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Segue: La valutazione del rischio nei casi di timore fondato di subire una persecuzione e di rischio effettivo di danno grave: tra “ragionevolezza” ed “effettività”

IL PARADIGMA DEL RISK ASSESSMENT NEI CASI DI PERSECUZIONE E DI DANNO GRAVE NEL MODELLO REGOLATIVO DEL SISTEMA DELLA PROTEZIONE

4. Risk assessment e standard of proof nel sistema comune di asilo europeo: la protezione internazionale

4.1. Segue: La valutazione del rischio nei casi di timore fondato di subire una persecuzione e di rischio effettivo di danno grave: tra “ragionevolezza” ed “effettività”

Sull’applicazione dello status di rifugiato e sulla prova del “timore fondato” di essere perseguitato per uno dei motivi indicati dall’art. 1 A2 (CG), le questioni relative alla determinazione dell’esistenza del rischio e del relativo grado o livello esaminate nella prassi

110 Si veda par. 2.1.

111 J.Y. Carlier, Risque, in Julien-Laferriere F., Labayle H. and Edstrom O. (eds.), The European Immigration and Asylum Policy: Critical Assessment Five Years after the Amsterdam Treaty,

Brussel, 2005, pp. 307-309.

112 H. Storey, EU Refugee Qualification Directive: A Brave New World?, in International Journal of Refugee Law, vol. 20, 2008, pp.1-49.

a livello internazionale non sono state diversamente specificate neanche nella Direttiva Qualifiche, la quale, come detto sopra, si limita a trasporre il “well-founded fear” così come enunciato nella convenzione di Ginevra. Peraltro, proprio questa prassi aveva influenzato la Commissione europea al punto da avanzare una proposta di modifica delle direttive europee sul sistema di asilo affinché si procedesse ad inserire anche il richiesto livello del rischio per i rifugiati e dunque il grado del “well-founded fear”113. Ciò nonostante, la sua valutazione avviene, oggi come allora, sempre attraverso la determinazione del risk o della chance di subire una persecuzione nell’ipotesi di una prospettiva futura.

Come abbiamo visto nei paragrafi precedenti, in un primo momento, la prassi ha individuato la fondatezza del timore nelle ragionevoli probabilità che una persecuzione possa verificarsi in futuro. In questa direzione, anche la Corte di Giustizia UE, in un primo momento, ha seguito l’orientamento basato sull’esistenza di quella “ragionevolezza”, specificando, altresì, che il timore risulta fondato se il paese di origine non è in grado di offrire una protezione contro gli atti di persecuzione o se comunque non è possibile avvalersi della protezione perché quel paese non è in grado di prevenire o punire gli atti persecutori114. Non può non rilevarsi, inoltre, come nel sistema di asilo europeo la teoria bipartita dell’elemento soggettivo ed oggettivo del timore fondato si ritenga oramai effettivamente superata e che l’interpretazione di disposizioni ampiamente dibattute converga verso la conclusione della valutazione di un “risk of being persecuted”: l’introduzione del termine “risk”, sebbene avvenuta soltanto nelle decisioni delle istanze di asilo, sostituisce di fatto l’intero concetto di “fear”.

Invero, la Corte di Giustizia UE ha eliminato del tutto qualsivoglia riferimento all’elemento soggettivo e dunque allo stato emotivo del richiedente, adottando l’approccio della prassi dominante e assumendo che è sufficiente oramai la sola valutazione oggettiva, ossia il “rischio di subire una persecuzione”115.

Pertanto, sebbene la disposizione sullo status di rifugiato non faccia riferimento al “rischio”,

113 Cfr. “Proposition modifiéé de directive du Conseil relative à des normes minimales concernant la

procédure d’octroi et de retrait du status de réfugié dans les Etats membres”, Doc. 8771/4, Asile 33, du 30 avril 2004, respectivement art. 30 bis, par. 1 et 23, par. 4 c. Sul punto si veda J. Hathaway,

What’s in a Label?, in European Journal of Migration Law, n. 1, 2003, p.14.

114 CGUE, Abdulla e altri c. Bundesrepublik Deutschland, procedimenti riuniti C-175/08, C-176/08,

C-178/08, C-179/08, sentenza del 2 marzo 2010, parr. 58 e 59.

115 CGUE, Bundesrepublik Deutschland c. Y e Z, cause riunite, C-71 e C-99/11, sentenza del 5

deve ritenersi, in virtù dell’opera interpretativa della Corte di giustizia UE, che, nella valutazione del well-founded fear si debba verificare, come detto sopra, l’esistenza di un rischio di subire una persecuzione.

Orbene, tale rischio (qualificato come “ragionevole”), induce, come sostenuto da parte della dottrina sopra richiamata, a ritenere che lo standard of proof nello status di rifugiato sia diverso da quello della protezione sussidiaria. Ed invero, in relazione alla categoria di rischio nella protezione internazionale è possibile rilevare una distinzione tra “ragionevolezza”, da verificare nello status di rifugiato, ed “effettività” pretesa per determinare la sussistenza del rischio nella protezione sussidiaria.

Come anticipato, la precisazione del “rischio effettivo” viene invece espressamente stabilita nella definizione relativa al beneficiario della protezione sussidiaria, ossia il «cittadino di un paese terzo o apolide che non possiede i requisiti per essere riconosciuto come rifugiato ma nei cui confronti sussistono fondati motivi di ritenere che, se ritornasse nel paese di origine, o, nel caso di un apolide, se ritornasse nel paese nel quale aveva precedentemente la dimora abituale, correrebbe un rischio effettivo di subire un grave danno»116.

Rispetto allo status di rifugiato, che richiede un timore fondato di essere perseguitato senza ulteriori specificazioni, la protezione sussidiaria prevede esplicitamente un rischio effettivo di subire un danno grave in caso di rimpatrio, le cui forme sono descritte all’art. 15 DQ. Nelle intenzioni della Commissione europea, la lett. b) della suddetta disposizione, ossia «tortura o altra forma di pena o trattamento inumano o degradante ai danni del richiedente nel suo Paese di origine», avrebbe dovuto riguardare sempre il fondato timore ma nella prospettiva di una violazione di altri diritti fondamentali117. In effetti, tale indicazione si

116 Art. 2, lett. f), DQ.

117 Commissione Europea, Proposta di Direttiva del Consiglio recante norme sull’attribuzione, a

cittadini di paesi terzi ed apolidi, della qualifica di rifugiato o di persona altrimenti bisognosa di protezione internazionale, nonché norme minime sul contenuto dello status di protezione, COM (2001) 510 def., del 12 settembre 2001, nella quale la Commissione proponeva di includere nel danno grave la violazione di diritti fondamentali, precisando che «gli Stati membri devono tenere conto degli obblighi che derivano loro dagli strumenti relativi ai diritti dell’uomo, quali la CEDU, pur limitandone l’applicabilità ai soli casi in cui la protezione internazionale è necessaria. In particolare, devono valutare se il rimpatrio di un richiedente nel suo paese d’origine o di residenza abituale possa dare origine a un danno grave ed ingiusto derivante da una violazione di un diritto fondamentale e se incombe loro l’obbligo extraterritoriale di offrire protezione in questo contesto», p. 31. Tale disposizione mostrava la coerenza tra i sistemi di protezione in seno all’Unione europea e della CEDU, cfr. G. Noll, Fixed Definitions or Framework Legislation? The Delimitation of Subsidiary

Protection Ratione Personae, in UNHCR New Issue in Refugee Research Working Paper, n. 55,

mostra in linea con l’intenzione di estendere i confini della Convenzione di Ginevra fino a ricomprendervi la possibile violazione di altri diritti umani118.

Si tratta di un tentativo di sistematizzazione dei motivi che possono fondare una richiesta di protezione, scaturenti da violazioni di diritti umani correlati alla Convenzione di Ginevra, e che non rientrano nell’alveo di quelli che giustificano il riconoscimento dello status di rifugiato119. Tuttavia, gli Stati membri, non si sono mostrati favorevoli al concetto troppo vago e generico della violazione di diritti umani, poiché ciò potrebbe condurre ad una ingiustificata estensione del margine interpretativo ed applicativo della protezione sussidiaria.

Quanto alle differenze, menzionate nel paragrafo precedente, che sono state colte da parte della dottrina sul diverso grado di risk assessment richiesto nelle due forme protezione, deve concludersi, a mio avviso, in senso contrario. Invero, nel capo II della DQ, le circostanze che assumono rilevanza nella valutazione delle domande di protezione internazionale non sembrano distinguere tra “persecuzioni” o “danni gravi”. Ad esempio, la disposizione di cui all’art. 4 .4 DQ afferma: «il fatto che un richiedente abbia già subito persecuzioni o danni

gravi o minacce dirette di siffatte persecuzioni o danni costituisce un serio indizio della fondatezza del timore del richiedente di subire persecuzioni o del rischio effettivo di subire danni gravi, a meno che vi siano buoni motivi per ritenere che tali persecuzioni o danni gravi

non si ripeteranno».

Ciò risulta confermato anche dalla Corte di Giustizia UE, la quale precisa che lo standard utilizzato per la valutazione del timore fondato come “ragionevole timore” è lo stesso da accertare nella protezione sussidiaria: i termini “timore fondato” e “rischio effettivo” sono sostanzialmente intercambiabili120.

118 Del resto, ciò si può evincere anche dai primi due considerando del preambolo della Convenzione

di Ginevra: «Considering that the Charter of the United nations and the Universal Declaration of Human Rights approved on 10 December 1948 by the general Assembly have affirmed the principle that human beings shall enjoy fundamental rights and freedoms without discrimination»; ed ancora «considering that the United Nations has, on various occasions, manifested its profound concern for refugees and endeavoured to assure refugees the widest possible exercise of these fundamental rights and freedoms».

119 Consiglio dell’Unione europea, Gruppo “Asilo”, Proposta di direttiva del Consiglio recante norme

sull’attribuzione, a cittadini di paesi terzi ed apolidi, della qualifica di rifugiato o di persona altrimenti bisognosa di protezione internazionale, nonché norme minime sul contenuto dello status di protezione, 17 giugno 2002, Doc. 9038/02, Asile 25, p.22.

120 CGUE, Abdulla e altri, cit., par. 89 e conclusioni nelle quali la Corte afferma che nel caso non sia

possibile riconoscere lo status di rifugiato, «quando le autorità competenti dello Stato membro verifichino che non ricorrono altre circostanze che giustifichino il fondato timore della persona

Pertanto, sebbene non sia stato espressamente chiarito dalla Direttiva Qualifiche, i termini del risk assessment nelle domande di protezione internazionale sono quindi gli stessi sia nello status di rifugiato che nella protezione sussidiaria, essendo le stesse strettamente correlate121.

L’unica differenza che può essere individuata risiede nel livello di rischio richiesto ai fini della sussistenza di un danno grave ex art. 15, lett. c) DQ, essendo sufficiente la prova che nel paese di origine sia in corso un conflitto armato interno o internazionale. Tale soglia, tuttavia viene poi di fatto alzata nell’ottica del principio del non refoulement da applicare al caso concreto.

Infine, va ribadito ancora che laddove non esiste un “rischio di persecuzione” è in ogni caso necessaria la valutazione di un “rischio di danno grave”. Nonostante l’assenza di una specificazione ad hoc nel testo della direttiva relativa al grado o al livello rilevante, la Corte di Giustizia sembra oramai aver chiarito che anche il “rischio di essere perseguitato” deve essere di tipo “effettivo”122, abbandonando lo standard della “ragionevolezza”: il risk

assessment si traduce, dunque, nell’indagine di un “real risk of being persecuted” anche

nell’ipotesi dello status di rifugiato.

5. Risk assessment e principio di non-refoulement nell’interpretazione della Corte di

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