6. Genesi storica dell’istituto: il codice di procedura civile del 1865
6.3 L’inibitoria in appello e la disputa fra il Mortara e il Chiovenda
Nel contesto poc’anzi accennato, con una forma che riecheggiava parzialmente la tradizione francese50, l’art. 484 prevedeva che “quando sia
stata ordinata l’esecuzione provvisoria fuori dei casi dalla leggi indicati,
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Sull’esecuzione provvisoria delle sentenze commerciali e sulla discrezionalità in capo al giudice di primo grado, cfr. G.CHIOVENDA, Sulla provvisoria esecuzione delle sentenze e
delle inibitorie, cit., 306; L.MORTARA, Commentario, cit., 225; F.RICCI, op. cit., 316.
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Come sottolineato da G.IMPAGNATIELLO, La provvisoria esecuzione, cit., 49, la clausola di provvisoria esecuzione costituiva oggetto di un potere della parte, che lo esercitava a proprio rischio e pericolo, e quindi non configurava un diritto assoluto, ma solo una facoltà (in questo ultimo senso, cfr. L.MATTIROLO, Trattato di dir. giud. civ. it., cit., IV, 650). Di conseguenza, l’istanza di parte costituiva un requisito indispensabile per poter fondare la responsabilità aquiliana dell’esecutante e il suo conseguente obbligo di provvedere al risarcimento del danno nell’ipotesi di riforma della sentenza nel giudizio d’appello.
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Il potere del giudice di primo grado di concedere l’esecuzione provvisoria si consumava nel momento della pronunzia della sentenza. L’art. 365 prevedeva infatti che “quando siasi
omesso di pronunziare l’esecuzione provvisoria, non si può ordinare con nuova sentenza, salvo alla parte il diritto di domandarla in appello”.
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Si allude all’utilizzo, al plurale, del termine inibitorie, che aveva caratterizzato l’esperienza transalpina, a partire dal code Louis.
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l’appellante può chiedere inibitorie all’autorità giudiziaria d’appello, in via incidentale, o in via sommaria, secondo che già sia o no pendente il giudizio di appello”51.
Ebbene, senza tediare con inutili giri di parole, la questione principale relativa all’istituto fu quella della sua effettiva portata, oggetto di un acceso (e forse anche eccessivo) dibattito dottrinario, che catturò l’attenzione di alcuni dei più importanti studiosi della materia all’inizio del XX secolo.
In estrema sintesi, si dibatteva se i poteri del giudice dell’inibitoria dovessero ritenersi limitati ad un controllo di mera legalità della clausola di provvisoria esecuzione disposta dal primo giudice (i.e. se la clausola di provvisoria esecuzione fosse stata concessa in uno “dei casi dalla legge indicati”) ovvero includessero anche un esame dell’opportunità della stessa, come espressione del medesimo potere discrezionale applicato dal giudice di prime cure.
La formulazione letterale dell’art. 484 c.p.c. lasciava propendere per la prima soluzione: invero, sino al 1903, praticamente l’unanime dottrina riteneva che laddove il giudice di prime cure avesse concesso la clausola di provvisoria esecuzione in una delle fattispecie dell’art. 363 o nelle cause commerciali ex art. 409, il giudice di seconde cure non avrebbe potuto affatto ordinarne l’inibitoria52.
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La seconda parte della disposizione prevedeva “Lo stesso ha luogo se durante il termine
per appellare, o non ostante l’appello, siano dati provvedimenti esecutivi per sentenza di cui non sia stata ordinata l’esecuzione provvisoria”. Va comunque segnalato che non era
stato riproposto il divieto, tipico dell’esperienza napoleonica e dei codici preunitari, di concedere inibitorie al di fuori dei casi previsti dalla legge: come evidenziato da L. MORTARA, Qualche osservazione intorno ai poteri del giudice d’appello in tema di
esecuzione provvisoria, in Giur. it., 1903, I, 2, c. 470, il timore verso gli abusi cui l’istituto
si era in passato prestato andava progressivamente scemando.
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In tal senso, cfr. L.MATTIROLO, Trattato di dir. giud. civ. it., cit., IV, 667 ss., il quale, estremizzando tale soluzione, da un lato, sottolineò come l’inibitoria non si applicasse affatto nelle ipotesi di esecutività ipso iure della sentenza di primo grado e, dall’altro, che il controllo di (mera) legalità era tale che fosse addirittura precluso al giudice d’appello, adito in sede di inibitoria, di ordinare la cauzione non disposta dal giudice di prime cure; F.RICCI,
op. cit., 318; G. SAREDO, Istituzioni, cit., II, 32; F. S.GARGIULO, Il codice di procedura
civile, cit., 1175.
Contrario, come già ricordato, anche prima dell’approvazione del codice del 1865 era il solo M. PESCATORE, Sposizione compendiosa, cit., I, 1, 217, il quale escludeva che la valutazione del giudice dell’inibitoria dovesse essere solo di mera legalità. Ex post, nel
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In tale quadro va quindi collocata l’aspra disputa fra il Mortara e il Chiovenda in ordine all’interpretazione dell’art. 484 c.p.c.53
La posizione del Mortara, espressa nel 1890 nella voce Appello Civile del
Digesto54, era sostanzialmente in linea con l’opinione maggioritaria che attribuiva al giudice dell’inibitoria un mero controllo di legittimità sulla concessione della clausola di provvisoria esecuzione. Non mancavano, tuttavia, alcuni spunti, che probabilmente tradivano l’intenzione dello studioso di rendere più penetrante il controllo in sede di appello: dalla possibilità di imporre la cauzione, alla concessione dell’inibitoria nell’ipotesi di provvisoria esecuzione disposta ex officio dal giudice di prime cure e, infine, anche il potere di sindacare la ricorrenza delle circostanze che fondavano il ritenuto “pericolo nel ritardo” ex art. 363, n. 9).
La posizione del Chiovenda risaliva invece al 190355 e si incentrava sulla necessità dell’assoluta equiparazione dei poteri del giudice dell’esecuzione provvisoria con quelli del giudice dell’inibitoria. Invero, dopo aver passato in rassegna l’orientamento maggioritario, lo criticò aspramente, affermando che l’apposizione della clausola di provvisoria esecuzione avrebbe dovuto considerarsi illegittima “tanto se i fatti addotti a motivare l’esecuzione
provvisoria non sono ammessi in genere dalla legge, quanto se sono ammessi in genere, ma non esistono nella specie”56. In particolare, sotto attaccò finirono le tesi del Mortara: da un lato, censurò la ricostruzione di quest’ultimo secondo cui l’interpretazione restrittiva dell’inibitoria derivava senso che i poteri del giudice d’appello dovessero essere analoghi a quelli attributi al giudice di prime cure, cfr. E.BETTI, Diritto processuale civile, cit., 574 ss.
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Il dibattito ebbe molta risonanza mediatica; ne sono conferma gli ampi richiami degli autori che si sono occupati dell’istituto: cfr. F. CIPRIANI, Storie di processualisti e di
oligarchi, Milano, 1992, 92 ss.; E. T. LIEBMAN, Storiografia giuridica “manipolata”, in
Riv. dir. proc., 1974, 100 ss.; di recente, per una disamina della polemica, cfr. F.CARPI, La
provvisoria esecutorietà, cit., 227 – 228; G. IMPAGNATIELLO, La provvisoria esecuzione, cit., 53 ss.
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Cfr. L.MORTARA, Appello civile, cit., 689 ss.
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Cfr. G. CHIOVENDA, Sulla provvisoria esecuzione delle sentenze e delle inibitorie, cit., 301 ss.
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Così G.IMPAGNATIELLO, La provvisoria esecuzione, cit., 60, richiamando le parole di G. CHIOVENDA, Sulla provvisoria esecuzione delle sentenze e delle inibitorie, cit., 309.
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dal carattere naturalmente imperativo della sentenza (anche) di primo grado57
, di cui auspicava l’esecutività ex lege58; dall’altro, limitando stavolta l’ampiezza del potere del giudice ad quem, escluse che l’inibitoria potesse essere concessa quando la provvisoria esecuzione fosse stata disposta ex
officio, evidenziando che la mancanza di un‘apposita istanza di parte non
avrebbe potuto essere considerata uno “dei casi dalla legge indicati”.
La replica del Mortara arrivò a stretto girò59, con toni decisamente accesi60. L’Autore in primis precisò che l’assenza di una norma di chiusura come quella del codice francese non significasse affatto un’attribuzione più ampia dei poteri in capo al giudice dell’inibitoria, come invece rivendicato dal Chiovenda; sostenne che l’apposizione della clausola di provvisoria esecuzione in assenza della relativa istanza di parte fosse un caso di violazione di legge e, come tale, giustificasse l’inibitoria; ribadì le proprie convinzioni in merito alla possibilità per il giudice d’appello di imporre la cauzione alla parte che avesse ottenuto in primo grado la clausola di provvisoria esecuzione.
La controreplica del Chiovenda non si fece attendere; nel 190461 l’Autore precisò nuovamente che sarebbe stato più razionale, anche in considerazione del doppio grado di giurisdizione, munire il giudice d’appello degli stessi poteri del giudice di primo grado, “dovendo preferire la possibilità di arbitrii
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Il pensiero di G. CHIOVENDA, Sulla provvisoria esecuzione delle sentenze e delle
inibitorie, cit., 310 può essere efficacemente riassunto dalle seguenti parole del’Autore: “La stessa esecuzione provvisoria, dato il sistema del doppio grado di giurisdizione, è teoricamente ingiustificabile; ma molto di più la limitazione delle inibitorie”.
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Perlomeno nei suoi scritti iniziali: cfr. L.MORTARA, Appello civile, cit., 669 ss.
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Cfr. L.MORTARA, Qualche osservazione intorno ai poteri del giudice d’appello, cit., c. 469 ss.
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L’Autore non cita mai il Chiovenda, sebbene è evidente che quest’ultimo fosse il destinatario delle proprie invettive: “L’autore della critica che qui debolmente cerchiamo di
confutare, rovescia addosso al malcapitato scrittorello che si permise di fornicare così turpemente colla parola, una valanga di articoli del codice … troviamo strano che ricorra a un metodo di discussione tanto empirico chi è salito fresco sulle cattedre di procedura, annunciandosi come il primo, e finora l’unico, cultore di questa scienza, con metodo veramente scientifico” (cfr. L.MORTARA, op. loc. ult. cit.).
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Cfr. G.CHIOVENDA, Ancora sulla provvisoria esecuzione delle sentenze e delle inibitorie, in Foro it., 1904, in nota ad App. Lucca 25 giugno 1903.
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ed errori nell’inibire, alla incorreggibilità e irreparabilità degli arbitrii nel concedere la esecuzione provvisoria”62; censurò nuovamente la concezione mortariana della naturale forza esecutiva della sentenza e della conseguente limitazione dell’inibitoria, sottolineando come il provvedimento di primo grado producesse effetti soltanto in via eccezionale; rilevò nuovamente l’assenza di una norma di chiusura sul potere del giudice d’appello di ordinare l’inibitoria; infine, ribadì che quest’ultima non poteva essere concessa per il solo fatto che l’esecuzione provvisoria fosse stata disposta d’ufficio dal giudice a quo.
La polemica si arrestò con tale ultimo scritto, sebbene entrambi gli Autori ebbero modo, nei loro successivi contributi, di ribadire le proprie tesi63.
In conclusione, non vi è dubbio che la tesi del Mortara, sebbene fosse più aderente al dato letterale della norma, relegasse il giudice di secondo grado “in un angolo”, attribuendogli un controllo di natura meramente formale; peraltro, in un sistema come quello del 1865, caratterizzato dal generale effetto sospensivo dell’appello, si è convinti che un’interpretazione più ampia del sindacato esercitabile sulle clausole di provvisoria esecuzione disposte dal giudice a quo fosse più aderente alla volontà dei conditores legum.