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L’innovazione delle ZES dal punto di vista della sostenibilità sociale

Non si può parlare delle conseguenze sociali delle ZES senza associarle ad un fenomeno di genere. Le donne infatti costituiscono il 50% della manodopera impiegata nelle Zone Economiche Speciali cinesi, in alcuni casi tale percentuale aumenta fino al 90%. Per questo motivo l’industrializzazione delle ZES ha fatto emergere il fenomeno della femminizzazione del lavoro. L’impiego della manodopera femminile è dovuto alla promozione dell’industria leggera nel periodo compreso tra il 1960 e il 1970: l’industria tessile, quella della lavorazione del cuoio e delle calzature fecero aumentare la domanda di lavoro femminile nel Sud-est asiatico, nell’America Latina e nell’Europa orientale. Il fenomeno di femminizzazione del lavoro assunse così dimensioni globali.

Le donne fornivano manodopera a basso costo ed essendo più abili e più precise nei lavori manuali, venivano preferite rispetto ai lavoratori uomini, soprattutto per l’attitudine improntata alla sottomissione e alla docilità, ritenute qualità vantaggiose per il lavoro manifatturiero intensivo. La femminizzazione della produzione nelle ZES è associata alla convenienza economica derivante dalla forbice retributiva che differenzia lo stipendio degli

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uomini da quello delle donne; ciò ha aumentato la competizione internazionale delle Zone Economiche Speciali facendo leva su stereotipi di genere che hanno consentito la segmentazione occupazionale in base al sesso. Il sistema di lavoro nelle fabbriche presenta ancora standard retributivi al di sotto della media occidentale, riflettendo così la differenza tra campagna e città e soprattutto causando un’assunzione massiccia di giovani donne lavoratrici dalle campagne. In seguito a tensioni sociali molto forti e soprattutto alla crisi globale economica e finanziaria del 2008, il governo centrale sta adottando riforme per stabilizzare le politiche sul lavoro. Cambiamenti significativi sono avvenuti in questi anni promuovendo campagne pubblicitarie a favore della responsabilità sociale e corporativa, in unione al rispetto delle leggi sul lavoro e all’accettazione limitata dell’attività sindacale, simbolo del tentativo di emancipazione dei lavoratori cinesi. Questo fenomeno sociale è legato anche all’evoluzione globale della catena del valore, sempre più internazionalizzata e frammentata. Un cambiamento di rotta sarà possibile quando le ZES diventeranno basi economiche focalizzate sul turismo e orientate a servizi high-tech, finanziari e logistici. Questa predilezione per l’industria IT favorirà allo stesso tempo la specializzazione di una manodopera più qualificata. Altri fattori che potrebbero promuovere questo cambiamento sono l’industrial upgrading e fattori ciclici, quali le recessioni economiche e fenomeni di outsourcing. Secondo Tejani e Milberg1, la defeminizzazione del lavoro nel Sud-est asiatico e la contemporanea femminizzazione del lavoro in America Latina, nel periodo compreso dal 1985 al 2006, è dovuta alla delocalizzazione produttiva delle multinazionali e a cambiamenti nello stanziamento di fondi capitali.

Un’altra problematica con cui le ZES si devono confrontare riguarda l’assunzione di lavoratori interinali, adatti ad una struttura di lavoro flessibile capace di rispondere a cambiamenti della domanda di mercato. Ci sono due gruppi a cui tali lavoratori possono appartenere: al primo gruppo fanno parte gli operai specializzati che provengono da altre regioni interne della Cina, nel secondo rientra invece la cosiddetta “popolazione fluttuante”, costituita da contadini che si trasferiscono nelle città in cerca di condizioni di vita e di lavoro migliori rispetto alle campagne.

Negli anni successivi al 1980 si riscontrò una crescita vertiginosa del numero di lavoratori provvisori, solo nel 1982 se ne contavano 80.000. L’alto grado di segmentazione del lavoro

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Sheba TEJANI, William MILBERG, Global Defeminization? Industrial Upgrading, Occupational

Segmentation and Manufacturing Employment in Middle-Income Countries, Schwartz Center for Economic

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manteneva basso il livello di competenza per la maggior parte di essi. Il principale obiettivo economico era quello di cambiare frequentemente la configurazione dei processi produttivi, come in una sorta di catena di montaggio. I lavoratori cinesi, nelle suddette aree, non dovevano avere alcun tipo di requisito dal punto di vista dell’esperienza lavorativa. Il regime di assunzione della manovalanza era mantenuto piuttosto basso: nella zona del Pearl River Delta un salario medio tra il 2002 e il 2004 era compreso tra i 500 e gli 800 Renminbi (circa 60-100 USD), inclusi gli straordinari. Lo stipendio mensile di lavoratori non specializzati o semi-specializzati si avvicinava al minimo legale fissato dai governi locali. Solo in seguito ad un calo del lavoro nell’area durante il 2005 e il 2006 vennero aumentati gli stipendi mensili a 800 RMB nella maggior parte delle località. Nella città di Suzhou gli stipendi si aggiravano intorno ai 1200-1500 RMB (150-185 USD nel 2005). Nella vicina Kunshan, la città dominata dalle imprese taiwanesi, il salario medio non superava gli 800-1000 RMB. Il lavoratore che era in grado di percepire il salario più alto raggiungeva i 1200-1500 RMB al mese. Sicuramente gli stipendi dei lavoratori specializzati e degli ingegneri erano più alti, senza tuttavia allinearsi agli standard internazionali. Basti pensare che gli ingegneri appena laureati nelle università più prestigiose venivano assunti dalle maggiori imprese manifatturiere a 2000 RMB al mese. Ciononostante la retribuzione aumentava all’aumentare dell’esperienza. Tra il 2004 ed il 2008 il salario minimo venne aumentato del 20% e il governo centrale si impegnò a migliorare le condizioni di vita dei lavoratori migranti. Tuttavia molte volte le imprese contravvenivano a tale regola. Oltre alla remunerazione salariale esse fornivano vitto, alloggio e servizi ricreativi all’interno delle aree industriali, spesso appena sufficienti a far fronte alle spese basiche di vita di un lavoratore.

Nella fase iniziale di sviluppo delle ZES, il lavoro dipendente era remunerato con salari fissati dallo Stato secondo il sistema della cosiddetta “ciotola di riso di ferro”, i quali non erano soggetti ad aumento. Le imprese estere invece, stimolavano lo spirito di iniziativa degli operai con aumenti salariali, favorendo così l’incremento della produttività. Successivamente i governi locali stanziarono investimenti sempre più ingenti per l’educazione e la preparazione pratica della forza lavoro, al fine di formare il capitale umano, fonte di guadagno per rendere le ZES sempre più competitive. Ad esempio, Shenzhen nel 1990 forniva tre mesi di apprendistato ai propri impiegati per approfondire la loro formazione in più di 80 istituti educativi per adulti.

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Una delle novità introdotte dalle ZES fu la concessione dell’indennità di fine rapporto che veniva corrisposta ai lavoratori licenziati sulla base dell’anzianità di servizio maturata nell’azienda. Un elemento mancante da introdurre in futuro riguarda la concessione di assicurazioni per gli infortuni, le malattie e per la perdita del posto di lavoro.

Molte volte ci si riferisce al regime lavorativo cinese come ad un regime caratterizzato da un “dispotismo disorganizzato”1

. Questo concetto fa riferimento alle aperte o tacite alleanze tra il governo locale, il Partito Comunista e le imprese operanti sul territorio per il raggiungimento di interessi congiunti, basati sulla volontà di mantenere un vuoto legale per favorire l’avanzamento capitalista dell’economia nazionale. Il mercato del lavoro deve essere rivalutato, poiché la debolezza dei diritti collettivi determina un aumento delle pratiche di contrattazione informale, anche in quelle zone in cui è presente un sindacato ufficiale.

La Legge sui Contratti di Lavoro promulgata nel 2008 è stata ottenuta a seguito di numerose proteste contro licenziamenti ingiusti causati dalla crisi economica globale di quell’anno. A causa di condizioni lavorative stressanti, gli infortuni sul lavoro erano frequenti. Uno dei casi più allarmanti venuti alla ribalta nei media internazionali è stato quello dell’impresa Foxconn a Shenzhen. Nel giugno del 2009, molti dipendenti dell’azienda si suicidarono per le condizioni di lavoro disumane. Fu proprio a seguito di questa tragedia che l’impresa dovette allinearsi alla Legge sui Contratti di Lavoro, migliorandone il grado di effettività e fondando un sindacato ufficiale all’interno dell’azienda. Oltre a ciò la Foxconn dovette adeguarsi anche al rispetto del limite di 60 ore settimanali imposto a livello internazionale. E’ pur vero che, la maggior parte delle volte, i sindacati esercitano un potere di facciata in quanto sono deboli e totalmente controllati dalle imprese. Tali forme organizzative sono fittizie e non assolvono al loro dovere di rappresentanza dei lavoratori, infatti sono per lo più utilizzate per far tacere le polemiche.

Il prossimo obiettivo della Cina sarà concedere i diritti di base ai lavoratori (compreso il diritto alla libertà di associazione), i quali possono diventare così “veri cittadini dell’impresa”. Vista l’ostilità dei sindacati sulla tematica delle discriminazioni di genere, sarà necessaria una modifica culturale dando voce alle donne. Le leggi sul lavoro a livello nazionale devono inoltre allinearsi ai parametri definiti dalla comunità internazionale.

1 Ching Kwan LEE, From the Specter of Mao to the Spirit of the Law: Labor Insurgency in China, Theory and

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La forza lavoro nei parchi industriali è abbastanza diversificata e comprende lavoratori diretti e lavoratori indiretti. Nella prima categoria entrano a far parte gli operai, impiegati in operazioni di assemblaggio, manutenzione, inventario ed altri compiti manuali legati alla sfera manifatturiera. La stragrande maggioranza di questi lavoratori vengono reclutati dal governo o da agenzie private sparse nelle province interne del Sichuan, Hunan, Jiangxi, Henan e Yunnan. I lavoratori indiretti comprendono invece ingegneri, personale amministrativo e addetto alle vendite. In questo gruppo rientrano anche supervisori e tecnici. La differenza tra lavoratori stranieri e cinesi è lampante: i primi possono ottenere la residenza permanente senza molti problemi ed occupare posizioni di prestigio, mentre ai lavoratori cinesi destinati alla filiera produttiva veniva vietato di trasferire il loro hùkǒu (户口) dalla campagna alla città, anche dopo diversi anni di impiego. Nella provincia meridionale del Guangdong, vengono assunti quasi esclusivamente lavoratori migranti. Nel Parco Industriale di Suzhou (SIP) i lavoratori migranti costituiscono solamente il 10% della manovalanza impiegata nei processi produttivi e contrariamente ad altre zone, non viene dato loro alloggio, se non sotto forma di camere che possono essere affittate nei dormitori della compagnia. Un’altra caratteristica fondamentale del regime lavorativo dei cluster industriali si riflette in un mercato del lavoro flessibile, con frequente cambio del personale. Tra il 2003 ed il 2005 il turnover più basso risaliva al 25% della forza lavoro annuale, il 30-40% può essere considerato il tasso a livelli standard.

Per quanto riguarda la formazione dei lavoratori, studi accademici rivelano che nel Delta del Fiume delle Perle1 essi hanno un livello educativo più alto rispetto a quello dei lavoratori migranti o della “popolazione fluttuante”. Circa i due terzi dei lavoratori nelle zone costiere si è diplomato ricevendo nove anni di educazione scolastica, mentre un numero limitato di essi dispone di certificazioni di grado più alto. La formazione della forza lavoro nei parchi industriali è migliorata offrendo corsi basati su video conferenze e sulla possibilità di seguire lezioni su Internet. In Cina questi programmi vengono sviluppati dalle università delle compagnie che lavorano nella zona, consentendo così l’avanzamento professionale e il lancio di carriere internazionali.

Anche dal punto di vista istituzionale il sistema legislativo a tutela del lavoro dipendente è migliorato. Nei cluster industriali delle zone costiere e nelle export processing zones le leggi non vengono pienamente rispettate per offrire un regime lavorativo che, non essendo

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controllato, è più competitivo a livello internazionale. Recentemente l’associazione governativa All China Federation Off Trade Unions (ACFTU) si è inserita nel Delta del Fiume delle Perle e questo è un segnale importante, in quanto testimonia il fatto che i sindacati sono in via di definizione. Fino al 2006 non era stato messo in atto nessuno sforzo per fondare organizzazioni sindacali a tutela dei lavoratori, né da parte degli investitori stranieri né da parte di quelli cinesi. Tuttavia dato l’elevato numero di scioperi e cause legali sulle violazioni delle leggi sul lavoro, le organizzazioni non governative cinesi si stanno impegnando attivamente sul tema.

Ciò che caratterizza i parchi industriali cinesi e occidentali è anche il paternalismo con cui le imprese offrono al lavoratore una serie di infrastrutture ricreative e di attività, come club, caffetterie, negozi o ristoranti fast food. La vita del lavoratore viene resa più piacevole e nell’obiettivo di trasmettere i “valori della compagnia”, il complesso industriale viene dotato di centri benessere, teatri, cinema, sale giochi ed internet point. Con questo sistema le imprese cercano di creare una sorta di identificazione sociale del lavoratore nell’impresa, il quale si convincerà di dover accettare il basso salario e condizioni di lavoro poco dignitose, sacrificando i propri diritti e la possibilità di ascesa sociale e professionale.

La fondazione di parchi eco-industriali1 influisce sulla qualità della vita lavorativa, poiché le condizioni sociali del lavoro industriale sono strettamente correlate all’edificio-fabbrica e al modo in cui l’utente percepisce l’ambiente in cui lavora per gran parte della giornata. A questo proposito, per favorire la sostenibilità sociale, l’area industriale deve essere rinnovata in modo che sia perfettamente integrata al contesto paesaggistico ed ecologico; deve essere qualificata dal punto di vista architettonico-ambientale e adattabile al mutamento delle esigenze; deve offrire inoltre ambienti sani e confortevoli per aumentarne la vivibilità. Oltre ad opere di riqualificazione ambientale dell’area, è necessario investire maggiormente nella formazione del personale a scopo di aumentarne le competenze, il livello di inquadramento e la retribuzione. Dotare il parco industriale di alcuni servizi essenziali come un centro per bambini, una farmacia, una banca riduce il bisogno di mobilità del lavoratore e ne aumenta il grado di soddisfazione, favorendone l’integrazione sociale. Al fine di attuare un miglioramento logistico, i lavoratori devono essere dotati di motorini elettrici e biciclette, mentre il trasporto collettivo deve essere rinforzato utilizzando autobus e taxi a ricarica fotovoltaica o a gas naturale compresso. Le aree verdi degradate devono essere rinverdite per

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perseguire l’integrazione ecologica degli impianti, attraverso la piantumazione di alberatura di varia grandezza, che consente la regolazione microclimatica degli spazi. Le aree libere devono essere rinaturalizzate seminando specie autoctone e creando ove possibile tetti giardino, mentre la zona abitativa deve essere dotata di “filtri verdi” per minimizzare l’inquinamento acustico e luminoso. Tutte queste migliorie aumenteranno la qualificazione sociale delle aree eco-industriali.

Il successo futuro delle ZES dipenderà dallo sviluppo di una forza lavoro preparata e questo concerne anche il rinnovamento del sistema educativo nazionale. Nel 1968 il 57% della forza lavoro di Taiwan disponeva di una preparazione scolastica di base, ma già nel 1990, l’87% degli operai aveva conseguito un livello di istruzione superiore rispetto alla licenza elementare. Anche in termini di genere, la situazione era drammatica: nel 1970, solo il 20% delle donne impiegate nelle ZES aveva conseguito la licenza media superiore, mentre oggi la percentuale si è innalzata al 95%. Questo processo formativo aumenta gli investimenti esteri nel settore dell’alta tecnologia, che necessita l’assunzione di personale specializzato.

2.8 La cultura tradizionale cinese: alle origini del concetto di “società