• Non ci sono risultati.

Pianificazione dell’itinerario del cammino: tra organizzazione delle tappe e

Nel documento PER/METTERE LE STORIE IN MOVIMENTO. (pagine 158-163)

Il presente paragrafo è costituito da due parti: nella prima sono descritte le tappe del cammino del caso di studio, ovvero l’ipotesi progettuale delle fasi del progetto e degli incontri sul campo, con un approfondimento sul contesto della ricerca, mentre nella seconda è presentata una valutazione iniziale dei rischi del percorso per il suo carattere fortemente innovativo e, come vedremo, altamente spiazzante.

Presa la decisione di allontanarmi dall’ambito dell’orientamento scolastico/professionale, ho ipotizzato di svolgere la ricerca in due comunità mamma-bambino che si collocavano in paesaggi differenti, nell’intenzione di interrogare in senso anche metaforico il tema del dis/orientamento, in accordo con le premesse teoriche che riconoscono il paesaggio come parte integrante dello spazio di vita e, allo stesso tempo, risultato della nostra azione al suo interno (Bollas, 2009; Lakoff & Johnson, 1980; Morelli, 2011). Il mio interesse, coerente con il metodo auto-etnografico, era teso a individuare un piccolo gruppo di donne che, in base all’intensità delle loro esperienze di vita, fossero disponibili a generare, insieme a me, intuizioni e riflessioni intorno al dis/orientamento come pratica di apprendimento esistenzia le.

159 Per individuare le due comunità ho seguito i seguenti due criteri:

- Il paesaggio, ovvero le due strutture dovevano essere situate in due paesaggi diversi - una in un centro cittadino, l’altra in un ambiente rurale o montano;

- L’opportunità, ovvero la rete dei contatti con colleghi più esperti ai quali mi sono rivolta per chiedere, come vedremo in seguito, suggerimenti utili al fine di pianificare l’itinerario del mio cammino e, soprattutto, valutarne i rischi.

Dunque, per la difficolta di avvicinamento diretto a donne che vivono in un contesto “coatto” e che si trovano in una condizione di (presunta) vulnerabilità sociale, mi sono affidata alla consulenza di due colleghi pedagogisti - uno con formazione e pratica a orientamento sistemico, l’altro responsabile dell’aria minori di una cooperativa sociale e giudice non togato del Tribunale per i Minorenni di Milano77 – ai quali ho chiesto di indicarmi due realtà educative che rispondessero al requisito paesaggistico e di farmi da collegamento per incontrare i referenti e coinvolgere i partecipanti. Insieme a loro ho iniziato a orientarmi all’interno delle norme giuridiche che regolano l’accesso alla comunità e ho quindi deciso di concentrare la mia ricerca verso due realtà educative che accogliessero madri con i propri figli - e/o gestanti anche minorenni – per ragioni di protezione dei bambini e di sostegno alla donna. Tale supporto, di tipo pedagogico e psicologico, è prevalentemente e prioritariamente diretto a fornire alle donne un aiuto nella relazione madre/figlio e un sostegno alla propria capacità genitoriale.

Quindi, come detto in precedenza, il caso di studio mirava ad addentrarsi in un territorio di conoscenza dei processi formativi, non scolastici, e la ricercatrice intendeva muoversi sul campo, in un paesaggio nel quale la vulnerabilità sociale fosse al centro. L’obiettivo era comprendere dall’interno l’esperienza che le donne stavano attraversando, in una tensione dialogica costante tra “empatia” ed “exotopia” (vedi capitolo 1 e incipit auto-entnografico del capitolo 4). Vista la complessità della situazione di vita delle donne, ho ritenuto non opportuno incontrarle senza prima avere riflettuto a fondo sulla natura e le implicazioni della mia proposta. Confrontarmi con gli esperti significava per me aumentare il livello di consapevolezza e auto-consapevolezza, in un’idea etica e auto-etica della riflessività come presenza (capitolo 2). Come racconterò in seguito, questa attenzione etica di “curiosità” e “non-invasività” della ricerca mi porterà a scoprire che spesso, per ragioni organizzative e

77 I colleghi sono rispettivamente il Dott. Andrea Prandin e il Dott. Luca Massari con i quali condivido l’esperienza del gruppo Grass – Laboratorio di sguardi e pratiche sistemiche in ambito educativo. Entrambi sono anche tra gli autori del testo Formenti, L. (2012) (a cura di). Re-inventare la famiglia. Guida teorico-pratica per i professionisti dell’educazione. Milano: Apogeo.

160 economiche, una comunità mamma-bambino accoglie contemporaneamente donne che provengono da situazioni molto diverse e che quindi hanno esigenze personali e di famiglia dissimili, se non contrastanti.

In questa fase di analisi del contesto, grazie alla consulenza con i colleghi e allo studio della normativa delle comunità, ho iniziato a riconoscere che mi muovevo in un territorio che assumeva i confini della regione Lombardia, poiché la normativa italiana78 ha negli anni sempre più demandato all’ambito locale gli interventi nelle situazioni più problematiche di crisi della famiglia e di tutela dei minori. Tale comprensione della realtà istituzionale ha informato la proposta progettuale e la stesura di un documento nel quale erano esplicitate le finalità della ricerca, le attività previste e la modalità di coinvolgimento delle partecipanti (allegato 2). Il documento era finalizzato alla presentazione e condivisione del progetto con le referenti delle comunità, e dunque era importante che fosse per loro chiaro e comprensibile nel loro contesto. Anche i colleghi pedagogisti si resero disponibili a leggere il documento da me redatto per donarmi feedback utili a costruire un posizionamento riflessivo nel nuovo campo di ricerca. La scrittura dell’ipotesi progettuale si rivelò utile per organizzare le tappe salienti delle attività che intendevo realizzare sul campo. Inoltre la preparazione del progetto fece emergere fin da subito la necessità di condividere con le partecipanti ogni tappa, coerentemente con la metodologia della cooperative inquiry. Tale pratica partecipativa e inclusiva, come racconterò nel paragrafo dedicato alle compagne di viaggio, permise alle donne di ingaggiarsi e di diventare critiche e riflessive rispetto al progetto stesso, e soprattutto di generare svolte impreviste. Ma andiamo con ordine e vediamo che cosa prevedeva l’organizzazione ipotetica iniziale. La bozza progettuale era costituita da sei parti:

- la domanda di ricerca,

- gli obiettivi,

- i soggetti partecipanti alla ricerca,

- i luoghi della ricerca,

- i tempi delle attività sul campo,

78 L. 328/2000 è legge quadro per la realizzazione del sistema integrato di interventi e servizi sociali. I requisiti strutturali e gestionali delle comunità mamma-bambino sono dettagliatamente esposti nel Bollettino Ufficiale della Regione Lombardia n. 14 del 8/04/2004 (Deliberazione della Giunta Regionale 15 marzo 2004, n. 41-1 2003).

161 - le modalità di documentazione.

Nel testo risultavano evidenti la richiesta di una “messa in gioco” delle partecipanti come ricercatrici, il tema del dis/orientamento, l’alternanza di esperienze di movimento corporeo e narrazione (dialoghi, conversazione e scrittura). Le tappe del viaggio, quattro incontri di gruppo e uno individuale facoltativo, da ripetersi per i gruppi delle due strutture, intendevano svolgersi sia negli spazi interni alla comunità sia all’esterno, per giocare con stimoli percettivi differenti grazie al movimento e alle interazioni con paesaggi e ambienti diversi.

Dopo aver redatto il documento incontrai separatamente i due colleghi per condividere con loro la mia ipotesi e valutarne insieme i rischi. L’incontro con i due colleghi e le conversazioni che ne sono nate sono state occasioni di generazione di dati indiretti sulle partecipanti e i contesti nelle quali le avrei incontrate; hanno inoltre permesso di costruire una rete di relazioni nella quale mi sono sentita sicura di rischiare e di mettermi in gioco in modo credibile come ricercatrice. L’invito a osare una “certa dose di faccia tosta” (Gerson e Horwitz, 2002) mi ha portato a mettermi in gioco con ironia durante la restituzione dei loro feedback.

Per riflettere sulle complessità e sul potenziale di conoscenza implicito nell’attività di pianificazione dell’itinerario di ricerca ho usato ancora una volta la scrittura auto-etnografica (frammento narrativo 4) alla quale seguirà l’analisi del testo, secondo la metodologia per-formativa di analisi interpretativa già presentata nel capitolo 3.

Sul campo con il sorriso – Frammento narrativo 4

Dietro il sorriso di una ballerina sul palcoscenico c’è un lavoro di preparazione intenso durato mesi e la paura di sbagliare.

Ho accarezzato il pavimento con i piedi mentre Andrea e Luca mi dicevano cosa pensavano del mio progetto. Nelle orecchie la voce dell’insegnante di danza che da piccola mi ripeteva: “Silvia qualsiasi cosa accada non rimanere immobile e sorridi”.

Ecco i passaggi significativi delle loro parole per come le ricordo perché ero troppo emozionata per riuscire a prendere appunti.

Luca: “Il tuo documento è molto chiaro. Si, forse andrebbe snellito un po', soprattutto nell'ultima parte. E servirebbero due versioni: una per le responsabili della comunità, una per le persone che parteciperanno.”

162 Luca: “I tempi della ricerca sono molto lunghi. non è detto che la persona individuata permanga in comunità nel periodo da te previsto. Come pensi di considerare questo aspetto?”

Andrea: “La proposta di pratiche corporee, per alcune mamme, potrebbe essere molto spiazzante se non impaurente. Anche questo da considerare molto bene e da allestire/preparare con g rande precisione chiarezza.”

Andrea: “Vivere in comunità residenziale significa attraversare una bufera di livelli ed eventi improvvisi che spesso anche molto velocemente cambiano il posizionamento delle persone nei confronti della loro esperienza in comunità. Tradotto in domanda: come farai a convincere a partecipare alcune persone quando improvvisamente saranno demotivate e non vorranno partecipare a nulla di ciò che viene loro proposto?”

(Estratto del Diario di Ricerca)

Il diario racconta l’esperienza della ricercatrice che muove i primi passi nel mondo della ricerca rievocando l’immagine dell’autrice bambina che impara come stare sul palcoscenico durante un saggio di danza. La metafora della danza rimanda chiaramente all’incipit auto-etnografico del capitolo dove la ricercatrice si muove e danza insieme a una giovane donna africana che l’avvicina e le insegna i passi di una danza a lei sconosciuta. Nel racconto Sul

campo con un sorriso l’autrice si mostra come centrata su di sé, ancora inconsapevole di

quello che significa uscire dall’imperativo individualista imparato dall’insegnante di danza: “qualsiasi cosa accada non rimanere immobile e sorridi”. Sono i colleghi, con le loro parole e le loro domande, a permetterle di lasciarsi guidare in un territorio dove azioni come

pianificare, organizzare, valutare risultano interessanti ma anche, nello stesso tempo,

autoreferenziali. Nel testo Luca e Andrea, infatti, invitano la ricercatrice a riflettere sul senso di ciò che avrebbe fatto e sui possibili rischi che stava per correre. Luca si concentra nell’individuazione di alcuni vincoli della vita in comunità ovvero i tempi di permanenza delle donne nelle strutture, Andrea invece fa emergere le implicazioni relazionali e i rischi insiti nell’idea di dare voce al corpo in una situazione e in un contesto fortemente connotati dall’imprevedibilità e da un’emotività ytravolgente.

Parlare apertamente dei rischi e dei possibili incidenti critici, in una relazione di fiducia con i colleghi, spostò la preoccupazione della ricercatrice dalla performance, centrata sul raggiungimento di obiettivi e risultati - nell’estratto narrativo il campo di ricerca diventa “il palcoscenico”, quasi che il ricercatore sia mosso più dal desiderio di rendersi visibile, che di conoscere – alla curiosità per un processo che non avrebbe in ogni modo potuto controllare. Le domande e le considerazioni generose di Luca e Andrea infatti fanno emergere, la portata

163 innovativa di un processo di co-costruzione del progetto, da intendersi come evoluzione e apprendimento per la ricercatrice, le partecipanti e il contesto. Ciò mi portò a inserire alcune modifiche nel testo da presentare ai referenti delle due comunità (allegato 2) e ad interrogarmi a fondo su come motivare la partecipazione delle donne ospiti e delle educatrici (vedi prossimi paragrafi).

Dopo la condivisione dei feedback, i due colleghi mi aiutarono a individuare due comunità ed effettuare un primo contatto telefonico con le coordinatrici; concentrai le mie energie nel trovare accorgimenti pratici per limitare le criticità individuate e usai il documento per presentare il progetto alle coordinatrici (vedi allegato 2 e la descrizione degli incontri nel prossimo paragrafo). Non preparai invece un secondo documento per le partecipanti (ipotesi di Luca) ma chiesi un incontro in presenza, di conoscenza e presentazione del progetto, con le educatrici e un altro con le donne ospiti (le motivazioni di questa scelta saranno esplicitate nel paragrafo dedicato alle compagne di viaggio). Decisi inoltre di approfondire, come spiegherò, anche la questione del codice etico e mi interrogai su come condividerlo in modo chiaro con i gruppi di lavoro.

Come ulteriore passaggio, finalizzato ad approfondire le implicazioni delle pratiche corporee che avrei utilizzato, chiesi un parere esterno a un antropologo esperto in ricerche a carattere corporeo79 che, come racconterò, mi invitò a continuare a pensare la ricerca come un processo aperto e imprevedibile. Infine, accettai di convivere con la sensazione spiazzante di non riuscire a prevedere “la bufera di livelli ed eventi improvvisi” che avrebbero potuto influenzare la motivazione delle partecipanti modificando il loro posizionamento (e il mio) nel caso di studio.

Nel documento PER/METTERE LE STORIE IN MOVIMENTO. (pagine 158-163)