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Individuazione dell’ambito applicativo della norma nell’esigenza di delimitare la responsabilità del

I. LA SICUREZZA NEGLI APPALTI: PROFILI DI SPECIALITA’

2. Individuazione dell’ambito applicativo della norma nell’esigenza di delimitare la responsabilità del

Prima di entrare nel merito dei doveri posti in capo al committente, deve farsi qualche considerazione in merito al campo di applicazione della norma. L’art. 26, d.lgs. 81/2008, al primo comma si riferisce al datore di lavoro «in caso di affidamento di lavori, servizi e forniture all’impresa appaltatrice o a lavoratori autonomi all’interno della propria azienda, o di una singola unità produttiva della stessa, nonché nell’ambito dell’intero ciclo produttivo dell’azienda medesima, sempre che abbia la disponibilità giuridica dei luoghi in cui si svolge l’appalto o la prestazione di lavoro autonomo».

alle misure in esse previste e sfuggano alla superficiale tentazione di trascurarle. Il responsabile della sicurezza, sia egli o meno l’imprenditore, deve avere la cultura e la forma mentis del garante del bene costituzionalmente rilevante costituito dalla integrità del lavoratore ed ha perciò il preciso divere non di limitarsi ad assolvere normalmente il compito di informare i lavoratori sulle norme antinfortunistiche previste ma deve attivarsi e controllare sino alla pedanteria, che tali norma siano assimilate dai lavoratori nella ordinaria prassi di lavoro. Inoltre, lo specifico onere di informazione ed assiduo controllo, se è necessario nei confronti dei dipendenti dell’impresa, si impone a maggior ragione nei confronti di coloro che prestino lavoro alle dipendenze di altri e vengano per la prima volta a contatto con un ambiente e delle strutture a loro non familiari e che perciò possano riservare insidie non note».

152 A dire il vero, nella sua versione originaria non vi era alcun richiamo al “committente”. Nel testo dell’art. 7

la parola committente non appariva affatto, appare per la prima volta nel comma 3 a seguito delle modifiche apportate dall’art. 5, comma 1, d.lgs. 19 marzo 1996, n. 242.

153 Si esprime nei medesimi termini D.CEGLIE,Gli appalti “interni”: l’art. 7 d.lgs. n. 626/1994, in Ambiente e

sicurezza del lavoro,M.RUSCIANO - G.NATULLO (a cura di), Diritto del lavoro. Commentario, diretto da Franco

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Il disegno di responsabilizzazione del committente ha suscitato negli interpreti e negli operatori del diritto una evidente “ansia delimitante”154, anche e soprattutto per i profili penalistici che questo introduceva.

Con riferimento al disposto dell’art. 7. D.lgs. 626/1994, la cui formula era parzialmente diversa da quella attuale di cui all’art. 26, d.lgs. 81/2008, poiché faceva riferimento solo al «caso di affidamento dei lavori all’interno dell’azienda, ovvero dell’unità produttiva, ad imprese appaltatrici o a lavoratori autonomi», il Ministero del lavoro, con circolare n. 24 del 14 novembre 2007, affermava che le disposizioni di cui al citato (e rinnovato) articolo non dovessero trovare applicazione al subappalto, alle attività di fornitura e di posa in opera, nonché a tutte le attività che «pur rientrando nel ciclo produttivo aziendale, si svolgono in locali sottratti alla disponibilità giuridica del committente», venendo a mancare, in tal caso, la «possibilità per lo stesso di svolgere nel medesimo ambiente gli adempimenti di legge»155. Invero, la restrizione del campo applicativo disposta per via amministrativa trova successiva conferma nelle previsioni legislative: l’art. 26, comma 1 – sopra riportato – precisa, infatti,

154 O.BONARDI, La sicurezza sul lavoro nel sistema degli appalti, in I Working Papers di Olympus, 26/2013, p.

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155Letteralmente la circolare, nel capo dedicato alle modificazioni al d.lgs. n. 626/1994 in materia di appalti,

prevede quanto segue: «di particolare rilievo appare la previsione che, sostituendo il comma 3 dell'art. 7 del

d.lgs. n. 626/1994 dà un significato puntuale alla nozione di cooperazione e coordinamento fra datore di lavoro committente e appaltatore in ordine alla pianificazione di sicurezza, introducendo a carico del primo l'obbligo di elaborare un documento unico di valutazione relativo ai rischi scaturenti dalla "interferenza" delle lavorazioni. È evidente che per tutti gli altri rischi non riferibili alle interferenze resta immutato l'obbligo per ciascuna impresa di elaborare il proprio documento di valutazione dei rischi e di provvedere all'attuazione delle misure di sicurezza necessarie per eliminare o ridurre al minimo i rischi specifici propri dell'attività svolta. Premesso che nell'ambito della nozione di "appalto", in considerazione delle finalità sopra evidenziate, non possono non rientrare anche le ipotesi di subappalto così come quelle di "fornitura e posa in opera" di materiali, tutte accomunate dalla caratteristica dell'impiego necessario di manodopera, si precisa che l'obbligo di pianificazione a carico del committente trova applicazione in tutti gli appalti c.d. "interni" nei confronti di imprese o lavoratori autonomi ma, in virtù delle modifiche introdotte dall'art. 1, comma 910, della L. n. 296/2006 (Finanziaria 2007), anche nel caso di affidamento di lavori o servizi rientranti "nell'ambito dell'intero ciclo produttivo dell’azienda medesima". Ciò comporta che l'obbligo di elaborazione del documento unico di valutazione del rischio sussiste anche nelle ipotesi di appalti "extraziendali" che tuttavia risultino necessari al fine della realizzazione del ciclo produttivo dell'opera o del servizio e non siano semplicemente preparatori o complementari dell’attività produttiva in senso stretto. È da ritenere che da tale ambito debbano escludersi le attività che, pur rientrando nel ciclo produttivo aziendale, si svolgano in locali sottratti alla giuridica disponibilità del committente e, quindi, alla possibilità per lo stesso di svolgere nel medesimo ambiente gli adempimenti stabiliti dalla legge. Il documento unico di valutazione del rischio, inoltre, non può considerarsi un documento "statico" ma necessariamente "dinamico", per cui la valutazione effettuata prima dell'inizio dei lavori deve necessariamente essere aggiornata in caso di subappalti o forniture e posa in opera intervenuti successivamente ovvero in caso di modifiche di carattere tecnico, logistico o organizzativo incidenti sulle modalità realizzative dell'opera o del servizio che dovessero intervenire in corso d'opera».

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che gli obblighi previsti dai commi seguenti possano trovare applicazione sempre che il datore di lavoro abbia la disponibilità giuridica dei luoghi.

Dunque, la definizione del campo di applicazione della norma ruota attorno alla nozione di disponibilità giuridica, ma prima ancora ruota attorno alle nozioni di azienda, di unità produttiva e di ciclo produttivo.

Se, nessun dubbio residua più ormai su cosa debba intendersi per azienda e unità produttiva156, permane qualche perplessità nella definizione del concetto di ciclo produttivo. Cosa debba esattamente intendersi per ciclo produttivo non è ben specificato dalla norma, nonostante la sua estrema rilevanza. La responsabilità del committente è tanto più ampia, quanto più esteso è il concetto di ciclo produttivo: più il ciclo produttivo viene inteso in senso ampio, più ampio sarò lo spettro delle responsabilità del datore di lavoro-committente.

Individuare una nozione esatta di ciclo produttivo non è operazione agevole. Può, tuttavia, farsi riferimento al dibattito giurisprudenziale e dottrinale sviluppatosi in merito all’interpretazione dell’art. 3, l. 23 ottobre 1960, n. 1369157, che stabiliva il diritto dei dipendenti dell’appaltatore a ricevere un trattamento non inferiore a quello spettante ai lavoratori assunti dall’impresa committente. In tal contesto, l’ambito di applicazione della norma, inizialmente individuato nell’interpretazione topografica, ossia limitato ai soli appalti destinati a svolgersi all’interno dei locali dell’azienda del committente, è stato successivamente individuato mediante l’interpretazione c.d. funzionale, volta cioè a sostituire il riferimento al luogo di lavoro con la più ampia nozione di ciclo produttivo, da individuarsi ex post, facendo riferimento alle specifiche scelte organizzative di volta in volta adottate dall’impresa o guardando all’oggetto sociale della società.

Tornando al tema della sicurezza, sembra in ogni caso prevalere il criterio topografico. L’inciso «sempre che abbia la disponibilità giuridica dei luoghi», depone evidentemente in tal

156La definizione di unità produttiva, di cui all’art. 2, comma 1, lett. t), quale «stabilimento o struttura finalizzati

alla produzione di beni o all'erogazione di servizi, dotati di autonomia finanziaria e tecnico funzionale» coincide

in sostanza con quella fissata dalla normativa previgente e ormai pienamente consolidata in giurisprudenza. In tale definizione, che è la medesima di cui al d.lgs. 626/1994, rispetto alla precedente è stato aggiunto solo un esplicito riferimento all’aspetto finanziario dell’autonomia richiesta che deriva dal principio della necessaria congruità delle risorse di cui il responsabile deve poter disporre rispetto alle specifiche esigenze prevenzionali dell’unità produttiva. Per quanto concerne, invece, gli aspetti tecnico-funzionali, restano validi i risultati dell’elaborazione giurisprudenziale generale secondo cui quel requisito ricorre quando nell’unità decentrata si possa concludere una frazione dell’attività produttiva aziendale. Cfr. F. STOLFA, Soggetti attivi e passivi

dell’obbligo di sicurezza: individuazione e responsabilità. Datori di lavoro e dirigenti, op. cit., p. 541.

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senso. Del resto, sarebbe illogico imporre al committente degli obblighi prevenzionistici da attuarsi in luoghi di cui egli non abbia la disponibilità e/o il potere di gestione158.

Questa è anche l’interpretazione prevalente in dottrina159 e, del resto, corrispondente a quanto previsto dalla Circolare Ministeriale n. 24 del 2007 che sebbene richiama l’applicabilità della norma con riferimento a tutti gli appalti “interni” e, in virtù delle modifiche introdotte dall'art. 1, comma 910, della legge n. 296/2006, anche nel caso di affidamento di lavori o servizi rientranti nell'ambito dell'intero ciclo produttivo dell’azienda medesima, ossia anche nelle ipotesi di appalti "extraziendali" che risultino necessari al fine della realizzazione del ciclo produttivo dell'opera o del servizio che non siano semplicemente preparatori o complementari dell’attività produttiva in senso stretto; ne esclude le attività che, pur rientrando nel ciclo produttivo aziendale, si svolgano in locali sottratti alla giuridica disponibilità del committente. Ma, a ben vedere, potrebbero sollevarsi alcuni dubbi rispetto alla definitiva adozione, in via esclusiva, di questa interpretazione. Il riferimento alla disponibilità giuridica dei luoghi di lavoro potrebbe condurre all’esclusione della responsabilità in tutti quei casi in cui l’impresa operi in un determinato luogo senza averne le autorizzazioni, rectius la disponibilità giuridica. Di conseguenza, alcuni hanno suggerito di utilizzare, piuttosto, il criterio della disponibilità materiale dei luoghi di lavoro160, dando rilievo al fatto che il committente abbia disponibilità di accesso ai luoghi di lavoro e sia, perciò in grado di controllare quali siano le possibili fonti di rischio per gli operatori161.

158 Questa interpretazione è, del resto, coerente con l’art. 3, comma 7 ai sensi del quale le disposizioni del d.lgs.

81/2008 si applicano nei confronti dei parasubordinati solo nel caso in cui la prestazione lavorativa si svolga nei luoghi di lavoro del committente.

159 A.VALLEBONA, Responsabilità civile dell’imprenditore. Appalto. Responsabilità dei progettisti, fabbricanti,

fornitori e istallatori, in Ambiente, salute e sicurezza. Per una gestione integrata dei rischi da lavoro L.

MONTUSCHI,op.cit., p. 205; V.FERRANTE -M.BRICCHI, Solidarietà e responsabilità del committente nella

disciplina dell’appalto alla luce della più recente giurisprudenza, in Riv. giur. lav., 2012, II, p. 463 ss.; V.

PASQUARELLA, La responsabilità nel sistema degli appalti, in Le nuove regole per la salute e sicurezza dei

lavoratori. Commentario al D.Lgs. 9 aprile 2008, n. 81 dopo le modifiche introdotte dal D.Lgs. 3 agosto 2009, n. 106,L.ZOPPOLI -P.PASCUCCI -G.NATULLO, Ipsoa, 2010, p. 352; C.CESTER -E.PASQUALETTO, Il campo di

applicazione dell’art. 26 del testo unico n. 81/2008, in Tutela e sicurezza del lavoro negli appalti privati e pubbliciM.T.CARINCI -C.CESTER -M.G.MATTAROLO -F.SCARPELLI (a cura di), Utet, 2011, p. 116 ss.

160 P.SOPRANI, Obblighi di sicurezza negli appalti, in Dir. prat. lavoro,2009, p. 2321; P.TULLINI, Art. 26, in L.

MONTUSCHI (a cura di), La nuova sicurezza sul lavoro. D.lgs. 9 aprile 2008, n. 81 e successive modifiche, vol.

I, I principi comuni, C.ZOLI (a cura di), Zanichelli, 2011, p. 268 ss.

161 In tal senso, ad esempio, Cass. pen. 11 maggio 2012, n. 17846 in R.GUARINIELLO, Il Testo Unico sicurezza

sul lavoro commentato con la giurisprudenza, p. 436. Nel caso di specie, attinente il verificarsi di un grave

incendio in una stazione di servizio di carburanti, di proprietà di una società petrolifera ma concessa in affitto ad un gestione, nella quale si stavano svolgendo lavori di ristrutturazione affidati ad un’impresa appaltatrice e coinvolgente un dipendente dell’impresa appaltatrice, secondo la Corte di legittimità la società petrolifera che rivestiva la qualifica di committente dei lavori in corso di esecuzione non poteva essere qualificata come datore

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Questo per quanto attiene l’individuazione dei confini in senso oggettivo.

Con riferimento ai soggetti nei cui confronti il committente assume delle responsabilità in termini prevenzionistici, vanno fatte ulteriori considerazioni.

Va innanzitutto evidenziato che anche con riferimento al lavoro in appalto, come per la disciplina generale, vale il principio secondo cui «il destinatario degli obblighi di prevenzione è costituito garante non solo dell'incolumità fisica e della salvaguardia della personalità morale del prestatore di lavoro ma anche di persona estranea all'ambito imprenditoriale»162. Le disposizioni prevenzionali sono da considerare emanate nell’interesse di tutti, compresi gli estranei al rapporto di lavoro, ma che occasionalmente accedono all’ambiente lavorativo, a prescindere dalla sussistenza di un rapporto di dipendenza con l’imprenditore163. Del resto, anche la giurisprudenza della Corte di giustizia ha, in più occasioni, chiarito come l’intento della normativa sia quello di garantire posti di lavoro sicuri e conformi ai requisiti di sicurezza, a prescindere dal fatto che vi siano impiegate persone qualificabili, o no, come lavoratori164. Tale assunto trova maggiore riscontro e maggiore giustificazione nella disciplina dei contratti di appalto, nei cui ambienti di lavoro si verificano frequenti momenti di interazione con soggetti estranei alla compagine imprenditoriale i quali, pure, vanno tutelati nella loro integrità psico-fisica.

di lavoro e dunque non poteva configurarsi alcuna ipotesi di responsabilità nei sui confronti. La decisione si basava sull’assunto che “sebbene la suddetta società fosse proprietaria dell’impianto in relazione al quale aveva concesso in appalto a terzi lavori di manutenzione consistenti nella realizzazione di un nuovo impianto di aspirazione e recupero dei vapori, la stessa, nell’impianto medesimo non svolgeva alcuna attività d’impresa, né vi lavoravano suoi dipendenti”. Ivi, al momento dell’occorso incidente, operavano solo dipendenti del gestore e della ditta appaltatrice. Non potevano dunque applicarsi nei confronti della società petrolifera l’art. 7, d.lgs. 626/94 (stessa considerazione vale per l’art. 26, d.lgs. 81/2008) che fa obbligo di adottare tutte le misure necessarie a tutelare l’integrità e la salute dei lavoratori, ancorché dipendenti dell’impresa appaltatrice, consistenti nell’informazione adeguata dei singoli lavoratori, nella predisposizione di tutte le misure necessarie al raggiungimento dello scopo, nella cooperazione con l’impresa appaltatrice per l’attuazione degli strumenti di protezione e prevenzione dei rischi connessi sia al luogo di lavoro sia all’attività appaltata sia all’attività appaltata, e ciò perché si applica al committente nella cui disponibilità permane l’ambiente di lavoro. Nel caso di specie, l’ambiente di lavoro non era nella disponibilità della società petrolifera committente ma del gestore, che era quindi l’unico soggetto legittimato a disporre la sospensione dell’attività dell’impianto per l’intero periodo di esecuzione dei lavori

162 Cass. pen. 17 novembre 2009, n. 43966 in Giuda dir., 2009, 48, p.79. 163 Cass. pen. 25 settembre 2009, n. 37840 in CED Cass. pen. 2009.

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