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Capitolo 4. La Croce Rossa Americana da organo di volontariato a strumento diplomatico Un’attenzione sulla sua istituzionalizzazione fino al primo conflitto

4.4. L’ingresso degli Stati Uniti in guerra e la mobilitazione dell’American Red Cross

Con l’ingresso degli Stati Uniti in guerra, nell’aprile del 191737, lo scenario cambiò drasticamente, restringendo gli interventi dell’American Red Cross all’estero e protendendo soprattutto nei riguardi degli alleati. Le personalità politiche dell’epoca confermarono l’uso diplomatico dell’istituzione, rafforzando i legami con i Dipartimenti della Guerra e dello Stato. Da quel momento in poi, il numero dei membri dell’associazione umanitaria della Croce Rossa Americana aumentò in maniera sempre più esponenziale. Si passò brevemente da 22.000 membri, prima dell’ingresso in guerra, a 33 milioni, successivamente alla dichiarazione di guerra alla Germania [Irwin, 2013].

Prima di concentrarci sull’assistenza fornita all’estero, specialmente per ciò che concerne la realtà italiana, è bene rivolgere brevemente l’attenzione sull’aspetto organizzativo interno alla Croce Rossa Americana38. Le aree di intervento, possono essere raggruppate in due gruppi: assistenza ai civili (con Bicknell come direttore generale) e assistenza al personale militare (con il Colonnello Jefferson Randolph Kean39 come direttore generale). Le attività di

36 Nell’organizzazione della Lighthouse italiana c’era «[…] l’intera cooperazione del Governo italiano, il

quale pur di prevenire la cecità, stabilì una serie di leggi. Inoltre, grazie anche al supporto finanziario e morale di grandi personalità, si risollevava e si cambiava la condizione dei cechi in Italia […]» [Bloodgood, Mather, 1952: 141].

37 Il 2 aprile 1917, dopo che Wilson aveva assistito a una serie di eventi da parte della Germania e per i quali

mostrava un certo malcontento (come l’affondamento della Lusitania, l’inasprimento di una guerra sottomarina indiscriminata, la quale avrebbe coinvolto anche le imbarcazioni dei paesi neutrali, e l’istigamento della Germania al Messico, affinché dichiarasse guerra agli Stati Uniti), decise di presentare al Congresso degli Stati Uniti l’intenzione di dichiarare guerra alla Germania e di porre fine allo stato di neutralità. Per contrastare la sete di potere tedesca e la sua egemonia, i cui aspetti avrebbero potuto determinare l’eclissi della democrazia e delle libertà delle piccole nazioni di autogovernarsi, Wilson decise di interrompere l’isolamento statunitense facendo il suo ingresso in guerra al fianco dell’Intesa. In base a ciò, dunque, prima interruppe le relazioni diplomatiche con la Germania (3 febbraio 1917) e poi, il 6 aprile del 1917, le dichiarò guerra. «[…] Neutrality is no longer feasible or desirable where the peace of the world is involved and the freedom of its people, and the menace to that peace and freedom lies in the existence of autocratic governments backed by organized force which is controlled wholly bi their will, not by the will of their people […]». Questa citazione è stata proviene dal seguente testo, reperito presso l’Hoover Institution Archives: Woodrow Wilson, His Life and Work, by William Dunseith Eaton and Harry C. Read, 1919, p. 415.

38 Le informazioni fornite sull’assistenza in territorio statunitense sono limitate rispetto a quelle all’estero,

per due motivi principali: la classe politica decise di volgere un’attenzione specifica all’assistenza overseas poiché, così come già accennato, si attribuiva all’ente umanitario una funzione altamente diplomatica. Inoltre, l’assistenza svolta in territorio statunitense risulterebbe inferiore rispetto a quella estera, perché fu intrapresa contemporaneamente all’ingresso degli Stati Uniti in guerra, dunque già dopo diversi anni dall’inizio della guerra.

questi due gruppi si materializzavano attraverso l’operato dei seguenti tre dipartimenti: il

Bureau of Medical Service, il Bureau of Supplies e il Bureau of Nursing Service. La direttrice

del dipartimento afferente al servizio infermieristico era Miss Clara Noyes, la quale si occupò principalmente del reclutamento e della distribuzione all’estero e in territorio autoctono del personale sanitario. I requisiti richiesti riguardavano, oltre ad una pregressa e specifica formazione nell’ambito, un’età preferibilmente tra i 25 e i 35 anni, una libertà familiare nella garanzia di un impegno continuativo40 e caratteristiche fisiche idonee [cfr. Dock et al., 1922]. Le aree in cui la Croce Rossa Americana garantì un suo intervento, possono essere inoltre raggruppato nelle seguenti: canteen service, motor corps service, red cross work in spanish

influenza epidemic41 e camp service [cfr. American Red Cross, 1919].

Con canteen service42 si fa riferimento a delle aree di ristoro, poste lungo il territorio

statunitense e all’estero, con la finalità di alleviare gli spostamenti dei militari e garantire momenti di pausa. Per quanto concerne il motor corps service, invece, esso riguardava il trasporto di materiale e di militari feriti, ammalati o che necessitavano di cure immediate, da parte di donne volontarie. Con camp service ci si riferisce all’assistenza diretta rivolta ai militari nel fornirgli le cure immediate e il materiale di cui abbisognavano.

4.4.1. La Croce Rossa Americana in Italia e la scelta delle modalità di intervento

In concomitanza all’entrata degli Stati Uniti nel primo conflitto mondiale, alla stanchezza e al malcontento della popolazione e dei militari italiani, logorati da due anni di guerra, uniti alla generale situazione emergenziale, in seguito alla disfatta di Caporetto, che l’American

Red Cross predispose e inviò, nel dicembre del 1917, una Commission43 in grado di

intervenire e sopperire all’estremo bisogno. L’ambasciatore americano in Italia, Mr. Page,

40 Si dava precedenza, infatti, a donne non sposate o vedove, le quali avrebbero potuto adempiere al dovere

liberamente, senza correre il rischio di abbandonare il lavoro a causa di impegni familiari.

41 La realtà statunitense fu colpita, tra ottobre-novembre 1917, oltre che dall’“influenza spagnola”, da

un’epidemia di meningite e polmonite, le quali costrinsero la Croce Rossa Americana ad un’assistenza immediata e repentina.

42 In territorio statunitense, i canteens furono stabiliti, con la collaborazione del Dipartimento della Guerra, in

Arkansas, Kansas, Texas, Missouri e Oklahoma, raggiungendo la somma di 192.

43 Prima che la Commissione permanente della Croce Rossa Americana, diretta dal Colonnello Perkins, si

stabilisse in Italia (20 dicembre 1917), il lavoro fu inizialmente condotto da un’Emergency Commission, organizzata dal Maggiore Murphy (Presidente della Croce Rossa Americana in Europa) e gestita dal Maggiore Charles Taylor, inviata dalla Francia. Nel passaggio tra la presenza di una commissione temporanea ad una permanente, sopraggiunse in Italia il Colonnello Bicknell, con la finalità di facilitare la fusione tra le due e fare in modo che i membri della Croce Rossa individuassero celermente le modalità di intervento e di organizzazione delle stesse.

informò prontamente Washington, affinché si preparasse un programma d’aiuto e si individuassero le direttive necessarie per l’intervento. Dietro questa richiesta, l’American Red

Cross inviò in Italia $250.000 con l’intento di assistere la popolazione e di risollevare i loro

animi [cfr. Bakewell, 1920]. La sua azione non aveva alcuna finalità caritatevole o di mera elargizione economica, ma propendeva verso una responsabilizzazione degli individui. Difatti, per chi non avesse specifiche capacità lavorative e per i fanciulli orfani o figli di rifugiati, si intrapresero dei programmi ad hoc: furono istituite delle scuole e dei laboratori di lavoro in cui inserire le persone riverse in strada e impegnarle in attività che favorissero lo sviluppo di capacità cognitive e manuali. In questo modo, una volta terminata la guerra, la popolazione sarebbe stata autonomamente in grado di risollevarsi e protendere a un miglioramento della condizione. Nelle città di Bologna, Milano, Napoli, Ancona e Firenze, furono inviati alcuni delegati, che avevano già prestato servizio presso le Commissioni in Francia e in Belgio, con il compito di indagare circa la reale condizione e intervenire in base ad essa. L’intervento dell’American Red Cross in Italy non fu individualista e isolato; difatti, essendo giunti in un periodo in cui l’Italia, segnata già da due anni di conflitti, aveva ricevuto assistenza umanitaria e filantropica da altre associazioni e organizzazioni, che l’aiuto da loro fornito prevedeva sia una collaborazione con queste istituzioni già esistenti, sia la creazione di altre iniziative. Il lavoro della Croce Rossa Americana fu orientato principalmente nelle seguenti tre direzioni: garantire assistenza e welfare ai civili e ai rifugiati; provvedere al rifornimento di materiale ospedaliero, chirurgico e sanitario; assistere i militari, le loro famiglie e i loro figli.

L’elargizione degli aiuti predisposti dalla Commission for Italy dell’American Red Cross iniziò ufficialmente il primo gennaio 1918 e fu gestita dalla direzione generale con sede a Roma, la quale collaborava e si consultava periodicamente con i cinque dipartimenti principali caratterizzanti la Commissione:

1. Affari Civili (Direttore: Maggiore Chester Aldrich); 2. Affari Militari (Direttore: Maggiore Guy Lowell);

3. Dipartimento Medico-sanitario (Direttore: Maggiore Joseph Collins);

4. Dipartimento dell’Amministrazione, contenente al suo interno il Dipartimento dei Trasporti (Direttore: Maggiore Julius Roth), degli Acquisti, della Contabilità e della Pubblica Informazione;

5. Dipartimento della Tubercolosi (Direttore: Maggiore William Charles White; Vicedirettore: Maggiore R.H. Bishop jr.).

Inizialmente, il lavoro di assistenza nei riguardi dei civili e dei militari fu distribuito tra i dipartimenti degli Affari Civili, Militari e Medico-sanitario, mentre solo successivamente, nell’autunno del 1918, probabilmente con la situazione emergenziale generata dal diffondersi dell’epidemia influenzale, fu aggiunto il dipartimento della Tubercolosi. Il dipartimento dell’Amministrazione, al quale afferivano quello dei Trasporti, degli Acquisti, della Contabilità e della Pubblica Informazione, aveva invece un ruolo espressamente logistico piuttosto che di intervento diretto.

Affinché la Croce Rossa Americana organizzasse al meglio il lavoro e massimizzasse le operazioni di soccorso, predispose una suddivisione del territorio italiano in 15 aree specifiche e regionali di intervento. Al loro interno, inoltre, furono individuate delle città principali, le quali oltre a rappresentare il centro di ogni forma di soccorso furono anche la residenza dei singoli delegati.

Tab. 4.1. - Aree di intervento e città di residenza dei delegati dell’American Red Cross

Aree di intervento Residenza delegato

1. Zona di guerra Padova

2. Lombardia Milano

3. Piemonte Torino

4. Liguria (inclusa la costa Toscana) Genova

5. Toscana Firenze

6. Emilia Bologna

7. Veneto Venezia

8. Colonie venete lungo l’Adriatico Rimini

9. Italia centrale Roma

10. Sardegna Ingurtosu

11. Campania e Basilicata Napoli e Avellino

12. Puglia Bari

13. Calabria Reggio Calabria

14. Sicilia occidentale Palermo

15. Sicilia orientale Taormina

Fonte: Dipartimento di Informazioni della Croce Rossa Americana in Italia, 1919

Il territorio italiano fu pertanto suddiviso in 16 distretti, all’interno dei quali lavorava il delegato presente. Quest’ultimo, infatti, era il responsabile principale dell’intero operato della Croce Rossa Americana in quell’area specifica e, come tale, gestiva e amministrava il lavoro e il personale in base alle condizioni locali, con la consapevolezza di dover periodicamente rendicontare al Direttore Generale di ogni dipartimento.

4.4.1.1. Department of Civil Affairs

Il Dipartimento degli Affari Civili intraprese la sua attività il primo gennaio del 1918. Esso si occupava di fornire assistenza e aiuti materiali e morali a tutte le famiglie dei soldati al fronte e dei rifugiati, i quali questi ultimi, per sfuggire alla guerra e ai suoi effetti, furono costretti ad abbandonare i territori natii, perché a rischio di futuri attacchi nemici, e a insediarsi nelle zone più interne. Il lavoro di assistenza intrapreso da questo dipartimento influì positivamente anche sul morale dei soldati italiani al fronte, i quali, rassicurati dal fatto che i propri familiari ricevessero degli aiuti e patissero in misura minore le pene della guerra, che combattevano con maggiore tranquillità. Gli abitanti di Spresiano (una cittadina vicino al fiume Piave), ad esempio, trovarono rifugio in un gruppo di case disabitate e ubicate nei pressi di Livorno. Le condizioni nelle quali vivevano non erano ottimali (l’arredamento, a partire da quello basico, era assente, mancavano le finestre, i servizi e le strutture per predisporre i camini) e, solo in seguito all’intervento del Dipartimento degli Affari Civili, la condizione generale migliorò. La Croce Rossa Americana, infatti, si occupò di migliorare le strutture abitative e di assistere i bambini, organizzando un asilo e delle scuole44. Furono inoltre predisposti dei laboratori di lavoro per le donne rifugiate; mentre gli uomini, la cui maggior parte svolgeva il lavoro da operaio nella fabbrica di mobili presente a Spresiano, continuarono a svolgere le loro mansioni, in seguito ad un trasferimento dei macchinari dalla loro fabbrica in un caseggiato nel nuovo villaggio.

La creazione di un villaggio per i rifugiati veneziani fuori le mura di Pisa fu uno dei progetti più importanti che l’American Red Cross ideò in collaborazione con le autorità veneziane, l’Alto Commissario per i Rifugiati e il Direttore dei Servizi Speciali del Ministero dei Lavori Pubblici45. Dalle planimetrie – reperite presso l’Hoover Institution archives – si evince l’intento di ricreare una città con i suoi servizi e le sue costruzioni, predisponendo una piazza centrale e edifici pubblici, come scuole, bagni, ospedale, cucina comune, lavanderia, negozi e un ouvroir. Originariamente furono predisposte delle case con una capacità di accoglienza pari a 2000 persone, con la consapevolezza di ampliarle nel futuro, prevedendo un incremento fino a 5000 persone. Gli alloggi costruiti si diramavano in lunghezza piuttosto che in altezza, con la possibilità di accogliere dalle 6 alle 20 famiglie. Ogni casa, inoltre, fu fornita di un giardino sul retro e di acqua corrente per irrigare. La scelta di edificare in quella zona specifica del territorio pisano dipese principalmente dalla sua buona ubicazione: la

vicinanza al canale e la presenza di un acquedotto. Il villaggio fu gestito dalla Croce Rossa Americana fino al termine del conflitto, per poi essere destinato alle autorità italiane, le quali lo impiegarono nella riabilitazione delle vittime di guerra46.

Se questa risultava la situazione in riferimento all’assistenza abitativa per i rifugiati, per quanto concerne la condizione medica e sanitaria essa richiedeva un intervento particolarmente mirato. A causa della guerra, infatti, gli ospedali e i dispensari italiani indirizzarono gran parte delle loro risorse al fronte. La domanda da parte dell’esercito era incessante e, per poter sopperire a ciò, l’attenzione si concentrava principalmente sui militari, generando una situazione alquanto critica tra i civili. Il dipartimento, pertanto, affrontò la questione potenziando le istituzioni presenti con scorte e materiali e fornendo, lì dove fosse necessaria, assistenza finanziaria.

Le aree di interesse del Dipartimento degli Affari Civili e l’assistenza da loro svolta può essere, inoltre, raggruppata in sei aree distinte:

1. Emergency Relief: così come si evince dal nome, l’obiettivo consisteva nell’agire in maniera specifica in base alla situazione emergenziale presentatasi e un esempio può essere la condizione generata dall’epidemia dell’influenza spagnola;

2. Workrooms: furono predisposti dei laboratori che permettessero alle donne, prive di peculiari abilità, di lavorare;

3. Food Distribution: in condizioni di estrema povertà e di bisogno assoluto si provvedeva all’elargizione aggiuntiva di cibo;

4. Relief of Children: un’attenzione particolare fu rivolta ai bambini, per i quali furono predisposte le maggiori forme di assistenza;

5. Home Service and Communication: in questo caso, l’obiettivo consisteva nell’agevolare le comunicazioni tra soldati americani di origine italiana e i propri familiari in Italia, garantendo allo stesso tempo assistenza per questi ultimi;

6. Assistance to Italian Agencies: constava nel collaborare con le altre istituzioni presenti sul territorio e nel supportare il lavoro da loro già svolto.

Affinché si possa comprendere la portata di assistenza di questo dipartimento e la capacità nel porre le basi per una ripresa ottimale, una volta che la guerra fosse terminata, che risulta prioritaria un’analisi attenta e accurata delle sei aree di intervento.

46 Il caso degli abitanti di Spresiano e di quelli di Venezia sono solo degli esempi del lavoro che la Croce

Rossa Americana svolse a favore dei rifugiati. A Chiaravalle, nei pressi di Ancona, ad esempio, una cartiera fu divisa in appartamenti e arredata per 400 rifugiati; a Milano, si adibì una casa a Via Giusti per 75 persone; a Monteforte Irpino, nei pressi di Avellino, furono creati dormitori per 94 persone; a Napoli, l’Hotel Vittoria si occupò del mantenimento di 320 persone; a Palermo, grazie alla collaborazione con le organizzazioni locali, furono arredati 60 appartamenti delle Case Ferroviarie.

Per ciò che concerne l’Emergency Relief, così come anticipato, un esempio degno di interesse riguarda soprattutto la capacità di intervento adottata dal dipartimento per contrastare l’epidemia influenzale. Questa pandemia, sviluppatasi principalmente dai mesi di ottobre e novembre del 191847, stava diffondendosi a macchia d’olio48 e, per evitare che la popolazione italiana49 decimasse, il Dipartimento degli Affari Civili, coadiuvandosi soprattutto con il Department of Medical Affairs e con il Department of Tubercolosis, concentrò tutte le sue risorse sia in termini di personale, di attrezzature e di materiali necessari, per intervenire in tal senso. Le pessime condizioni igieniche delle trincee, il sovraffollamento delle stesse, l’esposizione a intemperie, unite alla cattiva alimentazione e alle continue fatiche fisiche e mentali alle quali i militari furono sottoposti, contribuirono inevitabilmente al diffondersi di patologie infettive50. L’enorme numero di persone che, nel corso del primo conflitto mondiale, si mobilitò (tra i civili che fuggivano dai paesi entrati in guerra, i rifugiati costretti ad abbandonare le proprie terre per riversarsi in altre relativamente “più sicure” e i militari che furono più volte inviati a casa in licenza, per poi ritornare sul campo di battaglia) indusse ad un contatto continuo tra di loro e all’inevitabile diffusione e contrazione di malattie infettive.

47 Sebbene la fase più acuta della malattia si ebbe nell’autunno del 1918, essa si sviluppò in tre momenti

precisi. La sua prima comparsa si ebbe nella primavera del 1918 nel Midwest degli Stati Uniti [Patterson, Pyle, 1991], alla quale seguì quella dell’autunno di quello stesso anno, con la terza fase che comparve nell’inverno del 1918 e si protrasse fino ai primi mesi del 1919. La virulenza della malattia nell’autunno del 1918, per alcuni [Ivi] è da imputarsi al porto di Brest, in Francia, nel quale sbarcavano tutte le truppe americane per l’Europa; per altri [Tognotti, 2002], invece, bisogna attribuirla al territorio italiano.

48 Fornire una stima effettiva e reale del numero di vittime che la “spagnola” contagiò e uccise sembra

alquanto improbabile, a causa di una serie di fattori. La presenza di sintomi affini ad altre patologie, l’inconsapevolezza, soprattutto in ambito medico, di discernere quella malattia infettiva dalle altre nell’immediatezza della sua comparsa, la presenza della stessa in tre ondate distinte, unite alla censura dell’epoca e all’imprecisione statistica nell’associare alcuni morti a quella patologia, inficiò negativamente sull’esattezza del numero di vittime coinvolte. Malgrado ciò, nel corso degli anni, vari studiosi hanno tentato di fornire delle stime al riguardo. Alcuni ritengono che la “spagnola” «[…] contagiò tra il 1918 e il 1919 un miliardo di [persone], uccidendone in tutto il mondo ventuno milioni: più delle vittime della guerra appena conclusa […]» [Tognotti, 2002: 17]. Beveridge [1978] ritiene che la cifra si aggiri tra i 15 e i 25 milioni, Webster, Laver e Air [1983] e Schild [1977] sostengono che ci siano stati fino a 50 milioni di morti. Burnet [1979], invece, parla addirittura di 100 milioni di decessi.

49 In Italia morirono 600.000 persone, condividendo con il Portogallo il primato «[…] dei più elevati tassi di

mortalità in Europa […]» [Tognotti, 2002: 18]. «[…] Tenuto conto che la popolazione italiana era allora di 35.415.915 abitanti, la “spagnola” colpì pressappoco, tra la fine dell’estate del 1918 e l’inverno del 1919, in modo più o meno grave, un italiano su sette […]» [Ivi: 149].

[…] Direttamente o indirettamente, facendo incontrare uomini di ogni nazionalità e individui biologici (uomini e animali), il conflitto favoriva la circolazione di batteri, virus, protozoi, metazoi, pidocchi, zanzare [e] pulci infette […] una serie di strane malattie […] fecero la loro comparsa […] la “spagnola” fu seguita o accompagnata dall’encefalite letargica; si parlò di una non meglio definita dermatosi, o “scabbia americana”, estremamente contagiosa e accompagnata da un fastidioso prurito, che insorgeva con piccole papule alla pelle, sparse in tutto il corpo, che talora secernevano una gocciolina sierosa […] qua e là per l’Italia comparvero strane patologie, “malattie nuove” […] Alcune di esse, dalla sintomatologia specifica, furono catalogate sotto il nome generico di “febbri”, accompagnato dal nome del primo luogo in cui erano state denunciate […] [Tognotti, 2002: 26].

Per di più, stabilire con certezza l’epicentro di questa catastrofe mondiale è stato e risulta tutt’ora particolarmente difficile, soprattutto a causa della mancanza di notizie rispetto a zone specifiche come la Russia, la Turchia e parte dei paesi balcanici [cfr. Mortara, 1925]. Pertanto, le idee che gli studiosi hanno avanzato fino ad ora, sono solo delle ipotesi sorte in seguito all’analisi del materiale pervenuto. Per molto tempo, così come si evince dal nome che gli è stato attribuito e con il quale viene da sempre ricordata in Italia51 (“influenza spagnola”), si è ritenuto che la sua origine fosse da ravvisare in territorio spagnolo. Lì, infatti, i quotidiani locali parlavano di una malattia influenzale, apparentemente semplice da debellare, ma con una portata epidemica e mortale. Il fatto che, già dalla primavera del 1918, si iniziasse a parlare di pandemia e che la stampa del luogo, al cospetto di quella degli altri