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Alla sua nascita il servizio sociale si caratterizzava per l’applicazione di un paradigma di stampo medico in cui il disagio era letto come una patologia o disfunzione da eliminare secondo una cura, definita come processo di aiuto, le cui fasi erano tre: studio, diagnosi e trattamento. Successivamente, con il diffondersi di un modello di tipo olistico-processuale, la relazione tra operatore e utente diviene lo strumento attraverso cui la persona viene aiutata a definire i propri problemi, dandogli un senso e un significato condiviso, per individuare obbiettivi, strategie e modalità operative per migliorare la situazione. In questo modello le fasi del processo di aiuto diventano quattro e non si parla più di diagnosi, ma di valutazione, e più recentemente di assessment (De Ambrogio et al. 2007).

Occorre dunque chiarire come indagine sociale e valutazione si intrecciano tra loro, quali le connessioni e le similarità, in cosa si differenziano e, ancora una volta, quale è il significato che ad ogni termine viene attribuito, considerato che spesso vengono utilizzati, erroneamente come sinonimi, confondendo tra loro diagnosi sociale e valutazione, valutazione delle competenze genitoriali e della recuperabilità, in un quadro in cui l’operatore meno esperto rischia di trovarsi spiazzato, di fronte a richieste poco chiare e talvolta contrastanti e le famiglie, che già attraversano un periodo di difficoltà, non trovano risposte nel mondo dei servizi, verso i quali alimentano paure e terrori.

Secondo la più importante manualistica di servizio sociale il processo di intervento può essere suddiviso in fasi, di cui indagine e valutazione costituiscono passaggi importanti, riprendendo la schematizzazione proposta da Ghezzi nel 1996 possiamo quindi affermare che l’indagine viene prima della valutazione e costituisca il fondamento della la diagnosi (entro cui si colloca la valutazione delle capacità genitoriali). Solo qualora sia accertato un pregiudizio ai danni del minore occorre proteggere il bambino togliendolo dalla situazione traumatizzante (dopo aver opportunamente segnalato la situazione all’autorità giudiziaria se non ancora coinvolta) e valutare la recuperabilità della famiglia.

Riprendendo la metafora cinematografica utilizzata in precedenza possiamo dire che se non abbiamo una buona fotografia, un fotogramma chiaro e nitido, si è impossibilitati a vedere il film, così nell’incontro tra il sistema dei servizi e l’autorità giudiziaria se non si sono svolte con chiarezza le fasi di indagine e diagnosi sociale sarà difficile ottenere provvedimenti chiari e coinvolgere le famiglie nel recupero delle loro funzioni.

Il processo di intervento viene riassunto suddiviso nelle seguenti fasi da Ghezzi (2012):

1. Rilevazione. I servizi locali (scuole, ospedali, servizi sociosanitari, polizia, eccetera) rilevano una sospetto certa situazione di danno minore di origine intra familiari. Hanno la possibilità di allontanare subito il minore dalla famiglia, in via provvisoria e urgente (art 403 del codice civile) se rilevano un grave pericolo in atto o altro rischio; in questo caso rilevazione, segnalazione allontanamento vengono di fatto temporaneamente a coincidere.

2. Coinvolgimento della famiglia. I servizi contattano la famiglia, provando coinvolgere il genitore nel riconoscimento del pregiudizio recato al figlio e dei problemi familiari che l'hanno provocato. Da questo momento i genitori sono informati della necessità di riferire la situazione alla magistratura. Se il minore non è stato allontanato, il coinvolgimento della famiglia viene evitato in assoluto in caso di sospetto o certo abuso sessuale e ogni qualvolta si ritenga che il minore possa essere ricattato dalla famiglia per ciò che è emerso.

3. Segnalazione. I servizi hanno rilevato un danno per il minore, dopo una prima valutazione congiunta della gravità della situazione, segnalano il caso la magistratura minorile e ove necessaria la magistratura penale.

4. Indagine. La magistratura minorile incarichi servizi locali ed eventualmente la polizia di effettuare un'indagine sul caso in tutti i suoi aspetti sociali, medici e sui possibili effetti psicologici. In caso di accertato pericolo o alto rischio dispone, attraverso apposito decreto, un allontanamento provvisorio del minore dalla famiglia, facendolo collocare presso una comunità di pronto intervento. Da questo momento in poi i servizi territoriali sono investiti del mandato di controllo sull'intero processo di intervento.

5. Valutazione. La magistratura minorile prescrive una diagnosi delle relazioni famigliari sulle cause del danno minore sulle possibilità di recupero della famiglia. Un servizio specializzato assume tale compito in stretto collegamento con i servizi del territorio che sono: deputati al controllo sulla famiglia. Da qui: prognosi positiva della famiglia, i genitori mostrano possibilità di recupero della loro relazione con i figli oppure prognosi negativa della famiglia la relazione genitori-figli è valutata irrecuperabile. Nel primo caso il trattamento della relazione genitori figli viene sostenuta in vista del rientro del minore in famiglia. Nel secondo caso si accompagna il distacco. Nel primo caso le risorse di genitori vengono attivate perché si consolidino con iniziative quali: terapia familiare o di coppia, terapia individuale, sostegno assistenziale, affido familiare. Nel secondo caso si attivano risorse alternative per il minore quali terapia individuale, situazioni sostitutive relazione ai bisogni oggettivi psicologici del minore (adozione, affidi di adolescenti fino alla maggiore età).

Tenuto conto quindi dello sviluppo in fasi dell’intervento come appena descritto possiamo affermare che l’indagine raccoglie informazioni circa la situazione famigliare ed è volta all’accertamento del danno, a livello medico, sociale e psicologico nei confronti del minore. La diagnosi sociale riassume la storia individuale dei diversi membri e riferisce rispetto alle loro relazioni, con un approfondimento sulle competenze genitoriali finalizzato a definire e circoscrivere la sofferenza del minore collegandola all’inadeguatezza dei genitori. La valutazione di recuperabilità consiste invece in uno step successivo, si tratta di una diagnosi dinamica che consiste nella valutazione della risposta agli input di cambiamento, necessaria alla formulazione di un parere prognostico.

Diverse sono, quindi, le finalità dei due processi professionali.

L’indagine raccoglie elementi riguardanti le condizioni ambientali, familiari, sociali, relazionali di un minore allo scopo di elaborare una diagnosi sociale riguardante:

 Livello di rischio/pregiudizio;

 Rapporto tra rischio/pregiudizio e genitorialità;

 Atteggiamento del genitore verso la propria responsabilità;

La valutazione della recuperabilità, quale step conclusivo del processo di intervento, è volto a:  Accrescere la responsabilizzazione (riconoscimento del danno);

 Connessione fra disagio/sofferenza dei figli e problemi (gioco famigliare);

 Crescita del desiderio di capire, speranza di cambiamento, rompere il circuito del gioco disfunzionale violento;

 Comparsa di comportamenti adeguati della funzione genitoriale.

Come è facile immaginare diverse sono anche le tempistiche con cui i due processi si dipanano e vengono gestiti dagli operatori sociali. Se per una indagine sociale possono essere sufficienti, in condizioni di normalità, in cui all’operatore è consentito di lavorare con serenità e senza sovraccarichi, circa tre mesi, mentre per una valutazione della recuperabilità, tenuto conto della necessità di coinvolgere una molteplicità di attori e di rispettare, in primis i tempi di rielaborazione dei genitori, possono occorrere dai sei ai nove mesi.

La metodologia con cui viene solitamente svolta l’indagine prevede:  Analisi del campo d’indagine;

 Convocazione della famiglia per la lettura del mandato e descrizione delle modalità d’indagine. In questa fase gioca un ruolo importante l’ingaggio del nucleo e la possibilità di creare una relazione tra i vari componenti e l’operatore, risulta fondamentale spiegare chiaramente le modalità di indagine sociale, le finalità, gli scopi e le potenzialità, per sottolineare da un lato la necessità di riferire all’autorità giudiziaria, dall’altro la possibilità per il nucleo di far emergere punti di forza e debolezza della famiglia ed eventualmente richiedere aiuto e sostegno, nonché attivarsi in prima persona, per la risoluzione delle problematiche emerse. Come è facilmente intuibile il termine indagine rimanda, nell’immaginario comune, ad azioni più vicine alla polizia o al celebre Sherlock Holmes e pertanto spendere un po’ di tempo, nel corso del primo colloquio, potrebbe risultare utile a chiarificare il contesto ed il ruolo professionale, nonché a liberare il campo da paure originate più dall’immaginario collettivo che dalla realtà. Considerato che la prima fonte da cui l’assistente sociale può trarre informazioni sono le persone stesse sottoposte ad indagine, occorre prestare particolare attenzione al momento dell’ingaggio, ricordando che le migliori informazioni sono quelle veritiere, fondate sull’evidenza, che possono scaturire solo se i vari componenti del nucleo sono coinvolti. È importante far leva sulla possibilità di far emergere il punto di vista dei vari componenti della famiglia, creando una alleanza temporanea finalizzata alla buona realizzazione dell’indagine, finalizzata alla stesura di una relazione all’autorità giudiziaria, rispetto alla quale è bene rendere consci sia i genitori che i bambini.

Diversi sono gli orientamenti rispetto al coinvolgimento dei minori nell’iter di indagine sociale, alcuni autori sostengono che il bambino vada coinvolto sin dal primo colloquio, altri invece propongono una maggiore gradualità e prediligono l’incontro in ambito familiare, meglio se al domicilio, soprattutto per i più piccoli. Se negli anni si sono sviluppati una molteplicità di approcci al minore, con annesse raccomandazioni sulle modalità e le tempistiche in relazione all’età e alla problematica prevalente, ormai da tempo la letteratura nazionale ed internazionale appare concorde sull’assoluta necessità, lasciando al professionista la scelta rispetto alle modalità e ai tempi, di coinvolgere il minore attivamente, tenendo conto delle sue capacità e preservando sempre il suo benessere, nelle procedure che riguardano il nucleo familiare;

 Esecuzione dell’indagine vera e propria che prevede:

-raccolta e analisi delle informazioni sia attraverso colloqui con i vari componenti del nucleo familiare sia attraverso il contatto di altri professionisti (scuola, servizi sanitari, forze dell’ordine…)

-analisi delle risorse famigliari, sociali e della rete dei servizi (può prevedere un iter di valutazione delle capacità genitoriali)

-diagnosi

Qualora l’indagine faccia emergere una condizione di pregiudizio per i minori, occorre rivolgersi all’autorità giudiziaria, evidenziando in modo esplicito il grado di consapevolezza dei genitori rispetto alla situazione e alle loro responsabilità nonché la disponibilità alla collaborazione per la risoluzione delle problematiche, richiedendo gli opportuni provvedimenti. In casi di gravità, vi è inoltre la possibilità, per il servizio sociale, di mettere in sicurezza il minore, in via provvisoria ed urgente, ma in ogni caso occorre ricordare che il contesto coatto non è attivato perché quello spontaneo non da esiti, bensì per tutelare in primis il benessere del minore che altrimenti verrebbe meno. La segnalazione all’autorità giudiziaria è un movimento preclinico crea le condizioni per attivare la valutazione della recuperabilità dei genitori garantendo la serenità e il benessere del minore.

Il processo di valutazione di recuperabilità delle funzioni genitoriali è introdotto da un decreto dell’autorità giudiziaria che contiene l’attribuzione di responsabilità ai genitori per le situazioni di pregiudizio sui figli (a volte cita in dettaglio specifici eventi) e definisce gli interventi che i servizi devono attivare per garantire la protezione dei minori.

Si tratta di uno spazio di riflessione e di pensiero, protetto dalla spinta all’agire caratteristica delle prime fasi dell’allontanamento del minore dalla propria famiglia d’origine, in cui ci si concede la possibilità di elaborare gli eventi, e capire quale spazio c’è per restituire ai bambini dei genitori sufficientemente tutelanti (Bertotti 2012).

Le caratteristiche salienti di questo processo sono dunque:  Contesto coatto;

 Necessità di trasparenza;  Ruoli e funzioni definite;  Tempi credibili e contenuti;

 Relazione finale che sarà letta ai genitori e inviata all’autorità giudiziaria.

Una riflessione sullo stato dell’arte secondo quanto delineato, in cui è necessaria una certa forza di volontà e preparazione per orientarsi tra la molteplicità degli approcci, l’utilizzo alternativo e spesso distorto dei termini, in un quadro normativo talvolta lacunoso, lascia emergere alcune criticità ulteriori, che l’assistente sociale probabilmente si troverà a fronteggiare:

 Globalità, complessità in prospettiva ecologica;

 Unicità e irrepetibilità, non abbiamo soluzioni standard, le derive sono uniche;

 Pluralità, gli attori coinvolti sono molti, può essere un arricchimento ma anche una fatica perché i linguaggi non sempre sono gli stessi;

 Imprevedibilità, tempi dei servizi molto lenti rispetto alla rapidità dei tempi delle persone;  Implicazioni emotive, lavoro molto esposto.

Al tempo stesso emergono anche alcuni vantaggi, derivati dalla consapevolezza rispetto alle varie fasi del processo di intervento, tra indagine, valutazione delle cure genitoriali e valutazione della recuperabilità:

 I tempi diventano definiti, e con buona probabilità più brevi. In alcuni mesi viene proposta una chiave di cambiamento e soluzione, che andrà sviluppata nel trattamento psicoterapico e in altri interventi del progetto di aiuto e sostegno concordato, oppure si arriva alla presa d'atto dell'inutilità provata degli sforzi per indurre il cambiamento e dell’incapacità dei genitori a farsi carico del proprio ruolo e delle responsabilità;

 Si cerca, in modo proattivo, di superare le numerose attività assistenziali, educative ed economiche di supporto a famiglie che «non sanno o non vogliono o non possono cambiare» (Ghezzi 2012, 135);

 Si possono utilizzare le modeste risorse di cui i servizi sociali e sanitari oggi dispongono per intraprendere terapie credibili come input al cambiamento e produttive di benessere per le famiglie e per i bambini, scegliendo invece altre provvidenze per le situazioni che non sono evolute (Ghezzi 2012).