E GLI ULTERIORI SVILUPPI DELLA PROGETTAZIONE
3. Le implicazioni degli ultimi quattro Capitoli Generali per il PEPS (1996-2014)
Negli ultimi tre Capitoli Generali non viene trattato direttamente il tema della progettazione educativo-pastorale. Il PEPS viene accettato come un ele-mento consolidato con funzioni di criterio e guida di un’azione condivisa, come strumento della crescita nella qualità dell’azione educativa pastorale,99 che riflette l’ottica della nuova evangelizzazione,100 come uno strumento per l’animazione, come spazio per la formazione dei salesiani e dei laici,101 e come un mezzo di sviluppo e della visibilizzazione della “cultura salesiana” della comunione e della corresponsabilità.102
Anche se si accetta il PEPS, il processo della progettazione non è esente da limiti e deviazioni, come rivelano i CG e le Relazioni sullo stato della Congregazione, che evidenziano anche l’assenza del PEPS in alcune comuni-tà o la composizione del progetto da parte di una persona della comunicomuni-tà op-pure il rischio di una pastorale dei pochi prescelti, più che il coinvolgimento
96 dicaSteRopeRla pg, Quadro di riferimento, 22000, p. 136.
97 dicaSteRopeRla pg, Quadro di riferimento, 22000, p. 139.
98 cháVeZ VillanueVa, La PG Salesiana, 2010, 24.
99 Cfr. CG25 (2002), nn. 159 e 194.
100 Cfr. CG26 (2008), n. 39.
101 Cfr. CG24 (1996), n. 42; 144-145; 160 e CG25 (2002), nn. 56-58; 159.
102 Cfr. CG24 (1996), n. 144, CG25 (2002), nn. 39 e 46 e CG27 (2014), n. 71.
dell’intera CEP.103 Le valutazioni rimarcano che in alcune Ispettorie i PEPSI sono in mano ad alcuni salesiani, per cui non orientano l’azione pastorale delle comunità;104 c’è poca abitudine a seguire i processi per realizzare gli obiettivi stabiliti e a verificare il processo in tempi stabiliti;105 si privilegia l’aspetto organizzativo su quello pastorale;106 «si elaborano i PEPS e si co-stituisce la CEP, ma senza assumere con facilità la mentalità progettuale»;107 si segnala una «riduzione pratica della pastorale all’azione pastorale»,108 che implica poca cura dei processi;109 una poca assimilazione e attuazione pratica del modello operativo della Pastorale Giovanile Salesiana110 e, infine, il pre-valere di una mentalità organizzativa nelle case, che diviene rigida in quanto all’impostazione delle attività, poco attenta ai ritmi di vita dei giovani e poco corresponsabilizzante.111
Queste valutazioni concernono direttamente l’ambito della progettualità e della pastorale, che potrebbe essere più legata alla “dimensione del fare”. Si può presumere che questi fenomeni problematici di tipo operativo siano piut-tosto sintomi delle zone d’ombra più profonde che concernono la “dimensio-ne dell’essere”. Alcuni spunti sulle cause più profonde si possono trovare “dimensio-nel bilancio di Juan E. Vecchi del 1996, che avverte una inconsistenza qualitativa delle comunità e della proposta salesiana, la povertà di forza profetica e di si-gnificatività, la debolezza della proposta vocazionale che segnala delle carenze dell’educazione e infine una scarsa attenzione alla spiritualità.112 Infatti, una buona parte del magistero salesiano degli anni successivi al CG24 (1996) si occupa dei temi della comunità come profezia e testimonianza, dell’identità
103 Cfr. CG24 (1996), nn. 47; 123 e CG27 (2014), n. 13.
104 Cfr. La Società di san Francesco di Sales nel sessennio 1990-1995. Relazione del Vicario del Rettor Maggiore don Juan E. Vecchi, SDB, Roma 1996, n. 130 e La Società di san Francesco di Sales nel sessennio 1996-2002. Relazione del Vicario del Rettor Maggiore don Luc Van Looy, SDB, Roma 2002, n. 110.
105 Cfr. La Società di san Francesco di Sales nel sessennio 1990-1995, 1996, n. 137.
106 Cfr. CG25 (2002), n. 194 e cháVeZ VillanueVa, La PG Salesiana, 2010, 56.
107 La Società di san Francesco di Sales nel sessennio 1996-2002, 2002, n. 118.
108 La Società di san Francesco di Sales nel sessennio 2002-2008. Relazione del Rettor Maggiore don Pascual Chávez Villanueva, SDB, Roma 2008, p. 45.
109 Cfr. CG25 (2002), n. 44-47.
110 La sfida per attuare l’opera salesiana come una CEP, lavorare con la mentalità progettuale secondo un PEPS con la metodologia pastorale di animazione, di lavoro in équipe e in rete hanno segnato l’attività del Dicastero del sessennio dal 2002 al 2008. Cfr. La Società di san Francesco di Sales nel sessennio 2002-2008, 2008, pp. 41 e cháVeZ VillanueVa, La PG Salesiana, 2010, 20-22.
111 Cfr. CG26 (2008), n. 103.
112 Cfr. La Società di san Francesco di Sales nel sessennio 1990-1995, 1996, nn. 295-299. Cfr.
anche CG25 (2005), nn. 40-41 e a. giRaudo, Interrogativi e spinte della Chiesa del postconcilio sulla spiritualità salesiana, in SeMeRaRo C. (Ed.), La spiritualità salesiana in un mondo che cambia, Salvatore Sciascia, Caltanissetta 2003, pp. 143-155.
dei salesiani in quanto consacrati, della radicalità evangelica, della spiritualità e della passione apostolica.113
Anche se gli ultimi quattro Capitoli Generali non hanno trattato il tema della progettazione educativo-pastorale è possibile trovare innovazioni indirette ne-gli approfondimenti di tre insiemi di riflessione. Il primo nucleo di riflessione ruota attorno al concetto della “mentalità progettuale”. Un secondo influsso indiretto sul PEPS si trova nell’introduzione del “metodo del discernimento”
che viene usato nei Capitoli Generali 25, 26 e 27 e in più è proposto come me-todologia per il Progetto Organico Ispettoriale (POI), il progetto della comunità salesiana e per il progetto personale di vita. L’ultimo approfondimento che concerne il PEPS è la ricerca di armonizzare sistemicamente i tanti progetti e i vari livelli di progettazione.
3.1. La mentalità progettuale
L’espressione “mentalità progettuale” è diventata importante e caratteriz-zante nel CG25 (2002), ma c’erano già spunti e indicazioni precedenti che danno significato e spessore a questo termine. Nella Relazione sullo stato della Congregazione Vecchi diceva già nel 1996 che calare il progetto nella realtà e la connessa mentalizzazione sarà un oggetto di costante attenzione.114 Il Rettor Maggiore Pascual Chávez ha usato l’espressione nella lettera Pastorale Gio-vanile Salesiana, del 2010, concependola come una mentalità che considera l’azione pastorale un cammino che si va sviluppando gradualmente secondo obiettivi precisi e verificabili con chiare opzioni di priorità e sequenzialità e non tanto come la somma di molteplici interventi e azioni poco collegate tra loro.115 L’insistenza dei CG21 (1978) e del CG23 (1990) sulla progettazione operativa, è cambiato nel CG24 (1996), che ha accentuato i processi che inte-grano le varie attività pastorali e, infine, dal CG25 (2002) in poi viene dato ri-salto piuttosto alla mentalità progettuale, che è il modo di pensare la pastorale.
Nei seguenti paragrafi si riassumono i vari aspetti della mentalità progettuale secondo le aree di riferimento seguendo gli atti dei Capitoli Generali.
113 Cfr. il tema e il contenuto del CG25 (2002): La comunità salesiana oggi, del CG26 (2008):
Da mihi animas cetera tolle e del CG27 (2014): Testimoni della radicalità evangelica. Lavoro e temperanza.
114 Cfr. La società di san Francesco di Sales nel sessennio 1990-1995, 1996, n. 130.
115 Cfr. cháVeZ VillanueVa, La PG Salesiana, 2010, 15 e 48.
3.1.1. Una mentalità della condivisione di vita e della collaborazione
Il CG23 (1990) parla del cambio di mentalità quasi esclusivamente in rife-rimento alla situazione giovanile e alla mentalità dei giovani.116 I primi accenni forti sulla necessità di una nuova mentalità dei salesiani sono sorti nel CG24 (1996), quando si è parlato del cambio di mentalità «per giungere a una vera accoglienza della presenza dei laici e a una nuova attenzione alla donna, rico-noscendo e accettando i valori della complementarità e della reciprocità».117 La nuova mentalità è esplicitata in riferimento al vivere e al lavorare insieme con i laici,118 all’esigenza di crescere insieme,119 trovando un nuovo stile di comu-nione e di condivisione.120
Infatti, tutta la parte più operativa del CG24 (1996) è stata strutturata secon-do le varie componenti di questa nuova mentalità di comunione di vita con i laici: coinvolgimento, corresponsabilità, comunicazione, formazione, proget-tando impegni a tutti i livelli da quello mondiale a quello locale. È interessante l’omissione del livello personale della vita comunionale, che conferma la ten-denza della riflessione dei Capitoli, già segnalata, di procedere con i cambia-menti dall’alto verso il basso.
I seguenti Capitoli Generali sono andati nella stessa direzione della comu-nione e condivisione della vita e della missione concretizzando alcuni aspetti.
Il CG25 (2002) si è soffermato sulla concretizzazione del rapporto tra la comu-nità salesiana e la CEP negli aspetti del coinvolgimento, della coordinazione e dell’impegno carismatico.121 Lo scopo della mentalità progettuale per uni-ficare i frammenti, l’insistenza sulla collaborazione parlando di “mentalità”, sono stati ripresi anche nel CG26 (2008).122 Il CG27 (2014) omette il termine
“mentalità” e parla invece di una “cultura salesiana” della comunione e della corresponsabilità all’interno della comunità salesiana e della CEP.123
3.1.2. Una mentalità per tutti i livelli di gestione
Di progettazione educativo-pastorale si è parlato dal 1978 prima a livello Ispettoriale e di seguito a livello locale delle singole opere. Negli ultimi due
116 Cfr. CG23 (1990), nn. 18; 37; 63; 77; 114; 115; 138 e 205.
117 CG24 (1996), n. 19.
118 Cfr. CG24 (1996), nn. 42 e 106.
119 Cfr. CG24 (1996), n. 101.
120 Cfr. CG24 (1996), n. 53.
121 Cfr. CG25 (2002), nn. 34; 79-81; 155 e 183.
122 Cfr. CG26 (2008), nn. 31; 53 e 60.
123 Cfr. CG27 (2014), n. 71.
CG l’allargamento della prospettiva e la mentalità progettuale hanno coinvolto anche altri ambiti, anche perché la mentalità progettuale non è stata collegata esclusivamente con l’azione pastorale in senso stretto. Tutta la seconda parte degli Atti del CG25 (2002), che parla delle strutture del governo centrale, ha sottolineato l’attesa delle Ispettorie di un «ulteriore impegno dal Governo cen-trale che, nel tipico stile di famiglia, favorisca, stimoli e accompagni la crescita della “mentalità progettuale” nella Congregazione».124 Le strutture centrali del-la Congregazione sono state pensate e arricchite per facilitare del-la coldel-laborazione e l’unità nella Congregazione. È stato deciso di proseguire con l’esperienza della programmazione del sessennio,125 si è chiesta la collaborazione tra i vari Dicasteri,126 si è domandato alle Regioni di progettare le loro iniziative,127 di aiutare le Ispettorie a superare il rischio di una chiusura nella propria realtà e di sostenere i progetti della Regione e la missio ad gentes.128 Nel CG26 (2008) l’attenzione all’unità della missione salesiana e alla collaborazione è stata indi-viduata in un coordinamento più intenso tra i Dicasteri della Pastorale Giova-nile, della Comunicazione Sociale e delle Missioni.129
Sull’altro versante l’attenzione a livello personale è tipica del CG26 (2008) che così si esprime nell’introduzione agli Atti: «Il CG26 (2008) si rivolge in primo luogo al salesiano. Dopo i Capitoli generali 23, 24 e 25 che hanno dato rilevanza alla comunità salesiana locale, il CG26 (2008) intende mettere al centro delle sue attenzioni il singolo confratello».130 In tal modo è stata posta in risalto la tendenza iniziata già nel CG25 (2002) di accentuare l’impegno personale per la propria formazione, sfruttando il progetto personale di vita, i momenti della progettazione in comunità e con i laici per superare l’attivismo e la superficialità.131 L’impegno di riscoprire il significato del Da mihi animas come programma di vita spirituale e pastorale, che è il filo rosso del CG26 (2008), si traduce in linee di azione che coinvolgono i singoli salesiani, le co-munità, le Ispettorie, le regioni e il governo centrale della Congregazione. La mentalità progettuale dovrebbe penetrare quindi tutti i livelli della gestione della Congregazione.
124 CG25 (2002), n. 90.
125 Cfr. CG25 (2002), n. 104.
126 Cfr. CG25 (2002), n. 115.
127 Cfr. CG25 (2002), n. 105.
128 Cfr. CG25 (2002), n. 100.
129 Cfr. CG26 (2008), n. 117.
130 P. cháVeZ VillanueVa, Presentazione, in CG26 (2008), pp. 12-13.
131 Cfr. CG25 (2002), nn. 56-58.
3.1.3. Una mentalità che anima le “nuove presenze”
La tematica delle “nuove presenze”, già presente nel CGS (1972), è stata poi ripresa nel CG21 (1978). Si è insistito su una nuova presenza tra i giovani come esigenza del Sistema Preventivo132 e si è accentuata la corresponsabilità che avrebbe dovuto aiutare ad affidare i ruoli amministrativi ai laici per con-sentire ai salesiani una maggiore dedizione alla pastorale.133 Si accentuavano atteggiamenti di elasticità, adattamento, intraprendenza e coraggio, citando i Rettor Maggiori Paolo Albera e Filippo Rinaldi.
La chiave interpretativa dell’espressione “nuove presenze” era spesso solo in riferimento alle «opportune sperimentazioni di nuove forme di testimonian-za e servizio in mezzo ai più poveri»134 o era intesa intendendola come “piccole comunità”135 e quindi la novità non si applicava a tutte le presenze. Questo è stato confermato anche dalla Relazione sullo stato della Congregazione del 1978: «Spesso... il concetto di nuova presenza è stato impoverito e visto a “sen-so unico” [...]. Non pare sia prospettato, per esempio, secondo lo spirito del CGS (1972), il rinnovamento della presenza salesiana nelle opere tradizionali, come potrebbe essere la creazione di una scuola veramente “pilota”».136 Inoltre, sullo sviluppo del contenuto del concetto “nuova presenza” ha influito anche la poca traduzione operativa del ridimensionamento delle opere voluto da CG19 (1965) e CGS (1972).
I contenuti sopra menzionati sono poi diventati parte della nuova mentalità progettuale descritta dal CG26 (2008) in poi, la quale dovrebbe animare le strutture esistenti e accompagnare il sorgere delle strutture nuove.137 Il compito segnalato è «ridefinire le nostre presenze per renderle più significative, cioè,
“nuove presenze”».138 Dalle “nuove presenze” si passa quindi alla “nuova men-talità”, i cui elementi sono:
– passare dalla gestione e dall’organizzazione dell’opera all’accompagna-mento a una formazione insieme tra salesiani e laici;139
– passare da «una mentalità che privilegia i ruoli di gestione diretta a una
132 Cfr. CGS (1972), n. 188.
133 Cfr. CGS (1972), n. 393.
134 CGS (1972), n. 619.
135 Cfr. CGS (1972), n. 510 e CG21 (1978), n. 159.
136 Relazione Generale del Rettor Maggiore sullo stato della Congregazione, in CG21 (1978), n. 157.
137 Cfr. cháVeZ VillanueVa, La PG salesiana, 2010, 56.
138 Cfr. cháVeZ VillanueVa, La PG salesiana, 2010, 55.
139 Cfr. CG (2002), nn. 26; 46; 50; 60; 138; 157; CG26 (2008), nn. 10-11; 20; 38 e 103 e cháVeZ VillanueVa, La PG salesiana, 2010, 25 e 56.
mentalità che privilegia la presenza evangelizzatrice tra i giovani»140; – coltivare la corresponsabilità nei progetti che sono della comunità e non del
singolo, progettare insieme con la Famiglia Salesiana, lavorare in rete;141 – avere il coraggio apostolico di ripensare le opere in favore dei giovani e
di promuovere forme di presenza più flessibili;
– curare la consistenza quantitativa e qualitativa della comunità, che è coor-dinata da un direttore disponibile per il suo ruolo primario.142
3.2. Il metodo del discernimento
Per lo studio degli aspetti fondamentali degli ultimi tre CG, per l’elabora-zione del progetto personale di vita salesiana e del progetto di vita comunitaria salesiana è stato applicato il metodo del discernimento, legato alle proposte di Francesco Cereda e Antonio Domènech.143 Nella sua impostazione differisce dal metodo proposto per l’elaborazione del PEPS in vari punti.
Il punto di partenza del metodo del discernimento è di individuare la “chia-mata di Dio”, che permette di cogliere gli appelli urgenti e le priorità. Il punto nodale dell’analisi della chiamata di Dio è di distinguere ciò che è fondamen-tale da ciò che è secondario per cui ci si sofferma solo sulle esigenze prioritarie e si tende a operare delle scelte. La parte della “chiamata” è più vicina alla descrizione degli orientamenti all’interno del PEPS. Un’innovazione rispetto alla progettazione educativo-pastorale consiste sia nel fatto della più grande ampiezza del campo della chiamata rispetto agli orientamenti, sia nel maggiore grado di coinvolgimento e della proattività rispetto agli orientamenti già dati in una forma legislativa.
Il secondo momento del discernimento è l’analisi della “situazione”, che
140 CG26 (2008), n. 31.
141 CG26 (2008), n. 100.
142 Cfr. CG26 (2008), nn. 100; 112 e 113.
143 Cfr. A. doMènech, Il Progetto Organico Ispettoriale, in ACG 84 (2003) 381, 35-42; F. ce
-Reda, Lettera ai Reverendi Ispettori e ai Consigli ispettoriali, ai Delegati ispettoriali di formazione e alla Commissione ispettoriale di formazione. Il Progetto della Comunità Salesiana. Processo di discernimento e di condivisione, del 13. 12. 2002, in http://www.sdb.org/it/Dicasteri/Formazione/
Documenti/Progetto_della_Comunita_Salesi; id., Lettera ai Reverendi Ispettori e ai Consigli ispet-toriali, ai Delegati ispettoriali di formazione e alla Commissione ispettoriale di formazione. Forma-zione permanente. Il Progetto Personale di Vita. Un cammino di fedeltà creativa verso la santità, del 21. 6. 2003, in http://www.sdb.org/it/Dicasteri/Formazione/Documenti/Progetto_personale_vita_FP e id., Lettera ai Reverendi Direttori e Membri delle Comunità formatrici, ai Reverendi Ispettori e De-legati ispettoriali di formazione. Formazione iniziale. Il Progetto Personale di Vita. Un cammino di identificazione con la vocazione salesiana, del 5. 7. 2003, in http://www.sdb.org/it/Dicasteri/Forma-zione/Documenti/Progetto_personale_vita_FI (accesso il 1. 8. 2014); P. cháVeZ VillanueVa, Pre-sentazione, in CG26 (2008), 11-12 e Á. FeRnándeZ aRtiMe, Presentazione, in CG27 (2014), 10-11.
dovrebbe permettere di cogliere le risorse che stanno a fondamento della spe-ranza, i limiti e le sfide, ma sempre in riferimento alle scelte fondamentali individuate e descritte nella parte della chiamata di Dio. La differenza con il PEPS si vede nel minor grado di onnicomprensività della progettazione, che può favorire la snellezza del processo, ma che dall’altra parte può portare anche al riduzionismo della visione della realtà.
Il terzo momento del metodo del discernimento consiste nell’individuazione delle “linee di azione”, che differisce in parte dal modello della progettazione del PEPS. All’inizio si individuano i processi da attivare necessari per passare dalle sfide a una configurazione migliore della mentalità e delle strutture. Dopo aver individuato i processi si è cercato di concretizzare il cammino con indica-zione di passi concreti e interventi puntuali. Francesco Cereda, Consigliere per la formazione dal 2002 al 2014, sintetizza così il metodo del discernimento: «I tre momenti del discernimento potrebbero poi essere espressi attraverso aspet-tative, appelli, desideri al primo passo che prospetta la chiamata di Dio; risorse, difficoltà e soprattutto sfide al secondo passo, che descrive la situazione della comunità; obiettivi, strategie o processi e interventi al terzo passo, che indivi-dua le linee di azione».144
Rispetto alla logica del PEPS è stata aggiunta la prospettiva del cambio di mentalità, per cui il modello è divenuto meno lineare-meccanicistico. Ci sono obiettivi misurabili e concreti da perseguire, ma lo scopo non è solo il loro raggiungimento. Si tratta di seguire una chiamata e di cambiare mentali-tà, non solo di giungere a un semplice miglioramento di un aspetto concreto del processo educativo-pastorale. Il metodo del discernimento potrebbe pro-mettere una progettazione più snella e integrale,145 creando una visione,146 che consente il cambio di mentalità integrando anche le risorse spirituali147 e motivazionali.148
144 ceReda, Il Progetto della Comunità Salesiana, 2002.
145 Il CG25 (2002) si augura come frutto del discernimento il passaggio «da una pastorale di attività e di urgenze a una pastorale dei processi» Cfr. CG25 (2002), n. 44.
146 La costruzione della visione condivisa e della visione personale è uno degli esiti del discerni-mento. Cfr. Discorso del Rettor Maggiore Don Pascual Chávez Villanueva alla chiusura del CG25, in CG25 (2002), n. 185 e ceReda, Formazione iniziale. Il Progetto Personale di Vita, 2003. Inoltre, Cereda indica la progettazione visionaria come una fonte d’ispirazione del metodo di discernimento senza indicare autori o pubblicazioni. Cfr. “[email protected]::[email protected]” (12. 7. 2012).
147 Il metodo di discernimento parte dalla Parola di Dio attraverso la Lectio Divina e dal discer-nimento dei segni dei tempi. Cfr. cháVeZ VillanueVa, Presentazione, in CG25 (2002), pp. 15-16 e Cfr. CG25 (2002), n. 81.
148 Cereda dà alcune indicazioni: «Nell’elaborazione non si assolutizza la raffinatezza metodolo-gica; si cerca invece di raggiungere i confratelli in profondità, partendo dal loro vissuto e dal vissuto della comunità stessa». In più «si deve arrivare al punto in cui i confratelli sono aperti, se non proprio entusiasti, ad incamminarsi su questa strada. La comunità fa il progetto, non perché è costretta ma perché ne sente il bisogno, non perché lo deve ma perché lo vuole». Cfr. ceReda, Il Progetto della
La maggiore difficoltà del metodo del discernimento era la collocazione del momento della “chiamata di Dio” all’inizio della progettazione, inducendo a percepire la vocazione come una realtà quasi disincarnata senza relazioni con il contesto nel quale avviene. In questo senso il momento della descrizione della situazione che seguiva la vocazione serviva solo a contestualizzare la parte operativa l’applicazione delle linee di azione. È interessante vedere come il CG27 (2014) inverte l’ordine e torna all’antica impostazione più vicina al metodo del PEPS. Si parla di tre passi: ascolto, lettura e cammino, ossia la descrizione della situazione, interpretazione all’interno di una lettura di fede e scelte operative per il cammino.149 Un’altra difficoltà è l’assenza di riferimenti teorici riguardanti il metodo del discernimento nel periodo dal 2002 al 2014 che implica l’impossibilità di ricostruire il background teorico del metodo.150 Si cercherà di analizzare ed esplicitare queste problematiche epistemologiche e metodologiche nei seguenti capitoli.
3.3. L’aumento del numero dei progetti
Un’eredità del CG25 (2002), oltre l’accentuazione della mentalità proget-tuale, è stata anche l’aumento del numero dei progetti: il Progetto Personale di Vita Salesiana,151 il Progetto della Comunità Salesiana152 e il Progetto Organico Ispettoriale.153 I seguenti progetti si aggiungono a una rete complessa di rap-porti tra i vari progetti e livelli di progettazioni indicati nella seconda e terza edizione del Quadro si riferimento.154 Il fatto dell’introduzione dei sopranno-minati progetti può essere considerato sia una risorsa, che un limite.
La considerazione “positiva” presuppone il fatto di una mentalità progettua-le accettata e acquisita almeno in buona parte. I singoli progetti sarebbero quin-di un’espressione concreta quin-di un vivere progettando per le singole aree o livelli.
I suddetti tre progetti, inoltre, potrebbero diventare una risorsa come strumenti dell’integralità e unificazione a livello personale, comunitario e ispettoriale.
La prospettiva “negativa” considera i tre progetti come una realtà che com-plica ulteriormente i rapporti già complessi tra i vari livelli di progettazione,155
La prospettiva “negativa” considera i tre progetti come una realtà che com-plica ulteriormente i rapporti già complessi tra i vari livelli di progettazione,155