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Le cinque Vie della riflessività in pedagogia

Nel documento PER/METTERE LE STORIE IN MOVIMENTO. (pagine 73-78)

2.3 La riflessività embodied nella ricerca tra narrazione e pensiero critico

2.3.1 Le cinque Vie della riflessività in pedagogia

Il concetto di riflessività è stato oggetto di molteplici interpretazioni e analisi nelle scienze umane, dando luogo a diverse definizioni, che corrispondono ad altrettante problematiche nel lavoro di ricerca (Qualley, 1997). Il cardine del discorso sulla riflessività è, quindi, il ruolo che il ricercatore assume nella ricerca e il rapporto che sviluppa, durante la ricerca, con gli

74 attori sociali31 e con i processi della ricerca stessa. Particolarmente rilevanti risultano essere alcune riflessioni sociologiche di Bourdieu (1992) secondo il quale la riflessività è un’autoanalisi del ricercatore che riflette sulle condizioni di possibilità della propria disciplina e che sottopone se stesso al medesimo esame critico a cui sottopone il proprio oggetto d’indagine. Il ricercatore è il soggetto che avvia un processo di “oggettivazione” sul mondo sociale; nella relazione di potere che s’instaura tra soggetto e oggetto della ricerca è il ricercatore che definisce, analizza, categorizza e descrive il proprio “oggetto” scientifico. Per il sociologo, dunque, la questione della riflessività è anche una questione di potere, connessa alla possibilità politica di far parte di un’istituzione che legittima il tipo di sapere prodotto sul mondo sociale (Bourdieu e Wacquant, 1992, p. 32). Le scelte epistemologiche, infatti, influenzano il posizionamento intellettuale del ricercatore all’interno del panorama teorico della disciplina. Mettere in luce i presupposti epistemologici, teorici e metodologici significa evidenziare e sottoporre ad analisi critica l’archeologia delle proprie scelte professionali e delle proprie interpretazioni (Bourdieu e Wacquant, 1992). Bourdieu è probabilmente l’autore che meglio ha analizzato le condizioni socio-storiche di produzione del sapere sociologico (Finlay, 2002). Il posizionamento intellettuale influisce anche sulle domande cognitive che un ricercatore è in grado di porsi a partire dal particolare sguardo che assume.

Sempre dal punto di vista sociologico un ulteriore elemento riflessivo riguarda le determinanti biografiche del ricercatore e, quindi, la sua appartenenza di classe, genere, etnia e generazione. L’accesso a un determinato campo d’indagine può essere negato o facilitato proprio in base alle determinanti sociali e alle caratteristiche personali del ricercatore o della ricercatrice32. Secondo Bourdieu, è necessario che il ricercatore analizzi i modi in cui le determinanti sociali (ovvero genere, classe, ecc.) intervengano nel proprio modo di fare

31 Sebbene in questo capitolo il tema della riflessività sarà analizzato a partire dalle fasi della ricerca nelle scienze umane è utile sottolineare che, a partire dagli anni ’70, sono emersi alcuni indirizzi critici di ricerca interessati all’analisi della riflessività nelle scienze naturali. Da un lato sono stati condotti da scienziati naturali studi sul proprio ruolo nell’interazione con gli oggetti di ricerca; un esempio in questo senso è il libro “Quando il lupo vivrà con l’agnello” dell’etologa francese Vinciane Despret (2004). Dall’altro alcuni sociologi sono entrati nei laboratori ed hanno analizzato i meccanismi sociali implicati nella conduzione degli esperimenti, la produzione e la comunicazione del lavoro scientifico (Hacking, 2000; Latour 2007). In linea generale è importante sottolineare come la riflessività e la dimensione biografica del ricercatore assumano significati diversi in discipline differenti. Infatti, per esempio, se dal punto di vista sociologico la riflessività permette di risignificare le variabili della ricerca, da quello psicologico emergono gli aspetti legati alla soggettività, mentre dal punto di vista pedagogico la riflessività permette di ripensare profondamente ai processi di apprendime nto e formazione. Il mio punto di vista è quest’ultimo e guarda con interesse gli studi di Mezirow (1991, 2016) che mettono al centro la dimensione trasformativa dell’educazione degli adulti a partire da una dimensione sociale e dialogica alla quale farò riferimento nel corso del presente capitolo.

32 Le riflessioni circa la biografia del ricercatore e il suo accesso al campo di ricerca saranno oggetto di una più approfondita argomentazione nei prossimi capitoli.

75 ricerca, di accedere al campo e di relazionarsi con esso (Bourdieu e Wacquant, 1992). Il campo d’indagine viene definito prima dell’avvio della ricerca vera e propria; tale definizione deriva dalle conoscenze teoriche e personali pregresse, che solo in parte, possono essere note al ricercatore e dunque rese esplicite. Per Bourdieu ogni ricerca necessita di una riflessione sulle condizioni intellettuali e sociali che la rendono possibile; ciò che è importante analizzare non sono i risultati in sé, ma il processo e il procedimento con cui sono stati ottenuti. Innanzitutto, quindi, è necessario sottoporre ad analisi critica ciò che l’autore definisce, andando al di là della dimensione biografica, «l’inconscio scientifico collettivo inscritto nelle teorie, nei problemi, nelle categorie […] dell’intendimento scientifico» (Bourdieu e Wacquant, 1992, p.33).

Nell’analisi della letteratura scientifica, gli studi di Linda Finlay (2002, 2003, 2015) mi hanno guidato nell’ampliare il mio sguardo sul tema in oggetto e hanno provocato una ricerca personale su cosa è per me la riflessività (paragrafi 4 e 5). Finlay33 è una ricercatrice inglese e psicoterapeuta a indirizzo integrato e centrato sulla relazione, che lavora nell’ambito della ricerca qualitativa per i professionisti della cura e della salute. Nei suoi lavori usa la metafora del viaggio34 per descrivere come la riflessività possa seguire molteplici piste. La ricercatrice esamina cinque varianti possibili della riflessività e ci invita a esplorare queste tipologie come mappe per tracciare un viaggio riflessivo:

“La riflessività diventò il mio problema e la mia soluzione insieme. Il mio viaggio iniziò con una crescente agitazione, per il desiderio di scoprire le differenti dimensioni della riflessività, esplorai e mappai perciò differenti piste. Ho avvertito allora che prima dovevo comprendere queste differente vie di attraversamento alla riflessività e poi avrei potuto provare a capire come praticarle io stessa nella mia specifica ricerca.” (Finlay, 2003, p.3 traduzione mia, corsivi miei)

33 Maggiori informazioni sulla ricercatrice sono disponibili al suo sito personale: http://lindafinlay.co.uk.

34 La metafora del viaggio è pregnante per l’umanità. Infatti l’umanità è in cammino da sei milioni di anni, sostiene Telmo Pievani (2015), riprendendo gli studi antropologici di Leroi-Gourhan (1977) e sono stati i movimenti del corpo, attraverso gli spostamenti (i viaggi, migrazioni, ecc.) a plasmare il cervello umano. Camminare e pensare sono pratiche interdipendenti (Gamelli, 2016) poiché biologicamente la vita di ogni singolo bambino comincia con il camminare e l’idea del viaggio apre alla sensazione del mondo. Camminare dispone alla conversazione e alla riflessione (Demetrio, 2008b) così che camminare non è solo una pratica fisica e pensare non è solo una pratica intellettuale (Gros, 2013).

76 Le cinque piste esplorate da Finlay nel suo reflexive journey si offrono come pratiche

embodied intrecciate dentro il processo di ricerca, che può essere concepito e percepito come

un’azione di movimento tra gesti e parole. Le vie sono cinque modalità di approccio al tema della riflessività che la ricercatrice ha individuato nella letteratura sul tema. Queste sono: (1) l’introspezione, (2) la riflessione intersoggettiva, (3) la collaborazione reciproca, (4) la critica sociale e (5) la decostruzione ironica e possono essere viste sia come vie a se stanti (primo livello di riflessività), sia come linea di sviluppo evolutiva che porta il ricercatore a sviluppare una riflessività sempre più complessa e multidimensionale (secondo livello di riflessività). Prima di esaminarle una per una è interessante sottolineare che l’autrice ascrive a queste pratiche la sua capacità di posizionamento riflessivo, da lei definito come incorporato, intersoggettivo ed ermeneutico (Finlay 2003, pp. 105-119). Ne risulta un’interessante mappa per orientarci all’interno del tema, poiché è complesso muoversi attraverso le miriadi di forme della riflessività - myriad forms of reflexivity - che costituiscono, a tutti gli effetti, la storia degli ultimi cinquant’anni della ricerca qualitativa. Il punto comune a tutte le declinazioni del discorso sulla riflessività è la continua interrogazione circa il ruolo del ricercatore nel processo di ricerca. Infatti, è proprio attorno agli anni Settanta che emerge, come abbiamo precedentemente accennato, una “metodologica consapevolezza di sé” per il ricercatore. In particolare, sono proprio le critiche etnografiche all’etnografia stessa (guidate da autori come Clifford & Marcus, 198635), a spingere la ricerca qualitativa nella direzione di un “nuovo paradigma, situato nella scoperta della riflessività come centro del pensiero metodologico” (Seale, 1999, p.160, traduzione mia). Da allora l’urgenza di esplicitare la posizione del ricercatore e le dimensioni relazionali e di potere tra i partecipanti alla ricerca ha generato una proliferazione delle “narrative del sé” che aprono a sempre nuove dimensioni interroganti circa le “distorsioni” che possono avere luogo nella formulazione della domanda di ricerca, nell’analisi dei dati, nelle rappresentazioni e, infine nella scrittura della ricerca (Reinharz, 1997). Impossibile provare a essere esaustiva poiché, anche solo prendendo in analisi gli ultimi trent’anni, si sono sviluppati processi di scrittura sempre più personali e stili innovativi. Ricercatori come Geertz (1988), ad esempio, hanno saputo creare testi auto-critici all’interno dei quali riconoscono esplicitamente che le conclusioni della loro ricerca sono parziali, “partigiane”. La riflessività è problematica perché ogni ricercatore in trova in un “punto

35 Il volume collettaneo intitolato: Writing culture: the poetics and politcs of ethnography segna un punto di svolta all’interno della letteratura antropologica. Gli autori si muovono attraverso le posizioni postmoderne mettendone in luce i dubbi metodologici e teorici, circa la costruzione “autoritaria” della conoscenza, e argomentando come le presunte “assunzioni di verità” – truth claims possano nascondere interessi politici.

77 cieco”, come ho mostrato nel paragrafo 2. Richardson sostiene che “l’auto-riflessività –

self-reflexivity36 rischia di non sottolineare abbastanza le complesse dinamiche politiche e ideologiche nascoste nella nostra scrittura” (Richardson, 1994, p.523, traduzione mia) e delle quali siamo solo in parte consapevoli. Edward M. Bruner, d’altra parte, evidenzia che il ricercatore “appare non come un singolo studioso creativo che fa delle scoperte, ma soprattutto come una materia corporea di pensieri che si dispiega in strutture narrative” (Bruner, E.M. 1986, p.150 traduzione mia). Potrei continuare a lungo, poiché nel variegato mondo della ricerca qualitativa un numero ampio di ricercatori affermano, in accordo con le loro premesse epistemologiche variamente definite, che il posizionamento nella ricerca necessita di un’esplicitazione e di una riflessione dinamica e di una messa in gioco del proprio “doppio cieco” (paragrafo 2). Il dibattito sulle pratiche riflessive è aperto, in continua evoluzione e presenta opportunità e sfide che i ricercatori affrontano seguendo deliberatamente itinerari differenti. La metafora del viaggio appare quindi molto convincente per descrivere le cinque vie delle riflessività individuate da Finlay (2003, pp. 105-119), che presento nei seguenti sotto paragrafi, ai quali aggiungerò, nella parte finale del capitolo, la mia idea di viaggio come deriva.

Nei seguenti cinque paragrafi, per ogni via proposta da Finlay offrirò la sua definizione e la mia interpretazione sia estetica (disegni) sia concettuale poiché la riflessività è intorno a noi, è nella relazione e nello scambio. Per questo motivo i disegni non solo un orpello estetico, ma rappresentano una modalità d’interazione dinamica con la teoria e costituiscono parte del processo di ricerca stesso. Come sostiene Dallari “il codice iconico offre allo sguardo uno spazio da esplorare in tutte le direzioni e le immagini hanno un compito narrativo non subalterno, ma complementare a quello della parola” (2012, p. 17). In questa chiave interpretativa le immagini intendono generare parole e riflessioni in chi le guarda, a partire dal ricercatore stesso che le ha create, e quindi possono stimolare costruzioni inedite di nessi e significati nuovi per la ricerca embodied in pedagogia. Il viaggio diviene così una deriva nel momento in cui accoglie nella metafora/immagine del cuore, utilizzata per dare forma alle cinque vie, la disponibilità e la curiosità del ricercatore nel lasciarsi guidare dalle percezioni, dalle emozioni e dai pensieri durante il processo di ricerca.

36 Nel paragrafo seguente sono presentate le principali differenze tra i concet ti di self, reflexivity e self-reflexivity.

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Nel documento PER/METTERE LE STORIE IN MOVIMENTO. (pagine 73-78)