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Il metodo come cammino: una scelta retorica, ma non solo

Nel documento PER/METTERE LE STORIE IN MOVIMENTO. (pagine 107-111)

Dopo aver mostrato l’imprescindibilità delle percezioni e delle azioni corporee nella ricerca pedagogica (capitolo 1) ed esplorato differenti vie e percorsi riflessivi per il ricercatore attraverso i quali lasciarsi guidare dalle azioni corporee nella ricerca qualitativa in pedagogia (capitolo 2), ci addentriamo in questo capitolo nelle scelte epistemologiche e metodologiche che hanno caratterizzato la ricerca sul campo (capitoli 3 e 4). Il capitolo si è aperto con il racconto auto-etnografico dell’esperienza di ricerca “Walk Ways” organizzata da alcuni ricercatori inglesi per esplorare, in ambito accademico, un posizionamento dinamico del ricercatore “in cammino” capace di “vedere” se stesso e il mondo in modo differente. Le

108 pagine seguenti vertono sulla riflessività dell’autrice nell’ambito della sua personale esperienza di ricercatrice e una dopo l’altra fanno la loro comparsa numerose domande aperte sul posizionamento dinamico del ricercatore nella ricerca, nate nel momento in cui l’autrice ha iniziato a indagare i propri oggetti di ricerca. Il capitolo si focalizza sulla narrazione e interpretazione di esperienze percettive complesse e culturalmente determinate, con l’obiettivo di fondare la legittimità di una ricerca che si vuole capace di mappare le modalità proprie del ricercatore di percepire le cose, proprio così come questi le percepisce singolarmente. In altre parole, si intende indagare se e come sia possibile costruire un metodo che approfondisca la comprensione del corpo come soggetto di produzione di senso (Gamelli, 2016), attraverso la consapevolezza del movimento e delle percezioni corporee (Feldenkrais, 1991), nelle pratiche riflessive e critiche (Gardner, 2014) proprie della ricerca qualitativa e interpretativa (Denzin, 2013).

Nella prima parte del capitolo è presentato e argomentato il posizionamento epistemologico dell’autrice e viene descritto il processo di costruzione di un metodo di ricerca che si inserisce nel filone dell’analisi interpretativa nella ricerca qualitativa: un approccio che considera l’incertezza, l’imprevisto e il mistero come insiti nel processo stesso del ricercare. Nella seconda parte il lavoro presenta uno studio di caso che, a partire dall’analisi di una lettera motivazionale, costruisce un metodo di analisi e interpretazione dei dati di ricerca a carattere performativo embodied ed enacted (capitolo 1). La creazione del metodo di ricerca si intreccia, come vedremo lungo il cammino di tutto il capitolo, con una riflessione profonda sulla domanda di ricerca della ricercatrice che si lascia guidare dalla deriva riflessiva (capitolo 2). La domanda di ricerca sarà interrogata tanto da modificarsi lungo il percorso e si muoverà dal dis/orientamento51 in ambito universitario a una dimensione esistenziale che si allontana, come vedremo, dai soliti percorsi tracciati nel campo dell’educazione degli adulti. In sintesi, il capitolo presenta l’uso della Spirale proposta da Formenti (2009) come metodo di analisi del testo di una studentessa adulta, per esplorare le molteplici pieghe della trasformazione come esperienza, nei suoi aspetti più sensibili e percettivi. È proprio su queste dimensioni opache,

51 Lo slash. è qui usata in linea di continuità con la proposta di Laura Formenti (2016) che, in un articolo dedicato al tema dell’insegnare a vivere, mostra come orientamento e disorientamento sono polarità onnipresenti nelle azioni umane oltre che nei processi educativi. La parola dis/orientamento può significare dunque, contemporaneamente almeno tre differenti movimenti presenti nei processi d’apprendimento: l’orientamento, il disorientamento e la fase che potremmo definire di “disorientamento orientante” o di “orientamento disorientante”. Per Formenti, infatti, il mondo è generato dalle interazioni umane con l’ambiente e i significati sono creati e tracciati grazie alle relazioni prodotte dalle esperienze corporee. La vita è quindi fatta di stabilità e d’instabilità e ogni vita umana si crea attraverso un cammino dinamico tra queste due polatità. Tornerò in seguito sul tema del dis/orientamento come momento sacro, in chiave ecologica e laica, per i processi d’apprendimento.

109 sfuggenti e sorprendenti che rifletterò attraverso la pratica del metodo. Lo studio di caso diventerà quindi il pretesto per costruire un metodo di ricerca performativa e incorporata attraverso la composizione originale del modello metodologico di Formenti (2009) con l’inter-vista in profondità auto/biografica (West, 2006, 2012) e l’idea sistemica della “curiosità” come postura (Cecchin, 1987, 2003).

Si tratta di una mossa consapevole, e allo stesso tempo irriverente (Cecchin, 2003), verso un modo di fare ricerca che indaga dall’interno i processi d’indagine al fine di metterne a nudo la natura formativa, multiforme e multidimensionale e di offrire una riflessione sui processi di apprendimento che si realizzano attraverso l’esperienza del ricercatore. Ogni esperienza viene qui presentata come un “metaracconto” che può essere letto ribaltando punti di vista e piani temporali e spaziali; la metafora guida è il cammino, che affiora tra le pagine attraverso l’uso di differenti registri narrativi. L’autrice gioca, con la scrittura e con i lettori, il gioco serio della letteratura postmoderna, in cui traspare il forte influsso delle opere di Calvino, in particolare Se una notte d’inverno un viaggiatore (1979), che offre ai lettori una riflessione semi-seria sulla possibilità/impossibilità di giungere a una sola versione della realtà seguendo la via riflessiva della “decostruzione ironica” (capitolo 2, paragrafo 3.6). Quindi, in assenza di un referente esterno affidabile e di una realtà unica e conoscibile, il racconto in chiave autoriflessiva dell’esperienza di ricerca sul campo (vedi i frammenti narrativi disseminati nel testo) e l’interrogazione sul suo significato, invitano il lettore a entrare nel processo riflessivo attraverso una serie di cambi di punti di vista che riprendono la via della riflessività come “critica sociale” (capitolo 2, paragrafo 3.5).

L’auto-riflessione diviene così una pratica di “attesa dubitativa” propria del pensare (Dewey, 1973, p.168), presentandosi come costruzione di spazi inediti di esperienza, radicati in un posizionamento corporeo di interrogazione costante. L’esperienza sul campo e il caso di studio sono narrati in prima persona, mentre le riflessioni sulla formazione e sulla ricerca hanno come soggetti “l’autrice” e la “comunità di ricerca”, con l’obiettivo di creare una sensazione di dinamicità generata dallo straniamento e dalla relazione intersoggettiva tra “identità” e “alterità” così come viene espressa nel termine Indent-alter-ity. Il titolo dell’introduzione autoetnografica Indent-alter-ity, but still in one place riprende il titolo della “5th Biennale of Contemporary Art” di Tessalonica, GR, anno 2015 (http://www.biennialfoundation.org) poiché le performance d’arte contemporanea (Clover & Sanford, 2016; Hooper-Greenhill, 1992, 2007) in modo analogo ai metodi narrativi e biografici, hanno il potere di gettare luce sui significati individuali e collettivi, in uno sguardo intrasoggettivo aperto alla dinamicità della relazione intersoggettiva.

110 L’immagine del cammino attraversa tutto il testo poiché il tema del movimento nello spazio connota non solo l’esperienza formativa e di ricerca, ma, secondo la tesi qui proposta, anche la dimensione riflessiva in pedagogia52, in quanto esperienza di un percorso esistenziale, relazionale, intellettuale e affettivo che conduce ciascuno a diventare quello che è (Madera, 2012). Rappresentare l’esperienza profondamente umana del divenire con la metafora del cammino permette di identificare e di ingrandire momenti di svolte, arresti, ritorni, ecc. anche esistenziali, come vedremo anche nel capitolo 4, che vengono qui interpretati secondo il paradigma della complessità tra “ordine” e “disordine” (Morin, 1974) in una concezione dell’esistere come divenire (Morin, 2015). La mia visione, come già esplicitato nei precedenti capitoli, è sistemica ed essere in cammino significa quindi riposizionarsi continuamente rispetto alla realtà che mi circonda e che contribuisco a creare muovendomi attraverso di essa. Dalla mia prospettiva, infatti, meta-odos è “vedere” la strada che sto percorrendo e camminare è crearla attraverso l’azione del mio corpo in movimento (Formenti et al., 2015a), o in altre parole, come raccontato nella poesia Caminante no hay camino (Viaggiatore non c’è cammino) di Antonio Machado (2010): “Caminante non c’è un sentiero / il sentiero si fa camminando”. L’autenticità del metodo come cammino risiede nella consapevolezza del ricercatore della realtà processuale dell’esistere, un’intuizione che richiede alla pedagogia odierna di immaginare la formazione come creazione di percorsi dinamici di accompagnamento dei soggetti nel “comporre una vita” – riprendendo qui il titolo di un’opera di M.C. Bateson (1992). In questo senso il cammino suggerisce una forma di conoscenza nella quale le singole fasi della vita di ciascuno non sono comprensibili in sé e richiedono un contatto con l’inatteso e una riflessione capace di una meta-riflessione ovvero di integrare l’osservatore nella sua riflessione (capitolo 2, paragrafo 2). Questa visione avvicina un approccio trasformativo alla ricerca biografica, nel più ampio panorama della ricerca qualitativa, il che significa per il ricercatore in pedagogia guardare alle storie di vita e alla realtà sociale e culturale non con disperazione, ma con la fiducia in nuove potenzialità, con la consapevolezza che la vita umana non è qualcosa di dato, di fissato, ma la creazione di un divenire sempre ambivalente (Morin, 2015). Il futuro possibile verso il quale ci dirigiamo è ancora una meta incerta (Morin, 2001). La ricerca quindi, come sottolineato più volte nei

52 La metafora del cammino è stata proposta in ambito pedagogico sia in chiave esistenziale sia secondo prospettiva fenomenologica. Per una sintesi di tali proposte suggerisco i testi di Demetrio, D. (2006). Filosofia del camminare. Milano: Raffaello Cortina, e di Augelli, A. (2013). In Itinere. Per una pedagogia dell’erranza . Lecce: Pensa MultiMedia.

111 capitoli precedenti, è in sé un processo di apprendimento grazie al quale il ricercatore si interroga sulla propria identità in continua trasformazione (Merrill, West, 2012).

Nel prossimo paragrafo dedicherò un approfondimento auto/biografico alle radici biografiche della mia scelta epistemologica e metodologica per lo studio di caso che affronterò nella seconda parte di questo capitolo.

Nel documento PER/METTERE LE STORIE IN MOVIMENTO. (pagine 107-111)