PARTE TEORICA
DELLE TEORIE ORGANIZZATIVE DI CONFRONTO
1. L’apprendimento organizzativo di Peter M. Senge
Peter M. Senge3 approccia la leadership da una prospettiva sistemica con-centrandosi sulle dinamiche dell’evolversi dei sistemi viventi. Il nucleo della sua teoria di leadership vede l’organizzazione come un intero sistema intercon-nesso che è maggiore rispetto alla somma delle parti. Così la crescita dell’orga-nizzazione è legata all’apprendimento continuo di tutti i suoi membri e dei suoi team circa la realtà interconnessa nei circoli di causalità dell’organizzazione e del mondo che la circonda. L’apprendimento continuo diventa per l’organizza-zione la base di un agire competente e sostenibile a lunga durata.
Gli inizi della sua teoria risalgono alla metà degli anni ’70 con i riferimenti al lavoro pionieristico di Jay Forrester nel campo della dinamica dei sistemi ap-plicata alla realtà sociale.4 Le sue intuizioni si consolidavano attraverso il grup-po di ricerca al MIT che collaborò con i dirigenti di varie industrie tra le quali emerge la creatività della progettazione con la Shell. Integrando le ricerche con il lavoro della Innovation Associates sulla padronanza personale, sulla visione condivisa e con le esperienze di 25 anni dell’elaborazione della metodologia dei seminari sulla leadership arrivava alla teoria delle cinque discipline. Lo
3 Peter Michael Senge è nato nel 1947, si è laureato al Massachusetts Institute of Technology nel modellamento dei sistemi sociali nel 1972 ed ha acquisito nel 1978 il dottorato alla MIT School of Management, nella quale insegna tutt’ora. È il presidente fondatore della SOL – Society for Orga-nizational Learning, una comunità globale di organizzazioni, ricercatori e consulenti dedicati allo sviluppo interdipendente delle persone e delle loro istituzioni. Le comunità della SOL sono attive in 35 Stati del mondo. Senge è l’autore del famoso libro La quinta disciplina – l’arte e la pratica dell’apprendimento organizzativo (1990). Del libro sono state vendute più di un milione di copie e nel 1997 l’Harvard Business Review l’ha individuata come uno dei libri delle scienze di gestione con più potenziale generativo degli ultimi 75 anni. Il Journal of Business Strategy ha nominato Senge nel 1999 come una delle 24 persone che avevano la maggiore influenza sulla strategia di business negli ultimi 100 anni. Il Financial Times nel 2000 e il Business Week nel 2001 lo hanno classificato come uno dei migliori guru del top management. Cfr. cRaineR, The Ultimate Business Guru Book, 1998, pp. 213-217; P.M. Senge, La quinta disciplina. L’arte e la pratica dell’apprendimento organizzativo, Sperling & Kupfer, Milano 22006, pp. XXIII-XXV; About Peter Senge, in http://www.solonline.
org/?page=PeterSengebio; History, in http://www.solonline.org/?page=SoLHistory (accesso il 1. 8.
2014).
4 Senge menziona J.W. FoRReSteR, Industrial dynamics, MIT Press, Cambridge MA 1961; id., Urban Dynamics, MIT Press, Cambridge MA 1969 e id., The Counterintuitive Behavior of Social Systems in «Technology Review» 73 (1971) 52-68.
sviluppo della Society for Organizational Learning (SOL) gli ha permesso di lavorare con i leader nel mondo dell’economia, dell’istruzione, della sanità e della politica.5
Senge applica nel suo libro la teoria generale dei sistemi alla realtà del cam-biamento organizzativo. Le sue aree di attenzione sono in particolare l’interes-se al decentramento del ruolo della leadership nelle organizzazioni in modo da accrescere la capacità di tutte le persone a lavorare in modo produttivo verso obiettivi comuni. La Quinta disciplina articola una teoria dell’apprendimento organizzativo che dà una posizione fondamentale ai valori umani nelle organiz-zazioni e cioè che la visione, gli obiettivi, la riflessività e i sistemi di pensiero sono essenziali perché le organizzazioni possano realizzare le loro potenzialità.
Le idee della Quinta disciplina sono applicate e arricchite con esperienze, buone pratiche, sussidi e strumenti metodologici nelle varie successive pubbli-cazioni. Si possono nominare The Fifth Discipline Fieldbook – Strategies and Tools for Building a Learning Organization (1994),6 The Dance of Change – The Challenges to Sustaining Momentum in Learning Organizations (1999)7 e soprattutto il manuale per l’applicazione della quinta disciplina nel mondo dell’educazione Schools That Learn – A Fifth Discipline Fieldbook for Educa-tors, Parents, and Everyone Who Cares About Education (2000).8
1.1. Le cinque discipline di Senge (1990-2004)
Alla base del pensiero di Senge si trovano i concetti di disciplina e di ap-prendimento che sono strettamente collegati dal significato etimologico della parola disciplina dal latino discere: imparare o apprendere. Una disciplina «è un percorso di sviluppo per acquisire certe abilità o competenze [...]. Praticare una disciplina significa apprendere per tutta la vita. Non si arriva mai; si passa l’intera vita a padroneggiarla».9 Senge distingue cinque discipline d’appren-dimento, ma precisa subito che non si tratta né di discipline manageriali né di discipline informative perché, a differenza da queste, sono ad un altro livel-lo, riguardano il modo di pensare, di interagire e il modo di apprendere l’uno dall’altro. Le discipline sono diverse anche dall’emulazione di un modello.
5 Cfr. Senge, La quinta disciplina, 22006, pp. XXIII-XXV.
6 Cfr. P.M. Senge et al., The Fifth Discipline Fieldbook. Strategies and Tools for Building a Learning Organization, Doubleday, New York 1994.
7 Cfr. P.M. Senge et al., The Dance of Change. The Challenges of Sustaining Momentum in Learning Organizations, Doubleday, New York 1999.
8 Cfr. P.M. Senge et al., Schools That Learn. A Fifth Discipline Fieldbook for Educators, Parents, and Everyone Who Cares About Education, Doubleday, New York 2000.
9 Senge, La quinta disciplina, 22006, p. 12.
Non si tratta di analizzare e riprodurre le pratiche migliori, ma piuttosto creano una nuova ondata di sperimentazioni e progressi.10 Per Senge il termine più adatto a descrivere quello che accade quando le organizzazioni apprendono è
“metanoia”, nel suo significato di cambiamento di mentalità. Descrive l’uso della parola di greci, cristiani e gnostici e passa a sostenere che il «vero appren-dimento va al cuore di ciò che significa essere umani».11 Le cinque discipline di cui Senge parla sono le seguenti e si presentano in modo sintetico, sofferman-dosi più sulla quinta disciplina, che costituisce la novità, il nucleo e il punto di forza della teoria di Senge.
1. La padronanza personale. «La padronanza personale è la disciplina che consiste nel chiarire e approfondire continuamente la nostra visione per-sonale, nel concentrare le nostre energie, nello sviluppare la pazienza e nel vedere la realtà in modo obiettivo. Come tale, essa è una pietra ango-lare essenziale nelle organizzazioni che apprendono – il loro fondamento spirituale. L’impegno e la capacità di apprendere di un’organizzazione non possono essere maggiori di quelle dei suoi membri. Le radici di que-sta disciplina sono alla base delle tradizioni spirituali e anche di quelle materiali tanto dell’Oriente, quanto dell’Occidente».12
2. Lavoro con i modelli mentali. «I modelli sono ipotesi profondamente ra-dicate, generalizzazioni, o anche figure o immagini che influenzano il modo in cui comprendiamo il mondo e il modo in cui agiamo».13 Lavora-re con i modelli mentali è una disciplina che aiuta a scopriLavora-re le nostLavora-re rap-presentazioni del mondo, portarle in superficie e tenerle sotto un rigoroso esame. Una parte della disciplina si occupa della capacità di condurre dialoghi ricchi di significato che bilanciano l’indagine (inquiry) e la pro-pugnazione (advocacy).14
3. Costruzione di una visione condivisa. «Laddove c’è una visione condi-visa (in quanto opposta alla fin troppo familiare visione dichiarata), gli individui eccellono e apprendono, non perché si dice loro di farlo, ma perché vogliono farlo [...]. Anche troppo spesso, la visione condivisa di un’azienda è imperniata sul carisma di un leader o di una crisi che tem-poraneamente galvanizza tutti».15 La pratica della disciplina della visione condivisa implica il far venire in superficie le immagini del futuro condi-vise che promuovono un impegno sentito, volontario e genuino.16
10 Cfr. Senge, La quinta disciplina, 22006, pp. 12-13.
11 Senge, La quinta disciplina, 22006, p. 15.
12 Senge, La quinta disciplina, 22006, p. 8. Cfr. anche pp. 147-185.
13 Senge, La quinta disciplina, 22006, p. 9.
14 Cfr. Senge, La quinta disciplina, 22006, pp. 186-217.
15 Senge, La quinta disciplina, 22006, p. 10.
16 Cfr. Senge, La quinta disciplina, 22006, pp. 218-246.
4. L’apprendimento di gruppo. Sappiamo che i gruppi possono imparare e far sì che l’intelligenza del gruppo superi l’intelligenza dei singoli con una capacità di pensare e agire coordinati. La presente disciplina inizia con la capacità di dialogo che, a differenza della discussione, è «la capa-cità dei membri di un gruppo di mettere in mora le ipotesi precedenti e passare a un genuino “pensare in comune”».17 Si tratta anche della com-presenza della capacità di riconoscere i modelli dell’interazione all’inter-no del gruppo che possoall’inter-no favorire o compromettere l’apprendimento, perché nelle organizzazioni le unità di base dell’apprendimento sono i gruppi, non i singoli.18
5. Il pensiero sistemico. Senge considera le organizzazioni come un insieme di tante componenti organizzate in un sistema interconnesso. Ma l’appli-cazione del pensiero sistemico non finisce qui, si allarga anche metodo-logicamente e viene applicato alla stessa teoria delle discipline dell’ap-prendimento. «È vitale che le cinque discipline si sviluppino come un insieme [...]. È per questo che il pensiero sistemico è la quinta disciplina.
È la disciplina che integra le discipline, fondendole in un corpo coerente di teoria e di pratica. Essa evita che diventino giochetti separati, oppure le ultime mode del cambiamento organizzativo. Senza l’orientamento si-stemico, non si è motivati a guardare all’interrelazione tra le discipline.
Stimolando ciascuna delle altre discipline, l’apprendimento sistemico ci ricorda continuamente che il tutto può essere maggiore della somma delle sue parti».19
Il potenziale del pensiero sistemico sta sia nell’integrazione delle prime quattro discipline che nel secondo aspetto più sottile – un modo nuovo delle organizzazioni e dei team di lavoro di percepire se stessi in un modo nuovo.
L’organizzazione che apprende non si vede più come staccata dal mondo, ma connessa a esso e di conseguenza percepisce che tutte le questioni inerenti a essa non sono causate da agenti esterni, dalla “condizione” o dalla “situazio-ne” staccati da essa, ma sono connesse al modo di agire dell’organizzazio-ne, fino a rendersi conto che «sono le nostre azioni a creare i problemi che sperimentiamo».20
Inoltre, «il pensiero sistemico è la disciplina di vedere gli interi. È uno sche-ma di riferimento per vedere le interrelazioni anziché le cose, per vedere i modelli di cambiamento piuttosto che le “istantanee” statiche».21 Il nostro
lin-17 Senge, La quinta disciplina, 22006, p. 11.
18 Cfr. Senge, La quinta disciplina, 22006, pp. 347-288.
19 Senge, La quinta disciplina, 22006, p. 13. Cfr. anche pp. 65-143.
20 Senge, La quinta disciplina, 22006, p. 14.
21 Senge, La quinta disciplina, 22006, p. 78.
guaggio modella la percezione e la realtà che in moltissimi casi non è lineare, viene descritta con una logica di causalità lineare seguendo la logica linguistica con la struttura base soggetto-verbo-oggetto. Per capire la complessità Senge usa il termine circolo di causalità (circle of causality) e processo di retroazione (feedback process).22 Con i due termini intende un processo dove le variabili sono organizzate in cerchi di relazione causa-effetto. I processi di retroazione possono essere sostanzialmente di due tipi: la retroazione di rafforzamento e la retroazione di riequilibrio. La retroazione di rafforzamento opera in situa-zioni di crescita quando più variabili si influenzano rafforzandosi, come nel caso di una profezia autoadempientesi o dei circoli virtuosi e viziosi. Senge si riferisce alle teorie sociali di Robert K. Merton e alle teorie pedagogiche di Robert Rosenthal e Robert D. Strom.23 La retroazione di riequilibrio si trova in sistemi che cercano stabilità tra forze o tendenze che operano in direzioni opposte in base a un obbiettivo. L’agire secondo obiettivi impliciti o espliciti e la pianificazione creano processi di riequilibrio. L’interconnessione si nota tra le diverse variabili che si possono rintracciare nella situazione descritta, nell’a-zione intrapresa, nell’obiettivo stabilito e nello scarto percepito tra l’obiettivo, la situazione e gli effetti dell’azione fatta. Spesso ci si trova nelle situazioni di una resistenza al cambiamento il che è un esempio classico del processo di riequilibrio nascosto.24
Spesso gli effetti delle azioni si verificano con un ritardo notevole o si pre-sentano con un effetto a breve durata collegato a un effetto diverso a lunga durata. Virtualmente tutti i processi di retroazione portano qualche ritardo, ma spesso i ritardi non sono riconosciuti e accettati. Conseguentemente, non se ne tiene conto nella progettazione dell’intervento e nella valutazione. Il lavoro con i ritardi costituisce quindi un altro mattone del pensiero sistemico.25 La nozione della causa e dell’effetto distanti nel tempo porta a considerare i processi a lun-ga durata che nascondono altre dinamiche come si può notare nell’immagine della rana bollita che lentamente si adatta alla temperatura dell’acqua fino ad arrivare a un punto di totale paralisi di reazione. La dinamica si verifica in tanti sistemi sociali dove i cambiamenti lenti non vengono notati.26
Il pensiero sistemico nella descrizione di Senge cerca di confrontarsi anche con un ulteriore problema dell’agire umano – la concentrazione dell’attenzione sugli eventi. Se un’organizzazione vuole apprendere in un modo sostenibile,
22 Cfr. Senge, La quinta disciplina, 22006, pp. 84-105.
23 Cfr. R.K. MeRton (Ed.), Social Theory and Social Structure, Free Press, New York 1968; R.
RoSenthal - l. jacoBSon, Pygmalion in the classroom, in «The Urban Review» 3 (1968) 1, 16-20;
R.D. StRoM (Ed.), Teachers and the Learning Process, Prentice Hall, Englewood Cliffs NJ 1971.
24 Cfr. Senge, La quinta disciplina, 22006, pp. 96-101.
25 Cfr. Senge, La quinta disciplina, 22006, pp. 101-105.
26 Cfr. Senge, La quinta disciplina, 22006, pp. 25-26.
deve concentrarsi sui modelli di comportamento e più in profondo sulle strut-ture sistemiche.27 Le strutture sistemiche dell’agire umano sono connesse con i nostri modelli mentali e con gli artefatti dell’organizzazione che possono es-sere reali, simbolici o legislativi. Più si scende in profondità nei circoli causali, più cresce la possibilità di influire sul processo, ma con il rischio di un ritardo maggiore. Lo Schema 6 può illustrare la correlazione delle spiegazioni e delle rispettive azioni.
Schema 6: La conoscenza e la profondità delle strutture sistemiche (p.M. Sen
-ge, La quinta disciplina, 22006, p. 60).
spiegazione in base alla struttura sistemica – livello creativo dell’agire ê
spiegazione in base ai modelli di comportamento – livello adattativo dell’agire ê
spiegazione in base agli eventi – livello reattivo dell’agire
La nozione della comprensione di un sistema ai vari livelli strutturali è uno strumento che permette agli operatori di riflettere sull’opportunità di agire.
Quando la conoscenza di un sistema complesso è solo a livello di eventi, sem-bra che si conosca il nemico che è sempre esterno e altrettanto semsem-bra che ci siano soluzioni semplici. Si corre così il rischio di essere vittime dell’attivismo che si mostra nelle dinamiche seguenti: l’illusione del “farsi carico”, il para-dosso della cura che è peggiore della malattia e il parapara-dosso del più rapido a breve durata che diventa il più lento a lunga durata.28 Molti dilemmi apparenti,
«se osservati dal punto di vista sistemico, non sono per niente dei dilemmi.
Essi sono artefatti di “istantanee”, anziché pensiero “per processi”, e appaiono in una luce completamente nuova una volta che si pensi consapevolmente al cambiamento nel corso del tempo».29
Accanto alle nozioni fondamentali della retroazione di rafforzamento, della retroazione di riequilibrio e del ritardo Senge introduce anche dieci archetipi sistemici,30 che «possono rendere esplicito molto di ciò che altrimenti è sem-plicemente il “buon senso manageriale”».31 Lo scopo degli archetipi sistemici è di ricondizionare la percezione degli operatori in modo da essere in grado di vedere meglio le strutture in atto e di agire meglio agendo nei punti nevralgici
27 Cfr. Senge, La quinta disciplina, 22006, pp. 24-25 e 59-62.
28 Cfr. Senge, La quinta disciplina, 22006, pp. 23-24 e 69-72.
29 Senge, La quinta disciplina, 22006, p. 74.
30 Cfr. Senge, La quinta disciplina, 22006, pp. 439-454.
31 Senge, La quinta disciplina, 22006, p. 108.
per ottenere il maggiore effetto. Senge lo chiama agire dal punto di leva (leve-rage point). Dei dieci archetipi si presentano successivamente i due principali.
Schema 7: Archetipo sistemico del transfert (cfr. p.M. Senge, La quinta disci-plina, 22006, p. 442).
L’archetipo del transfert è quello che più si riscontra nella gestione dei pro-cessi di cambiamento. Si tratta di solito di un problema che mostra sintomi che richiedono attenzione. Le persone hanno difficoltà ad affrontare il problema sottostante, perché esso è complicato e si presuppone che la soluzione richie-da tante energie. Così le persone trasferiscono la loro attenzione alla cura dei sintomi che è più facile e meno “costosa”. Il problema di fondo peggiora e, poiché i sintomi spariscono per un momento, il sistema perde qualsiasi abilità di risolvere il problema sottostante. Intanto le soluzioni sintomatiche creano spesso effetti collaterali che diminuiscono la capacità di affrontare il problema di fondo.32
Schema 8: Archetipo sistemico dell’erosione degli obiettivi (cfr. p.M. Senge, La quinta disciplina, 22006, p. 445).
32 Cfr. Senge, La quinta disciplina, 22006, pp. 118-128.
L’archetipo dell’erosione degli obiettivi è una dinamica che fa diminuire gli obiettivi e gli standard per ridurre lo scarto tra la realtà e gli obiettivi proposti.
Siccome le azioni per migliorare le condizioni reali producono effetti con un certo ritardo, c’è la tendenza di adottare la soluzione a breve termine dell’e-rosione degli obiettivi che produce un breve sollievo dalla pressione operati-va. Questa soluzione porta però a lungo termine verso un declino dell’altezza dell’obiettivo e alla mediocrità operativa. Nella presenza della dinamica dell’e-rosione degli obiettivi bisogna attenersi alla visione e investire nelle azioni che produrranno effetti reali di miglioramento.33
1.2. Le scuole che apprendono di Senge (2000)
Il libro Schools That Learn è nato dopo due decenni di sperimentazioni e di esperienze dell’applicazione del pensiero sistemico all’educazione.34 Si tratta di una raccolta di 191 saggi di 113 autori che si muovono da un interesse prag-matico di dare strumenti per particolari problematiche all’interesse teorico che tenta di affrontare la realtà educativa in un nuovo modo più integrale.
Un background teorico del libro è costituito dall’idea di un necessario cambio del sistema educativo dell’età industriale con degli approcci integrali e sistemici. Partendo dall’assunzione di Deming sull’interconnessione tra il sistema gestionale e il sistema scolastico,35 Senge sostiene che «l’educazione primaria e secondaria è un’istituzione industriale più pura rispetto ai modelli di gestione economici».36 I principi antropologici di base del modello industriale sono i seguenti: i bambini hanno un deficit e la scuola lo mette a posto; l’ap-prendimento avviene nella testa, non nel corpo intero; ognuno apprende nello stesso modo; l’apprendimento avviene nella classe non nel mondo; e infine ci sono bambini intelligenti e bambini stupidi.37 La scuola dell’età industria-le è concepita secondo altri asserti gestionali: la scuola è guidata da esperti che mantengono il controllo; la conoscenza è intrinsecamente frammentata; le scuole comunicano la verità; l’apprendimento è primariamente individuale e, come ultimo, la competizione accelera l’apprendimento. «Come in tutte le
or-33 Cfr. Senge, La quinta disciplina, 22006, pp. 445-446.
34 Cfr. Senge et al., Schools That Learn. A Fifth Discipline Fieldbook for Educators, Parents, and Everyone Who Cares About Education, Doubleday, New York 2000, p. 5. Nel libro si fa ricorso alle esperienze in tanti Stati degli Stati Uniti, ma si parla anche di applicazioni in Austria, Colombia, Irlanda, Israele, Nepal, Palestina e Singapore.
35 Cfr. Senge, La quinta disciplina, 22006, p. XV.
36 P.M. Senge, The Industrial Age System of Education, in Senge et al., Schools That Learn, 2000, p. 33.
37 Cfr. Senge, The Industrial Age System of Education, in Senge et al., Schools That Learn, 2000, pp. 35-42.
ganizzazioni dell’età industriale, il compito di una scuola dell’età industriale è spezzato in piccole parti chiamate “lavori” […]. Si presume, che, se ognuno fa il suo lavoro molto specializzato, le cose andranno bene. Il modello gestionale dell’età industriale rompe il sistema nelle parti, crea specialisti, lascia fare a ognuno la sua parte e presume che qualcuno faccia funzionare l’intero».38
Gli autori del libro propongono un cambio di paradigma che si basa sulle cinque discipline di Senge. La prospettiva pedagogica si basa su John Dewey, sui contributi della pedagogia critica di Paolo Freire, integrata con le concezio-ni della psicologia evolutiva di Jean Piaget, le concezioconcezio-ni sistemiche di Fritjof Capra, gli studi di Howard Gardner sull’intelligenza multipla e gli studi sulla leadership educativa di Parker Palmer.39
Per “scuola che apprende”, che è il titolo della pubblicazione, si intende «un terreno d’incontro per l’apprendimento dedicato all’idea che tutti coloro che sono coinvolti, singolarmente e insieme, migliorino ed espandano
Per “scuola che apprende”, che è il titolo della pubblicazione, si intende «un terreno d’incontro per l’apprendimento dedicato all’idea che tutti coloro che sono coinvolti, singolarmente e insieme, migliorino ed espandano