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Chiarito l’oggetto, può risultare fuorviante la constatazione per cui il fine primario della misura inibitoria sia soltanto quello di evitare l’attuazione coattiva del diritto consacrato nel titolo impugnato e, quindi, il danno dalla stessa derivante.

È infatti noto che il semplice danno da esecuzione non possa affatto costituire l’interesse giuridicamente tutelato dal provvedimento inibitorio: si tratta invero di un pregiudizio “naturale” e in quanto tale non meritevole di protezione, derivante dall’insindacabile scelta del legislatore del 1990 di attribuire efficacia esecutiva alla sentenza di primo grado159

.

Per converso, la finalità dell’inibitoria va individuata tenendo in considerazione che la stessa si inserisce a mo’ di sub-procedimento nell’ambito di un giudizio di impugnazione, ove la parte soccombente, mediante la prospettazione di errores in procedendo e in iudicando della sentenza impugnata, fa valere il proprio interesse (questo sì tutelato) ad ottenere la caducazione o la riforma di quest’ultima. Con l’inibitoria, pertanto, non si vuole scongiurare il danno da esecuzione, ma come è stato brillantemente osservato, “il danno derivante dal compimento di quest’ultima,

per l’eventualità che essa si riveli successivamente illegittima, a seguito della rimozione [all’esito del gravame] del provvedimento costituente il titolo esecutivo” 160

.

159

In questo senso, cfr.R.VACCARELLA, Diffusione e controllo, cit., 79; R.MACCARRONE,

Per un profilo strutturale, cit., 306 ss.; B. SASSANI, Lineamenti, cit., 473 precisa: “Cominciamo col dire che – ovviamente – non può essere considerata «grave motivo» la

dannosità in sé dell’esecuzione, perché (per definizione) l’esecuzione forzata è dannosa per chi la subisce. Il danno che subisce il debitore esecutato per il solo fatto di soggiacere all’esecuzione, non è sufficiente a configurare i «gravi e fondati»: occorre qualcosa di più”.

In giurisprudenza, da ultimo, cfr. App. Napoli 1° giugno 2018, in Redazione Giuffrè 2018, la quale ha affermato che i gravi motivi di cui all'art. 283 c.p.c. non possono essere rappresentati dalla sola esecuzione del provvedimento appellato, atteso che nel sistema delineato dagli artt. 282 e ss. c.p.c. siffatta esecuzione costituisce un effetto del tutto fisiologico della decisione in prime cure della controversia.

160

Per queste parole, cfr. R. MACCARRONE, Per un profilo strutturale, cit., 306, il quale inoltre precisa che, specularmente, l’interesse dedotto dalla parte provvisoriamente vittoriosa in primo grado consiste nell’evitare il danno derivante dal differimento

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In questa prospettiva, non sembra affatto irrazionale affermare che il fine dell’inibitoria sia una conseguenza diretta di quello proprio dell’impugnazione, della quale tende a salvaguardare l’utile risultato, nell’attesa che si pervenga alla sua decisione.

Basta questo per far emergere quanto si approfondirà nel prosieguo, ossia l’essenza lato sensu cautelare dell’istituto esame, diretto a realizzare una tutela provvisoria161

, destinata ad essere assorbita dalla successiva decisione (tanto di accoglimento quanto di rigetto) dell’impugnazione, la cui concreta fruttuosità (ovviamente nel caso di accoglimento) si mira a preservare162

. Chiarito quanto sopra, va ora precisato che il danno che l’inibitoria mira a prevenire può assumere varie gradazioni. Senza voler anticipare la natura dei requisiti posti dal legislatore nella varie norme del nostro ordinamento che regolano il fenomeno inibitorio, può però premettersi che i medesimi requisiti hanno contribuito a tipizzare una serie di pregiudizi di varia entità, tutti rilevanti ai fini dell’istituto in esame:

(a) un pregiudizio da esecuzione ingiusta, i cui risultati non corrispondono alla realtà sostanziale così come accertata al termine del giudizio di impugnazione e che quindi dovranno essere rimossi al fine di consentire un agevole adeguamento della realtà materiale alla nuova situazione di diritto;

dell’esecuzione, per l’eventualità che questa poi si riveli legittima, con la conferma del provvedimento costituente il titolo esecutivo all’esito del giudizio di secondo grado. In ogni caso, nello stesso ordine di idee, cfr. A. CONIGLIO, Riflessioni in tema di esecuzione

provvisoria, cit., 292; G.DUNI, Il potere discrezionale della Corte di Cassazione in tema di

sospensione dell’esecuzione delle sentenze, in Riv. dir. proc., 1946, II, 14; E.FAZZALARI, Il

giudizio civile di Cassazione, Milano, 1960, 115.

161

La provvisorietà si riscontra nell’interesse della parte che invoca il provvedimento inibitorio e negli effetti che quest’ultimo produce sull’efficacia esecutiva e sull’esecuzione del provvedimento impugnato (destinati ad essere assorbiti dalla successiva decisione sull’impugnazione).

162

Esemplificativo sul punto il pensiero di F.CARPI, La provvisoria esecutorietà, cit., 241 spec. nota 47, il quale afferma che la tutela inibitoria realizzerebbe una tutela di secondo grado, analoga a quella dei provvedimenti cautelari anticipatori (a quel tempo rivendicati da C. MANDRIOLI, Per una nozione strutturale dei provvedimenti anticipatori o interinali, in

Riv. dir. proc., 1964, 551 ss.), con la quale si cercherebbe di impedire “che le more del processo, evitabili od inevitabili che siano, tornino a danno di una efficace e concreta realizzazione del diritto”.

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(b) un pregiudizio da esecuzione che, oltre ad essere ingiusta nei termini di cui si è appena riferito, cagioni al soccombente in primo grado un danno ulteriore e diverso;

(c) un pregiudizio da esecuzione che conduca a modificazioni della realtà materiale che, oltre a non essere ovviamente conformi al regolamento giudiziale del rapporto, risulteranno comunque impossibili o assai difficili da rimuovere nel tentativo di ricondurre la situazione di fatto a quella di diritto163

. Un autorevole studioso dell’istituto si è poi sforzato di ricondurre nella predetta elencazione tutte le varie disposizioni che nel nostro ordinamento disciplinano l’istituto in esame, a seconda della locuzioni di volta in volta utilizzate dal legislatore164

.

La conclusione che ne ha tratto è stata quella di evidenziare che, in ogni caso, anche allorquando vengano in rilievo i requisiti del grave ed irreparabile danno, la valutazione del giudice nel concedere o meno l’inibitoria non possa comunque mai prescindere da un giudizio prognostico sull’esito dell’impugnazione, anche al solo fine di apprezzare il grado di antigiuridicità del prospettato pregiudizio derivante dall’esecuzione.

Per il momento non possono che condividersi siffatte argomentazioni, consapevole che sono la diretta conseguenza del potere discrezionale di cui dispone in ogni caso (seppur con alcuni distinguo) il giudice dell’inibitoria.

163

In tali termini cfr. M.FARINA, in A.BRIGUGLIO -B.CAPPONI, Commentario alle riforme

del processo civile, cit., 123 ss. e G.IMPAGNATIELLO, La provvisoria esecuzione, cit., 410.

164

Cfr., G. IMPAGNATIELLO, La provvisoria esecuzione, cit., 411 ss. Al pregiudizio (a), l’Autore ha ricondotto le disposizioni che subordinano l’inibitoria a motivi qualificati come “gravi” oppure “gravi e fondati” (ad esempio, gli artt. 283, 431, comma 6, 615, comma 1, 624, 649 c.p.c.); al pregiudizio (b) le disposizioni di cui agli artt. 669-terdecies, comma 6, 431, comma 3 e 447-bis, comma 4, c.p.c. (“grave danno” e “gravissimo danno”); infine, al pregiudizio (c) il “grave e irreparabile danno” di cui all’art. 373 c.p.c. Sul punto, v. anche il pensiero di M. FARINA, in A. BRIGUGLIO - B. CAPPONI, Commentario alle riforme del

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5. La natura dei requisiti alla base dell’esercizio del potere di inibitoria: