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Casi scelti

1. Considerazioni introduttive: sistematizzazione dei casi scelti

Occorre a questo punto riflettere sul concreto funzionamento del paradigma del rischio nella fattispecie complessa della violenza contro le donne richiedenti asilo basata sul genere e, quindi, sui fattori del risk assessment emergenti.

La casistica selezionata riguarda l’analisi di singole fattispecie di persecuzione che sono maggiormente ricorrenti nelle istanze di protezione internazionale (quali le mutilazioni genitali femminili, la tratta a scopo di sfruttamento sessuale e il matrimonio forzato) e concerne i casi di accoglimento delle istanze di protezione internazionale riconosciuta nella forma dello status di rifugiato in ragione dell’appartenenza ad un determinato gruppo sociale. Chiaramente, una c.d. “gender-related persecution” può essere fondata anche sugli altri motivi della Convenzione di Ginevra, ma la prassi tende ad utilizzare il suddetto motivo ginevrino perché appare riflettere in maniera più immediata la dimensione di “genere” non espressamente considerata nella definizione di rifugiato1.

Tali decisioni sono interessanti perché dimostrano come una lettura diversa degli elementi rappresentati nelle domande di asilo possa ribaltare le precedenti pronunce, spesso motivate dalla mancanza di credibilità delle richiedenti. Inoltre offrono l’occasione per rilevare i fattori di rischio emergenti nel risk assessment.

Ogni fattispecie viene analizzata in tre parti tese a delineare le caratteristiche generali, le modalità ed i relativi indicatori di rischio che ne evidenziano la portata persecutoria, nonché l’implementazione del risk assessment da parte della prassi giurisprudenziale al fine di individuare quali sono quei fattori (di rischio) imprescindibili nell’accertamento di un rischio di persecuzione per le vittime in ragione della loro appartenenza ad un determinato gruppo

1 Cfr. Haines R., Gender-related persecution, in E. Feller, V. Türk, F. Nicholson (eds), Refugee Protection in International Law, UNHCR’s Global Consultations on International Protection, CUP

& UNHCR, Cambridge, 2003, p. 342-349; cfr. anche H. Crawley, Refugees and Gender: Law and Process, Jordan, 2001.

sociale. Ciò può essere utile perché consente, almeno in questo ambito circoscritto, di tracciare dei parametri comuni di valutazione, lungi dal voler essere esaustivi, che consentono di colmare quegli aspetti procedurali sull’esame delle domande di asilo che sono stati trascurati sia dalla Convenzione di Ginevra, ma anche dalle stesse direttive “Qualifiche” e “Procedure” (sebbene queste ultime contribuiscano a sostenere la realizzazione di un sistema europeo comune di asilo). Invero, decisioni più omogenee consentono di evitare il c.d. fenomeno dell’asylum shopping dovuto anche all’eterogenità delle pronunce sulla protezione internazionale. Non solo, ma l’enuclazione minima dei fattori di rischio comunemente coinvolti nel ragionamento del risk assessment permette anche di accertare con maggiore scrupolo l’esistenza del rischio persecutorio in caso di rimpatrio.

L’analisi della casistica viene inoltre sistemata in ordine alla completezza o meno del risk

assessment. Nel primo caso, infatti, un’analisi ragionata del rischio consente di raggiungere

una giustificazione ampia che deve sussistere alla base di un riconoscimento della protezione internazionale. La mancanza di questo giudizio, sebbene non incida sulla decisione favorevole alla richiedente, potrebbe comportare un automatico riconoscimento della protezione. Ciò spesso è dovuto al richiamo delle linee guida e note orientative dello stesso UNHCR che, individuando i tipi di persecuzione associate ai motivi ginevrini, consentono di stabilire immediatamente il riconoscimento dello status di rifugiato.

Sebbene una simile impostazione sia funzionale ad ottenere quell’oggettività del rischio su cui si basa il sistema europeo della protezione internazionale, tuttavia un’applicazione esageratamente “automatica” espone al rischio di una mancata personalizzazione della motivazione sul riconoscimento della protezione stessa, facendo così venir meno quella individualizzazione del rischio di persecuzione che deve emergere in ogni giudizio, così da ottenere una più “giustificata” tutela per il singolo richiedente.

L’applicazione quindi di fattori prognostici prestabiliti, dal punto di vista strettamente pratico, consente ai giudici di verificarne immediatamente la presenza dando anche dimostrazione di aver valutato criticamente le circostanze personali e il contesto sociale di appartenenza funzionali alla determinazione del rischio di persecuzione, e quindi della protezione internazionale.

I fattori di rischio emergenti nelle decisioni possono costituire, come detto sopra, un valido supporto se opportunamente considerati in ogni giudizio e garantiscono anche di stabilire

l’esistenza di un rischio oggettivo, e quindi effettivo. Se poi applicati comunemente consentono anche si rendere più omogenee le pronunce dei singoli decidenti.

A questo punto si potrebbe muovere la stessa critica anzidetta sul rischio di “automatismo” delle decisioni anche rispetto all’applicazione di un’ipotetica griglia di valutazione. Per rispondere a questa possibile osservazione devono qui considerarsi due profili: il primo è che si tratta indicatori di rischio “personalizzati”, ossia riferibili esclusivamente alle circostanze personali di ogni singolo richiedente, secondariamente i fattori considerati sono gli stessi che la “best practice” utilizza per ogni decisione.

Pertanto la predisposizione di parametri comunemente condividisi consente di rendere più oggettive le decisioni, e quindi più omogenee, senza perdere il valore dell’individualizzazione del rischio di persecuzione.

Inoltre, tale indagine appare altresì interessante perché i fattori di rischio individuati sono tutti orientati alla verifica del rispetto dei diritti economici sociali e culturali delle donne richiedenti asilo, che sebbene non costituiscano la violazione principale sulla quale viene fondata la domanda di protezione, in sede di risk assessment diventano le circostanze sui cui valutare l’esistenza del rischio di persecuzione.

Sezione I

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