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CAPITOLO III: STORIA DI UNA CAPINERA DI GIOVANNI VERGA

3. ANALISI NARRATIVA: LA SCOPERTA DELLE EMOZIONI E LA FUNZIONE DEL

3.1 La scoperta dell’amore

Dopo questa prima parte l’estrema positività dell’esperienza di Maria nella nuova vita viene turbata dall’incontro con il figlio degli amici dei genitori che vive nella casa vicina. Nino, figlio della famiglia Valentini, viene nominato per la prima volta in chiusura della seconda lettera, in un post scriptum, che secondo Giacomo De Benedetti è un espediente per collocare in posizione rilevante la notizia più importante, già introdotta con alcuni riferimenti nel corpo della lettera. Si fa già infatti riferimento alla famiglia dei Valentini, e alla figlia Annetta, con cui Maria stringe un legame di amicizia, per poi aggiungere:

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P.S. Dimenticavo di dirti che i signori Valentini, oltre l’Annetta hanno pure un figlio, un giovanotto ch’è venuto spesso con sua sorella, e che si chiama Antonio; però lo chiamano Nino. 30

Da questo momento in poi Maria entra in contatto con la sfera successiva della dimensione delle emozioni, ovvero quella dell’amore; chiaramente la protagonista non ha strumenti conoscitivi tali da poter riconoscere fin da subito la natura del sentimento che prova. Inizialmente al sentimento dell’euforia subentra quello della paura:

ci sono dei momenti in cui questa folla di pensieri trabocca e mi riempie la testa di vertigini, m’inebbria, mi stordisce. Son folle, tutte queste nuove sensazioni saranno troppo violente per me abituata alla pace e al raccoglimento claustrale […] confortami, tranquillizzami, discorri con la tua povera amica, ch’è inquieta, turbata, sconcertata da tutti codesti rumori, da tutte codeste novità, da tutte codeste strane impressioni, e trema come un uccelletto spaventato persino dai curiosi che stanno ad osservarlo, i quali non avranno certamente intenzione di fargli male, ma gliene fanno cl solo stargli attorno.31

Mia cara Marianna, tu sei inquieta per me, per lo stato dell’anima mia; mi fai mille domande che non comprendo, che mi imbarazzano, alle quali non saprei rispondere; mi chiedi mille spiegazioni che non saprei dare a me stessa. Se tu fossi qui […] tu che sei già una signorina, che non anderai più in convento, che conosci il mondo, tu forse sapresti trovarci il bandolo! Tu forse sapresti rispondere alle mie domande, sciogliere i miei dubbi […] ma che posso dirti io?...32

Dunque Maria inizialmente non riesce a capire ciò che si agita dentro di lei, ed inizia a sostituire ai sentimenti totalmente positivi, degli stati d’animo di inquietudine e di disagio creati da questa condizione di inconsapevolezza, confondendo l’amore con la paura:

Non so quello che si agita dentro di me; ma dev’essere qualche cosa di male, perché io abbia esitato a confidartelo, perché io mi trovi, direi, come colpevole, perché io sia posseduta da una vergogna, da un’inquietudine, da un timore inesplicabile, come se avessi un secreto da nascondere a tutti, e che tutti tenessero gli occhi fissi su di me per scoprirlo. […] ti ho scritto altre volte che noi ci siamo fatti intimissimi con i Valentini. Annetta è per me un’altra Marianna… Ma tu mi hai fatto pensare che quel suo fratello mi

30Ivi. p. 14

31 Ivi. p. 21

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fa un certo effetto… è vero: direi quasi che mi fa paura… […] ma io non saprei spiegarti l’impressione che egli produce in me… non è antipatia, non è avversione… eppure lo temo… eppure ogni volta che lo incontro arrossisco, impallidisco, tremo, e vorrei fuggirmene. […] perché adunque allorchè ascolto la sua voce mi confondo? Perché quando incontro il suo sguardo fisso su di me mi sento a un tratto una vampa al viso e come un brivido al cuore? Senti, Marianna; io credo di aver trovato la ragione di tutto questo. In convento ci hanno abituate a farci tale idea degli uomini in generale e dei giovanotti in particolare, che non possiamo incontrarne uno senza sentirci tutte sossopra.33

Nella lettera del 20 novembre finalmente Maria giunge alla consapevolezza dei sentimenti che prova nei confronti di Nino:

Marianna! Marianna! … io lo amo! Io lo amo! Pietà! Pietà di me! Non mi disprezzare! Sono molto infelice! Perdonami! L’amo! È un’orribile parola! È un peccato! È un delitto! Ma è inutile dissimularlo a me stessa. […] tutto il mio essere è pieno di quell’uomo: la mia testa, il mio cuore, il mio sangue.34

La consapevolezza del sentimento che prova verso il giovane si accompagna ad uno stato di dolore dovuto alla presa di coscienza del carattere proibito dell’amore per una monaca nei confronti di un uomo e per questo le sue sensazioni risultano essere come un pendolo che oscilla tra la gioia, che crescerà nel momento in cui verrà a conoscenza dell’amore, contraccambiato, di Nino per lei, e la vergogna e il dolore. Maria, in questo estratto, ma molto frequentemente nell’arco di tutto il romanzo, assume un atteggiamento autopunitivo e attribuisce a Marianna una duplice funzione, di confidente e madre superiora, che si assume il compito di rimproverarla e di cercare di riportarla in sé. Sempre come conseguenza di questa presa di coscienza, Maria inizia anche a rivalutare la dimensione del convento, fino a quel momento considerato come il luogo delle privazioni e della prigionia, ma vagheggiato in questa situazione invece come l’unico luogo dove avrebbe potuto placare la sua inquietudine:

Oh! Il convento! Il convento! Ecco quello che mi abbisogna, che è fatto per me. Al di fuori non c’è che turbamento e sofferenze.35

33 Ivi., pp. 26-27

34 Ivi., p.32

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La situazione si fa ancora più drammatica nel momento dell’incontro e della dichiarazione di Nino a Maria; egli la raggiunge alla finestra della sua camera, dopo essere fuggito dalla festa dove tutta la famiglia si era recata, e qui si rivolge a lei dicendole che è una vittima della cattiveria della madre e della sorellastra, della debolezza del padre e della sua condizione sociale. Al di là di queste affermazioni non c’è nel testo una vera e propria dichiarazione d’amore; non potendo esprimersi apertamente, la capinera traduce l’espressività verbale in silenzio, pianto, tremore, pallore, l’unico linguaggio pubblico consentitole; l’emotività del suo atteggiamento silenzioso possiede un’eloquenza, e significa il rifiuto della sua identità di monaca. Lo stesso vale per Nino, e la manifestazione del loro sentimento si concretizza attraverso un pianto condiviso:

Egli mi udì, alzò il capo e vidi che piangeva. Mi stese la mano senza dire una parola. Ci fu un istante che non vidi più nulla né con la mente né con gli occhi e mi trovai colle mani nelle sue. «Maria» mi diceva, «perché andrete in convento?» «Lo so io, forse? È necessario, nacqui monaca.» «voi mi lascerete adunque?...» e piangeva in silenzio come un fanciullo, senza aver l’orgoglio che hanno gli altri uomini di nascondere le lagrime. Credo che piangessi anch’io perché mi trovai le gote tutte bagnate, ed anche le mani… ma le mani potevano essere umide delle lagrime di lui che vi sentivo cadere sopra a goccia a goccia… anzi quando fui sola e chiusa nella mia cameretta… rimproverami, sgridami se vuoi… ma io baciai le mie mani ancora umide… 36

Il discorso amoroso di Maria è afasico, fatto di gesti, corrispettivo delle modalità particolari della sua storia, una storia di desiderio, necessariamente negata al consumo del sentimento, e confinata nella sfera dell’immaginario. Il fatto che l’eloquenza delle sensazioni si risolva in un’esibizione emotiva innata è conforme alla naturalità del

personaggio, alla sua distanza dai codici dell’artificio e della mondanità. La difficoltà nell’esprimere i propri sentimenti e la riduzione della comunicazione ai

gesti e agli sguardi è comune alla vicenda di Jacopo e Teresa, che, impossibilitati nel dialogo, virano le manifestazioni delle loro emozioni su altri piani di comunicazione. Subito dopo il loro incontro la matrigna di Maria le impedisce di incontrare altre

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persone al di fuori della famiglia, dal momento che ha compreso cosa stava accadendo, e le sue intenzioni erano di ripristinare immediatamente il primato della figlia Giuditta, più ricca e raffinata, e destinata dunque ad unirsi in matrimonio con Nino. Da questo momento in poi il dolore di Maria si fa sempre più forte ed accecante, fino a risolversi in una malattia che la costringe a letto. Anche la percezione stessa della sua cameretta, un tempo amata, cambia, e si trasforma in uno spazio angusto e soffocante; e così anche il paesaggio, specchio della condizione psicologica, si incupisce:

Il cielo è nuvoloso, i campi sono desolati, il mormorio del bosco mi fa paura; gli uccelli non cantano più… soltanto qualche volta, laggiù l’assiuolo piange. […] è l’inverno della natura che sopraggiunge, com’è sopraggiunto l’inverno dell’anima!37

Fa freddo, piove, sai com’è triste il rumore di quella pioggia che batte sui vetri della finestra! Gli uccelletti vengono tremando a cercar rifugio sotto la gronda; il vento sibila nel castagneto; all’infuori di quel rumore, ch’è malinconico, tutto è silenzio.38

Repentinamente quello stesso paesaggio muta ancora non appena Maria guarisce dalla malattia che l’aveva costretta a letto per un lungo periodo:

mi sono alzata vacillante, appoggiandomi ai mobili, ed ho aperto la finestra! Mio Dio! Com’è incantevole tutto quello che veggo, malgrado che faccia freddo, e il suolo sia coperto di neve e gli alberi non abbiano foglie, e il cielo sia nero! […] il gelsomino non c’è più, la vite è sfrondata, le porte sono chiuse, tutto ha un’aria di tristezza, eppure mi è parso il paradiso…39

Mentre poco dopo, nella lettera del 7 gennaio, in corrispondenza alla decisione di abbandonare Monte Ilice per tornare a Catania a causa della fine dell’epidemia di colera, il paesaggio è «triste, il cielo nuvoloso, l’aria fredda, le valli che son velate di nebbia, i monti che son coperti di neve, gli alberi che non hanno le foglie, gli uccelletti che non hanno allegria, il sole ch’è pallido, quelle lunghe file nere di corvi che si aggirano gracidando per l’aria, que’ contadini rannicchiati attorno al fuoco. Mio Dio! Questa è la morte… la morte della natura come la morte del cuore… come la morte

37 Ivi., p.43

38 Ivi., p.45

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della povera rosa…»40. La desolazione pervade ogni cosa e così Maria descrive la casa di Nino, ormai

abbandonata per il ritorno della famiglia di lui in città:

La finestra di lui ha le imposte verdi e un vetro è rotto; sul davanzale c’è un segno di umidità al posto dov’era il vaso di gelsomini; il vento ha strappato i tralci della vite che si stendevano sulla porta e li ha gettati a terra; sulla spianata, dinanzi alla porta, ci sono ancora dei vetri rotti e alcuni brani di lettere e di giornali fradici dalla pioggia che il vento fa svolazzare di qua e di là; sul davanzale c’è ancora una pipa rotta. Tutte quelle cose parlano e dicono: non c’è più! Ci ha lasciato! Siamo soli!41