PARTE TEORICA
LE TEORIE DEGLI ANNI ’60 E ’70
1. Le teorie curricolari da Dewey a Stenhouse
Pellerey descrive la progettazione educativa negli anni ’60 e ’70 che voleva
«superare sia le secche del burocratismo, sia le inconcludenze e i velleitarismi dello spontaneismo. Ed ecco l’invasione delle teorie curricolari e l’aggrapparsi alle indicazioni della tecnologia didattica».15 Le radici e il background dell’im-ponente movimento didattico di quegli anni sono da ricercare agli inizi del ventesimo secolo, in un ambiente abbastanza diverso. L’origine delle teorie curricolari possono essere ricondotte a John Dewey e al suo volume The Child and the Curriculum16 nel quale l’autore usa la parola curricolo con il significato di corso di studi. Più tardi John F. Bobbitt nel suo volume The Curriculum17 usa l’espressione curricolo nel senso di una successione intenzionalmente struttu-rata delle esperienze formative, che la scuola adotta in un modo esplicito per perfezionare lo sviluppo delle abilità di un soggetto. La sintesi della sua teoria, che accentua la visione analitico-tecnologica della realtà, è espressa in questo modo: «La teoria centrale è semplice. La vita umana, varia in tanti modi, consi-ste nello svolgimento di attività specifiche. Un’educazione che prepara alla vita è poi quella che prepara definitivamente e in modo adeguato allo svolgimento di queste attività. Le attività possono essere scoperte, qualunque alto sia il loro numero e la loro varietà rispetto alle diverse classi sociali. Ciò richiede solo che uno vada nel mondo degli affari per scoprire tutti i particolari di cui sono composti. Lo studio di questi affari gli mostrerà le abilità, gli atteggiamenti, le abitudini e le forme della conoscenze di cui gli uomini hanno bisogno. Questi saranno gli obiettivi del curricolo. Saranno numerosi, definiti e particolareggia-ti. Il curricolo sarà quindi quella serie di esperienze che i bambini e i giovani devono vivere in modo da raggiungere tali obiettivi».18
Il modo di Bobbitt di concepire l’educazione era fortemente influenzato dal sorgere del management scientifico soprattutto in chiave Tayloriana.19
Frede-15 pelleRey, Progettazione didattica, 1979, p. 10.
16 Cfr. J. deWey, The Child and the curriculum, The University of Chicago Press, Chicago 1902.
17 John F. Bobbitt (1876-1956) è stato un educatore e pedagogista americano nell’era del movi-mento dell’efficienza. L’esperienza fondante del suo cambio di paradigma sul curricolo era la parte-cipazione al comitato dell’impostazione del curricolo per le scuole elementari nelle Filippine dove insegnò alla Philippine Normal School in Manilla dal 1903 al 1907. Il nucleo della sua teoria partiva dall’idea che il curricolo è un modo per preparare gli studenti per il loro ruolo futuro nella nuova società industriale. Sosteneva inoltre che l’insegnamento delle discipline classiche dovrebbe essere sostituito dalle materie che corrispondono ai bisogni sociali di una nuova società. Cfr. J.F. BoBBitt, The Curriculum, Houghton Mifflin, Boston 1918.
18 BoBBitt, The Curriculum, 1918, p. 42.
19 Cfr. J.F. BoBBitt, Some general principles of management applied to the problems of city-school systems, National Society for the Study of Education, Bloomington 1913; R. callahan, Edu-cation and the Cult of Efficiency, University of Chicago Press, Chicago 1962; C.H. edSon, Curricu-lum Change During the Progressive Era, in «Educational Leadership» 36 (1978) 64; T. BuSh,
Lead-rick W. Taylor, nella sua opera più importante sul management scientifico del 1911, propone sostanzialmente tre elementi per alzare l’efficienza di qualunque processo:
1. studio scientifico dei compiti,
2. descrizione particolareggiata e suddivisione delle attività,
3. estensione del controllo manageriale e dello studio scientifico di tutti gli elementi dello spazio e del tempo nei quali si svolgono le attività.20 La proposta di Bobbitt non aveva conquistato grandi consensi negli anni ’20 e ’30 a causa della popolarità della “Nuova educazione” centrata più sull’edu-cando che sul processo educativo. Alla fine degli anni ’40 con il declino della
“Nuova educazione” si aprì più spazio per un nuovo sviluppo delle teorie cur-ricolari. Non c’è una diretta influenza della teoria di Bobbitt per la metodologia del PEPS, ma è importante il nesso presente nel suo pensiero tra il pensiero organizzativo e le applicazioni nella progettazione didattica. Spesso, infatti, i paradigmi pedagogici provengono dal mondo organizzativo in modo esplicito, quando una teoria organizzativa si applica al processo educativo, oppure in modo implicito, quando un paradigma organizzativo, comunemente considera-to scientifico, permea un sistema educativo in quanconsidera-to un’organizzazione speci-fica in rapporto con altre organizzazioni e istituzioni.
In questa tempo si colloca Ralph W. Tyler che, tra l’altro, ha inteso riaffer-mare l’importanza del processo educativo e didattico contro l’invasione della psicometria. Un punto di riferimento fondamentale può essere considerato il suo libro del 1949 intitolato Basic principles of curriculum and instruction.21
ership and management development in education, Sage, London 42011, p. 10; R. BateS, History of Educational Leadership/Management, in P. peteRSon - e. BaKeR - B. McgaW (Edd.), International Encyclopedia of Education, vol. 4, Academic Press, Oxford 32010, p. 724; M. coRnacchia, Teorie di management e organizzazione della scuola, Unicopli, Milano 2010, pp. 70-75.
20 Frederic W. Taylor (1856-1915) era un ingegnere statunitense con un titolo di studio presso lo Stevens Institute of Technology. È considerato come il padre del management scientifico ed uno dei leaders intellettuali del movimento dell’efficienza. Nel corso della sua vita ebbe varie cariche di direzione di fabbriche e di consulenza manageriale. Per le sue invenzioni nell’area della produzione dell’acciaio ricevette la Elliott Cresson Medal e un premio personale nell’esposizione di Parigi del 1900. Più tardi divenne professore alla Tuck School of Business. La Harvard University, una delle prime università americane che ha proposto una laurea in management aziendale nel 1908, ha basato il suo primo curricolo sulle idee tayloriane di management scientifico. Cfr. l’opera più importante F.W. tayloR, The Principles of Scientific Management, Harper & Brothers, New York 1911.
21 Ralph W. Tyler (1902-1994) ottenne il dottorato di ricerca presso l’Università di Chicago nel 1927. Fu il capo della valutazione degli Eight-Year Study (1933-1941), un programma nazionale che coinvolgeva 30 scuole secondarie e 300 college e università, con l’intenzione di affrontare la rigidità dei programmi delle scuole superiori. Un decennio dopo aver completato il suo lavoro Tyler formalizzò il suo pensiero sul curricolo nella pubblicazione Basic principles of Curriculum and In-struction. Questo libro è stato un bestseller che, ristampato in 36 edizioni, ha conservato una certa influenza sulla progettazione didattica fino ad oggi. Tyler è stato consigliere del presidente Truman
Tyler enuncia all’inizio del suo libro quattro domande che determinano, insie-me con le relative risposte, il quadro di riferiinsie-mento razionale secondo il quale si possono esaminare i problemi relativi al curricolo e all’istruzione. Le domande sono:
1. «Quali sono le finalità educative che la scuola dovrebbe cercare di rag-giungere?
2. Quali esperienze educative, verosimilmente adatte a raggiungere queste finalità, sono disponibili?
3. Come possono in concreto essere organizzate queste esperienze?
4. In quale modo è possibile verificare che queste finalità sono state raggiunte?».22
Nella prima parte del suo libro introduce il concetto dell’obiettivo educa-tivo e lo connette, usando interdisciplinarmente apporti anche della filosofia e psicologia, con i bisogni dell’individuo, con le relazioni con l’ambiente fisico e sociale, con i valori, abilità e abiti. Nella pubblicazione si trova un’enfasi sugli obiettivi con un abbozzo di tassonomia degli obiettivi educativi per un curri-colo di studi sociali,23 un’accentuazione che sarà sviluppata dai suoi allievi. La linearità della proposta parte dallo stabilimento degli obiettivi, dalla selezione di esperienze educative e finisce con la valutazione del raggiungimento degli obiettivi. Tyler cerca di formulare il concetto dei «principi organizzatori, gra-zie ai quali tutti i fili possono essere cuciti insieme».24 Purtroppo il “principio organizzatore”, con una funzione integrante, rimane un concetto senza uno chiaro svolgimento e l’autore si concentra quasi esclusivamente sulle strutture organizzative del curricolo come la lezione, il tema e l’unità di studio. Anche negli esempi, nella parte dell’organizzazione del curricolo, si trovano solo dei contenuti delle materie scolastiche classiche e pochissimi valori, abilità o abiti da acquisire.25
Un altro filone di studio, che ha avuto una certa influenza sulle teorie cur-ricolari, può essere considerato l’istruzione programmata (programmed learn-ing) degli anni ’50 riconducibile a Burrhus F. Skinner e Norman A. Crowder.
Dall’istruzione programmata proviene l’accento tecnologico sulla sequenza di
nella riforma del curriculum presso le accademie di servizio nel 1952 e, sotto Eisenhower, ha pre-sieduto la Conferenza del Presidente sull’infanzia e la gioventù. Anche l’amministrazione del presi-dente Johnson ha utilizzato i consigli di Tyler. Nel 1954 Tyler è stato nominato direttore fondatore del Center for Advanced Study in Behavioral Sciences conservando tale carica fino al 1967. Cfr. la sua opera principale R.W. tyleR, Basic Principles of Curriculum and Instruction, The University of Chicago Press, Chicago 1949.
22 Cfr. tyleR, Basic Principles of Curriculum, 1949, p. 1.
23 Cfr. tyleR, Basic Principles of Curriculum, 1949, pp. 3-62 e 89-94.
24 Cfr. tyleR, Basic Principles of Curriculum, 1949, p. 95.
25 Cfr. tyleR, Basic Principles of Curriculum, 1949, pp. 95-100.
una chiara progettazione (design), il processo di realizzazione del progetto (im-plementation) e il controllo sistematico sia del prodotto (quality control) che del processo (evaluation). La tecnologia dell’educazione, intesa comportamen-tisticamente, induceva anche alle sperimentazioni con le macchine d’insegna-mento, dove la definizione degli obiettivi, dei processi e dei risultati richiesti diventava imprescindibile.26
Le teorie curricolari, sviluppando le precedenti teorie tyleriane e combinan-dole con alcuni esiti del comportamentismo e del management by objectives (MBO), hanno creato una imponente corrente pedagogica negli Stati Uniti du-rante la “decade dell’educazione” (1957-68).27 Pochi anni dopo la teoria cur-ricolare si diffuse anche in Europa, soprattutto in Germania, Spagna, Olanda, Francia, Belgio e Gran Bretagna. Nel tentativo di descrivere il movimento si possono vedere sostanzialmente tre correnti, secondo il paradigma con cui guardano il curricolo: modello del curricolo come prodotto, come processo e come ricerca.
1.1. Il curricolo come prodotto
Gli autori che intendono il curricolo come prodotto si trovano in continuità con il pensiero di Bobbitt e Tyler.28 Si possono nominare gli autori già citati nei moduli sul PEPS come Bloom,29 Gagné e Briggs, aggiungendo altri
stu-26 Cfr. R. glaSeR - a.a. luMSdaine (Edd.), Teaching Machines and Programmed Learning. A Source Book, National Education Association, Washington D.C. 1961 e J. haRtley, Programmed Instruction 1954-1974. A Review, in «Innovations in Education & Training International» 11 (1974) 6, 278-291.
27 La “decade dell’educazione”, lanciata con lo Sputnik nel 1957 e successivo scombussolamento prodotto in occidente ha trovato un’espressione tipica nel National Defense Education Act. Lo sforzo educativo della decade va mano nella mano con l’obiettivo di mettere l’uomo sulla luna all’interno della stessa logica del Management By Objectives di Peter F. Drucker. Il National Defense Educa-tion Act rafforza la componente della scienza e della tecnica nell’educazione: «Il Congresso rileva e dichiara con la presente che la sicurezza della Nazione richiede il massimo sviluppo delle risorse mentali e delle competenze tecniche dei suoi giovani uomini e donne [...]. La difesa di questa nazione dipende dalla padronanza della tecnica moderna sviluppata dai complessi principi scientifici». Cfr.
National Defense Education Act in «Public Law» 85-864, 72 Stat. 1580 del 2 settembre 1958, sezi-one 101; P.F. dRucKeR, The Practice of Management, Harper & Row, New York 1954; J.I. goodlad, Improving Schooling in the 1980s: Toward the Non-Replication of Non-Events. We have learned some painful lessons about how not to achieve change, in «Educational Leadership» 40 (1983) 4;
P.M. Senge, The Industrial Age System of Education, in P.M. Senge et al., Schools That Learn. A Fifth Discipline Fieldbook for Educators, Parents, and Everyone Who Cares About Education, Dou-bleday, New York 2000, pp. 27-49 e J.L. MilleR, Curriculum and Poststructuralist Theory, in peteR
-Son - BaKeR - McgaW (Edd.), International Encyclopedia of Education, vol. 1, 32010, pp. 499-500.
28 Cfr. SaRti, Valutazione, in Vecchi - pRelleZo, PEP. Elementi modulari, 1984, p. 312.
29 Cfr. B.S. BlooM (Ed.), Taxonomy of Educational Objectives: The Classification of Educational
diosi come Robert F. Mager30 e Hilda Taba31 valorizzati nella pubblicazione Progettazione didattica di Michele Pellerey, autore dei moduli sugli obiettivi e sull’itinerario all’interno del PEPS. La studiosa del curricolo Hilda Taba, dopo la collaborazione con Dewey, Tyler e Bloom, sviluppa una teoria del curricolo che propone una distinzione tra gli scopi e gli obiettivi didattici. Gli scopi sono intenzioni generali come trasmettere la cultura o far passare uno stile di vita democratico. Gli obiettivi sono invece più specifici e concernono il comporta-mento desiderato. L’efficacia del processo didattico viene vista in modo pro-porzionale alla concretezza degli obiettivi posti, perché guida le scelte durante la creazione del curricolo e della sua valutazione.32
All’interno di questo modo di concepire gli obiettivi, Taba propone una se-rie di passi successivi per preparare razionalmente un piano educativo:
1. «diagnosi dei bisogni;
2. formulazione degli obiettivi;
3. selezione dei contenuti;
4. organizzazione dei contenuti;
5. selezione delle esperienze di apprendimento;
6. organizzazione delle esperienze di apprendimento;
7. determinazione di ciò che si deve valutare, di come a con quali strumenti è possibile farlo».33
Tra le tante possibili accentuazioni, una grande parte di studiosi ha posto l’attenzione sulla formulazione chiara, precisa e specifica degli obiettivi.34 Già Tyler aveva dedicato la metà del Basic Principles of Curriculum alla tematica della ricerca degli obiettivi. Il tentativo di produrre una tassonomia degli obiet-tivi pedagogici è sorto negli Stati Uniti alla fine degli anni ’40 ed ha avuto il suo sviluppo più alto nelle pubblicazioni di Bloom.35 Dei tre volumi previsti,
Goals, Handbook 1: Cognitive domain, David McKay, New York 1956 e D.R. KRathWohl - B.S.
BlooM - B.B. MaSia, Taxonomy of Educational Objectives: The Classification of Educational Goals.
Handbook 2: Affective domain, David McKay, New York 1964.
30 Cfr. R.F. MageR, Preparing Instructional Objectives, Fearon, Palo Alto CA 1962.
31 Cfr. H. taBa, Curriculum development: theory and practice, Burlingham: Harcourt, Brace &
World, New York 1962.
32 Cfr. taBa, Curriculum development, 1962, pp. 196-199 e W.J. pophaM - e.l. BaKeR, System-atic instruction, Prentice-Hall, Englewood Cliffs NJ 1970, p. 19. Cfr. il riflesso di questa distinzione in pelleRey, Obiettivi, in Vecchi - pRelleZo, PEP. Elementi modulari, 1984, p. 95.
33 taBa, Curriculum development, 1962, p. 12. Cfr. l’ispirazione dall’autrice nei passi di Tyler.
34 Cfr. l’accento alla precisione e misurabilità degli obiettivi in pelleRey, Obiettivi, in Vecchi – pRelleZo, PEP. Elementi modulari, 1984, pp. 94 e 99-100.
35 Benjamin S. Bloom (1913-1999) ha conseguito la laurea presso la Pennsylvania State Univer-sity nel 1935 e un dottorato di ricerca nel campo dell’istruzione presso l’Università di Chicago nel marzo 1942. Nel 1965 è stato eletto Presidente della Associazione Americana per la Ricerca Edu-cativa. Fu coinvolto nella problematica della formazione a livello mondiale quando la Fondazione
Bloom ne ha pubblicato solo due nei quali descrive la tassonomia degli obiet-tivi cogniobiet-tivi e affetobiet-tivi. Il terzo volume, non pubblicato, doveva descrivere lo sviluppo psicomotorio. La tassonomia per quest’area è stata sviluppata succes-sivamente da altri autori. La tassonomia di Bloom descrive la crescita umana in tre aree, undici sottoaree, con 54 items.36
Più tardi furono preparati strumenti di lavoro che, utilizzando le tassonomie di Bloom, dovevano facilitare la formulazione degli obiettivi didattici. Come esempio si può menzionare quello di Newton S. Metfessel, William B. Michael e Donald A. Kirsner che venne predisposto su tre colonne: la prima contiene la classificazione originaria di Bloom, la seconda presenta esempi di verbi che esprimono l’azione connessa e la terza colonna offre esempi di complementi oggetto che possono essere usati nell’azione descritta.37 Il problema dell’ac-centuazione della formulazione linguistica degli obiettivi vista nel campo della didattica non era estraneo all’area salesiana e si è notato nell’analisi dei PEPSI della prima metà degli anni ’90. Similmente come la banca di obiettivi Instruc-tional Objectives Exchange,38 che doveva servire per gli insegnanti all’inizio degli anni ’70, si può valutare la raccolta antologica dei PEPSI che serviva come ispirazione per la stesura dei progetti delle varie ispettorie e case sale-siane.39
Un altro autore citato da Pellerey è Louis D’Hainaut che, anche se poco co-nosciuto, ha elaborato un modello articolato di obiettivi educativi in base a 20 operazioni intellettuali: trattare le informazioni, trovare delle relazioni nell’am-biente, comunicare, tradurre, adattarsi, mettere in opera dei modelli, risolvere dei problemi, creare, giudicare, scegliere, astrarre, spiegare, dimostrare, dedurre,
Ford lo mandò in India nel 1957 per condurre una serie di workshop sulla valutazione, che hanno poi portato a una completa revisione del sistema degli esami in India. Ha lavorato, intanto, anche come consulente educativo per i governi di Israele e di numerose altre nazioni.
36 Cfr. B.S. BlooM et al., Tassonomia degli Obiettivi Educativi. La classificazione delle mete dell’educazione, vol. 1: Area cognitiva, Giunti & Lisciani, Teramo 1983, pp. 205-213; id., Tassono-mia degli Obiettivi Educativi. La classificazione delle mete dell’educazione, vol. 2: Area affettiva, Giunti & Lisciani, Teramo 1984-85, pp. 175-184 e A. haRRoW, Tassonomia degli Obiettivi Educa-tivi. La classificazione delle mete dell’educazione. Una guida allo sviluppo di obiettivi in termini di comportamento, vol. 3: Area psicomotoria, Giunti & Lisciani, Teramo 1984, p. 9
37 Cfr. D. BRoWn, Usiamo il cervello, SEI, Torino 1976, pp. 287-291. Cfr. la ripresa della tabella in pelleRey, Progettazione didattica, 1979, pp. 240-244.
38 Cfr. W.J. pophaM, Must all objectives be behavioral?, in StenhouSe, Dal programma al cur-ricolo, 1977, p. 101.
39 Lo scambio di obiettivi educativi estrapolati dal loro contesto interpretativo e dalle interdi-pendenze all’interno del curricolo comporta non pochi rischi che vengono incrementati quando lo scambio avviene a livello planetario come nel caso dei PEPSI. Cfr. dicaSteRo peRla paStoRale gioVanile, Il Progetto Educativo-pastorale salesiano. Raccolta antologica di testi, Dossier PG 9, SDB, Roma 1995, p. 7 e a.W. KRuglanSKi et al., A Theory of Goal Systems, in M.P. Zanna (Ed.), Advances in Experimental Social Psychology, vol. 34, Academic Press, San Diego CA 2002, pp.
331-378.
apprendere, agire, decidere, concepire una strategia, trasformare e organizzare.
Per Pellerey questo modello era il più completo tra quelli disponibili alla fine degli anni ’70. D’Hainaut suddivide le venti operazioni intellettuali in più di 100 obiettivi, i quali a loro volta sono ulteriormente precisati in più di 200 sottobiet-tivi più specifici.40 L’esagerata quantità di obiettivi e di elementi del PEPS si può interpretare anche con l’influenza di questi autori che preferiscono la descrizione completa rispetto al numero realistico raggiungibile degli obiettivi.
Tornando a Bloom bisogna aggiungere che il suo lavoro sugli obiettivi edu-cativi è stato determinante anche per lo sviluppo dell’apprendimento della pa-dronanza (mastery learning). Questo metodo d’apprendimento cerca di supera-re la dinamica della “profezia autoadempientesi” dell’insegnante nella classe:
«Il docente s’aspetta che un terzo dei suoi alunni apprenda ciò ch’egli insegna, che un altro apprenda meno bene e che un terzo ancora fallisca o semplicemen-te “tiri avanti”. Tali prospettive si trasmettono agli studenti mediansemplicemen-te procedure e piani scolastici selettivi e tramite metodi e materiali didattici. Gli studenti imparano ben presto ad agire in conformità a essi e la classificazione finale per processo selettivo s’avvicina di molto alle prospettive iniziali del docente.
S’è instaurata così una perniciosa profezia che s’adempie di per se stessa».41 L’apprendimento della padronanza propone un superamento della “profezia”
con una chiara definizione degli obiettivi e dei sottobiettivi, li comunica agli studenti e li accompagna attraverso il sistema di apprendimento per conseguire la padronanza a vari livelli.
Un altro tipo di approccio viene offerto dalla teoria generale dei sistemi ap-plicata al sistema scolastico.42 Negli anni ’70 si applicava il pensiero sistemico soprattutto nella matrice ingegneristica come un metodo più efficace di pro-blem solving e non ancora come un paradigma integrale di pensiero. Kathryn V.
Feyereisen, Angelo J. Fiorno e Arlene T. Nowak, usando il pensiero sistemico, propongono uno schema per l’amministrazione del curricolo:
1. «Identificazione del problema, 2. Diagnosi del problema,
3. Ricerca di soluzioni alternative, 4. Scelta della soluzione migliore,
5. Ratificazione di tale soluzione da parte dell’organizzazione, 6. Autorizzazione della soluzione,
40 Cfr. L. d’hainaut, Des fins aux objectifs de l’éducation, Labor, Bruxelles 1977, pp. 106-120.
41 B.S. BlooM, Mastery learning, in J.H. BlocK, Mastery Learning: Theory and Practice, Holt, Rinehart and Winston, New York 1971, p. 47.
42 Cfr. J. BeiShon - g. peteRS (Ed.), Systems Behaviour, Harper and Row for the Open University Press, London 1972; D. BiRley, Planning and Education, Routledge and Kegan Paul, London 1972 e K.V. FeyeReiSen - a.j. FioRno - a.t. noWaK, Supervision and Curriculum Renewal: A Systems Approach, Appleton-Century-Crofts Meredith Corporation, New York 1970.
7. Uso della soluzione su una base di prova, 8. Preparazione per l’adozione della soluzione, 9. Adozione della soluzione,
7. Uso della soluzione su una base di prova, 8. Preparazione per l’adozione della soluzione, 9. Adozione della soluzione,