3.4 Un nuovo metodo di analisi interpretativa per uno studio di caso
3.4.1 All’inizio di un cammino iniziatico: l’esperienza autentica del testo
L’esercizio di decentramento, unito alla carica finzionale del “come se”, favoriscono la lettura circolare e ricorsiva (Bateson, 1984, Ceruti, 1989) il cui fine non è costruire un’ipotesi capace di rispondere ai criteri di plausibilità, argomentabilità, credibilità, trasferibilità e confermabilità (Lincoln, Guba, 1895), propri degli approcci lineari di marca positivista, ma di alimentare nel ricercatore, attraverso il metodo “a spirale”, la curiosità e sollecitarlo verso una “pratica dell’apertura”. Come sostiene Derrida, abbiamo una responsabilità nei confronti di un incessante, severo e inventivo lavoro di “riapertura” ovvero di “decostruzione”:
“una specie di dispositivo strategico aperto, sul proprio abisso, un insieme non chiuso, non chiudibile e non totalmente formalizzabile di regole di lettura, d’interpretazione, di scrittura […]” (Derrida, 1990, p. 446)
Nei tre seguenti paragrafi descriverò le quattro tappe del cammino di analisi interpretativa del testo della studentessa ovvero: l’esperienza autentica, la rappresentazione estetica, la comprensione intelligente e l’azione deliberata.
3.4.1 All’inizio di un cammino iniziatico: l’esperienza autentica del testo
“Potevo essere me stessa – ma senza stupore, e ciò vorrebbe dire qualcuno di totalmente diverso.”
Wislawa Szymborska - Nella moltitudine
Il paragrafo presenta l’uso della spirale come metodo di analisi del testo di una studentessa per esplorare le molteplici pieghe della trasformazione come esperienza, nei suoi aspetti più sensibili e percettivi. È proprio su queste dimensioni opache, sfuggenti e sorprendenti che rifletterò attraverso la pratica del metodo. Lo studio di caso diventerà quindi il pretesto per costruire un metodo di ricerca performativa e incorporata attraverso la composizione originale del modello metodologico di Formenti (2009) con “l’inter-vista auto/biografica in profondità” (West, 2006, 2012) e l’idea della “curiosità” (Cecchin, 1987, 2003).
La scelta di un testo con il quale misurarmi nasce in effetti proprio dalla curiosità generata dal mio “stupore”: tra 138 testi, uno più di tutti mi ha coinvolto e commosso. Tale emozione è stata da me vissuta come l’esperienza autentica, identificata da Formenti come il primo
132 passaggio della spirale metodologica. In questa fase il ricercatore cerca, attraverso attività pratiche e corporee, un contatto autentico con ciò che avviene e con le sue proprie emozioni. Il contatto con il presente, attraverso il corpo e i suoi segnali, con le proprie emozioni, vissuti, sentimenti e con l’altro come presenza irriducibile nel campo d’azione (Formenti, 2012), sviluppa un’attenzione che risulta indispensabile per la relazione umana e per il lavoro di cura.
Nella lettura delle 138 lettere motivazionali ho utilizzato l’emozione dello “stupore” (Dallari, 1998) come criterio di scelta. Il testo di Adriana64 mi ha interpellato e commosso – mi ha fatto piangere e venire la “pelle d’oca”, a differenza di altri che generavano in me prevalentemente una sensazione soporifera e di noia. Secondo Rigotti “stupore” è una parola filosofica per eccellenza:
“[…] Si ripete sempre che agli inizi della filosofia ci sia lo stupore, la meraviglia. Lo affermano sia Platone sia Aristotele, ed è da loro che lo abbiamo imparato. Il meravigliarsi, l'improvvisa sorpresa, il repentino non più comprendere il proprio essere e quello del mondo stimolano a porsi domande che sfociano nella ricerca di risposte. Questo sentimento o stato d'animo era detto dai greci thaumàzein, dove in quel thàuma stavano sia la gioia della novità sia l'angoscia dell'ignoto.” (Rigotti, 2016)
In questa prima fase lo stupore rappresenta per il ricercatore non solo una pratica di ricerca filosofica in chiave esistenziale (Madera, 2012), ma una fonte intuitiva di informazione poiché, secondo le mie premesse, la fonte primaria di ogni teorizzazione dotata di senso è costruita dalle teorie sensibilizzanti del ricercatore.
“La sorpresa per il nuovo e inatteso cattura dall'alto la nostra attenzione in maniera imprevedibile, rendendo inutili previsioni e prevenzioni; la sorpresa infrange l'esperienza, la sorpresa devia dalle nostre aspettative e dal corso normale delle cose, è data dall'imprevisto e dal sensazionale, ovvero dalla sensatio, ciò che coinvolge tutti i sensi, ma anche l'intelletto, se sensatus, sensato, è ciò che è ragionevole in quanto dotato di senso.” (Rigotti, 2016)
Mi sono quindi concentrata su cosa significhi “leggere un testo” in una dimensione di esperienza autentica; per una settimana ho dedicato un’ora della mia giornata alla rilettura
133 silenziosa del testo scelto, ho sottolineato i passaggi (frasi e/o parole) che suscitavano in me emozioni o immagini. Ho creato un dialogo interiore con il testo, ho cercato di creare uno spazio transizionale (Winnicott, 1971) per mettermi in relazione con l’autrice della quale non conoscevo il nome.
La continua rilettura del testo fino a incorporarne ogni parola mi ha permesso di comprendere che lacrime e pelle d’oca, generate in una prima lettura, indicavano un’emozione forte, positiva ma collegata con la paura. In questo senso lo stupore originario, il thauma dei filosofi greci è un momento di grazia che incorpora una dimensione di orrore e di angoscia. La paura di chi si trova a contatto con una realtà ignota, sconosciuta, diversa, così altra da provocare turbamento (Rigotti, 2016). Il testo era intitolato “lettera motivazionale”, introducendo una variazione personale dell’autrice alla richiesta dell’università, che indicava, invero impropriamente, il termine “intervista65”. Rileggendo la lettera più volte in momenti e contesti diversi dall’università, ovvero in treno (nel il viaggio tra l’università e la mia città di residenza) e a casa (in cucina e in camera da letto) il termine “lettera” ha ripreso il suo significato originario, per assumere una dimensione personale e di incontro “autentico”:
“Non è facile riprendere le fila della propria vita, per iscritto e non solo. I miei anni di giovinezza, quelli dell’università e anche dopo, sono stati segnati da un interesse profondo verso il mondo dell’infanzia.”66
Si narra sempre per qualcosa o per qualcuno. Anche se non lo si pensa. Per se stessi innanzitutto, per desiderio di capire o di capirsi di più (Caputo, 2001). Questo pregiudizio sensibile e percettivo, incarnato nella mia storia personale, ha reso possibile immaginare che l’autrice rivolgesse a me le sue parole. La dimensione del viaggio – rappresentata dal mio muovermi in treno – e poi quella domestica – rappresentata dall’attraversamento delle diverse stanze della mia casa67 sono divenute in forma non soltanto metaforica, ma anche fisica, uno spazio potenzialmente creativo d’incontro (Merrill, West, 2009) tra me ricercatrice e l’autrice
65 Allegato 1.
66 Trascrizione dell’incipit della lettera di Adriana (nome di fantasia; le motivazioni “sensibili” alla scelta del nome sono esplicitate in seguito).
67 Oltre al viaggio l’attraversamento delle stanze come metafora di trasformazione è stato indagato fin dall’antichità. In particolare penso all’esperienza femminile della mistica cristiana Teresa D’Avila che ha ricercato nelle sette stanze del suo castello interiore, un contatto con una dimensione profonda della sua esistenza che ha chiamato “anima” (Teresa D’Avila, 2015). Spostarsi da un luogo all’altro è un sentimento primitivo radicato nell’inconscio collettivo. In questo senso il primo passaggio del metodo mi ha autenticamente messo in contatto con una dimensione profonda del mio vissuto.
134 della lettera. La rilettura continua del testo ha fatto emergere il lato umano delle parole scritte e la passione che l’autrice era riuscita a imprimere nelle sue parole. Con il tempo e l’incontro ripetuto con quelle parole capaci di emozionarmi, la studentessa non era più una dei 138 studenti che avevano scritto un testo per chiedere di essere ammessi all’università, ma era diventata una persona che incontravo, tra reale e immaginario, tra conoscenza e ignoranza, attraverso una pagina di carta. Di questa persona non conoscevo però il nome e ciò mi provocava un senso di disagio perché il diritto al nome è un attributo della personalità che ne qualifica l’identità (Viggiani, 2016) e la mia domanda di ricerca intendeva, almeno nelle mie intenzioni iniziali esplorare il dis/orientamento in chiave esistenziale. Quindi la presenza irriducibile nell’altro nel mio campo d’azione – requisito del primo passaggio del metodo – ha messo in evidenza la necessità di “dare un nome” alla studentessa della quale stavo cercando di sentire la voce autentica attraverso la scrittura (Demetrio, 2011).
La scelta del nome finzionale da attribuirle non è stata casuale, ma evocata dall’incipit letterario della stessa autrice che mi ha riportato alla memoria in modo imprevisto e sorprendente il ricordo del romanzo “Le memorie di Adriano” di Marguerite Yourcenar (1951) letto ai tempi del liceo e al quale non pensavo da anni. Questa seconda sorpresa ha risvegliato in me un’attenzione che usciva dalle mie aspettative e si dimostrava qualcosa d’insolito: la voce della studentessa, ora rinominata Adriana, dialogava nella mia mente con il ricordo delle pagine della Yourcenar dalle quali usciva la voce dell’imperatore Adriano che riflette sulla sua vita e su se stesso. Tornarono in prima istanza le percezioni sensoriali: il piacere del frusciare della carta tra le mie mani e il profumo delle pagine del libro poiché al liceo avevo l’abitudine di immergere il naso tra le pagine ispirando a pieni polmoni. Alle sensazioni fisiche si unirono subito dopo le memorie intellettive: rammentavo con precisione di aver letto la premessa al romanzo, nella quale l’autrice descriveva la storia di Adriano come occasione per proporre al lettore in filigrana un tentativo di narrazione esperienziale, e quindi di meditazione spirituale e filosofica (Yourcenar, 2014). La lettura del testo si è quindi rivelata un’esperienza autentica, complessa, che ha prima destato stupore generando attenzione verso la mia postura di ricercatrice. Qui è nata la scelta di creare, attraverso le parole di Adriana, una conversazione per reinventare il significato della sua storia con la possibilità di tessere altre credibili versioni dell’esperienza da lei narrata intrecciando “le fila
della propria vita” con le proiezioni e le identificazioni che nascevano spontaneamente in me.
L’idea di Bachtin che il linguaggio implichi un dialogo tra lo scrittore, il lettore e le parole che già contengono le voci e i significati di coloro che le hanno dette prima (Bachtin, 1986) aiuta, io credo, a comprendere la cornice della mia pratica di analisi e a dare un senso alla
135 scrittura accademica che legittima i ricercatori a iniziare un processo creativo che stupisce e (s)muove in uno spazio mobile tra corpo, pensiero e scrittura (Hunt, 2016).
La domanda di ammissione al corso di laurea chiedeva ad Adriana di rispondere ad alcune domande68 come “uno strumento di orientamento nella scelta di un percorso magistrale da attraversare con impegno, costanza, riflessività e autoriflessività”. In sintesi la lettura di Adriana è costituita da tre parti:
- un’introduzione dove la studentessa racconta degli anni della giovinezza: dalla laurea in filosofia con una tesi dedicata a esplorare la sua identità ebraica attraverso le voci dei sopravvissuti all’Olocausto, alla passione per il lavoro sociale con i bambini di un quartiere disagiato di Milano;
- una parte centrale dove sosteneva di aver preso, dopo gli anni di impegno sociale, altre strade personali e professionali lavorando come fotografa e del desiderio, oggi rinato, di tornare a occuparsi di quella che pensava essere la sua strada ovvero di lavorare con bambini e adolescenti;
- una conclusione nella quale sosteneva di volere prendersi il tempo e l’occasione di una seconda vita nella quale tornare a studiare con entusiasmo e coinvolgimento perché spinta dalla passione per il lavoro pedagogico.
A questa esperienza autentica di lettura del testo di Adriana, caratterizzata dal sentimento dello stupore, hanno fatto seguito, nel mio cammino, le tappe della rappresentazione estetica e della comprensione intelligente che descriverò nel prossimo paragrafo.