La questione non si è sempre posta nei termini attuali e già questo dovrebbe costituire di per sé un motivo di attenta riflessione.
Invero, il codice di rito del 1865, benché imperniato su un contesto totalmente differente da quello attuale (i.e. sull’effetto sospensivo dell’appello), era molto garantista in tal senso: si è visto che, a prescindere della nota polemica tra il Mortara e il Chiovenda, l’art. 484 attribuiva al giudice di appello il potere di disporre l’inibitoria della sentenza di primo grado ogni qual volta la
315
Vale a dire la generale esecutività ex lege della sentenza di primo grado.
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Osserva G. IMPAGNATIELLO, La provvisoria esecuzione, cit., 534, che tale effetto è proprio evidente nel giudizio di appello, la cui decisione, come noto, si sostituisce in ogni caso a quella di primo grado. L’Autore evidenzia infatti che se l’appello venisse all’esito rigettato, l’effetto ablativo cagionato dalla misura sospensiva medio tempore pronunziata sarebbe comunque irreversibile, avendo eliminato definitivamente l’efficacia esecutiva della sentenza impugnata.
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provvisoria esecuzione fosse stata concessa al di fuori dei casi previsti dalla legge. In sostanza, in un sistema in cui la composizione del conflitto esecutivo avveniva al di fuori del giudizio di gravame, il legislatore si era preoccupato di predisporre un controllo da parte del giudice dell’inibitoria sui presupposti tassativi ai quali doveva essere ancorata l’eccezionale concessione della provvisoria esecuzione della sentenza di primo grado317
. Per altro verso, in aggiunta a quanto appena riferito, la relativa decisione sulla misura sospensiva, assunta con sentenza, era (pure) ricorribile per Cassazione.
La tutela era quindi assai ampia: erano addirittura due i mezzi di controllo di cui le parti potevano avvalersi al fine di censurare l’illegittima apposizione della clausola di provvisoria esecuzione da parte del giudice di primo grado, tra cui il controllo di legittimità sulla pronunzia resa dal giudice d’appello in sede di inibitoria.
La situazione iniziò a mutare a seguito dell’entrata in vigore del codice del 1940: da un lato, la diversa natura dell’inibitoria, quale provvedimento con il quale il giudice del gravame avrebbe dovuto riesaminare la clausola di provvisoria di esecuzione dal punto di vista della legittimità e della opportunità318
, e, dall’altro, la circostanza che la sua decisione dovesse assumere la forma dell’ordinanza, imposero di rivedere il sistema dei rimedi avverso il provvedimento inibitorio. In tal senso, le ordinanze sull’esecuzione provvisoria furono assoggettate (esclusivamente) al reclamo al collegio ex art. 357 c.p.c., da proporsi nel termine perentorio di dieci giorni dalla notificazione319
.
317
L’inibitoria, in sostanza, poteva essere considerata alla stregua di un mezzo di gravame nei confronti della clausola di provvisoria esecuzione apposta dal giudice di prime cure.
318
Come riferito in precedenza, vi era ancora chi riteneva che l’inibitoria dovesse qualificarsi alla stregua di un gravame avverso la clausola di provvisoria esecuzione (cfr., ex
multis, V. ANDRIOLI, Commento al c.p.c., cit., II, 275 – 276; S. SATTA, Commentario al
c.p.c., cit., II, 159; F.LANCELLOTTI, voce Esecuzione provvisoria, cit., 796; E.FAZZALARI,
Il processo ordinario di cognizione, 2, Le impugnazioni, Torino, 1990, 101 in nota),
nonostante rispetto al passato fosse più evidente la natura di potere autonomo rispetto a quello esercitato dal giudice di prime cure.
319
Questo il testo dell’abrogato art. 357 c.p.c. (“Reclamo contro ordinanze”): “1. Le
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L’arretramento rispetto al garantismo del codice del 1865 fu evidente: il reclamo veniva deciso dal collegio dello stesso Tribunale o della stessa Corte d’Appello, con un’ordinanza espressamente definita “non impugnabile”; era stato quindi definitivamente escluso il sindacato della Corte di Cassazione relativamente ai provvedimenti resi sulla provvisoria esecuzione320
. I cambiamenti, tuttavia, non erano destinati a finire.
Con la riforma del 1990, e quindi con lo storico passaggio dall’effetto sospensivo dell’appello a quello dell’esecutività ipso iure della sentenza di primo grado, è stato compiuto un ulteriore passo indietro rispetto alle tutele previste dal codice previgente: l’introduzione della collegialità della trattazione del giudizio di impugnazione ha determinato l’abrogazione del reclamo ex art. 357 c.p.c.321
, venendo quindi meno il rimedio tipico previsto dalla legge avverso i provvedimenti sull’esecuzione provvisoria.
Su tale novella si regge tuttora l’attuale assetto codicistico, anche in considerazione del fatto che la successiva modifica apportata all’art. 351,
comma, l'inammissibilità o l'improcedibilità dell'appello, ovvero l'estinzione del procedimento d'appello, e le ordinanze sulla esecuzione provvisoria previste dall'articolo 351, possono essere impugnate con reclamo al collegio nel termine perentorio di dieci giorni dalla notificazione. Il reclamo si propone con le forme previste dall'articolo 178, terzo, quarto e quinto comma. 2. Il collegio pronuncia sul reclamo in camera di consiglio salvo che, trattandosi delle ordinanze previste dall'articolo 350 secondo comma, alcuna delle parti, prima della scadenza del termine per la comunicazione della memoria di replica, proponga istanza al presidente del collegio, perché il reclamo sia discusso in udienza. In tal caso il presidente fissa l'udienza per la discussione, con decreto che è comunicato alle parti a cura del cancelliere. 3. La decisione è pronunciata con sentenza se è respinto il reclamo contro le ordinanze previste dall'articolo 350 secondo comma; negli altri casi è pronunciata con ordinanza non impugnabile”.
320
La giurisprudenza aveva pure escluso il ricorso straordinario ex art. 111 Cost: cfr., sul punto, Cass. 18 agosto 1983, n. 660, in Giust. civ. Mass. 1983, fasc. 8.
321
Sulla intrinseca connessione fra questi due aspetti si è espresso F. RUSSO, Inibitoria
processuale e la sua reclamabilità, cit., 602 – 604. L’Autore, il quale fa parte della cerchia
di studiosi che tendono ad escludere l’esperibilità di qualsivoglia rimedio avverso il provvedimento inibitorio, sottolinea infatti che il reclamo al collegio ex art. 357 c.p.c. non costituiva un mezzo di impugnazione in senso proprio; per converso, il medesimo configurava lo strumento con il quale si richiedeva un controllo, da parte dell’organo collegiale deputato alla decisione della causa, sui provvedimenti resi da un suo componente (il giudice istruttore, al quale antecedentemente alla riforma del 1990 era attribuita la trattazione dell’appello). Nello stesso senso anche G.BALENA, in G.TARZIA, F.CIPRIANI,
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comma 1, c.p.c. si è meramente limitata a recepire l’orientamento maggioritario della giurisprudenza e della dottrina.
Infatti, a seguito dell’intervento del 1990, la maggioranza degli interpreti riteneva che, ad eccezione del decreto inaudita altera parte di cui all’art. 351, comma 3, c.p.c., che avrebbe dovuto essere confermato, modificato o revocato in un’udienza322
, le ordinanze che provvedevano sull’esecuzione provvisoria (quella resa in prima udienza e quella resa all’esito del modello cd. “anticipato”) non avrebbero potuto essere impugnate, neppure con il ricorso straordinario per Cassazione. A tale conclusione, avallata anche dall’orientamento prevalente della giurisprudenza323
, si era giunti in ragione dell’abrogazione del reclamo ex art. 357 c.p.c., ma anche in virtù della espressa non impugnabilità dell’ordinanza324
con la quale, ripristinato il contradditorio, il collegio riesaminava il decreto presidenziale: per ragioni di coerenza, la medesima conclusione (recte: la non impugnabilità) avrebbe dovuto essere quindi estesa anche all’ordinanza ex art. 351, comma 1, c.p.c.325
L’anzidetta ricostruzione è stata poi confermata dal legislatore qualche anno più tardi: l’art. 27 della legge n. 183/2011, in vigore dal 1° gennaio 2012, ha
322
Si allude al decreto emesso all’esito di quello che nel precedente capitolo abbiamo classificato come il modello cd. “urgente”.
323
Cfr., ex multis, Cass. 25 febbraio 2005, n. 4060, cit., che aveva sancito che all'ordinanza con cui in sede d'appello, alla prima udienza, il collegio disponeva l’inibitoria doveva estendersi il disposto di cui al comma terzo dell’art. 351 c.p.c., in merito alla non impugnabilità del provvedimento collegiale di conferma, revoca o modifica del decreto presidenziale di concessione della misura sospensiva prima dell'udienza di comparizione.
324
Con contestuale non revocabilità o modificabilità, prevista dall’art. 177, comma 3, n. 2, c.p.c. per le ordinanze espressamente definite non impugnabili. Fa eccezione ovviamente la possibilità espressa di revoca con la sentenza che definisce il giudizio.
325
Cfr.G. TARZIA, Lineamenti del processo di cognizione, cit., 349; R.VACCARELLA, in R. VACCARELLA - B.CAPPONI – C.CECCHELLA, Il processo civile dopo le riforme, cit., 286; G. BALENA, in G. TARZIA, F. CIPRIANI, Provvedimenti urgenti, cit., 227, secondo cui la
ratio della non impugnabilità (e, quindi, dell’irrevocabilità e della non modificabilità)
risiederebbe nell’esigenza di troncare in limine litis le delicate questioni relative all’eseguibilità del provvedimento impugnato, di talché tale conclusione non avrebbe potuto non estendersi anche all’inibitoria resa all’esito del modello cd. “classico”. Contra, prima della successiva novella del 2011, G.IMPAGNATIELLO, La provvisoria esecuzione, cit., 485, il quale fa notare che la non impugnabilità dell’ordinanza ex art. 351, comma 3, c.p.c. sarebbe giustificata dal fatto che la medesima ordinanza sia resa in sede di riesame avverso un ulteriore provvedimento, ovvero il decreto presidenziale emesso inaudita altera parte.
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espressamente sancito la non impugnabilità (anche) dell’ordinanza che decide sull’inibitoria all’esito della prima udienza326
.
Il cambiamento è stato quindi lento, ma inesorabile: in poco più di un secolo, si è passati da una composizione del conflitto esecutivo articolata su ben tre gradi di giudizio ad un’unica valutazione compiuta dal giudice dell’inibitoria, che si innesta sulla regola generale dell’esecutività provvisoria ex lege e che non è più suscettibile di essere sindacata.
3. Il quadro normativo attuale e l’orientamento consolidato della