In questi giorni ci veniva in mente una delle più belle interviste rilasciate da Massimo Troise la sera dei festeggiamenti dello scudetto del Napoli di Maradona.
A chi gli chiedeva se non si sentisse offeso dello striscione apparso sulla curva di uno stadio del Nord in cui si facevano gli auguri per lo scudetto agli “abitanti della capitale dell’Africa del Nord”, rispose: “Meglio essere gli abitanti della capitale dell’Africa del Nord che avere un’ideologia da Africa del Sud”.
Un po’ come Moni Ovadia, Massimo Troise usava l’ironia su sé stesso per “pungere” con intelligenza ed efficacia lasciando pochi margini di risposta a chi, sicuramente, non riusciva a comprendere il suo particolare modo di frantumare dall’interno per aprire una porta sul futuro.
Nel nostro mondo, quello infermieristico, servirebbero molto queste intelligenze pronte a frantumare il muro dell’omertà, dell’indifferenza, del mercimonio (per chi non ha il vocabolario il significato è: “traffico illecito”), dei luoghi comuni, delle raccomandazioni contrabbandate come favori necessari ma solo su richiesta; un muro costruito sui carichi di lavoro di Infermieri oberati da turni di servizio che, chi dovrebbe, finge di non vedere; un muro pesante fatto di ricatti salariali, integrazioni fittizie, false promesse e figure strane di un partito trasversale pronte a gestire qualsiasi malcontento perché gli Infermieri è meglio averli “ignoranti che intolleranti”.
Il guaio, però, è che gli Infermieri si lasciano trascinare nelle trappole, lasciano che “altri” decidano per loro, della loro formazione, del loro “essere” in un campo lavorativo articolato e difficile, della loro vita standardizzata su turni elaborati sempre da chi turnista non è mai stato.
E nessun amministratore di questa “poltiglia umana” riesce a capire che razionalizzare le risorse non significa spendere di meno ma utilizzare la stessa spesa (forse anche più sostanziosa) finalizzandola al risultato.
Si capirebbe, così, quale è il vero ruolo del Coordinatore che, ancora oggi, sembra essere il solito riciclaggio di vecchie figure appartenenti alla storia, come il caposala o il responsabile del servizio.
Nelle strutture “Ab” (dall’inglese abridgement > compendio di opera), cioè nelle strutture multidisciplinari ad alta performance tecnologica, il Coordinatore è l’unico manager
intermedio catalizzatore di risorse umane, tecnologiche ed economiche che guarda al futuro
programmando il presente.
Invece il denaro costringe tutti a prostituirsi, ad accettare qualsiasi compromesso pur vedendo come i nostri soldi siano spesi molto bene a favore di sperperi dove vige la solita regola della divisione della torta.
Come capita, del resto, in altre strutture.
Abbiamo saputo che al Cesare Beccaria, carcere minorile di Milano, ogni recluso costa 15.000,00 euro al mese.
Riflettendo sui dati sociologici e di cronaca siamo sicuri che, in quel tipo di Istituzione Totale, nessuno verrà recuperato mai e il ritorno ai momenti delinquenziali è più che scontato. Allora, piuttosto che mantenere in piedi un baraccone inutile, non sarebbe meglio affidare i ragazzi a sociologi o altre figure dedicate con la certezza di poter recuperare parte di essi e assicurare attività lavorative produttive e finalizzate ai ragazzi e agli operatori? Fatti i dovuti conti si riuscirebbe anche a rientrare in quel famoso risparmio che si teorizza ma non si applica preferendo lamentarsi dei soldi che non ci sono, dei programmi a lungo termine che non si riescono a realizzare, dei vuoti di organico mai sufficientemente
I francesi, avendo perso da tempo la loro identità nazionale, adesso si accontentano (facendo finta di non vedere né sentire) di essere governati da una coppia italo-magiara accantonando l’orgoglio per il vero spirito della Rivoluzione del 1789.
I nostri bravi professionisti, invece, non hanno mai fatto la rivoluzione e devono accontentarsi di essere “governati” da chi porta occhiali da sole anche quando piove e, tentennando la testa, fingono di mascherarsi dietro la decenza di non pensare alla filosofica riflessione in cui si ricorda che “gli occhi sono lo specchio dell’anima”.
Troppi amici ci hanno chiesto di aprire il barattolo e tirare fuori qualche nome, cominciare a colpire nel mucchio perché, loro pensano, che i tempi sono maturi.
Noi non crediamo.
Innanzi tutto non siamo l’appendice di nessun giornale scandalistico e non abbiamo nessuna necessità di fare uno scoop facendo pubblicità a chi parcheggia al bar aziendale per “farsi notare”.
Il nostro compito, il compito che abbiamo pensato di darci, è di cercare di fare capire a tanti professionisti, oggi abbandonati a loro stessi in nome di una squallida raccomandazione che non c’è mai stata, che sono loro ad essere necessari in qualunque processo di sviluppo, che sono loro il motore di qualsiasi progetto aziendale, che tutto quanto viene elemosinato spetta a loro di diritto, che ogni rappresentante sindacale votato è al loro servizio e non viceversa, che senza la loro presenza il castello di paglia crolla, che la loro rassegnazione diventa l’ufficializzazione di imposizioni amministrative prive di ogni logica, che subiscono (sempre loro) passivamente la politica sbagliata dei rinnovi dei contratti mai legata alla effettiva produttività.
Gli Infermieri dimostrano credibilità con le azioni compiute e la continuità assistenziale garantita e, affacciandosi con serenità alla sofferenza di chi si affida a loro, sono gli unici a non essere banali.
Una città (parliamo di Napoli) sacrificata al potere aspetta di essere svegliata con il rispetto che merita; lo stesso rispetto che meritano i tanti Infermieri che hanno la dignità necessaria per farsi guardare diritto negli occhi e non sentono la necessità di nascondersi dietro un paio di occhiali scuri.
E noi, Infermieri, non vogliamo il mondo; cerchiamo il terreno necessario per costruircelo come a noi piace.
Agli altri, a quelli che non pensano con la loro testa e aspettano i nomi da deridere, possiamo solo dire che i nomi li abbiamo già dati: basta guardarsi intorno.