Nella seconda metà del mese di luglio del 1866, in pieno clima di guerre per l’indipendenza italiana, l’esercito di spedizione, comandato dal generale Cialdini, doveva muoversi - su direttive espresse da La Marmora - verso il Piave, il Tagliamento e l’Isonzo. Il grosso di questo complesso era costituito di 14 divisioni di fanteria, di 6 brigate di cavalleria e 58 di batteria. Di queste forze, che stavano per operare nella regione orientale del Trentino, faceva parte anche la Divisione del generale Medici, il cui compito era di dare supporto e protezione all’esercito di spedizione del Generale Cialdini. Sotto la conduzione di Medici, che il 20 luglio del 1866 venne rafforzata di due squadroni di Lancieri di Milano, l’intera divisione viveva in uno stato totale di dedizione alla causa, di rigore morale e di ferrea disciplina. In questo clima che si respirava tra le unità operative, il valore aggiunto era rappresentato dallo spirito di abnegazione senza che fosse ignorato il rispetto dei precetti imposti dalle gerarchiche forme di collaborazioni tra i componenti delle varie unità.
Nelle aspirazioni di Medici risiedeva il desiderio di raggiungere la località di Levico, alle porte di Trento:
«S’io avessi una brigata di più, che bel colpo opererei facendola discendere per quei sentieri su Levico, nel mentre agirerei contemporaneamente per Primolano e per Borgo su di Levico, riducendo a resa inevitabile tutti gli austriaci della Valsugana»58.
Primo obiettivo fu dunque Primolano nei pressi della quale, in prossimità di Cogolo, l’avanguardia fu accolta da un nutrito fuoco austriaco. Per la Divisione Medici fu il primo vero scontro col nemico, dopo quello di Borgo e di Tezze, il quale venne scacciato, subendo gravi perdite. Le forze austriache stanziate a Primolano erano consistenti, dato che ammontavano a 14 compagnie, due battaglioni di truppe regolari, un battaglione Wimpfen del reggimento n°22, più due compagnie di Gabanotti e una mezza Batteria da campagna. Il giorno 23 luglio 1866 la Divisione rinvigorita dai primi successi decise di marciare spedita sino a Levico e porre quindi le basi per una tattica ragionata che l’avrebbe condotta sino a Trento. Pertanto la Divisione venne già messa in marcia di primo mattino, la cui avanguardia fu formata dal 25° Battaglione di Bersaglieri, dal 28° Reggimento e dai due squadroni di Lancieri di Milano, seguiti da una batteria di
artiglieria. Il cammino di avvicinamento a Levico avvenne con grande facilità e senza l’interferenza nemica. Giunto nei pressi dell’obiettivo, voci, giunte tramite corriere, informavano della sconfitta dei volontari di Garibaldi nelle Giudicarie. Se tale informazione fosse risultata vera e confermata, con ogni probabilità il generale Kuhn avrebbe affrettato i tempi per porre sotto stretta vigilanza la Valsugana, collocando un rigido concentramento di truppe nei pressi di Levico. Nonostante tale rischio Medici si convinse che un attacco fulmineo e del tutto disatteso dal nemico, avrebbe procurato tra gli austriaci sgomento e disordine. Prima di dare esecuzione al suo piano diede disposizione ai cavalleggeri di Monferrato di eseguire un’attenta ispezione della zona per ricavare informazioni più dettagliate in merito alla fondatezza dell’informazione e quindi, se confermata, conoscere la consistenza delle forze. Appena le perlustrazioni ebbero inizio, la presenza delle forze nemiche venne affermata dalla cadenza del fuoco avversario che, su tutto l’altopiano di fronte a Borgo fu copioso. Dalla frequenza di tiro e a giudicare dalla sistematica di fuoco, le truppe in perlustrazione poterono arguire che il nemico austriaco intraprese una reazione imprecisa, quasi a svelare un maldestro e impacciato tentativo intimidatorio. Tale riferimento fece accrescere, in Medici, che entro breve tempo sarebbe stata necessaria un’azione fulminea, senza indugi per gettare ancor più sconcerto nelle fila nemiche. Così fu e alle ore 22,00 dello stesso giorno, profittando dell’oscurità, fu intrapresa un’azione offensiva alla baionetta. Sotto il comando del colonnello Nebdal valicando l’altopiano e convergendo su Levico, gli austriaci furono indotti ad una risposta di fuoco imprevista. In breve su tutta la linea offensiva italiana il silenzio che accompagnò le prime incursioni lasciò il posto a uno slancio corale inneggiante ai Savoia. Tutta l’area nei pressi di Levico si ridestò all’udire di quelle coraggiose grida che contribuirono a dar vigore alla concitazione della battaglia che divenne vigorosa nel duello corpo a corpo. In breve la grande colluttazione si tramutò, specie nel centro abitato di Levico, in una affannosa caccia all’uomo, dato che i due battaglioni austriaci sotto le direttive di Hartmann e Martini persero unità e consistenza.
Solo dopo un’ora e mezza Levico cadde nelle mani del generale Medici che poté così rallegrarsi per l’audace piano intrapreso. Egli decise per un’azione energica e senza indugi perché maturò in lui la convinzione che se avesse atteso anche un sol giorno, come da Verona furono fatti giungere i battaglioni di
Hertmann e Martini, altri avrebbero potuto raggiungerli anzitempo presso la stazione di Mattarello.
Gli effetti immediati che l’azione militare della Divisione Medici seppe destare fu anzitutto di natura schiettamente emotiva. I vincitori, sulle ali dell’entusiasmo, cominciarono a bramare per sospingersi al più presto sino a Trento, mentre nelle fila nemiche accrebbe il timore di un’avverabile comparsa di truppe italiane in ogni area del Tirolo. La notizia si diffuse con grande rapidità non solo tra le fila nemiche; anche Garibaldi, che anch’egli stava operando nel Trentino, cercando di fare breccia nelle Giudicarie, non mancò di far recapitare al valoroso collega le sue lodi.
Levico ora rappresentava un avamposto di grande vantaggio per spingersi sino a Trento, anche se le successive mosse dovettero essere ben congegnate. Il valore di natura tattico del luogo era di grande utilità, dato che il punto di partenza per le successive azioni offensive partivano dal colle di Tenna. Essendo geograficamente un piccolo istmo di terra tra due laghi (quello di Tenna e di Caldonazzo), oltre a delimitare una cortina naturale di fronte a Levico, svolgeva la funzione di riparo da consentire di poter sorprendere il nemico, qualora avesse avuto l’ardire di marciare in quella direzione, passando per il Lavarone, provenendo da sud e da Pergine e procedendo da nord. Inoltre la peculiarità tattica del colle di Tenna risiedeva nella capacità di tenere sotto stretta sorveglianza i nodi stradali lungo l’asse Levico-Pergine e quello Caldonazzo- Calceranica, rispettivamente paralleli al lago di Tenna e a quello di Caldonazzo. Queste direttrici, come inoltre i luoghi di rilevante impatto tattico e strategico (come lo erano le alture circostanti), vennero fortemente poste sotto sorveglianza e rafforzate dai reparti di artiglieria. Fu studiata attentamente la topografia del contesto e dai risultati delle indagini vennero organizzate le disposizioni per chiudere ogni accesso.
L’insieme delle manovre che ne seguì, all’indomani dei fatti che portarono all’occupazione di Levico e le conseguenze organizzative per consolidare la posizione ottenuta, furono tali da indurre gli austriaci a ripiegare da quelle zone. Le ricognizioni avvenute nei giorni successivi, per opera del Colonnello Negri, misero in risalto il timore degli austriaci d’essere accerchiati e attaccati alle spalle. Il timore accrebbe sensibilmente nelle fila austriache dato che nelle Giudicarie Garibaldi si apprestava ad attaccare con 40.000 uomini. Dal quartiere generale di Trento il 24 luglio del 1866 riconobbero che per scongiurare un
imminente pericolo di attacco sia dal fronte orientale che da quello occidentale, non rimaneva che dirigere le truppe nel Tirolo tedesco per apparecchiare in quelle zone una valida difesa. Un’ondata di pessimismo e sconforto prese a turbare le autorità a Trento e infatti nella notte seguente venne disposto che tutte le risorse militari, compresa tutta la documentazione delle autorità militari, dovessero essere trasferite a Bolzano. La notizia non fece tempo a essere divulgata che da Vienna venne emesso un perentorio contrordine; esso imponeva di organizzare con solerzia un’adeguata difesa della città, senza che si muovesse un solo uomo verso Bolzano.
Il generale Kuhn richiamò dalla Val Sorda buona parte delle truppe che avevano appena combattuto contro Garibaldi ed inoltre incitò la cittadinanza a prestare fedeltà alla causa59. Fu reclutata molta manodopera locale per realizzare
in tempi record lavori di rafforzamento difensivo per rendere la postazione di Trento maggiormente sicura dinanzi all’imminente pericolo. Al momento la
59 I mezzi posti a difesa del Tirolo meridionale e diretti dal Generale Kuhn, furono i seguenti:
mezza brigata sotto le direttive del Maggiore Grunne; essa era composta complessivamente da 1557 uomini, 125 cavalli, una batteria da montagna e 4 pezzi di artiglieria.
Mezza brigata, sotto le direttive del tenente colonnello Hoffern; essa era composta da 1863 uomini, 116 cavalli, una batteria da montagna e 4 pezzi di artiglieria.
Mezza brigata posta sotto lae direttive del Maggiore Albertini; essa era composta da 1697 uomini, 138 cavalli, una batteria da montagna e 4 pezzi di artiglieria.
Mezza brigata posta sotto le direttive del Maggiore Metz; essa era composta da 959 uomini, 56 cavalli, mezza batteria di razzi.
Mezza brigata posta sotto le direttive del colonnello Loos; essa era composta da 1331 uomini e 3 cavalli.
Mezza brigata posta sotto le direttive del colonnello Monluisant; essa era composta da 3347 uomini, 173 cavalli e una batteria di montagna dotata di 4 pezzi di artiglieria.
Una brigata posta sotto le direttive del colonnello Hlendghen, formata da 7536 uomini, 372 cavalli, una batteria da campagna del 5° reggimento e 6 pezzi di artiglieria.
Una brigata posta sotto le direttive del Maggiore Kaim, composta da 11395 uomini, 1032 cavalli, una batteria da campagna del 7° reggimento, mezza batteria di razzi e 8 pezzi di artiglieria.
In totale le forze a disposizione del Generale Kuhn, ammontavano al considerevole valore di 29732 uomini, 2046 cavalli, 40 pezzi di artiglieria che al 31 luglio 1866 erano ai loro posti designati.
Mentre il Veneto era (ancora per poco tempo) nelle mani austriache, il generale Kuhn aveva predisposto la base delle operazioni di difesa lungo la valle dell'Adige da Merano sino a Trento.
Complessivamente erano 4 le vie che avrebbero condotto le forze nemiche sino a Trento: -da Bolzano a Merano e nella val Venosta superando lo Stelvio
-attraverso il passo della Rocchetta, dalla val di Non, quella di Sole e Tonale -per il Buco di Vela, le Sarche e le Giudicarie
difesa cittadina era garantita dal sistema difensivo del castello del Buonconsiglio che pochi anni prima era stato in parte modificato. Erano infatti state aggiunte alla cinta muraria feritoie per fucilieri e nella torre trovarono collocazione 4 pezzi di artiglieria pesante. Davano maggior risalto alla difesa anche le postazioni ricavate sulle piccole alture adiacenti alla città: Doss Trento, Doss San Rocco e Doss Sant’agata. Intanto un migliaio di cittadini su sollecitazione governativa furono particolarmente dinamici nel realizzare sbarramenti alle porte cittadine con opere in terra; vennero minati alcuni ponti specialmente quello sul quale aveva sede la strada che proveniva dalle Giudicarie. Con tutta probabilità lungo questa direttrice era attesa l’arrivo delle truppe garibaldine che, dopo aver superato la resistenza offerta dal forte Ampola, avrebbero dovuto congiungersi con la Divisione Medici.
Proprio il generale Medici fu combattuto se praticare nuovamente un’azione energica come quella adottata a Levico, oppure operare con maggior cautela perché il grosso delle forze nemiche potevano essere concentrate nel complesso difensivo di Civezzano. Proprio a Civezzano gli austriaci presero a lavorare alacremente per rendere poco visibili le artiglierie lungo la strada, che a sua volta venne cosparsa di mine. Giunte notizie in merito ai lavori di Civezzano, Medici decise di indurre il nemico a credere che il suo primo obiettivo fosse proprio Civezzano e pertanto fece collocare i propri avamposti con il fronte rivolto in quella direzione.
Il 25 luglio 1866 Medici ordinò due perlustrazioni, l’una a destra e l’altra a sinistra del fronte di Pergine verso Civezzano; quella di destra doveva inoltrarsi per Madrano fino a Seregnano mentre quella di sinistra doveva occupare Roncogno ed elevarsi sul passo del Cimirlo, sino a verificare nei pressi della località Maranza la consistenza di quali e quante strade conducevano a Trento.60
Dalle perlustrazioni emersero pochi requisiti degni di nota salvo la verifica della presenza di poche pattuglie austriache. Ma proprio nel momento in cui Medici stava per mettere in moto l’intera Divisione e nel momento in cui il 23° battaglione Bersaglieri era già pronta all’offesa, giunse inattesa da parte del capo di Stato Maggiore dell’Esercito, generale Lamarmora, una sospensione delle operazioni per 8 giorni. La sospensione servì a Medici consolidare maggiormente la posizione assicurata nei luoghi già occupati e fu solerte nel dare avvio alla realizzazione di reti telegrafiche e porle sotto totale copertura.
Con ogni probabilità il generale Medici covava in cuor suo il desiderio e l’auspicio che la sospensione d’armi, conclusa tra i due belligeranti, fosse la contingenza di un momento, oltretutto assai favorevole. Nella speranza di una vivace ripresa delle ostilità e per le quali era già stato versato molto sangue, il 26 luglio 1866, da Pergine Medici diramava il seguente ordine del giorno alle sue devote truppe:
«Ufficiali e soldati!
Una tregua inattesa ha posto freno al vostro irresistibile slancio e nel momento in cui ne avreste data la più splendida prova. Sarà, e lo spero, una tregua di pochi giorni, e potrete quindi proseguire nelle vostre marcie, nei vostri combattimenti, nelle vostre vittorie.
In cinquanta ore avete percorso settanta chilometri, superando ostacoli creati dalla natura e creduti insuperabili anche prima che fortificazioni nemiche li ingagliardissero; non vi stancarono marcie penose per difficili sentieri di montagna, non vi indebolì la mancanza di cibo; quattro volte incontraste il nemico, lo batteste sotto la sferza del sole e fra le tenebre della notte, e lo vedeste sempre a fuggire sgominato dal vostro coraggio, costretto ad abbandonare nelle vostre mani uomini, armi e munizioni da guerra. Egli ha imparato una volta di più come si fugga dinnanzi alle baionette dei soldati d’Italia.
S.M. mi ordina di esprimervi la sua soddisfazione, il ministro della guerra vi porge pure i suoi encomi, il generale Cialdini è contento di voi. Io, miei bravi compagni d’armi, vi ringrazio di tutto cuore.
Il vostro valore, la vostra abnegazione, la vostra fermezza, raddoppiano in me l’orgoglio d’essere italiano alla testa di soldati italiani.
Finché a difesa della patria saranno figli pari vostri, la sua indipendenza è sicura; su i nostri campi lo straniero non può trovare che la fuga o la tomba»61.
La sospensione giovò soprattutto all’Austria che in pochi giorni seppe concentrare attorno alla città altri 20.000 uomini e attraverso alcune indiscrezioni si seppe che da quegli eventi si sarebbe studiato con attenzione un piano di difesa adeguato. Anche il generale Medici ricevette l’invio di ulteriori rinforzi di volontari, ossia, la 6° Divisione del Generale Cosenz e 12 pezzi di
artiglieria da montagna. Nell’attesa che la sospensione volgesse al termine Medici studiò un piano per attaccare Trento senza alcuna esitazione.
Tra le varie ipotesi di attacco quella più probabile e dotata di maggiori
chance vi era quella che prevedeva un ripiegamento sulla località di Lavis in
modo da tagliare le comunicazioni del nemico, poi marciare su Civezzano per raggiungere più speditamente Trento. Tale piano venne approvato e in breve una nuova Divisione partì da Vicenza (la 16° Divisione Principe Umberto), costituita da 25.000 uomini e 54 pezzi di artiglieria, che si sarebbe incontrata con il grosso delle forze garibaldine a Trento per salutare la vittoria.
Le forze di Garibaldi che dal versante occidentale stavano anch’esse per completare l’accerchiamento avrebbero colto la medesima soddisfazione con un esercito composto di 30.000 uomini e 44 pezzi di artiglieria. Secondo le previsioni Trento sarebbe stata investita dall’invasione di oltre 55.000 uomini e quasi 100 pezzi di artiglieria, a cui si sarebbero opposti altrettante unità austriache. Tutto ormai era pronto; la sospensione stava terminando e le truppe scalpitavano perché potesse compiersi il giudizio, quando inaspettatamente una nuova sospensione gelò gli animi. Il nuovo ordine di fermarsi fu l’anticamera dell’armistizio che venne tradotto con l’ormai tristemente noto «contrordine» a non procedere, rivolto sia a Garibaldi che a Medici. Rimase il rammarico per un’impresa magistralmente condotta e arenatasi affrettatamente tra le trame della politica, disponendo Garibaldi mestamente a riconoscere comunque il valore di quelle imprese e di quegli ardimenti che, solo per il fato, non si conclusero gloriosamente a Trento in un saluto fraterno tra i protagonisti. In una lettera del 25 agosto 1866 Garibaldi rivolgendosi al valoroso Medici espresse una lode condividendo il rammarico per un’impresa destinata a ben altro epilogo: «…Era brama generale nostra il potere con te e la tua valorosa divisione occupare Trento, e quindi cacciare insieme agli Austriaci da tutto il Trentino; ma purtroppo sperammo invano. Accogli una parola di lode, ben meritata per i brillanti fatti d’arme da te compiuti nella Valsugana. Fatti che provano quanto il nostro Esercito ben condotto, come lo era nel secondo periodo delle sue operazioni per la destra, avrebbe potuto gloriosamente spingere alla meta le giuste aspirazioni di questa nazione disgraziata…»62.
1. 2. Le gesta garibaldine in Trentino
Mentre la divisione del generale Medici operava l’avanzata in Trentino dal settore orientale, Garibaldi ebbe l’incarico di penetrare dal settore occidentale della regione, su espresso ordine del generale La Marmora. La scelta di affidare il delicato compito delle operazioni di montagna all’eroe dei due mondi, fu una decisione indotta dal fascino, dalla tempra e dalle virtù eroiche di un guerriero abile a infiammare gli impavidi cuori e gli animi di una moltitudine di giovani cresciuti nel mito del patriottismo. Il valente «duce», simbolo dei più arditi ideali e refrattario ad ogni forma di ricchezza e mondanità, era il riferimento a cui si ispirava la gioventù più animosa, desiderosa di contribuire alla costruzione del mito della nazione.
Con il decreto regio emanato dal Re Vittorio Emanuele il 6 maggio 1866, vennero formati 20 battaglioni di volontari il cui destino e le relative gesta furono affidate alla perizia e all’esperienza di Garibaldi. Per un’incisiva azione da esercitarsi contro gli austriaci, quest’ultimo nutriva l’ambizioso programma militare di passare per Trieste e manovrare i suoi eserciti attraverso le alpi Carniche e Giulie e liberare il Veneto. Gli fu assegnato invece il compito di liberare il Trentino, il cui territorio, già difficilmente praticabile per la complessa condizione orografica, fu reso ancor più impenetrabile dalla costruzione di sbarramenti fortificati che impedivano il transito lungo le principali arterie63.
Nonostante le difficoltà per penetrare un territorio ostile e ben difeso, il valoroso eroe dei due mondi emanò ai volontari, a lui affidati, il seguente ordine e col quale inaugurava l’esordio della campagna:
«Il nostro prode esercito ha corrisposto degnamente alla fiducia del Re – alle speranze dell’Italia. Esso sta cacciando davanti a sé il nostro secolare nemico, e sul suolo della rigenerata Venezia – già si stringono la destra il glorioso milite della libertà, ed il liberato fratello.
E voi, giovani veterani, di una santissima causa – voi pure già al cospetto dei depredatori della nostra terra – presto sarete chiamati a combatterli – e li vincerete.
Una volta ancora la Nazione andrà superba di voi – non più grida – dunque – non più parole, ma fatti – e dopo i fatti brillanti che la fortuna affida alle vostre baionette, dopo aver purgate le nostre belle contrade dall’ultimo soldato straniero – colla fronte alta – riconfortati dal bacio delle vostre donne, farete ritorno al rigenerato focolare, al fragore dell’inno della vittoria»64.
Seguendo le impostazioni del generale La Marmora, Garibaldi si adoperò a concentrare la maggior parte delle proprie forze (circa 16.000 uomini) nei pressi di Lonato, sperando - come poi accadde - che l’Arciduca Alberto rimanesse trincerato entro il complesso fortificato del Quadrilatero. I vantaggi rappresentati