3.4. Il d.l 8/1991 convertito dalla l 82/1991: la disciplina generale
3.4.5 Le misure di protezione e di assistenza
L'articolo 10 della legge n.82/1991 stabilisce che «può essere definito uno speciale programma di protezione, comprendente se necessario anche misure di assistenza». Per quanto riguarda i contenuti di discrezionalità delle misure di protezione, si deve ritenere che in questo caso alla presenza dei presupposti ex 79
articolo 9, più che discrezionalità sorga un vero e proprio dovere di adottare le misure di protezione ritenute necessarie per il caso concreto, e la mancata adozione delle stesse potrebbe dar luogo a responsabilità penale, almeno per l'ipotesi dell'omissione di atti d'ufficio ex articolo 328 c.p., oltre che a responsabilità amministrativa, disciplinare.
Invece per quanto riguarda la valutazione della «necessità» di misure di assistenza è caratterizzata da tratti prettamente discrezionali in merito all'«an», al «quando» ed al «quantum».
In merito alla tipologia delle misure di protezione ed assistenza, nella legge n.82 del 1991 c'è una scarsità ed una genericità delle previsioni, e questo è dovuto,
S. D'AMICO, op.cit. p. 66
oltre che alla necessaria forma di riservatezza per le particolari finalità di questa disciplina, anche alla volontà di attribuire ai vertici delle amministrazioni competenti l'onere di specificare i tipi di misure adottabili tramite una normativa di attuazione.
Per quanto riguarda le misure di protezione si deve distinguere tra la protezione extra carceraria e carceraria del soggetto collaboratore. Quella carceraria si può realizzare, ex articolo 13 comma I, tramite il trasferimento «in comuni diversi da quelli di residenza o in luoghi protetti» e adottando «delle misure necessarie per garantirne la riservatezza, secondo le modalità stabilite, anche in deroga alle vigenti disposizioni in materia penitenziaria, con il decreto di cui al comma III dell'articolo 10». Di questo decreto, che è stato emanato di concerto tra il Ministro dell'interno e il Ministro della giustizia il 26 novembre 1991, però non è conosciuto il contenuto in quanto non è stato previsto l'obbligo del parere del Consiglio di Stato, il visto della Corte dei Conti e la pubblicazione nella Gazzetta Ufficiale. Il trasferimento del collaboratore di giustizia «in luoghi protetti» fa riferimento ad una custodia che può essere attuata nelle caserme di polizia o in appartamenti segreti, che vengono presi in locazione per questo scopo.
Invece il perseguimento delle garanzie di riservatezza riguarda non solo i momenti della vita quotidiana del collaboratore e il suo rapporto con la pubblica amministrazione, ma riguarda anche l'esecuzione del trasferimento in un Comune diverso da quello di residenza. Per questo scopo potrà essere utilizzato un documento di copertura, ex articolo 13 comma II, oppure per tutelare ulteriormente il collaboratore potrà esserci l'obbligo di eleggere domicilio nel luogo in cui risiede la commissione centrale.
Per quanto riguarda invece la protezione che può essere realizzata all'interno del carcere, sorgono delle perplessità perché la normativa non ne fa riferimento in modo esplicito. Una prima previsione poco chiara è il riferimento che si fa, nell'articolo 10 L. 82/1992, all'inadeguatezza delle misure «adottabili, ai sensi delle norme già in vigore, direttamente [...] se si tratta di persona detenuta, dal Ministero di grazia e giustizia - Dipartimento dell'Amministrazione
penitenziaria»; questo richiamo all'«ordinario» programma di protezione del 1988 è strano perché una delle lacune di questa normativa era proprio in merito alla disciplina delle modalità di tutela all'interno del carcere. Quindi la legge 82/1991 utilizza come presupposto per attivare lo speciale programma di protezione l'inidoneità di misure che non erano previste dalla normativa del 1988. Inoltre, vista la necessità di dare una risposta al problema della tutela del collaboratore- detenuto all'interno del circuito carcerario, il legislatore nella legge 82/1991 si è trincerato dietro alla tecnica dei «rinvii a cascata», facendo riferimento, nell'articolo 13 comma I, a poco chiare deroghe «alle vigenti disposizioni in materia penitenziaria» e rimandando la disciplina al decreto interministeriale dell'articolo 10 comma III . 80
Inoltre dall'analisi delle norme in merito allo speciale programma di protezione emerge la diffidenza rispetto alla capacità del carcere di proteggere, soprattutto dalle possibili rappresaglie di altri detenuti, in maniera idonea i collaboratori di giustizia. Alcuni elementi possono valere per sostenere questa conclusione. Infatti tutte le procedure riguardanti i «gravi ed urgenti motivi di sicurezza» mirano a far sì che il collaboratore attenda la definizione del programma di protezione al di fuori dell'istituto carcerario: la normativa stabilisce non un trasferimento del collaboratore in sezioni sicure del carcere ma una protezione che avviene in luoghi diversi e talvolta anche esterni al carcere stesso sia che le misure di tutela siano in funzione preventiva ex articolo 13 comma 4 e 13 bis comma 2, sia che siano in funzione preparatoria delle stesse misure di protezione ex articolo 13 bis comma 1.
In proposito dice M. LAUDI, Imputati pentiti (sistema di protezione), in «Digesto delle
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discipline penalistiche», Volume VI, Torino, 1992, p.278, che «la legge nulla prevede circa una specifica competenza dell'amministrazione penitenziaria, per quanto concerne l'attuazione del programma speciale di protezione per i collaboratori detenuti. Si tratta sicuramente di una lacuna, perché la realizzazione del programma di protezione e assistenza rappresenta, connotati particolari, correlati allo status di questi soggetti, e la sua attuazione passare attraverso un diretto coinvolgimento e responsabilizzazione degli uffici del dipartimento dell'amministrazione penitenziaria. Si dovrà quindi provvedere ad un sistema di raccordo tra il servizio centrale istituito presso di dipartimento della pubblica sicurezza e gli uffici dell'amministrazione penitenziaria: basti pensare ai delicati problemi del collocamento dei detenuti collaboranti in determinate strutture carcerarie separate; a quello connessi ai trasferimenti di questi detenuti collaboranti».
Inoltre il collaboratore deve rispettare gli obblighi previsti dall'articolo 12 comma II lettera «a», cioè l'osservanza delle «norme di sicurezza prescritte» e la collaborazione attiva «all'esecuzione del programma»: in entrambi questi casi si presuppone un'autodeterminazione ed una libertà di movimento del soggetto che non possono riscontrarsi nella vita carceraria. Allo stesso modo il d.lgs. n. 119/1993, che disciplina il cambiamento delle generalità per la protezione di coloro che collaborano con la giustizia, non tratta mai del cambiamento delle generalità per mimetizzare il collaboratore all'interno del carcere, ma fa sempre riferimento alla protezione attuata nella società libera.
In ultimo bisogna ricordare che da più parti, nei primi anni '90, non solo si è denunciata l'inadeguatezza della normativa sulla custodia dei collaboratori negli istituti penitenziari, ma se n'è auspicata una che delegasse a strutture esterne il compito di proteggere questi soggetti . 81
È prevista poi nello speciale programma di protezione la possibilità di adottare delle misure di assistenza nel caso in cui sia necessario. Anche per questo tipo di misure, essendo impossibile definirne con precisione il contenuto, si può ipotizzare un minimum, rappresentato dal sostegno che viene dato per soddisfare 82
le esigenze quotidiane che riguardano il lavoro, la salute e i rapporti con la P.A., ed un maximum, consistente nella vera e propria retribuzione. Nel primo caso, soddisfacendo solo i bisogni primari, si può pensare che le misure di assistenza siano un'integrazione delle misure di protezione; invece nel secondo caso, quando costituiscono delle modalità retributive, è difficile non parametrarle anche al livello dell'aiuto, investigativo e processuale, fornito all'autorità giudiziaria.
P. BORGNA - M. LAUDI - V. RUSSO - F. SALUZZO, Relazione, in «La sicurezza dei
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testimoni nei processi di criminalità organizzata», Atti dell'omonimo convegno nazionale a cura dell'Associazione Nazionale Magistrati, sezione Piemonte - Valle d'Aosta, Torino, 1988, p. 25.
A. BERNASCONI, La collaborazione processuale. Incentivi, protezione e strumenti di
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