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Come già più volte ribadito, diverse sono le accezioni del termine “valutazione” e il suo utilizzo all’interno della bibliografia di riferimento di servizio sociale appare oltremodo variegato. Anche nel caso in cui lo stesso venga affiancato a parole che rimandano al concetto di genitorialità, pare opportuno richiamare qualche distinzione.

Parliamo di “valutazione della genitorialità” (o delle competenze genitoriali) ogni qualvolta l’operatore sociale è chiamato ad individuare punti di forza e debolezza della relazione genitori-figli individuando se le aree critiche rispetto alla genitorialità, risultano di pregiudizio per i minori, tenuto conto delle risorse di sostegno e aiuto della rete famigliare e dei servizio socio-sanitari.

La “valutazione della recuperabilità genitoriale” è ben descritta dalla dott.ssa Gleijeses in una recente pubblicazione sulla rivista MinoriGiustizia del 2012 che la definisce come un intervento prioritario e centrale nei percorsi di tutela all’infanzia, il cui esito orienta spesso in maniera decisiva il destino delle famiglie, determinando processi di ricomposizione di legami disfunzionali o, al contrario, rendendo

indispensabili processi di separazione e di interruzione di relazioni familiari quando esse permangano distorte e fortemente danneggianti a fronte del percorso attivato.

Tale intervento, si pone come obiettivo finale la formulazione di una prognosi circa la possibilità di recupero di una genitorialità adeguata, configurandosi quale lavoro sia di approfondimento sulle competenze parentali presenti al momento della presa in carico (nella maggior parte dei casi, come è evidente, compromesse), sia poi di trattamento delle stesse al fine di sperimentarne le possibilità trasformative in itinere entro il percorso clinico. L’autrice evidenzia inoltre come in tale complessa accezione del lavoro si intreccino in modo molto confuso, ambiguo e ambivalente dimensioni diverse, se non addirittura contrastanti, che attengono al doppio registro della valutazione: da un lato, intesa come necessaria attività di psicodiagnostici della coppia genitoriale e di ognuno dei suoi membri, e della cura, dall’altro, intesa come attività volta a produrre trasformazioni e nello specifico orientata alla ricomposizione, ristrutturazione e riattivazione di una competenza parentale danneggiata, minata o addirittura compromessa.

La valutazione delle capacità genitoriali esplora le relazioni interne al nucleo familiare e descrive le variabili intercorrenti tra la sofferenza del bambino e i comportamenti genitoriali, l’obbiettivo di fondo è verificare se esista una situazione di pregiudizio per il bambino originata dalle mancanti o lacunose cure dei genitori, pertanto possiamo definirne le seguenti caratteristiche:

 È focalizzata sul bambino;

 Deve essere basata su elementi visibili e riconoscibili (indicatori);

 Favorisce la possibilità di costruire un’alleanza con il genitore fondata sulla comprensione;  Permette di rendere comprensibili, se non accettabili i provvedimenti di protezione;  Può aiutare i genitori a non sentirsi inutilmente perseguitati e vittime di un pregiudizio;

 Fonda la valutazione della recuperabilità poiché costituisce la possibilità di vedere i miglioramenti, i passi fatti e quelli ancora da fare.

Alla valutazione di recuperabilità, è invece sottesa una differente domanda di fondo: quali sono le risorse e le possibilità perché i /il genitori tornino ad essere (o diventino) sufficientemente adeguati alle loro responsabilità? Dal punto di vista del genitore: quali possibilità risorse ci sono affinché io non metta più in campo i comportamenti dannosi o affinché questa situazione non si riproduca? Dal punto di vista del bambino: quali sono le possibilità e le risorse perché io possa tornare /stare con i miei genitori senza che si producano quelle situazioni negative?

Utile, al fine di meglio comprendere la distinzione tra questi due concetti, è il parere di Dante Ghezzi che facendo riferimento alle situazioni maltrattamento e abuso all’infanzia afferma: «la valutazione delle capacità genitoriali attuali (…) non è per nulla da dimostrare, è lì da vedere, nei comportamenti di

pregiudizio dei genitori rilevati dei servizi e formalizzati dal tribunale per i minorenni con il decreto che attesta gli eventi dannosi e la sofferenza dei figli; la valutazione negativa della genitorialità e quindi assodata in una serie di “fotografie” che testimoniano il degrado delle relazioni genitori-figli. Invece la valutazione di recuperabilità genitoriale è un processo di presa in carico complesso… per capire se i genitori possono cambiare e alla fine accettare di essere curati (...) Il centro del lavoro è riuscire a far connettere al genitore che danneggia i figli la propria sofferenza adulta e di bambino traumatizzato con quella che egli impartisce al figlio maltrattato Occorrerà non tanto convincerlo, ma toccarlo su corde sensibili. Egli potrà accedere al disagio del figlio se, guidato in un percorso di recupero per lui pensato, sarà condotto a rivedere la propria sofferenza e i propri traumi pregressi come base emozionale scatenante, che origina verso il figlio comportamenti inidonei e pericolosi» (Ghezzi 2012, 131).

Come è facile intuire due sono gli esiti possibili: una prognosi positiva, di recuperabilità possibile, che vede i genitori, o almeno uno di essi, pronti a guardare la sofferenza dei figli passando per le proprie esperienze di vita, riconoscendone il disagio anche come danno arrecato, o un secondo caso, in cui questi genitori non appaiono in grado di farlo, forse perché non accettano, o non sanno partire da, il proprio disagio; in questa situazione essi restano incapaci di modificarsi quindi non riescono a risalire la china che li ha portati a maltrattare o trascurare gravemente i figli; credibilmente potranno ancora costituire un pericolo per loro. In questo secondo caso si ha una prognosi di negativa.

Tre sono i traguardi che l’autore elenca come indicatori che permettono di pensare ad una prognosi positiva per il recupero della genitorialità: ammissione del danno compiuto, il sorgere di comportamenti buoni di accudimento e di cura, la connessione fra la sofferenza adulta debordante non controllata e la trascuratezza o i maltrattamenti inflitti. Dove è proprio questa connessione la molla che permette l'avvio di una svolta positiva (Ghezzi 2012).

Il CISMAI nel novembre 2008 riprendendo il Consultation on Child Abuse and Prevention dell’OMS del 1999 e il rapporto OMS del 2002 ha elaborato e diffuso delle linee-guida che mettono in luce le aree di indagine risultate più efficaci per la valutazione delle possibilità di recupero delle competenze genitoriali a partire dal mandato prescrittivo fornito dall’autorità giudiziaria, delineando quali indicatori predittivi di un positivo esito della valutazione di recuperabilità:

 Aderenza alle regole del setting;

 Riduzione dei meccanismi difensivi di negazione;  Comprensione e partecipazione alla sofferenza del figlio;

 Capacità d comprensione danno arrecato al figlio attraverso la condivisione della rilettura dei significati individuali e relazionali dei comportamenti pregiudizievoli;

 Capacità di assumersi le responsabilità e attivare comportamenti riparativi in funzione del cambiamento;

 Capacità iniziale di condivider un progetto d’intervento riparativo.

La valutazione di recuperabilità, a differenza della valutazione della capacità genitoriali può quindi essere concepita come il cuore del processo di intervento, capace di dare avvio all’inizio di un vero e proprio lavoro terapeutico, un processo clinico che comincia in sede di valutazione e ha al proprio interno dimensioni di cambiamento, seppure iniziale.

Sovente la valutazione della genitorialità viene descritta come una fotografia della situazione famigliare, in cui emergano punti di forza e debolezza del nucleo atti ad evidenziare la condizione dei minori e la possibilità di superamento delle difficoltà, la valutazione di recuperabilità si configura come qualcosa di diverso, una volta accertata una condizione di malessere e gravità per i minori ci si propone di realizzare un film, con regista ed attori che co-costruiscono un percorso che comporta l’intreccio, la sinergia tra la competenza del valutatore, il consenso dei genitori, che produce apertura mentale ed emozionale, riflessioni e consapevolezza. La prognosi sarà positive se i genitori connettono le proprie sofferenze adulte con i cattivi trattamenti inferti al figlio, ammettono il maltrattamento e vedono il bambino sofferente, modificano gli atteggiamenti dannosi per adottare comportamenti positivi.

Per un compito così importante quale quello di curare una famiglia che maltratta o trascura i figli o li abusa e, prima ancora, di capire se saprà approfittare degli input psicologici e le si possono offrire, occorre lavorare bene. Non trascurando due inderogabili principi: competenza e lavoro di squadra.

Competenza significa in primo luogo distinguere tra il contesto spontaneo dove la domanda di cure è presente e quello coatto dove essa deve essere adeguata adeguatamente indotta, evitando di offrire a chi è indisponibile o non è pronto una proposta che può essere di valore ma che sarà certamente rifiutata… Lavoro di squadra significa coordinare i vari punti di vista in vari punti di forza di professionisti e servizi: in questi casi non si parte mai da zero, ma da un pregresso spesso articolato è ricco di interventi precedenti, magari numerosi e onerosi ma finora poco efficaci. Tutti gli operatori che ruotano attorno al caso devono essere équipe impegnata, se si tratta finalmente di provare a vedere se questi “cattivi genitori” possono essere recuperati: troppo importante il compito per lavorare disuniti o con approssimazione (Ibidem). Il “successo” del processo di valutazione è dovuto sia alla competenza professionale di ciascun attore che alla consapevolezza che ognuno gioca un ruolo parziale, in una dinamica più ampia (D’Ambrosio 2010).