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CAPITOLO II: ULTIME LETTERE DI JACOPO ORTIS DI UGO FOSCOLO

1. LE ORIGINI DEL ROMANZO E LA STORIA EDITORIALE

Per meglio addentrarsi nella questione relativa all’analisi di quali siano le modalità con le quali Foscolo ottenga il risultato di attrarre a sé il suo pubblico attraverso lo strumento epistolare, è bene definire nello specifico che cosa significhi per l’autore la parola romanzo, contestualizzandola in un particolare quadro storico; essendo Foscolo un brillante critico di letteratura, un’introduzione alla sua idea di romanzo passa attraverso due tipologie di testo: una di impianto teorico e l’altra di natura critica e storica. Da un lato esiste uno scritto attraverso il quale si definisce il romanzo in relazione ad altri generi letterari, dotato di una propria identità riconoscibile nel sistema delle forme estetiche e per questo separato dalla lirica e dal teatro; si tratta del Saggio di novelle di Luigi Sanvitale, pubblicato nel 1803. Accanto a questa riflessione generale si collocano altri scritti che analizzano il rapporto che intercorre nello specifico tra le Ultime lettere di Jacopo Ortis e la produzione narrativa precedente; in questo caso si tratta della Notizia bibliografica aggiunta all’edizione zurighese del 1816 dell’Ortis e al Saggio sulla letteratura italiana contemporanea, scritto da Foscolo quando ormai si trovava in Inghilterra. Il primo testo citato è stato scritto nel 1803, un anno capitale per la formazione delle idee estetiche del Foscolo, in cui per l’appunto l’autore cerca di trovare una collocazione alla forma romanzo nella costellazione delle forme e dei linguaggi letterari. Al romanzo è delegata in prima istanza una funzione di mimesi storica1 , ovvero la restituzione integrale di un’epoca

con tutte le sue sfaccettature economiche, politiche, belliche e le mutazioni stesse delle passioni; significa cioè scrivere un testo strettamente connesso alla contemporaneità e non proiettato nel passato, benché affondi le radici nel tempo storico che lo ha generato. Viene ribadito dallo stesso Foscolo, ancora nel 1826, che nel romanzo debbano entrare «i sentimenti caratteristici, la maniera di pensare e i cambiamenti nelle virtù, vizi, follie, letteratura, religione politica e passioni, come

1Matteo Palumbo, Mensonge romantique e vérité romanesque. Foscolo e il romanzo epistolare, in

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prodotti del nostro movimentato secolo»2; si impegna dunque per essere lo specchio

della società che riflette, nei contenuti quanto nello stile. Nel Saggio sulla letteratura italiana contemporanea Foscolo esamina il ruolo assunto

nella tradizione letteraria moderna dal romanzo e si preoccupa di rivendicare la novità del proprio libro in relazione alla tipologia delle opere apparse in Italia nel corso del Settecento; in questo caso si preoccupa di avvalorare la tesi della distanza con queste ultime, stabilendo l’impossibilità di un confronto appunto tra l’originalità del proprio romanzo e il corpus degli scritti anteriori che paiono incomparabilmente lontani da un testo che invece va ad identificarsi con la strada maestra del gusto europeo:

Centinaia di romanzi, dal Chiari e dal Piazza e da altri mediocri scrittori, si erano pubblicati per la delizia dei lettori volgari, mentre ai lettori di gusto raffinato non soccorreva altro che il romanzo straniero. Furono le Ultime

lettere di Jacopo Ortis la sola opera del genere che per l’audacia delle idee,

la purezza della lingua, la chiarezza scorrevole dello stile ha saputo contentare il gusto di tutti.3

Infatti sempre lo stesso Foscolo ribadisce che l’attenzione riservata al suo testo e il conseguente successo, sia in Italia che all’estero, sono appunto legati da un lato «alle allusioni alla caduta della Repubblica di Venezia, l’introduzione di personaggi viventi, quali il Parini a Milano» , e dall’altro alla centralità che viene attribuita agli “affetti” e alle passioni, in grado di attrarre un pubblico vasto ed eterogeneo. Foscolo dedicò gran parte della sua vita alla revisione e ai rimaneggiamenti delle

Ultime lettere di Jacopo Ortis, che conoscono infatti quattro diverse pubblicazioni. La

prima e incompleta risale al 1798, a Bologna, e si compone di 45 lettere, contrassegnate da numeri romani, inviate da Jacopo a Lorenzo F., l’editore che firma una breve prefazione “Al lettore” e in seguito un’avvertenza “A chi legge”; questa prima stesura, nell’intento di accreditare la formula del romanzo epistolare presso una cultura letteraria così refrattaria alla prosa narrativa, mantenendo più stretti rapporti con il modello wertheriano, indulge, in misura maggiore rispetto alle successive redazioni, in situazioni ad effetti di gusto idillico-patetico: nella prima stesura, per

2 Ugo Foscolo, Opere, tomo II, a cura di Franco Gavazzeni, Ricciardi, Milano-Napoli, 1981, p. 2165.

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esempio, Odoardo, il promesso sposo di Teresa, assume molte caratteristiche di Alberto, lo sposo di Carlotta nel Werther goethiano, e la predisposizione dello stesso Ortis nei suoi confronti è molto più affettuosa e basata sulla stima rispetto agli esiti successivi. Anche la rappresentazione dello stesso nido familiare di Teresa è molto più bucolica e lacrimosa in questa prima stesura forse eccessivamente patetica, dovuta per esempio alla presenza del padre morente, che nelle edizioni successive viene eliminato. La stesura del 1798 si protrasse fino al ’99 ma rimase incompiuta, quando Foscolo si arruolò come volontario nella Guardia nazionale mobile e fu costretto ad abbandonare Bologna; il suo editore però, volendo portare a termine l’edizione del testo, decise di affidare la continuazione al letterato bolognese Angelo Sassoli. Inoltre decise anche di eliminare fisicamente e di modificare diverse parti del testo considerate compromettenti per la loro intonazione libertaria e pubblicò il testo così epurato edito in due volumetti dal titolo Vera storia di due amanti infelici ossia Ultime

Lettere di Jacopo Ortis. Nota è la reazione sdegnosa di Foscolo, una volta rientrato a

Bologna dopo la campagna militare, che vide circolare un testo a suo nome, completato da un’altra persona e modificato dal suo stesso editore; condannò infatti la sua spregiudicata operazione. Sulla «Gazzetta Universale» di Firenze del 3 gennaio 1801 fece pubblicare un avviso in cui scriveva, tra le altre cose:

Se non che più fieri casi m’interruppero quest’edizione abbandonata a uno Stampatore, il quale reputandola romanzo la fè continuare da un prezzolato, che convertì le lettere calde, originali, Italiane dell’Ortis in un centone di follie romanzesche, di frasi sdolcinate e di annotazioni vigliacche.4

Presso l’editore Mainardi di Milano nel 1801 fu pubblicata una seconda stesura incompleta delle Ultime Lettere; quasi sicuramente questa redazione non venne mai messa in commercio ma comportò un sostanziale rifacimento della precedente stesura, per ispirazione e novità di motivi, legati anche alla relazione e al conseguente carteggio con Antonietta Fagnani Arese, e deve ritenersi omogenea alla successiva che, ormai completa, vide la luce nel 1802 sempre a Milano. In questo testo poté

4 L’avviso, datato “Firenze, 2 gennaio 1801, è riportato per intero in: Epistolario, I, pp. 92-93. Si legge in: Ugo Foscolo, Ultime lettere di Jacopo Ortis, a cura di Giuseppe Nicoletti, Le Monnier, Firenze, p. XIV.

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riconoscere il libro del suo cuore, una sorta di romanzo-confessione. Sono cospicue le innovazioni rispetto all’edizione del ’98, anche a prescindere dalle aggiunte della seconda parte che racchiudono i viaggi di Jacopo per l’Italia, che dilata il tempo della narrazione fino a marzo del 1799, quado ritorna ai Colli Euganei per darsi la morte, e in cui si rivaluta anche la funzione di Lorenzo A. nella gestione narrativa della vicenda; rispetto alla prima stesura bolognese il quadro di esperienze è più complesso. Sulla figura del nuovo Ortis vanno a confluire le esperienze maturate da Foscolo tra il 1799 e il 1802, anni per molti versi decisivi, sia per la sua storia di scrittore e di intellettuale, sia per l’evolversi della situazione politico-istituzionale della “patria”. Sarebbe improprio non prendere in considerazione l’importanza di alcune occorrenze autobiografiche come i carteggi con Isabella Roncioni e Antonietta Fagnani Arese, anche se il suicidio finale non è legato tanto alla delusione d’amore, che invece si configura come la più potente “illusione”, quanto alla presa di consapevolezza dell’immodificabilità della situazione politica italiana e al crollo delle ultime speranze indipendentiste. Quando anche l’ultimo baluardo che lo teneva ancorato alla vita, ovvero il suo legame con Teresa, viene meno, a causa delle nozze di lei con Odoardo, Jacopo abbraccia serenamente la decisione di togliersi la vita. In questa edizione viene inoltre introdotta la figura del padre di Teresa, il Signor T***, e il personaggio di Odoardo prende nettamente le distanze dal suo alter ego precedente e si tramuta in un uomo completamente privo di profondità e di passionalità, in aperta opposizione all’Ortis. Una terza edizione vede la luce nel 1816 a Zurigo e si caratterizza per l’introduzione di alcune nuove lettere, tra cui la celebre lettera datata 17 marzo, che Foscolo volle far credere composta durante gli anni di una presunta prima edizione del 1802. Questa lettera rivela la posizione d’animo dell’uomo maturo, provato anche dalle polemiche sulla caduta del Regno d’Italia; ma il teso zurighese si caratterizza principalmente per la Notizia Bibliografica: una ricognizione storico-critica sul proprio romanzo che Foscolo volle far credere composta da tre letterati e che dava conto della storia editoriale, la fortuna, un giudizio morale e il confronto con i presunti modelli del testo (Goethe e Rousseau); ciò che emerge è un’innegabile apologia dell’Ortis, svicolato da qualsiasi accusa di plagio. Quarta ed ultime edizione risale al 1817 a

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Londra, e si caratterizza per un’innovativa suddivisione in due tomi ed un’edizione più ristretta della Notizia Bibliografica.