• Non ci sono risultati.

Il positioning come metodo di ricerca: un’esperienza di formazione

Nel documento PER/METTERE LE STORIE IN MOVIMENTO. (pagine 123-128)

Scrivere e disegnare secondo il metodo auto-etnografico ha l’effetto di far fluire le narrazioni verso uno spazio di libertà creativa, generativa di senso e produttrice di consapevolezza (Ellis & Bochner, 2000). Per creare dinamicità e movimento nel modo di posizionarsi nella ricerca ho trovato utile trasformare in senso “per-form-at(t)ivo” una prassi clinica (usata nell’ambito della psicologia sistemico-relazionale) in una pratica57 di “consapevolezza di sé”. La pratica

57 La pratica del positioning è stata presentata da Guido Veronese, ricercatore in psicologia clinica e psicoterapeuta a indirizzo sistemico-relazionale, nel workshop “Costructivism and Eco -Systemic Epistemology” a cura di Formenti & Veronese, Erasmus Intensive Programme, Doctoral Studies in Research Methodologies, University of Eastern Finland in Joensuu (F), 5-19.06.2014.

124 del positioning da me sperimentata durante l’esperienza di dottorato è un esercizio metodologico utile ai ricercatori in formazione per riflettere sul proprio ruolo all’interno del dispositivo di ricerca.

Il termine positioning, come abbiamo visto nel paragrafo 2, nasce da riflessioni interne all’approccio sistemico-relazionale58. Rileggendo l’ultima lezione di Cecchin del 28 gennaio 2004 le sue parole risuonano assolutamente attuali e contengono risonanze che vanno al di là dell’ambito d’applicazione psicoterapeutica:

“[…] Von Foerster dice che l’essere umano non vuol dire niente, esiste il divenire dell’umano. (corsivi miei)

“[…] Il lavoro del terapeuta è cercare ciò che è sano, è cercare una storia che abbia un futuro, che preveda di essere felici piuttosto che infelici, di vivere piuttosto che di morire. Il successo in terapia è che la gente viva discretamente e continui nel suo ciclo evolutivo. Noi funzioniamo quando la famiglia passa dall’essere al divenire, quando inizia a muoversi, in quanto il movimento è segnale di sanità.” (trascrizione delle parole di Cecchin G. in Peruzzi, P., 2005, pp.27-29, corsivi miei)

Vorrei dunque sottolineare che positioning è un verbo di movimento e che Guido Veronese utilizza questo concetto per elaborare una teoria ecologica della diagnosi clinica59 che riprende, rielabora e espande gli studi - e il sapere incarnato nelle pratiche - del Centro Milanese di Terapia della Famiglia connettendoli con la teoria delle polarità semantiche familiari formulata da Valeria Ugazio (2012) e con la Positioning Theory di Davies & Harré (1990). Questa teoria propone una sostituzione del concetto di ruolo, categoria stabile e definita, con il processo di posizionamento (positioning), un processo dinamico, frutto dell'attività comunicativa degli individui, come già definito nel paragrafo 2. In breve, Davies

58 L’approccio sistemico relazionale si sviluppa In Italia presso il Centro Milanese di Terapia della Famiglia (C.M.T.F) a partire dalla fine degli anni Settanta, grazie agli studi sui sistemi familiari e agli sviluppi della teoria famigliare sistemica di Palazzoli, M.S., Boscolo, L., Cecchin, G.F., & Prata, G. (1975). Paradosso e Controparadosso. Milano: Feltrinelli e di Boscolo, L., Cecchin G.F., Hoffmann, L., Papp, P. (1987). Milan Systemic Family Therapy. New York: Basic Books; proseguiti poi a livello internazionale attraverso la collaborazione con il Family Therapy Program di Calgary e al Family Institute di Cardiff.

59 Veronese critica il pregiudizio lineare secondo cui la psicopatologia sarebbe la conseguenza lineare di una “fragilità” o “vulnerabilità” del bambino, in situazioni di violenza o guerra (Veronese & Castiglioni, 2013). Nella visione tradizionale il disagio nasce da un malfunzionamento o mal adattamen to dovuto a cause interne/esterne che impattano sui “soggetti fragili”. Veronese definisce tale visione “pre -giudizio di scientificità” che trascura le storie personali, le relazioni micro e macro sociali e le dimensioni del significato e propone invece una lettura sistemica nella quale l’identità individuale è fondata sull’intersoggettività e, nello specifico, il bambino risponde a un sistema di significati condiviso. La vulnerabilità infantile è un pregiudizio che trascura le abilità del bambino come attore sociale situato in un contesto di apprendimento, a cui risponde collocandosi in base a richieste, ruoli, e richieste dell’ambiente in cui vive (Veronese & Pepe, 2016).

125 e Harrè (1990) sostengono che i sé dei soggetti, durante una conversazione, "partecipano in

modo osservabile e soggettivamente coerente alla produzione congiunta di linee narrative"

(p. 48) e pongono l'attenzione sul rapporto tra comunicazione, contesto sociale, sé e identità. I soggetti creano, grazie alla conversazione, “posizioni interattive” in cui una persona ne posiziona un’altra o se stessa. In accordo con l’approccio sistemico relazionale, è possibile dimostrare che quando un individuo “soffre un disagio” probabilmente è anche bloccato in una posizione fissa. Il lavoro clinico consisterebbe allora nel creare conversazioni terapeutiche nelle quali i soggetti, attraverso il dialogo, possano scoprire nuove posizioni in quanto sarebbe proprio tale esperienza ad aprire al cambiamento.

Lasciando sullo sfondo la teoria e la pratica strettamente clinica in ambito psicologico, Veronese insegna agli studenti60 un esercizio per “vedere il proprio vedere” e interrogarsi sulle mappe e cornici che guidano l’osservare. La pratica di positioning è utilizzata per analizzare le caratteristiche personali del sé del ricercatore attraverso la costruzione di una scala dinamica dove queste caratteristiche occupavano posizioni diverse in relazione ai vari contesti personali e professionali dei quali il soggetto faceva parte. L’attività consiste in una ri-elaborazione dell’auto-caratterizzazione del costruttivista Kelly (1955) e si svolge nei seguenti passaggi:

a) Invito alla scrittura: “Scrivi una descrizione del tuo carattere, proprio come se tu fossi il personaggio principale di un film. Scrivilo come potrebbe scriverlo un amico (o una persona significativa per te) benevolo e che ti conosce molto intimamente, forse meglio di chiunque altro. Ricorda di scrivere in terza persona: per esempio comincia dicendo x è ...”;

b) Sottolinea nel racconto le parole che indicano gli aspetti del carattere;

c) Scrivi una lista di tali parole, una sopra l’altra;

d) Individua per ogni parola il suo opposto61 e scrivilo al termine della riga, in modo tale da individuare le polarità semantiche;

e) Crea una scala per ogni aspetto del carattere e il suo opposto:

60 Oltre al laboratorio citato nella nota precedente (4), la pratica del Positioning è stata sperimentata nei corsi di Scienze dell’Educazione, Dipartimento di Scienze Umane per la Formazione “Riccardo Massa” dell’Università degli Studi di Milano Bicocca.

61 Opposto non in senso logico, o di sinonimo/contrario, ma quello che spontaneamente e soggettivamente rimanda a un significato opposto.

126 es:

Riflessiva___________________________________________________Spontane a

f) Posiziona sulla scala te stesso e le persone significative della tua vita in questo momento (es. familiari, amici, ecc.)

g) Dialoga con i tuoi colleghi (in piccolo gruppo) su quanto accaduto e sulle scoperte fatte.

Il seguente frammento narrativo riporta alcuni passaggi critici dell’esperienza formativa al fine di metterne in luce le potenzialità trasformative per riconoscere le proprie abitudini di pensiero che hanno un effetto nelle conversazioni personali e professionali.

Vedere il proprio vedere – Frammento Narrativo 3

“Di chi è la voce? Oggi durante il laboratorio con Guido mi sono persa e ritrovata più volte. La consegna del suo esercizio chiedeva di descriverci in inglese in 3° persona, ma io non ci sono proprio riuscita. Pensare e scrivere in un’altra lingua richiede un distanziamento dalla propria storia personale per me nuovo, al quale dovevo aggiungere la difficoltà di descrivermi come se fossi una persona diversa da quella protagonista della mia stessa storia, cioè da me. Dopo un attimo di panico ho alzato la mano e ho chiesto a Guido di aiutarmi:

Guido: «Silvia tutto bene?»

Io: «No, veramente non riesco a usare la terza persona singolare. Ho in testa tante voci che parlano di me. Sono confusa!»

Guido: «Bene, sentiamo cosa dicono loro, allora. Scegli un’azione che compi in due contesti diversi e ascolta cosa vedono di te.»

Io: «Interessante. Ci provo, grazie.»

Azione: pensare – in famiglia Azione: pensare – in università Voice of father: Silvia thinks too much…So she

gets mixed up.

[Voce del padre: Silvia pensa troppo…E alla fine si confonde.]

Voice of colleague: Before she speaks, Silvia asks me my opinion.

[Voce del collega: Prima di parlare, Silvia mi chiede la mia opinione.]

(Estratto del Diario di Ricerca)

Il frammento narrativo mostra come la pratica del positioning abbia svolto un ruolo cruciale nello svelamento di alcune caratteristiche personali che sono presenti anche nel mio modo di fare ricerca. Il suggerimento di Veronese di descrivermi attraverso le voci di chi mi conosce ha reso evidente come una mia azione abituale di fare/farsi domande assuma qualità

127 dinamiche e sfumature diverse a seconda della voce di chi mi descrive e del contesto di riferimento. Le frasi in inglese inventate da me e la voce quindi è in realtà quella dell’autrice che si è immedesimata nel padre e poi in un collega. Attribuendo loro un’idea, ha rivelato una propria postura. In questo senso, assumere l’identità di un altro per ri-narrare la propria storia significa fare esperienza della tensione dialettica tra sguardi e voci diversi, una differenza che rimane tale, non si risolve in un concetto unitario e definitivo dell’identità.

In questo senso, la pratica descritta mostra come l’approccio sistemico porti nel pensiero pedagogico la possibilità di “vedere” le proprie idee e azioni attraverso la composizione di sguardi e voci differenti. Gregory Bateson sostiene infatti che “due descrizioni sono meglio di una” (1984, pp. 95-122). Quando parlo di “sguardo” non mi riferisco solo alla vista, poiché tutto il corpo, a partire dagli occhi e dalla voce, genera e connette informazioni diverse attraverso diversi canali sensoriali. Ciò giustifica la scelta di usare il termine postura, in alternativa a “sguardo” – caro alla tradizione sia sistemica che pedagogica (Formenti, 2014) – per identificare l’epistemologia in azione del ricercatore durante la sua attività di ricerca. La questione non è quindi solo imparare a pensare plurale per descrivere in modo esaustivo la complessità della realtà, ma costruire come ricercatori una nuova posizione, una cornice epistemologica. Nel moltiplicare i punti di vista aumentano le possibilità di sviluppare posizionamenti diversi all’interno di uno stesso contesto e di generare più ampie e profonde riflessioni e considerazioni. Questo esempio di pratica introduce il caso di studio che segue, dedicato alla costruzione di un metodo per “sentire per storie”. L’esercizio del positioning mi ha portato a sviluppare un tipo di ricerca pedagogica che nasce da una postura attiva del ricercatore, volta a propiziare conoscenze e apprendimenti incorporati e trasformativi (Mezirow, 2003).

Un’ultima considerazione riguarda la parzialità dello studio di caso che andrò a presentare. Come sostiene Dallari,

“il fatto che [quella] sia una parte […] non significa che quella parte non sia autentica, attendibile, anche se non assoluta. […] [Tutti] possiamo accedere, in mille modi e con mille alfabeti, a qualche pezzetto di verità da scoprire, da costruire, da condividere. […] [Allora] ci accorgiamo di come concezioni e opinioni differenti su qualcosa non parlano, spesso, di cose diverse né presentano interpretazioni diverse di una cosa, ma evidenziano aspetti diversi della cosa in oggetto.” (Dallari, 2008, p. 90-91).

128 Così, lo studio di caso, presentazione narrativa di una visione della realtà investigata, traduce una teoria su di essa e svela un paradigma di comprensione del testo e del contesto, così come del fenomeno, evento/oggetto di indagine; i contenuti di cui tratto sono, in fondo, una metafora che racconta l’educazione secondo le forme dello studio di caso.

Nel documento PER/METTERE LE STORIE IN MOVIMENTO. (pagine 123-128)