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L'importanza di Giovanni Falcone e la necessità di un organico

Il pensiero di Giovanni Falcone ebbe una grande importanza nel nostro ordinamento, soprattutto per la lotta alla mafia e per l'evoluzione del sistema delle misure premiali e di protezione dei collaboratori di giustizia. Infatti è anche grazie al suo contributo che venne emanata la Legge n.82/1991 e il Decreto-Legge 306/1992 convertito con modificazioni dalla L. 07 agosto 1992, n. 356.

S. D'AMICO, op. cit. p. 53 ss.

Giovanni Falcone ha sempre ritenuto fondamentali per la lotta alla mafia le figure dei c.d. pentiti, mentre tra i colleghi magistrati aveva notato, in un convegno di studio nel 1980, una certa diffidenza nei confronti dei pentiti della criminalità organizzata, non ritenuti uno strumento efficace di lotta alla mafia diversamente da collaboratori e dissociati che erano comparsi nelle inchieste giudiziarie all'epoca del terrorismo . Infatti era comune opinione che un mafioso che parla 62

«o è pazzo o è morto», nel senso che il collaboratore se non fosse stato eliminato dalla stessa organizzazione criminale, sarebbe stato dichiarato insano di mente in sede giudiziaria e quindi inattendibile.

Ma, secondo Falcone, a determinare una diffidenza nei confronti dei collaboratori per fatti di mafia erano soprattutto l'inadeguata professionalità con la quale erano state valutate le dichiarazioni dei pentiti e la tendenza ad affrontare il problema dei collaboratori in modo troppo istintivo, con schemi mentali predeterminati e quindi non idonei a garantire soluzioni chiare.

Falcone non ignorava la problematicità e la delicatezza della questione relativa all’attendibilità e alla genuinità delle dichiarazioni rilasciate dai criminali mafiosi in sede collaborativa. La valutazione delle loro dichiarazioni doveva essere rigorosa e andava condotta con attenzione e professionalità; era necessaria la ricerca di elementi oggettivi affinché tali contributi potessero assumere valore di prova. Sosteneva lo stesso Falcone che le dichiarazioni dei pentiti, di per sé non indispensabili e decisive, costituiscono però un riscontro utilissimo e diretto dei risultati raggiunti per altra via e si offrono come spunto per ulteriori indagini. Però secondo il giudice Falcone, se si fosse voluto combattere la mafia e le altre organizzazioni criminali attraverso lo strumento dei collaboratori, sarebbe stato necessario predisporre da un lato misure premiali che potessero incentivare la collaborazione e dall'altro misure di protezione che assicurassero tranquillità e sicurezza ai c.d. pentiti e ai loro familiari. Sono queste due problematiche distinte ma legate tra loro in quanto «molto spesso la voglia di collaborare si infrange

G. FALCONE, Relazione tenuta al Convegno di Sanremo, il sistema penale tra riforma

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e controriforma (14-16 giugno 1991), Pentitismo e repressione della criminalità

contro fondati timori di feroci rappresaglie» . A tal proposito il giudice 63

rimproverò spesso lo Stato di non essere intervenuto con misure ad hoc per coloro che decisero di parlare all’interno di Cosa Nostra, e infatti, come abbiamo visto, si dovettero adottare nel tempo degli strumenti in via di prassi per sopperire alle lacune normative.

In tal senso emblematiche furono le parole di Falcone: «E’ accettabile che per la collaborazione prestata, Contorno abbia dovuto perdere trentacinque parenti e dieci Buscetta?» . Il giudice disse che «il problema è trovare dei rimedi giuridici 64

adeguati per consentire a queste persone di poter parlare nella condizione in cui non debbono sopportare rischi eccessivi per l'incolumità personale. [...]In America c'è un programma di protezione del teste efficace [...] e di ciò noi parliamo da anni. [...]Il pentito non può essere utilizzato, spremuto e buttato via...sono problemi di credibilità dello Stato» . 65

Agli inizi degli anni '90 risultò necessaria l’istituzione di un organo ad hoc che, sulla base di criteri prestabiliti, si occupasse dell'applicazione delle norme a tutela dei collaboratori. Giovanni Falcone pensava alla creazione di una Commissione, da istituirsi presso il Ministero dell’Interno o ancora meglio presso la Presidenza del Consiglio dei Ministri, composta da magistrati del Pubblico Ministero, nominati dal Consiglio Superiore della Magistratura, da appartenenti alle forze dell’ordine che avessero esperienza e una profonda conoscenza dei problemi di criminalità organizzata. Il provvedimento per la protezione del collaboratore doveva essere adottato, su proposta del Pubblico Ministero, senza alcun tipo di formalità procedurale che rendesse vana la necessaria tempestività che lo caratterizzava e prevedendo che di volta in volta venissero applicate le misure ritenute opportune, verificando le esigenze del caso concreto. Doveva essere poi previsto che, nei casi di urgenza, le forze dell'ordine o il presidente della

G. FALCONE, La posta in gioco: interventi e proposte per la lotta alla mafia, Rizzoli, p.

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69.

G. FALCONE, Cose di Cosa Nostra, BUR, 2013, cit. p. 73.

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Così G. FALCONE in intervista rilasciata Michele Santoro durante la trasmissione

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Commissione centrale per l'applicazione dello speciale programma applicassero misure temporanee.

Per evitare commistioni di ruoli e ambiguità nelle acquisizioni probatorie, riteneva anche necessario operare una separazione di ruoli e di funzioni tra gli organi investigativi e coloro che si sarebbero dovuti adoperare per l’applicazione delle misure di protezione; questo al fine di evitare il pericolo dei c.d. “rapporti intimistici” con il collaboratore che avrebbero potuto offuscare la capacità di giudizio sull’attendibilità delle confessioni rese dai pentiti. Come aveva sottolineato Falcone, l’approccio metodistico con il quale ci si deve accostare alle affermazioni raccolte attraverso le confessioni dei pentiti al fine di una loro corretta valutazione circa la loro genuinità e attendibilità deve essere sereno, professionale, scevro da preconcetti e pregiudizi, distaccato. 66

I collaboratori dovevano essere ristretti in strutture penitenziarie ad hoc, e tra le misure di protezione adottabili doveva essere previsto l'uso di documenti di comodo e il cambio delle generalità. Inoltre, vista la geografia del nostro paese e il potere della criminalità organizzata, secondo lui, avrebbero dovuto essere stipulate delle convenzioni internazionali che permettessero di trasferire all'estero i collaboratori, anche se detenuti, e i loro familiari. Quest'ultimo fu uno dei motivi per cui Falcone, negli anni '80, si recò a New York per parlare dei rapporti tra la mafia siciliana e quella americana e per stringere una collaborazione con la Drug

Enforcement Administration e con il Federal Bureau Investigation. Negli Stati

Uniti rimase piacevolmente stupito dalla loro efficienza e dalle loro strumentazioni (come ad esempio il computer); proprio per questo, nel proporre l'introduzione del succitato sistema di protezione dei collaboratori di giustizia nel nostro ordinamento si rifece al c.d. Witness Protection Program, istituito negli Stati Uniti d'America negli anni '70.

Anche lo stesso giudice Giovanni Falcone fu pesantemente accusato - come egli

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stesso racconta nel suo libro ”Cose di Cosa Nostra”- di avere rapporti intimistici con i pentiti del tipo “conversazioni accanto al caminetto”. Cit. p. 79. Nessuna anomalia però fu mai rinvenuta nei suoi atti processuali.