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6. Genesi storica dell’istituto: il codice di procedura civile del 1865

6.5 L’inibitoria della sentenza di appello

L’oggetto del presente lavoro riguarda specificamente lo studio dell’inibitoria della sentenza di primo grado nell’attuale codice; tuttavia, si ritiene comunque utile spendere qualche osservazione di carattere generale anche in relazione all’inibitoria della sentenza d’appello, al fine di comprendere l’evoluzione sistematica dell’istituto.

Si è già riferito che nel codice del 1865 il ricorso per Cassazione non fosse annoverato tra le impugnazioni ordinarie, ragion per cui, unitamente alla revocazione e all’opposizione di terzo, poteva essere esperito nei confronti di una sentenza ormai passata in giudicato; si tratta pertanto di capire se e come l’inibitoria della sentenza di appello potesse incidere su un’efficacia esecutiva (non più provvisoria, bensì) definitiva.

In linea generale, il tema dell’inibitoria delle sentenze passate in giudicato impugnate in via straordinaria era ben noto ai conditores del codice, sebbene

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non può certo dirsi che le pregresse esperienze fossero favorevoli ad una sospensione dei loro effetti68: non di certo nell’ambito dei codici italiani preunitari, la cui maggioranza escludeva l’ammissibilità di una siffatta sospensione69, ma neppure nella tradizione francese, ove la disciplina del ricorso per cassazione non aveva mai previsto l’inibitoria della sentenza d’appello.

In tale contesto, vanno letti gli artt. 503 e 514, che disciplinavano l’inibitoria delle sentenze impugnate rispettivamente con la revocazione e l’opposizione di terzo, nonché il tendenziale divieto di inibitoria in pendenza del ricorso per cassazione.

Per quel che concerne l’art. 503, era espressamente previsto che il giudice potesse sospendere per gravi motivi l’esecuzione della sentenza impugnata con la revocazione. La norma non specificava se l’inibitoria potesse essere concessa esclusivamente nel caso in cui la sentenza fosse posta in esecuzione, sebbene fosse evidente che la tutela della parte soccombente avrebbe dovuto senz’altro riguardare anche l’ipotesi della mera efficacia esecutiva del provvedimento; quanto ai “gravi motivi”, la dottrina dell’epoca sottolineò la volontaria ampiezza della formula utilizzata70 e il fatto che abbracciasse tanto il fumus boni iuris dell’impugnazione, quanto il periculum in mora71.

Con riguardo all’art. 514, con una formula analoga all’attuale art. 337 c.p.c., la disposizione in primis prevedeva che l’opposizione del terzo non impediva l’esecuzione della sentenza; attribuiva, poi, al giudice dell’impugnazione il potere di ordinare l’inibitoria “quando possa derivarne pregiudizio ai diritti

del terzo, salvo che l’autorità giudiziaria ordini per motivi gravi l’esecuzione,

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Per un’esaustiva ricostruzione, si rinvia a G.IMPAGNATIELLO, La provvisoria esecuzione, cit., 72 ss.

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Invero, soltanto il Codice degli Stati Estensi e il codice parmense inibivano gli effetti della sentenza impugnata in via straordinaria con il ricorso in revisione.

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Nel senso che i gravi motivi non potessero essere tipizzati a priori, cfr. L.MATTIROLO,

Trattato di dir. giud. civ. it., cit., IV, 668; G.SAREDO, Istituzioni, cit., II, 32.

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non ostante la opposizione del terzo”72. La dottrina che di recente si è occupata dell’argomento ha evidenziato come la valutazione del giudice fosse estremamente complessa, dovendo contemperare, da un lato, il periculum in

mora manifestato dal terzo e, dall’altro, i “gravi motivi” che invece

deponevano a favore dell’esecuzione del provvedimento73.

Da ultimo, per quel che concerne il ricorso per cassazione, va premesso che la disciplina codicistica risentì delle origini storiche di tale rimedio, risalenti alla tradizione francese, ove, come noto, non rivestiva natura giurisdizionale. Nello specifico, l’art. 520 del codice del 1865 sanciva un generale divieto di inibitoria in pendenza dell’impugnazione, prevedendo che “il ricorso per

cassazione non sospende l’esecuzione della sentenza, salvi i casi eccettuati dalla legge”74.

Va immediatamente dato atto che molte furono le critiche mosse dalla dottrina a tale disposizione, conseguenza, peraltro, di un atteggiamento sempre più insofferente verso il ricorso per cassazione e la sua collocazione fra le impugnazioni straordinarie75. Vi era infatti chi, senza sconfessare il dato letterale della disposizione, si limitava a sostenere che la sentenza impugnata in Cassazione avrebbe potuto essere riformata all’esito di tale giudizio,

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Sul rilievo per cui il diniego di inibitoria dovesse fondarsi su circostanze gravissime, cfr. L.MATTIROLO, Trattato di dir. giud. civ. it., cit., IV, 859; L.MORTARA, Manuale, cit., II, 15; F. RICCI, op. cit., 500; F. S. GARGIULO, Il codice di procedura civile, cit., 1262. D’altronde, che il rigetto della sospensione dovesse essere fondato su presupposti estremamente rigorosi deriverebbe anche dalla circostanza che il pregiudizio lamentato dal terzo che propone l’opposizione è proprio quello derivante dall’esecuzione della sentenza resa inter alios.

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Così G.IMPAGNATIELLO, La provvisoria esecuzione, cit., 75 ss.

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Questi casi erano soltanto due, ovvero la querela di falso e l’arresto personale. Sul punto, va anche considerata l’opinione di quell’Autore che ricondusse il divieto di inibitoria alla necessità di evitare impugnazioni in cassazione meramente dilatorie (cfr. F.S.GARGIULO, Il

codice di procedura civile, cit., 1310).

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Note sono infatti le critiche del Mortara, il quale auspicava una riforma che ricomprendesse il ricorso per cassazione tra i mezzi di impugnazione ordinari (cfr. MORTARA, Commentario, cit., IV, 204); diverso, invece, il pensiero del Chiovenda, il quale sosteneva già de lege lata che il giudicato si formasse una volta scaduti i termini per il ricorso per cassazione e per la revocazione ex art. 495, n. 4 e 5 o comunque dopo il rigetto di tali impugnazioni (cfr. G. CHIOVENDA, Principii di diritto processuale civile, Napoli, 1923, 949). In questo ultimo senso, cfr. anche E.BETTI, Diritto processuale civile, cit,, 580; E.REDENTI, Profili pratici del diritto processuale civile, Milano, 1939, 461.

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suggerendo quindi una sorta di cautela nel dare avvio all’azione esecutiva76; altri invece si scagliarono contro il divieto di inibitoria evidenziando l’ingiustificato discrimen con la revocazione e l’opposizione di terzo, che nell’accezione comune erano mezzi di impugnazione più “straordinari” del ricorso per cassazione77. Vi era, infine, il Chiovenda, il quale, sul presupposto che il giudicato formale si formasse con la preclusione del ricorso per cassazione e della revocazione per i motivi n. 4 e 5 dell’art. 490, anticipando una soluzione che sarebbe stata recepita successivamente per l’attuale codice, scisse l’efficacia esecutiva dall’efficacia di accertamento: la prima veniva meramente anticipata alla sentenza di appello, mentre la seconda si formava soltanto con il (successivo) passaggio in giudicato78; in tale contesto, l’Autore riferì l’art. 520 alla sola efficacia esecutiva.

Tutte le predette opinioni vennero tenute in debita considerazione allorquando si iniziò a pensare ad una compiuta riforma del codice di rito.

7. Il codice del 1940