risultato”, applicando sempre più spesso al professionista intellettuale in luogo del criterio della prestazione di mezzi quello della prestazione di risultato. In tal modo, il professionista si trova a dover rispondere del

74 nostro caso, quando il potenziale acquirente sottoscrive la lettera di incarico con una società di consulenza non fa altro che stipulare un contratto d’opera intellettuale (ex l’art. 2230 c.c.), secondo il quale questo consulente qualificato (appunto intellettuale) si impegna allo svolgimento dell’attività di due diligence, utilizzando la diligenza che la natura di tale attività esige, diligenza che sarà valutata prescindendo dal raggiungimento del risultato utile e sperato dal committente. Il parametro della diligenza professionale, infatti, secondo il disposto del 2° comma dell’art. 1176 c.c. deve essere commisurato alla natura dell’attività esercitata dal professionista e l’inadempienza, pertanto, sarà valutata prendendo a riferimento esclusivamente i doveri inerenti all’esercizio della professione svolta ed, in particolare, il dovere di diligenza che un “professionista di preparazione ed

attenzione media pone nell’esercizio della propria attività”. Quindi, l’affermazione di

responsabilità professionale presuppone che prima siano stati individuati e circoscritti tutti gli obblighi specifici che la legge od il contratto d’opera intellettuale stipulato pongono a suo carico106. Ne consegue che un professionista dovrà ritenersi non diligente

e, perciò, inadempiente quando non rispetta le norme necessarie allo svolgimento della professione che esercita, ovvero ogni volta che abbia operato senza prudenza, perizia, accuratezza del medio professionista, senza aver utilizzato le conoscenze e le competenze tecniche che si ritiene debbano caratterizzare un professionista di medio livello. Per comprendere meglio il concetto del professionista che non ha impiegato la dovuta diligenza si consideri, ad esempio, il caso in cui il consulente del potenziale acquirente nell’ambito dell’espletamento dell’attività di due diligence, esercitando un comportamento affetto da imperizia, negligenza ed imprudenza, non abbia esaminato

risultato atteso nei confronti del committente (il cliente) in quei casi in cui si ritiene che lo scopo determinante ed unico dell’incarico considerato sia stato proprio il risultato. Sul tema la Corte Suprema (Cass. civ., sez. II, 21 luglio 1989, n. 3476, in Giustizia civile, Massimario annotato dalla Cassazione, 1989, fascicolo 7) ha affermato: “Il contratto che ha per oggetto una prestazione d’opera intellettuale comporta normalmente per il professionista un’obbligazione di mezzi, nell’adempimento della quale egli è tenuto ad usare la diligenza che la natura dell’attività esercitata esige, ai sensi dell’art. 1176 c.c., tranne nel caso in cui al professionista sia stato richiesto dal cliente un opus, perché in tal caso l’obbligazione da lui assunta è di risultato, con la conseguenza che il professionista dovrà rispondere per le eventuali difformità ed i vizi dell’opera, da valutarsi, ai sensi dell’art. 2226 c.c., in base ai criteri oggettivi, considerando la naturale destinazione dell’opera, ed in base ai criteri soggettivi, quando la possibilità di un particolare impiego o di una determinata utilizzazione sia stata dedotta in contratto.”.

106 Cass. civ., sez. III, 20 agosto 2015, n. 16993; Cass. civ., sez. III, 20 ottobre 2014, n. 22222, in

75 alcuni documenti fornitigli e/o non abbia richiesto (in sede di data room) di esaminarne altri, ancorché utili ai fini dell’individuazione delle passività delle quali abbia avuto certi indizi.

Una volta osservato ed analizzato il modo in cui il soggetto committente delle opere intellettuali (nel nostro esempio della due diligence) viene tutelato dal legislatore mediante la disciplina generale prevista dall’art. 1176 c.c., si consideri una disposizione specifica che il legislatore pone per il contratto d’opera intellettuale a tutela invece delle libertà del professionista. Si tratta dell’art. 2236 c.c., intitolato Responsabilità del

prestatore d’opera, il quale prevede un’attenuazione delle responsabilità del

professionista finora descritte ed, in particolare, stabilisce che: “Se la prestazione implica

la soluzione di problemi tecnici di speciale difficoltà, il prestatore d’opera non risponde dei danni, se non in caso di dolo o colpa grave.”. Secondo la Relazione del Guardasigilli

al Codice Civile del 1942, tale disposizione soddisfa due opposte esigenze, da un lato, protegge il professionista garantendone la libertà e l’autonomia d’iniziativa tipica delle professioni intellettuali, dall’altro lato, dovrebbe stimolare il medesimo al lavoro diligente, senza compiere scelte imprudenti ed azzardate. Dal combinato disposto degli artt. 1176 c.c. e 2236 c.c. si ricava che, nei casi ordinari, vale come regola generale quella della diligenza professionale (ex art. 1176 c.c., 2° comma) per cui un professionista risponde anche per “colpa lieve”, mentre solo e soltanto nel caso in cui la prestazione dedotta in contratto implichi la soluzione di problemi tecnici di particolare difficoltà, si applica l’art. 2236 c.c. secondo il quale il professionista è tenuto al risarcimento del danno esclusivamente per le azioni ed i comportamenti a lui imputabili per dolo o colpa grave107. Per quanto riguarda il significato della locuzione “problemi tecnici di speciale difficoltà” la giurisprudenza ha affermato che, generalmente, “essa è riscontrabile in prestazioni

coinvolgenti problemi tecnici nuovi, di speciale complessità, per i quali è richiesto un impegno intellettuale superiore a quello professionale medio, con conseguente presupposizione di preparazione e dispendio di attività anch’esse superiori alla media, oppure non ancora adeguatamente studiati dalla scienza.”108. In particolare, si tratta di attività per lo svolgimento delle quali occorrono: capacità tecniche superiori a quelle

107 Il termine “colpa grave” richiama gli errori grossolani e significativi, incompatibili con il livello di

preparazione che una determinata professione richiede, nonché la superficialità e il disinteresse per l’incarico affidato ad un prestatore d’opera.

76 ordinariamente richieste ad un professionista, nonché una “diligenza speciale e

rafforzata”109. Nell’ipotesi dell’azione di responsabilità contro il professionista, l’onere

di dimostrare l’esistenza di “problemi tecnici di speciale difficoltà”, riscontrate nell’ambito dell’espletamento dell’incarico, spetta al professionista medesimo. Per esempio, i “problemi tecnici di speciale difficoltà” possono essere: quelli verificatisi nell’ambito di un’operazione straordinaria di cui non è chiaro il trattamento fiscale, perché le norme giuridiche applicabili non hanno un’interpretazione giurisprudenziale univoca; oppure, nell’ambito della due diligence si rivela particolarmente difficoltosa la valutazione di alcuni elementi patrimoniali inusuali, come beni immateriali di difficile valorizzazione. Siccome le ipotesi riconducibili sempre alla fattispecie dell’art. 2236 c.c. non sono astrattamente delineabili, è necessario effettuare una valutazione caso per caso, fermo restando che la speciale difficoltà (di cui trattasi) sarà sempre esclusa nell’ambito di un comportamento contrario al canone di diligenza professionale stabilito dall’art. 1176 c.c., 2° comma.

Dato il quadro normativo finora delineato, è necessario sottolineare che le responsabilità dei consulenti del potenziale acquirente per le risultanze della due diligence possono e tenderanno ad essere disciplinate in concreto dalle pattuizioni speciali, apposite clausole della lettera di incarico. Le parti, infatti, sono libere di regolamentare come meglio credono i profili di responsabilità del team di advisors, ciò nonostante, come sempre la legge pone dei paletti entro i quali l’autonomia contrattuale delle parti si potrà spingere110. A tal proposito, si consideri la norma dell’art. 1229 c.c., intitolata Clausole di esonero da

responsabilità, che al 1° comma recita: “È nullo qualsiasi patto che esclude o limita preventivamente la responsabilità del debitore per dolo o colpa grave.”. In tal modo, il

legislatore vuol tutelare ed assicurare il creditore (il committente di un’opera intellettuale) che il debitore (il professionista) eseguirà la prestazione con la dovuta diligenza, tant’è che pone il divieto alle parti stesse di prevedere le clausole aventi per oggetto o per effetto l’esclusione o la riduzione di responsabilità per dolo o colpa grave, pena la nullità delle

109 Cass. civ., sez. III, 20 agosto 2015, n. 6990, in banca dati DeJure, Giuffrè, disponibile su

www.iusexplorer.it.

110 Conformemente a quanto disposto dal 1° comma dell’art. 1322 c.c. (rubricato Autonomia contrattuale): “Le parti possono liberamente determinare il contenuto del contratto nei limiti imposti dalla legge.”.

77 medesime clausole111. Quindi, la nullità investe tutte quelle clausole che, anche indirettamente, privano il committente della tutela giuridica contro i comportamenti dolosi o colposi del professionista, comprese quelle che stabiliscano un limite al danno risarcibile (ad esempio, le clausole penali che eludono il divieto dell’art. 1229 c.c.). Per questo motivo, le clausole di esclusione o di limitazione della responsabilità del professionista ammissibili nella lettera di incarico, cioè, non nulle perché non contrarie al disposto dell’art. 1229 c.c., saranno solamente quelle che prevedono un limite massimo alla responsabilità conseguente, invece, ad atti o fatti affetti solo da colpa lieve. Di fatto, nella prassi le parti nell’ambito della redazione della lettera di incarico, in primis, circoscrivono l’area d’indagine, o meglio, delimitano l’oggetto dell’incarico, descrivono, in allegato, dettagliatamente le procedure di due diligence che verranno svolte e determinano molti altri aspetti, andando in tal modo a limitare già implicitamente la responsabilità del consulente incaricato. In particolare, nella clausola con cui si limita la responsabilità del professionista, onde evitare di incorrere nel divieto dell’art. 1229 c.c., spesso le parti prevedono, ad esempio, che: “Il final report riguarderà esclusivamente le procedure della due diligence indicate in allegato ed, ad eccezione dell’oggetto d’indagine, non si assume alcuna responsabilità per gli aspetti di carattere economico connessi alla transazione, per aspetti commerciali, legali, etc. non ricompresi nelle procedure concordate. Con riferimento all’incarico, invece, non si risponderà di qualsiasi conseguenza dannosa lamentata dal committente derivante dal servizio professionale che verrà svolto, se non entro il limite massimo pari al doppio del compenso pattuito, salvi i casi di dolo o colpa grave.”. Spesso, nella prassi, viene inserito il tetto massimo della predetta responsabilità (da colpa lieve) commisurato al valore dell’incarico ricevuto per evitare che al professionista possa essere chiesto un risarcimento spropositato rispetto al valore dell’incarico accettato. Quindi, soltanto in questa maniera blanda, contenuta, è

111 Si tratta del principio generale che trova applicazione per tutti gli interessi giuridici tutelati (non solo

quelli del cliente ma anche dei terzi), quindi, la regola dell’art. 1229 c.c. vale anche in tema di responsabilità extracontrattuale. Il professionista, infatti, risponde anche dei danni cagionati a terzi estranei al rapporto d’opera intellettuale e sarà nulla ogni pattuizione contraria che esclude o limita la sua responsabilità nei confronti dei terzi per i fatti dolosi o colposi. È possibile, infatti, che alla responsabilità contrattuale si aggiunga quella extracontrattuale, disposta dall’art. 2043 c.c.: “Qualunque fatto doloso o colposo, che cagiona ad altri un danno ingiusto, obbliga colui che ha commesso il fatto a risarcire il danno.”.