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CAPITOLO III: STORIA DI UNA CAPINERA DI GIOVANNI VERGA

4.2 Il ruolo degli animali

Sempre Mariella Muscariello, nel capitolo dedicato a Storia di una capinera contenuto in Le passioni della scrittura, mette in evidenza come i moduli espressivi e i codici di comportamento della protagonista, estremamente primitivi, spontanei e distanti dall’artificio e dalla mondanità, si avvicinino a quelli delle specie animali. Passando in rassegna gli animali che compaiono all’interno del romanzo è infatti possibile ricostruire una sorta di parafrasi dell’intreccio mettendo in sequenza le storie degli animali che duplicano quella di Maria, dalla campagna al convento. Questa doppia lettura si palesa fin dal titolo e dalla prima pagina, in corrispondenza alla nota dell’editore, dove si stabilisce il parallelismo tra Maria e la capinera, entrambe destinate a vivere recluse contro la loro volontà e a morire di dolore. A Monte Ilice invece Maria ha come compagni un “uccelletto”, Carino, e un cane, Vigilante; lei sembra intendere il linguaggio degli animali, che le manifestano in ogni modo il loro

59 Ivi. pp.88-89

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affetto, abbandonandosi ad istinti come il pizzicarle le dita, dimenare la coda, i quali corrispondono alla gioia della protagonista per questa libertà che le è stata donata:

ma intanto non ti ho detto ancora che ho un bell’uccelletto, un grazioso passerotto, allegro, vispo, che mi vuole bene, che mi risponde, che vola a prendere l’imbeccata dalle mie mani, e mi pizzica le dita, e si diverte ad arruffarmi i capelli. […] invece voglio un gran bene al cane del castaldo, un bel can da pagliaio, tutto nero, alto così, che nei primi giorni mi faceva una gran paura coi suoi latrati, ma che adesso mi accarezza dimenando la coda, leccandomi le mani, fregandosi i fianchi alla mia tonaca e dicendomi coi suoi occhi intelligenti che mi ama61

Dunque in questa prima parte gli animali si abbandonano ad effusioni ancestrali di gioia come riflesso della felicità della protagonista; ma il parallelismo risulta ancora più profondo se si prende in considerazione la storia di Carino, che Maria racconta nella lettera del 19 settembre:

la sua storia è un po’triste, è vero, dapprincipio: il babbo me lo portò un giorno avvolto nel fazzoletto, e il fazzoletto era macchiato di sangue! Poverino! Era forse quella la sua prima volata ed un colpo di fucile l’aveva ferito in un’ala! Fortunatamente la ferita non era grave. […] lavai la ferita del meschinello, ma non sperai che campasse. Invece eccolo lì che saltella e fa il chiasso! Qualche volta il poverino si duole ancora della sua ferita e viene a rannicchiarsi nel mio grembo pigolando e strisciando la sua aluccia, come se volesse narrarmi il suo guaio. Io lo conforto coi baci, l’accarezzo, gli dò delle miche di pane e lui va tutto vispo a posarsi sul davanzale.62

Anche l’uccelletto quindi ha alle spalle un passato triste e difficile, come la sua padrona, ma la permanenza in campagna gli ha giovato e ridato la felicità; qualche volta Carino lamenta ancora il dolore per la ferita, ma viene consolato dalle premure e dalle carezze di Maria, così come lei stessa gioisce per la scoperta dell’affetto datole dal padre, che prima non conosceva. Procedendo nella narrazione il rapporto di Maria con i suoi animali muta, ella infatti li trascura, perché ormai tutta la sua attenzione è catalizzata su Nino:

il mio Carino è diventato quasi selvatico perché da molti giorni non mi trastullo più con lui. Mi fugge! Sono diventata tanto cattiva adunque?

61 Ivi. p. 12-13

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Vigilante non mi fa più le sue solite carezze, perché non gliele ricambio, e si avvede che mi infastidiscono.63

Dopo l’incontro tra i due e la definitiva reclusione di Maria nel suo stanzino a causa della matrigna sospettosa, ella perde tutto e tutto le si ritorce contro, il paesaggio non è più sereno e pacifico come un tempo, ma nuvoloso e desolato, mentre «Carino è fuggito, […] ed è andato a recare altrove la sua allegria e il suo vispo cinguettare, perché l’atmosfera in cui vivo è malinconica assai. Vigilante solo viene di tanto in tanto a cercar[la], [le] domanda un sorriso, vuole le [sue] carezze, si avanza pian pianino, come esitante, domandando[le] coi suoi begli occhi se è indiscreto, poi si arresta indeciso, e dimena la coda, e si lecca il muso, tutte cose che vogliono dire: «perdona la mia insistenza» e viene a posar[le] la testa sui ginocchi per dir[le] che [le] vuol bene ancora, e allorché si allontana è triste, ma dimena ancora la coda e si ferma sull’uscio per dir[le] addio.»64 Dopo la reclusione nel convento e la definitiva presa di consapevolezza del dolore e della sofferenza arrecatole da questa scelta obbligata, sono ancora gli animali che definiscono le sue emozioni, come nel caso della farfalla, che, libera, vola fuori dalla sua finestra:

ieri una farfalletta tutta bianca venne svolazzando a posarsi fin sui vetri della finestra. Tu, benedetta dal Signore, che vedi il sole, che respiri l’aria libera a pieni polmoni, non puoi farti un’idea di quel senso di tenerezza che può recarti la vista di una farfalla, il profumo di un fiore, all’anima di un’inferma! […] Ahimè! La farfalla dopo di essersi fermata un istante su quel triste fiorellino che spunta dal crepaccio del davanzale, si staccò agitando le sue alucce e si perdette nell’azzurro del cielo… era libera, allegra, e avea forse visto tutti quei visi pallidi e tutte quelle lagrime!65

Lo stilema della farfalla come simbolo di libertà viene riutilizzato poco più avanti combinato con un altro importante tema, che sta molto a cuore alla protagonista, ovvero quello della felicità coniugale, entrambi privilegi che le vengono negati, e che invece la sorella, grazie al denaro, riesce ad ottenere:

63 Ivi. p.23

64 Ivi. pp.43-44

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due farfallette s’inseguivano di fiore in fiore: una aveva le ali d’oro, un’altra tutte bianche… quella dalle ali di neve si nascose dentro il calice di un bel fiore più bianco delle sue ali con un atto di gentile malizia; e la sua povera compagna la cercava, agitando le sue piccole ali dorate con un senso d’affanno; come trepidavano quelle alucce allorché si accostavano ai petali del bel fiore! Poi si affacciò alla corolla, guardò, forse sorrise, e vi si nascose anch’essa. Che si dicevano? Che si rubavano? Che si passavano in quelle piccole anime? Quanta felicità era racchiusa in quella tenue corolla? 66

Poco dopo, sempre nella stessa lettera, compaiono altri animali, figure della libertà per Maria irraggiungibile: un uccelletto che «era libero e volava» e una lucertola che poteva godere del calore dei raggi del sole, mentre la povera monaca continuava ad essere reclusa nel freddo ed austero convento.