Abbiamo avuto modo di ascoltare l’opinione di alcune persone che giudicano “troppo intellettuali” alcuni articoli apparsi sulle pagine di questo giornale preferendo, alle facoltà intellettive, le facoltà sensitive e/o pratiche.
Non ci piace cambiare. Sarebbe come stare in un bar a parlare di donne, campionato di calcio e probabili aumenti di stipendio lasciando che una parte di noi (quella che preferisce cinema, libri, musica e spettacoli) non partecipasse alla discussione.
Ogni Azienda, particolarmente l’Azienda Sanitaria, ha un lato oscuro che necessita di essere scrutato e degli attori che necessitano di una nuova prospettiva, di essere ridefiniti a prescindere dai loro contorni e dalle loro ombre.
Vediamo i corridoi e i giardini pieni di aspiranti alle varie leadership e, nonostante il grigiore delle organizzazioni in cui “viviamo” grossa parte della nostra vita, proprio loro sono tra coloro che si lamentano se altri propongono ancora sogni che vale la pena godere ricordando che il leader non prospera nella mediocrità dell’esistenza, tanto meno di pensiero. La conoscenza è solo l’inizio di un sottile gioco del gatto e del topo ma da sola non basta a cambiare le cose se non si associa al “sapere”, cioè all’esperienza pratica sugli uomini e sulle cose, nel riproporre e raccontare riflessioni semplici e vere ma da capire perché ricamate da messaggi da interpretare.
Si può tranquillamente dire che nelle Aziende si tenta di “vendere sapere” cercando di distruggere il meccanismo di revisione culturale che è la curiosità.
Ma, al danno comportamentale, si associa il danno economico e il danno innovativo che pone l’aggiornamento cercato nell’insoddisfazione di mercato, nelle risorse disperse, nell’ufficializzazione dell’imbecillità che rende sempre più precarie le certezze di una ricerca delle proprie attese.
In effetti manca il rapporto fiduciario tra la gente e chi dice di rappresentarla “oltre il muro” dell’indifferenza sapendo di commettere errori che spingono a dare ragione piuttosto che a ragionare, a teorizzare un futuro incerto in nome di certezze giuridiche e contrattuali che nessuno applicherà mai.
Sentiamo spesso parlare di Formazione e rivediamo i soliti dinosauri vanagloriarsi di una nuova gioventù che mette in gioco le proprie forze per “acquistare” capacità di analisi copiando (e male!) cose dette da altri e, come rimedio di tutti i mali Aziendali, applicare la magica formula di una rivalsa incompiuta.
Abbiamo, allora, la fattoria dei Manager come la fattoria degli animali di George Orwell e non riusciamo a capire perché, con sempre più formazione, c’è sempre più regressione culturale e professionale.
E abbiamo, ancora, l’uso della Corte (compresi i giullari) nella gestione di interessi passivi e attivi ma, comunque, settoriali e personali legati a personaggi del momento che interferiscono di continuo nelle allocazioni delle risorse economiche e umane in virtù di una insolenza che non riconosce il rispetto per gli altri, dichiara “troppo culturali” questi articoli e vende per un “pugno di dollari” qualche ECM preso a prestito.
Si consolida, come capita in tutti i processi e a prescindere dal colore politico, il potere della coppia e la formazione di nuove coppie di potere, come richiesto dal mercato e che nessuna votazione sindacale potrà staccare ma solo omologare.
Anche loro, le coppie, vivono una crisi di visione e di progetti non avendo capacità di leadership però, a differenza di quanto
di potere è un continuo riproporre “progetti obiettivi” che alimentano le loro speranze di potere e l’adesione al ruolo rivestito, pena le improvvise prese di distanza, l’indifferenza, la progressiva spinta all’esclusione.
Ecco che chiedono a noi di essere “più semplici” nello scrivere perché vogliono sapere quale posizione occupano attualmente e quale è il giudizio delle masse (indifferenti) alla precarietà costruita, alle speranze deluse, alla dignità offesa, ai cambiamenti traditi.
Il sistema attuale di fare scuola non prevede che un allievo possa sostituire il maestro ma abilità i fedeli ad essere dei privilegiati affidabili e flessibili in un meccanismo competitivo infinito in cui si ricerca solo una “ricchezza salariale” ottenuta grazie a condizioni di favore e accantonando dignità, dovere, rispetto, amicizia, intelligenza cioè le virtù considerate deboli.
Chi vuole “leggere più facile” cerca il suo nome, si preoccupa che vengano usate le parole giuste per dire cose sussurrate all’orecchio, ricerca l’ambiguità che lo ha caratterizzato nella liturgia dell’elogio, non vuole essere immaginato in giardino a prendere il sole pagato da tanti altri colleghi, pensa di essere il centro di analisi di ogni Master dal titolo “Chi
imbroglia chi”.
Essere più semplice può sembrare di essere un foglio di carta moschicida utile a catturare animaletti molesti ma inutile in una società competitiva dove si insegna che neppure a Natale vale la pena essere più buoni e, con tutta l’incoscienza possibile, si gode del senso di impunità per le piccole furberie senza prospettive.
Il coraggio è nella precarietà. Vale molto di più dire un bel “no” convinto e deciso che acconsentire con un “si” privo di valore e di dubbi.
Fare parte del “gruppo” è facile; restare “singolo” non si improvvisa, occorre pensare di avere una libertà di scegliere, che i maestri della nostra vita sono stati quelli giusti, che la politica dei mediocri non ci può interessare.
La leadership è una sostanza e non un metodo, non è una tecnicality priva di anima, non può essere definita nel tempo escludendo i rapporti, i problemi, le persone per muoversi saltuariamente sulla linea di confine.
Durante un nostro viaggio in America qualcuno disse di stare attenti a non andare in un certo Pub perché poco sicuro.
L’avviso ebbe, in noi, l’effetto di stimolare ad andare in quel Pub perché, di sicuro, non era poco affidabile il luogo ma le persone che lo frequentavano come poco raccomandabile è il sorriso forzato di chi, ancora una volta, tenterà di decifrare queste righe e, non trovando citato il suo nome, tenterà di capire dove è nascosto il trucco e si lamenterà per l’incomprensibilità del testo.