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Capitolo I – L’economia della cultura e della creatività Un’indagine definitoria

2 Delineare l’economia della cultura e della creatività

2.2 Approcci classificatori nazionali ed internazionali

2.2.3 Le industrie culturali e creative

Il terzo criterio che si è deciso di adottare al fine di categorizzare e confrontare i differenti approcci di studio ed analisi dell’economia della cultura e della creatività riguarda il concetto di industria culturale e creativa.

La metodologia adottata dal LEG-Culture, dall’UNESCO e dall’ESSnet-Culture, focalizzandosi sull’idea di dominio culturale, non ha espressamente affrontato l’argomento. Il profilo di KEA ha invece chiaramente distinto tra industrie culturali ed industrie creative, considerandole due sottoinsiemi distinti del più ampio contesto del settore culturale e creativo.

Vi sono altresì svariati approcci al tema che fissano le ICC, con particolari distinzioni e focus sulle industrie culturali e/o sulle industrie creative, quali protagoniste della sfera economica della cultura, e per i quali le ICC rappresentano le realtà economiche in cui si sostanzia dell’economia della cultura e della creatività.

In capo al Segretariato generale del Ministère de la Culture et de la Communication francese, il Département des études, de la prospective et des statistiques (DEPS) ha proposto un approccio di studio di tipo economico-statistico focalizzato sulle industrie culturali. Stando a quanto riportato in Aperçu statistique des industries culturelles (2006), riprendendo la Nomenclature

d'activités française (NAF), il DEPS ha espressamente scelto di indagare il concetto di economia delle industrie culturali concentrandosi, dunque, sulla nozione di industries culturelles et de communication, abbreviata in industries culturelles. All’interno dell’insieme delle attività

culturali economicamente rilevanti come le arti visive, le arti performative, l’architettura, il patrimonio ecc., le industrie culturali detengono un ruolo rilevante, comprendendo i settori dedicati alla produzione, riproduzione, distribuzione e commercio di musica, libri e film, e quindi attivi nell’editoria e nella stampa, nel settore audiovisuale e multimediale. Loro obiettivo è quello di produrre, riprodurre e vendere in larga scala beni e servizi culturali generalmente protetti dal diritto di proprietà intellettuale, mediante processi industriali e mezzi di comunicazione. Nel campo delle industries culturelles rientrano quindi l’editoria di libri, dischi e riviste/giornali, le agences de presse, o agenzie di stampa, che vendono informazioni, articoli, fotografie ecc., ed il settore audiovisuale, dedicato alla produzione e distribuzione di video, film, programmi TV e radiofonici. A questi si connettono il settore multimediale, fatto di imprese che si occupano di creazione ed editoria di contenuti informativi mediante veicoli differenti (come, ad esempio, realizzazione di CD e DVD, realizzazione di siti internet, banche dati informatiche,

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creazione di videogiochi ecc.) ritenuto trasversale a diverse attività economico-culturali20, e la

pubblicità. Elementi come il patrimonio culturale e naturale, le arti visive e lo sport, invece, non rientrano nello studio francese. Il medesimo lavoro del DEPS afferma infatti come le industries

culturelles et de communication rappresentino un sottoinsieme di quelle industrie soggette a

proprietà intellettuale in cui rientrano la letteratura, il teatro, le arti visive ecc. E si parla di sottoinsieme anche rispetto alle industrie creative: ne deriva quindi che l’approccio classificatore scelto dal ministero francese, nel concentrarsi sulle sole industrie culturali e nel configurarle come parte ristretta di altre categorie, si caratterizzi per essere particolarmente restrittivo e funzionale ad un’accurata raccolta di dati statistici e, quindi, ad una più dettagliata analisi economica del settore.

In questo senso, celebre è il modello a cerchi concentrici sviluppato da D. Throsby in Economics

and Culture (2001). A seconda del cultural value dei beni considerati, egli identifica tre

categorie di attività, o industrie, caratterizzate da una concentrazione di valore culturale decrescente mano a mano che lo schema muove verso l’esterno:

- Nel cerchio più interno vi sono le creative art as traditionally defined, ovvero la letteratura, la musica, l’artigianato, le arti visuali e le arti performative, che si configurano come attività di tipo non industriale e ad alta densità di contenuti culturali e creativi;

- Nel secondo cerchio, appena più esternamente, si trovano le cultural industries, ossia le industrie culturali ai cui prodotti viene accordato un consumo culturale sebbene la loro organizzazione sia di stampo industriale e possano produrre anche beni di contenuto non culturale. E’ il caso delle industrie cinematografiche, editoriali, radiofoniche e televisive; - Nel terzo cerchio si situano le «industries which operate essentially outside the cultural

sphere»21 i cui prodotti detengono un qualche grado di contenuto culturale. E’ il caso delle industrie pubblicitarie, del turismo, dell’architettura e del design.

Si tratta di una schematizzazione divenuta particolarmente nota in capo agli studi inerenti l’economia della cultura e della creatività, tanto da divenire modello di riferimento per altre teorizzazioni. Anticipando un argomento che verrà sviluppato in seguito, è interessante osservare che, nello stesso studio, D. Throsby ha voluto specificare come spesso il termine “industria” sia impiegato non solo per indicare una realtà produttiva industriale ma anche per identificare un

20 Il lavoro del DEPS segnala che il settore multimediale non esiste di per sé all’interno della classificazione NAF: sarebbe infatti spalmato all’interno di diverse attività, appartenenti alle categorie NAF 72, 92, 22, 64, 74. Per maggiori informazioni, http://www.insee.fr/fr/methodes/default.asp?page=nomenclatures/naf2008/naf2008.htm. 21 THROSBY D. (2001), Economics and Culture, Cambridge University Press, Cambridge.

contesto economico in cui opera una grande quantità di attori, esulando quindi dal significato effettivo del termine. Consiste, questa, in una trasposizione di significato tutt’altro che irrilevante ai fini di un’analisi corretta e chiara dell’economia della cultura e della creatività e delle industrie culturali e creative.

L’impostazione adottata nel 1998 dal Department for Culture, Media and Sport (DCMS)

britannico- pioniere in questo ambito- si è invece focalizzata sulle creative industries,. Definendole

«those industries which have their origin in individual creativity, skill and talent and

which have a potential for wealth and job creation through the generation and exploitation of intellectual property»22,

nei Creative Industries Mapping Documents 23 il DCMS le articola nei seguenti tredici segmenti:

architecture, crafts, antiques, performing arts, design, fashion, film and video, music, TV and radio, advertising, publishing, software, leisure software. Per ognuno di questi vengono

specificate le core e le related activities, nonché le related industries che per una questione di semplicità non vengono ad essere qui riportate. Leggermente diversa è la classificazione più recente proposta in Creative Industries Economic Estimates (2015), in cui il DCMS articola la

Creative Economy nei seguenti nove gruppi:

- Advertising and marketing; - Architecture;

- Crafts;

- Design: product, graphic and fashion design; - Film, TV, video, radio and photography; - IT, software e computer services;

- Publishing;

- Museums, galleries and libraries; - Music, performing and visual arts.

Si tratta di approcci prettamente economici, finalizzati alla rilevazione di dati quali occupazione,

22 DEPARTMENT OF CULTURE, MEDIA AND SPORT (2001), Creative Industries Mapping Document, Londra, in CUNNINGHAM S.D. e HIGGS P.L. (2008), Creative industries mapping: where have we come from and where

are we going?, Creative Industries Journal 1(1), Pennsylvania.

23 Per maggiori informazioni: https://www.gov.uk/government/publications/creative-industries-mapping-documents- 1998.

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valore aggiunto ed esportazioni delle imprese che impiegano la creatività quale input centrale. Viene utilizzata l’espressione Creative Industries ma si è di fronte ad una delle classificazioni più ampie tra quelle proposte: non rientra il cultural heritage, ma vengono considerati l’artigianato ed il mercato dell’arte e dell’antiquariato. La teorizzazione del 1998 rappresenta uno dei casi in precedenza accennati in cui l’economia della creatività viene a coincidere con la nozione di industria creativa, che dunque comprende anche attività economiche di tipo non industriale-produttivo, ossia quelle connesse ai musei, alle gallerie, alle biblioteche, alle arti visuali e performative, all’artigianato, all’architettura e al design.

Anche l’approccio proposto dalla United Nations Conference on Trade and Development

(UNCTAD) in Creative Economy Report (2010) si focalizza sul concetto di industria creativa. Presupposto del modello è l’impiego di un’idea di creatività particolarmente estesa, che dunque riguarda sia attività ad alto contenuto artistico sia attività di tipo economico che producono beni di contenuto simbolico e proprietà intellettuale. Vengono identificati quattro macro gruppi, all’interno dei quali, nel complesso, ne vengono evidenziati ulteriori nove:

- Heritage, considerato l’anima delle ICC, all’interno del quale vanno considerati le

traditional cultural expressions, ovvero l’artigianato, i festival e le feste, nonché i cultural sites, vale a dire i siti archeologici, i musei, le biblioteche, le esposizioni ecc.;

- Arts, cui fanno parte le industrie creative puramente basate sull’arte e sulla cultura: vi rientrano le visual arts, ossia pittura, scultura, fotografia e beni antichi, e le performing arts, ovvero la musica dal vivo, il teatro, la danza, il circo ecc.;

- Media, categoria che comprende il settore audiovisuale, con film, televisione, radio ecc., e l’editoria;

- Functional creations, in cui rientrano il design nelle sue diverse accezioni, d’interni, grafico, moda, di giocattoli e gioielli, nonché il mondo dei creative services, con l’architettura, la pubblicità, la ricerca e lo sviluppo creativa e d’intrattenimento e altri servizi connessi al mondo digitale.

Lo sport e il turismo non sono inclusi nella classificazione tout court esplicata e l’UNCTAD specifica come le industrie creative rappresentino il cuore dell’economia della creatività.

Diversamente dall’approccio francese alle “industrie culturali”, e parimenti differentemente alle classificazioni del DCMS e dell’UNCTAD incentrate sull’espressione “industrie creative”, vi sono molteplici teorizzazioni che, similmente al profilo proposto da KEA European Affairs, trattano l’argomento accostando le industrie culturali alle industrie creative.

Un importante studio sulle ICC è stato sviluppato nel Libro Bianco sulla Creatività prodotto dalla Commissione sulla Creatività e Produzione di Cultura in Italia, in capo al Ministero dei beni e delle attività culturali e del turismo (MiBACT), in cui viene proposta una delineazione del

Macrosettore delle Industrie Culturali e della Creatività. Il presupposto di questo modello

definitorio si colloca nelle tre sfere in cui la creatività si declina quando la cultura e le attività economiche si incontrano:

- Il patrimonio storico e artistico: la creatività è modus operandi da cui prende vita il patrimonio, che è dunque esito dell’agire creativo delle generazioni passate, ma anche di quelle presenti in quanto continuamente in formazione, crescita ed arricchimento;

- La produzione di contenuti, informazione e comunicazioni: l’elemento creativo è asset fondamentale di quelle industrie culturali che generano prodotti, beni e servizi, ad elevato contenuto simbolico;

- La cultura materiale: la creatività e il processo creativo rappresentano un importante input nell’attivazione di processi collettivi e tipici che conducono alla realizzazione di beni e servizi strettamente connessi al territorio e alla comunità di riferimento.

Data questa classificazione, il Libro Bianco sulla creatività (2007) individua dodici settori in cui creatività e cultura s’intrecciano con il mondo dell’economia:

Tabella 2 – Libro Bianco: i settori delle industrie culturali e creative.

Ambito Settori Cultura materiale Moda

Design industriale e Artigianato Industria del Gusto

Produzione di contenuti, informazione e comunicazioni

Software Editoria TV e Radio Pubblicità Cinema

Patrimonio storico e artistico

Patrimonio Culturale Musica e Spettacolo Architettura Arte Contemporanea

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Nella sfera della cultura materiale rientrano la moda, il design industriale e l’artigianato, in cui vengono incluse attività economiche primariamente riguardanti la produzione di giocattoli, beni in ceramica, legno e vetro ed oreficeria, nonché l’industria del gusto, particolarmente legata al territorio. Nell’ambito della produzione di contenuti, informazione e comunicazione si trovano industrie dedite a produrre, riprodurre e trasmettere suoni ed immagini, ovvero l’editoria, la radio, la televisione, il cinema, più la pubblicità e l’industria del software e del computer. Al

patrimonio storico e artistico afferiscono infine il patrimonio culturale, con i suoi musei,

monumenti, archivi e biblioteche, l’arte contemporanea, l’architettura, la musica e lo spettacolo, con il teatro ed i festival.

Parimenti ad altri approcci analizzati non vengono qui considerati il turismo, il patrimonio naturale e lo sport.