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CAPITOLO II: ULTIME LETTERE DI JACOPO ORTIS DI UGO FOSCOLO

6. L’IMPORTANZA DELLO SGUARDO

schietta e disinteressata che un uomo possa provare. Paradossalmente quindi Odoardo assume nel romanzo le caratteristiche del personaggio negativo per eccellenza, pur non avendo compiuto di fatto nessuna scelleratezza, un personaggio che invece che ispirare pietà provoca sdegno, proprio per la sua mancanza di passionalità e la sua apatia. Per quanto riguarda invece Teresa, Jacopo la ama di un amore sincero, anche perché vede in lei parte della sua ardente passione, benché taciuta:

benché Teresa parli assai poco e che le agitazioni del suo cuore siano raramente manifestate, si vede pure che assume molte qualità del suo amante.34

6. L’IMPORTANZA DELLO SGUARDO

Jacopo e Teresa, nell’intero sviluppo del romanzo non parlano quasi mai chiaramente dei sentimenti che li legano, e non essendoci un narratore onnisciente ed esterno che lo metta in evidenza, nel caso del romanzo epistolare è inevitabile adottare altri stratagemmi perché questo emerga. In questo caso specifico la vista, lo sguardo, si configurano come strumento di comunicazione privilegiato e che in alcuni casi ne fa le veci. Anche nelle parti più propriamente narrative, che fungono da tessuto connettivo tra le lettere di Jacopo, l’atto del vedere assume un ruolo capitale e viene di continuo dichiarato; non è un caso che in un avvertimento al lettore Lorenzo dichiari:

Cercai quasi con religione tutti i vestigi dell’amico mio nelle sue ore supreme, e con pari religione io scrivo quelle cose che ho potuto sapere: però non ti dico, o Lettore, se non ciò ch’io vidi, o ciò che mi fu, da chi il vide, narrato.35

La necessità di veridicità data dallo sguardo non è solo una prerogativa di Lorenzo Alderani ma è anche in linea con la polemica dell’antiromanzesco che vigeva in quegli anni. In ogni caso allo sguardo è affidato il compito di esprimere l’ineffabile, attraverso una serie di stratagemmi ben studiati, per esempio l’uso degli avverbi, o di aggettivi in

34 Ivi, p.282

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funzione avverbiale, mediante i quali viene suggerita al lettore la chiave interpretativa delle parole: «lo mirava affettuosamente», «mi guardavano attoniti», «io stava guardando stupidamente». Come illustrato magistralmente da Maria Antonietta Terzoli nel saggio Lo sguardo ritirato. Linguaggio di sguardi nell’Ortis, contenuto nel volume Con l’incantesimo della parola, Foscolo scrittore e critico, pubblicato nel 2004, esistono tre livelli principali attraverso cui si dipana il linguaggio degli sguardi: al di sotto, al di sopra o in concorrenza e complementarietà con la parola. Alla prima categoria appartiene lo sguardo quasi animalesco della vecchia a cui Jacopo e la villanella portano da mangiare e della legna da ardere; ella, degradata appunto quasi allo stato animale dalle sventure della sua vita, non proferisce parola alcuna, se non un accenno di saluto, e si esprime solo attraverso uno sguardo vacuo, rivolto più alle cose che alle persone:

Buongiorno, madre. – Buongiorno. – Come state voi, madre? – Né a questa, né a dieci altre interrogazioni mi fu possibile d’impetrare risposta; perch’essa attendeva a riscaldarsi le mani, alzando gli occhi di quando in quando come per vedere se eravamo ancora partiti36

Il livello al di sopra della comunicazione verbale è un linguaggio privilegiato poiché ciò che trasmette va ben oltre le semplici parole e contiene significati più profondi; è infatti prerogativa dei personaggi positivi: Jacopo, Teresa, Lauretta, Parini, la madre di Jacopo. Neutro è invece lo sguardo del Signor T***, che in effetti è un personaggio ambiguo, poiché oscilla tra gli interessi privati che lo spingono al matrimonio e la compassione per i due giovani amanti costretti alla sofferenza della separazione. Nettamente privo di questo mezzo di comunicazione sublimante è invece Odoardo e, in linea con il suo personaggio totalmente negativo, è sempre condannato ad una metaforica cecità. Nelle occasioni in cui Jacopo incontra i personaggi sopra elencati gli sguardi assolvono costantemente il compito di esprimere il non detto, il fulcro vero e proprio della comunicazione, a differenza delle parole, che invece si limitano ad agire su un piano più superficiale. Un esempio calzante è il caso della visita di Jacopo a Lorenzo e alla madre, quando ormai la decisione di morire era già stata presa; in

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questo caso gli sguardi disambiguano la valenza della comunicazione verbale, soprattutto per quanto riguarda la madre, verso cui è massimo il livello del taciuto. Nei confronti di Lorenzo infatti Jacopo è molto meno criptico, la deliberazione di voler morire è ben espressa in molteplici occasioni, ma il giovane cerca fino alla fine di preservare la madre dal dolore per la perdita di un figlio; nonostante questo, durante il loro ultimo incontro, Jacopo cerca di affidarle con lo sguardo il suo segreto:

Jacopo le strinse la mano e la guardava come se volesse affidarle un secreto; ma ben tosto si ricompose […] E rivoltosi alla madre, la guardò un pezzo senza far motto; e partì. Giunto in fondo alla strada, si volse, e ci salutò con la mano, e ci mirò mestamente, come se volesse dirci che quello era l’ultimo sguardo.37

L’efficacia e la potenza di questo ultimo sguardo è ribadita dalla frase che subito dopo professa la madre, che trasforma in parole ciò che prima era stato solo trasmesso dagli occhi:

togliendo gli occhi lagrimosi dal luogo dond’ ei se l’era dileguato, s’appoggiò al mio braccio e risaliva dicendomi: Caro Lorenzo, mi dice il cuore che non lo rivedremo mai più.38

Ma il personaggio che detiene il linguaggio di sguardi più complesso ed articolato è sicuramente Teresa; i suoi occhi parlano e chiedono pietà a Jacopo, la pietà di non mostrare mai apertamente i suoi sentimenti, gesto che avrebbe reso la situazione in cui versava Teresa ancora più drammatica:

suo padre giuoca meco a scacchi le intere serate: essa lavora seduta accanto a quel tavolino, silenziosissima, se non quanto parlano gli occhi suoi: ma di rado: e chinandosi a un tratto non mi domandano che pietà. […] E qual’altra pietà posso mai darle, da questa in fuori di tenerle, quanto avrò forza, tenerle occulte come più potrò tutte le mie passioni?39

La più forte intesa tra i due giovani dunque non passa attraverso le parole, che utilizzano per svariati discorsi di cui l’amore non fa parte, e quando sembra presentarsene l’occasione, è la fanciulla stessa ad autocensurarsi sottraendosi allo

37 Ivi, p.179

38 Ivi, p.180

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sguardo dell’amante. Il ragionar d’amore è invece affidato alla mediazione di altre storie, come in occasione della lettura di quella di Gliceria, recitata da Jacopo a Teresa e raccontata nella lettera dell’11 aprile; alla lettura della storia fa da contraltare un gioco di sguardi e di sospiri tra i due ragazzi:

io le stavo accanto muto muto, con gli occhi fissi sulla sua mano che tenea socchiuso un libricciuolo. – Io non so come – ma non mi avvidi che la tempesta cominciava a muggire da settentrione […] Tacqui. – Perché non leggete? Diss’ella sospirando e guardandomi. Io rileggeva: e tornando a proferir nuovamente: Tal tu fiorivi un dì! La mia voce fu soffocata; una lagrima di Teresa grondò su la mia mano che stringeva la sua.40

Nonostante il contesto sia senza dubbio amoroso i due non proferiscono parole a riguardo, ma sviano indirizzandosi verso altre questioni; lo stesso accade nella lettera del 29 aprile, dove ancora la scena è dominata da sorrisi e sguardi. La situazione viene ad incrinarsi quando Jacopo cede alla necessità di verbalizzare l’amore e suggellarlo con un bacio, trasportando quindi il loro rapporto da una dimensione sostanzialmente astratta, alla realtà storica in cui Teresa non potrà mai essere di Jacopo. Immediatamente dopo la concretizzazione del loro amore il fitto ed eloquente scambio di sguardi inizia a diradarsi, contaminato dalla dura consapevolezza dell’impossibilità della loro unione:

Non posso essere vostra mai! – e pronunciò queste parole dal cuore profondo e con una occhiata con cui parea rimproverarsi e compiangermi. Accompagnandola lungo la via, non mi guardò più; né io avea più cuore di dirle parola.41

Dunque la negazione dello sguardo diventa metafora di un amore illecito e per cui tutto sembra perduto, la ricerca di un contatto è di continuo frustrata, ogni comunicazione interrotta, l’unico punto di contatto tra i due rimane Isabellina, la sorella di Teresa, che diventa tramite dei loro incontri: «dopo mezz’ora tornò a chiamare la ragazza che stava ancora fra le mie ginocchia. E m’accorsi come le sue pupille erano rosse di pianto; non mi parlò, ma mi ammazzò con un’occhiata quasi

40 Ivi., p.58

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volesse dirmi: tu mi hai ridotta così»42. Dopo la presa di coscienza della realtà lo sguardo non è più innocente, da elemento di connessione si trasforma in elemento di separazione e di allontanamento: «Teresa lo sogguardava, e sforzavasi di reprimere il pianto: Jacopo se n’avvide, né potendosi contenere, s’alzò e partì»43 ; dunque pare che Teresa nei giorni che precedono l’estremo saluto gli si neghi ed eviti di mostrarsi a lui sola. Ormai il rapporto che si era creato tra i due attraverso gli sguardi è totalmente negato, e anzi diventa addirittura incomprensione della decisione suprema di Jacopo, che la ragazza sembra non intendere: «Tu stessa, tu mi fuggivi; ci si contendeano le lagrime. – E non t’avvedevi tu nella mia tremenda tranquillità ch’io voleva prendere da te gli ultimi congedi, e ch’io ti domandava l’eterno addio?»44. In corrispondenza agli ultimi istanti di vita di Jacopo lo sguardo è ancora rivolto a lei, come dimostra la lettera del 19 luglio a lei indirizzata ma mai recapitata: «morendo, io volgerò a te gli ultimi sguardi, io ti raccomanderò il mio sospiro; verserò sovra di te l’anima mia»45; anche se qui, per la precisione, non si fa riferimento a Teresa in carne ed ossa bensì alla sua effige, al suo ritratto, che va a sostituirne la presenza durante l’estrema dipartita. Infatti non sarà Teresa ad assistere Jacopo nel momento della morte, bensì il Signor T***: «Jacopo si risentì; e sollevò il viso verso di lui; e riguardandolo con gli occhi nuotanti nella morte, stese un braccio, […] ma ricascando con la testa sui guanciali, alzò gli occhi al cielo, e spirò»46. Dunque Teresa manca anche nel momento estremo, e di fronte a questa assenza in un primo momento Jacopo volge il suo sguardo al padre di lei, ma in ultima istanza rivolge gli occhi al cielo, cioè postulando un destinatario più alto. Simmetricamente a questa scena, come presentendo ciò che stava avvenendo al suo amato, Teresa fissa il cancello da cui lui era solito arrivare, consapevole nel suo intimo che non sarebbe mai più ripassato da lì: «ella sperò di potergli dire addio un’altra volta […] essa ascoltavalo immobile con le pupille fitte sempre verso il

42 Ivi., p.95

43 Ivi., p.101

44 Ugo Foscolo, Ultime lettere di Jacopo Ortis, cit., p.184

45 Ivi., p. 108