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NEL QUADRO REGIONALE EUROPEO

7. Indicazioni sul “risk assessment” dalla Corte europea dei diritti umani: il caso JK

Un’attenta considerazione merita infine l’analisi delle situazioni di rischio verificate nei paragrafi precedenti prendendo in esame un caso scelto deciso dalla Corte EDU, JK v.

Sweden104, poiché comprensivo dei parametri fin qui individuati in ragione delle disposizioni

della DQ.

Come visto sopra, nei diversi richiami alla giurisprudenza della Corte di Strasburgo, quest’ultima, per stabilire la serietà e la gravità del rischio, ha spesso applicato dei criteri simili a quelli adottati per il riconoscimento della protezione internazionale e talvolta ha richiamato gli standard applicati dal diritto dell’Unione europea.

Nella sua prassi applicativa dell’art. 3 ECHR, la Corte ha di fatto creato una regola di giudizio fondamentale attraverso indicatori di rischio e principi di valutazione. Innanzitutto, il grado di rischio dipende dal livello delle garanzie effettivamente esistenti nel paese dal quale il richiedente è fuggito:

these standards entail that the ill-treatment the applicant alleges he will face if returned must attain a minimum level of severity if it is to fall within the scope of Article 3. The assessment of this level is relative, depending on all the circumstances of the case105.

Orbene, la valutazione del rischio richiede l’esame di tutte le circostanze, anche del paese di origine. Così, ad esempio, in caso di rischio di maltrattamento da parte di gruppi privati si deve tenere conto della capacità dello Stato di garantire una protezione contro le persecuzioni provenienti da attori non statali: la prova del “real risk” è data dall’accertamento

102 Cfr. Constitutional Council (Francia), Décision n. 2003-485 DC du 4 décembre 2003, par.17. 103 E. M. v. Ministry of Interior, 4 Azs 99/2007-93, Czech Republic: Supreme Administrative Court,

24 January 2008, online su http://www.refworld.org/cases,CZE_SAC,51bb1d9e4.html

104 J.K. and Others v. Sweden, 23 august 2016, application no. 59166/12.

105 Cfr. ECtHR, M.S.S. v. Belgium and Greece, [GC], cit., par. 286; Cfr. ECtHR, Hilal v. United Kingdom, cit., par. 60.

dell’incapacità delle autorità statuali a garantire la dovuta protezione nel paese di provenienza106. Si tratta di valutazioni che condividono l’impostazione della DQ quanto alla effettività della protezione offerta dallo Stato (o dai partiti o organizzazioni che controllano lo Stato) contro persecuzioni o danni gravi107 e che rispecchiano quanto detto sopra a proposito del paradigma del rischio di persecuzione o di danno grave.

È possibile suddividere i giudizi della Corte nella materia dei richiedenti asilo secondo tre categorie di casi: 1) casi in cui sussiste una violenza generalizzata tale da esporre l’individuo a un rischio effettivo di maltrattamento in caso di rimpatrio; b) casi in cui i ricorrenti appartengono a gruppi di persone sistematicamente esposti a pratiche di trattamenti inumani e degradanti (questa circostanza costituisce già un’ipotesi di rischio individualizzato e pertanto non sono necessari altri elementi individualizzanti); c) casi che non rientrano nelle ipotesi a) e b), per cui la situazione generale del paese di origine può anche non essere determinante ai fini dell’individuazione del rischio, ma la presenza di circostanze particolari potrebbe condurre a situazioni di rischio effettivo per il ricorrente108.

Un’evoluzione estremamente significativa del risk assessment va rilevata nella recente giurisprudenza della Corte EDU e, più precisamente, nella sentenza J.K. v Sweden che merita brevemente di essere commentata al fine di comprendere le modalità di accertamento del rischio effettivo, atteso che proprio la struttura della sentenza contiene delle indicazioni significative.

Nel caso di specie il ricorrente richiedeva l’asilo in Svezia poiché rischiava una persecuzione in Iraq da parte di al-Qaeda avendo prestato servizio presso una base militare statunitense stanziata in quel Paese. Anche la sua famiglia era stata vittima di gravi minacce e violenza da al-Qaeda dal 2004 al 2008 (ripetuti attentati alle loro vite, a quella del fratello e uccisione della figlia) al punto da costringere il richiedente a lasciare il posto di lavoro e a trasferirsi con i familiari a Baghdad, città dalla quale sarebbero fuggiti per rifugiarsi in Svezia, dove avrebbero presentato istanza di protezione internazionale. Le autorità svedesi rigettavano le richieste di asilo sulla base di tre considerazioni principali: i fatti oggetto di persecuzione si erano verificati molto tempo prima rispetto alla domanda di protezione; il rapporto lavorativo con le autorità statunitensi era venuto meno e ciò lasciava presumere che i

106 Cfr. ECtHR, NA v. United Kingdom, cit., par. 110. 107 Cfr. art. 7 DQ.

108 Si veda D. Baldinger, Rigorous Scrutiny versus Marginal Review, Standard on judicial scrutiny and evidence in international and European asylum law, WLP, Oisterwijk, 2013, p.283.

ricorrenti non avrebbero subito ulteriori minacce; infine, le autorità irachene avrebbero potuto offrire la dovuta protezione in caso di rimpatrio.

Seguendo l’impostazione della sentenza vengono prima richiamati i principi generali che riguardano la materia dei rifugiati soggetti a refoulement e poi gli stessi vengono applicati al caso concreto in considerazione della situazione generale del paese di origine e delle circostanze personali del ricorrente.

I principi generali illustrati fanno ormai parte del sistema di giudizio della Corte, ma nel corpo della sentenza JK sono stati opportunamente sistematizzati secondo l’ordine che segue.

a) General nature of obligations under Article 3: in cui viene sancito l’obbligo assoluto e

la natura non derogabile della disposizione in seno all’art. ECHR.

b) Principle of non-refoulement: viene ribadita la consapevolezza della Corte

sull’importanza del principio del non-refoulement, diretto o indiretto, nei casi di espulsione dei richiedenti asilo.

c) General principles concerning the application of Article 3 in expulsion case: qui si

ricorda che, sebbene gli Stati contraenti abbiano il diritto di controllare l’ingresso, la permanenza e l’espulsione degli stranieri, tale diritto incontra un chiaro limite nel caso delle espulsioni che espongono i richiedenti asilo a trattamenti contrari all’art. 3. Pertanto, la valutazione del real risk richiede sempre l’esame delle condizioni del paese di destinazione.

d) Risk of ill-treatment by private group: l’obbligo assoluto di cui all’art. 3 riguarda non

solo i casi di pericolo derivante dall’autorità statale, ma anche gruppi di persone che non rivestono nessun ruolo ufficiale. In tali ultime evenienze si richiede l’accertamento dell’effettività del rischio unitamente alla incapacità delle autorità governative di ovviare alla minaccia garantendo la dovuta protezione. In situazioni di questo tipo occorre valutare la possibilità di una “internal flight alternative” (IFA o IPA) solo se la zona individuata per il trasferimento del ricorrente sia coperta dalle condizioni che assicurino una protezione contro trattamenti contrari all’art. 3 CEDU.

e) Principle of ex nunc evaluation of the circumstances: la giurisprudenza della Corte ha

cristallizzato nel momento dell’esame del caso l’individuazione e la valutazione del rischio.

f) Principle of subsidiarity: l’intervento della Corte non riguarda le doglianze del ricorrente

rigettate dalle autorità dello stato contraente, né tantomeno viene verificato l’esatto adempimento degli obblighi della Convenzione di Ginevra. Anzi le autorità statali

rimangono sempre «best placed to assess not just the fact but, more particularly, the credibility of witnesses since it is they who have had an opportunity to see, hear and assess the demeanour of the individual concerned»109. Pertanto la Corte accerta solo l’eventuale esistenza del refoulement arbitrario da parte del governo resistente.

g) Assessment of the existence of a real risk: riguarda l’accertamento del rischio effettivo

in base al giudizio prognostico sulle conseguenze prevedibili in caso di rimpatrio del ricorrente tenendo conto delle circostanze personali e della situazione generale del paese di destinazione. La Corte precisa a tal fine che «[t]he Contracting State therefore has the obligation to take into account not only the evidence submitted by the applicant but also all other facts which are relevant in the case under examination»110. Inoltre, «[i]n assessing the risk, the Court may obtain relevant materials proprio motu»111.

h) Distribution of the burden of proof: nei casi di espulsione in genere spetta al ricorrente

addurre fatti capaci di provare l’esistenza di “substantial grounds” che dimostrino il rischio effettivo di subire trattamenti contrari all’art. 3 in caso di espulsione. Se vi sono dei dubbi sarà onere del governo rimuoverli, ma la mancanza di prove non può essere per se decisiva. La speciale condizione in cui si trovano i richiedenti asilo impone di concedere loro il beneficio del dubbio quando si procede all’esame della credibilità delle loro affermazioni e dei documenti prodotti a supporto. La Corte ricorda che «although a number of individual factors may not, when considered separately, constitute a real risk, the same factors may give rise to a real risk when taken cumulatively and when considered in a situation of general violence and heightened security […]. The following elements may represent such risk factors: previous criminal record and/or arrest warrant, the age, gender and origin of a returnee, a previous record as a suspected or actual member of a persecuted group, and a previous asylum claim submitted abroad»112. È interessante notare che la Corte richiama l’art. 4.1 (DQ) e la giurisprudenza a riguardo della Corte GUE per giustificare l’inversione dell’onere della prova. Inoltre, viene esplicitato il riferimento al paragrafo 5 della stessa disposizione quanto alla previsione del beneficio del dubbio e al paragrafo 3 sull’acquisizione proprio motu dei fatti relativi alla situazione del paese di origine.

109 Cfr. ECtHR, JK and others v. Sweden, cit., par. 84. 110 Ibidem, par. 87.

111 Ibidem, par. 90. 112 Ibidem, par. 95.

i) Past ill-treatment as an indication of risk: il trattamento inumano e degradante subito in

passato «may be relavant for assessing the level of risk of future ill-treatment». Anche in questo caso la Corte richiama l’art. 4 (DQ) e in particolare il paragrafo 4 sul “serio indizio” costituito dalla past persecution per determinare l’esistenza di un rischio futuro. Si precisa, altresì, che l’eventuale mancanza di questo elemento non incide, al contrario, sull’esistenza del rischio effettivo113.

j) Membership of a target group: la prova del rischio individualizzato prevede alcune

eccezioni, come nel caso in cui il richiedente appartenga a un gruppo sistematicamente vittima di pratiche di maltrattamento. Invero, tali situazioni non richiedono l’accertamento di un rischio individualizzato nel senso che il richiedente deve potere distinguere la propria situazione da quella dei pericoli generali esistenti nel paese di destinazione. Piuttosto, il rischio deve essere determinato attraverso le informazioni del paese di origine e del gruppo in questione in base alla prassi di maltrattamento.

Conseguentemente, la protezione di cui all’art. 3 ECHR può essere attivata qualora in considerazione di determinati fattori - persecuzione passata, situazione generale di violenza e/o delle sue personali circostanze, conseguenze prevedibili - «that there are serious reasons

to believe in the existence of the practice in question and his or her membership of the group concerned». In questi casi la Corte non potrà pretendere che il richiedente dimostri

l’esistenza di “special distinguishing features”, rendendo illusoria la protezione offerta dall’art. 3 ECHR.

Orbene, elencati i suddetti principi, la Corte procede all’applicazione degli stessi nel caso concreto suddividendo il ragionamento decisorio in tre paragrafi.

a) Material time of the risk assessment: il rischio deve essere valutato innanzitutto in

relazione ai fatti che erano o avrebbero dovuto essere conosciuti dalle autorità dello Stato contraente al momento dell’espulsione. Se, tuttavia, il ricorrente non è ancora stato espulso quando la Corte esamina il caso, il momento rilevante è quello del procedimento dinanzi la Corte. Nel caso di specie i ricorrenti non sono stati ancora estradati, pertanto la Corte procede all’esame considerando l’odierna situazione e tenendo conto dei fatti storici che possono incidere sulla stessa.

b) General security situation in Iraq: riguarda l’analisi delle conseguenze prevedibili che

scaturiscono dal rimpatrio del richiedente nel paese di destinazione, alla luce della situazione

generale di violenza114. Da un lato, i ricorrenti denunciavano un deterioramento del livello di sicurezza in Iraq, senza alcun supporto probatorio a riguardo; dall’altro, il governo, sulla base delle informazioni ottenute dal Migration Agency, rispondeva che l’intensità della violenza a Baghdad non era tale da costituire un rischio reale di trattamento contrario all’art. 3. La Corte riconosce la validità di quanto dedotto dal governo, rilevando che le condizioni di sicurezza a livello generale in Iraq non erano così gravi da impedire l’eventuale rimpatrio dei ricorrenti. Pertanto, prosegue la Corte, occorre valutare le circostanze personali per verificare una violazione del principio del non refoulement.

c) Personal circumstances of the applicants: la Corte ritiene che il maltrattamento subito

costituisce “a strong indication” dell’esistenza del rischio di subire ancora la minaccia da parte degli attori non statali in Iraq. Considerato che l’onere della prova spetta al governo, così come quello di fugare eventuali dubbi sull’effettività del rischio, si osserva che le decisioni a livello interno sul rigetto della domanda di protezione internazionale non sembravano aver escluso la continuazione della minaccia da parte di al-Qaeda.

Ciò che non è stato considerato adeguatamente dal governo resistente è che il sig. J.K. faceva parte del gruppo delle persone sistematicamente prese di mira, ossia le forze armate statunitensi, in virtù del rapporto di collaborazione che ad esse lo legava.

Conseguentemente la Corte pone la questione relativa alla capacità delle autorità irachene di proteggere i ricorrenti in caso di rimpatrio e richiede che si proceda a tale valutazione applicando gli standard del diritto dell’Unione europea. Più precisamente, richiamando l’art. 7 DQ, la protezione si considera fornita se ci si avvale «di un sistema giuridico effettivo che permetta di individuare, di perseguire penalmente e di punire gli atti che costituiscono persecuzione o danno grave e se il richiedente ha accesso a tale protezione»115. La situazione in Iraq, inoltre, risultava ulteriormente peggiorata rispetto al momento in cui le autorità nazionali procedevano alla valutazione del caso. Tuttavia, osserva la Corte, sebbene il livello di protezione in Iraq appare sufficientemente adeguato per la generalità degli iracheni, lo stesso non può dirsi per quegli individui che, come i ricorrenti, fanno parte di un gruppo

114 Non solo, ma più di recente, la Corte, in virtù degli obblighi scaturenti dagli artt. 2 e 3 ECHR, ha

indirizzato agli Stati membri un preciso obbligo procedurale nella valutazione delle domande di protezione internazionale: «il s’ensuit qu’indépendamment de l’attitude du requérant, les autorités nationales compétentes ont l’obligation d’évaluer d’office tous les éléments portés à leur connaissance avant de se prononcer sur l’expulsion de l’intéressé», cfr. ECtHR, Salah Sheekh v.

Netherlands, cit., par.148.

sistematicamente vittima di maltrattamenti. Pertanto, in considerazione delle particolari condizioni dei ricorrenti, non si ritiene che lo Stato di destinazione sia in grado di offrire una protezione effettiva contro le minacce di al-Qaeda.

La combinazione delle circostanze personali e della incapacità delle autorità irachene di garantire una protezione adeguata nei confronti dei ricorrenti creano un rischio effettivo di trattamento inumano e degradante in caso di rimpatrio.

Infine, la Corte procede all’esame dell’IFA (o IPA) sostenendo che il trasferimento dei ricorrenti in un’altra zona del paese non costituisce un’opzione realistica, atteso che il livello di protezione in Iraq da parte delle autorità deve considerarsi indebolito rispetto a tutto il territorio iracheno.

Chiaramente la valutazione del rischio futuro segue il ragionamento logico sotteso all’obbligo del non-refoulement: «expulsion by a Contracting State may give rise to an issue under Article 3, and hence engage the responsability of that the person concerned, if deported, faces a real risk of being subjected to treatment contrary to Article 3». In tale prospettiva, la probabilità di ottenere una protezione all’interno del paese di origine risulta coerente con la ratio dell’art. 3 ECHR116. Ad esempio, nel caso A.A.M. v. Sweden la Corte non ha riconosciuto una violazione dell’art. 3 ECHR in ragione del rimpatrio del ricorrente iracheno in una parte del paese in cui le forze di Al-Qaeda non costituivano una minaccia tale da integrare lo standard del real risk117.

In conclusione, l’aspetto senza dubbio interessante nell’analisi dell’approccio della Corte EDU, nei casi dei richiedenti asilo espulsi o a rischio di espulsione da parte dello Stato contraente, è il frequente richiamo alla Direttiva Qualifiche per spiegare i fattori e i criteri ermeneutici che conducono all’accertamento del rischio, tanto da costituire un utile punto di riferimento nella prassi applicativa nel quadro regionale europeo.

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