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La Cina ed il tema della sostenibilità ambientale

La Cina sta avanzando lungo un percorso minato dalla scarsità delle risorse presenti in natura. Con la crescita sregolata della ricchezza, la Cina ha imboccato la via del non ritorno. Per questo motivo, promuovere lo sviluppo sostenibile attraverso incentivi adeguatamente ripartiti è diventato un imperativo a cui non ci si può più sottrarre.

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Ernst, DIETER, Barry, Naughton, “China’s Emerging Industrial Economy: Insights from the IT industry”. In

China’s Emergent Political Economy: Capitalism in the Dragon’s Lair, London, Christopher A. McNally,

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Timothy J. STURGEON, Richard K. LESTER, Upgrading East Asian Industries: New Challenges for Local

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Gli Stati non possono continuare a svilupparsi utilizzando combustibili fossili ed emettendo gas serra. La Cina in particolare, è fra i primi produttori di biossido di carbonio, tanto che nel 2000 il volume delle emissioni costituiva il 13% del totale mondiale (secondo solo agli Stati Uniti). Per non aumentare ulteriormente la temperatura globale di 2°C è necessario ridurre drasticamente le emissioni inquinanti, ma questo sarà possibile solo con la partecipazione congiunta di tutti gli Stati. Secondo il principio enunciato nell’articolo 3 della Convenzione delle Nazioni Unite sul Cambiamento Climatico, tutte le nazioni devono cooperare nel tentativo di combattere il surriscaldamento del pianeta secondo “responsabilità comuni ma differenziate e secondo le rispettive capacità”. L’Accordo di Copenaghen - risultato del Summit sul Cambiamento Climatico a cui parteciparono più di 100 paesi - dichiara nell’Articolo 5 che anche gli Stati in via di sviluppo sono chiamati ad attuare adeguate misure di riduzione dell’impatto ambientale, rendendo conto pubblicamente delle loro azioni. L’Articolo 2 del medesimo accordo ribadisce la profonda relazione esistente tra l’estirpazione della povertà a livello mondiale e lo sviluppo socio-economico sostenibile. Tuttavia il passaggio ad un’economia verde a basso tasso di carbonio non deve compromettere la competitività economica, piuttosto garantirne il perseguimento a lungo termine nel rispetto dell’ambiente.

Data l’urgenza del tema, anche le Zone Economiche Speciali sono chiamate a contribuire alla sostenibilità ambientale e alla mitigazione dei gas serra. I governi si stanno già impegnando a definire nuove politiche d’implementazione delle zone verdi e dei parchi eco-industriali, come sta succedendo non solo in Cina, ma anche in India, Tailandia e Repubblica di Corea. Quando si parla di parchi eco-industriali, è come se si stesse parlando allo stesso tempo di Pollution Control Zones e di Low-carbon Zones. La Pollution Control Zone detta anche Environment Compliance Zone rappresenta il primo stadio di sviluppo di zone verdi focalizzate sulla ricerca di misure per il controllo dell’inquinamento atmosferico. Tra i progetti per la salvaguardia ambientale più efficaci si cita la creazione di servizi centralizzati per il trattamento delle acque reflue, la costruzione di impianti per la raccolta differenziata dei rifiuti tossici ed il loro smaltimento, la definizione di programmi di training manageriale volti alla sensibilizzazione ambientale del personale specializzato. L’International Organization for Standardization (ISO) e l’Environmental Management System (EMS) costituiscono le due istituzioni di prim’ordine per la gestione ambientale.

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Contrariamente alle Pollution Control Zones, i parchi eco-industriali rispondono a problematiche ambientali più complesse, puntando alla gestione integrata di risorse ed energia per ridurre l’impatto ambientale. Il riutilizzo ed il riciclaggio delle risorse è il principio fondamentale per creare cluster di industrie ecologiche concatenate, in cui tutti i materiali sono riutilizzati in molteplici processi produttivi.

Le ZES verdi low-carbon sono il mezzo più avanzato d’implementazione dello sviluppo sostenibile esistente. Le ZES di questo tipo non cercano solamente di ridurre le emissioni di carbonio, ma modificano effettivamente le proprie attività economiche ed industriali per contrastare il surriscaldamento globale. Oltre a ciò, le ZES verdi implementano metodi produttivi finalizzati al risparmio energetico utilizzando fonti di energia rinnovabile. La costruzione degli edifici avviene nel rispetto di parametri verdi, mentre vengono promossi gli investimenti climate-friendly e lo spiegamento della tecnologia pulita R&D. Le ZES verdi svolgono il ruolo di catalizzatori economici adottando misure sostenibili che, una volta sperimentate, possano essere adottate a livello nazionale. Fino ad ora l’espansione industriale delle ZES è stata possibile seguendo un modello di sviluppo obsoleto ad alta emissione di carbonio; sarà proprio la volontà di realizzare ZES verdi a dare impulso allo sviluppo low- carbon nei paesi meno sviluppati.

La costruzione di una ZES low-carbon richiede i seguenti accorgimenti tecnici:  Definizione del target di riduzione dei gas serra

L’obiettivo è ridurre le emissioni inquinanti del 30% entro il 2020, aumentando la produzione di energia rinnovabile del 15%. A questo proposito, si deve ricorrere a strumenti di contabilità specifici che, a partire da livelli base di gas serra, consentono di monitorarne le quote di emissione, misurando il loro potenziale di riduzione in ogni settore industriale.

 Costruzione di un’infrastruttura sostenibile

La pianificazione e la costruzione di infrastrutture verdi orientate al risparmio energetico e al riutilizzo degli scarti consente di ridurre notevolmente la quantità di carbonio presente nell’atmosfera.

 Stanziamento di investimenti eco-friendly

È necessario delineare un quadro legislativo semplificato, efficiente e a basso rischio da integrare a quello nazionale, per attrarre nuovi investimenti climate-friendly e sviluppare tecnologie verdi all’avanguardia.

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 Attuazione di politiche low-carbon

Tra le politiche più efficaci si evidenzia l’eliminazione all’entrata e all’uscita delle barriere commerciali e non commerciali sui prodotti climate-friendly, l’istituzione di standard architettonici verdi e la definizione di leggi finalizzate al risparmio energetico. Ciò consentirebbe di introdurre un sistema tariffario innovativo, basato su un portfolio di standard rinnovabili volti all’efficienza energetica aumentando il supporto alle attività R&D. L’imposizione fiscale sugli investimenti verdi ad alta tecnologia deve essere ridotta al minimo, mentre per promuovere le attività di ricerca e sviluppo è necessario regolamentare il diritto alla proprietà intellettuale, poiché quest’ultimo costituisce l’unico strumento di tutela dell’inventiva e dell’ingegno umani.

 Fondazione del mercato del carbonio

La produzione di energia pulita attrarrà nuovi finanziamenti per la fondazione di ZES verdi, tanto nei paesi a basso reddito come in quelli a reddito più alto.

Per implementare la strategia di sviluppo low-carbon, inizialmente bisogna definire l’arco temporale di riferimento per lo studio delle emissioni, che può essere a breve termine (due, tre anni), a medio termine (2020) o a lungo termine (2050). In secondo luogo, le imprese devono verificare che le emissioni annuali di gas serra nella ZES non superino i parametri fissati dai protocolli globali, stabiliti dalle autorità competenti in campo ambientale, come l’Istituto delle Risorse Mondiali o la Commissione Intergovernamentale sul Cambiamento Climatico. Le autorità competenti sono chiamate ad effettuare previsioni sulle emissioni di gas serra future (esempio: 2020), in base al piano di sviluppo attuale al fine di valutare quali saranno le politiche ambientali potenzialmente applicabili. Queste indagini potrebbero richiedere tanto esercizi macroeconomici di tipo top-down, quanto ricerche con approccio bottom-up.

Generalmente, la maggior parte delle emissioni dei gas serra deriva dal consumo energetico incontrollato di elettricità, acqua, del calore generato dai processi industriali di raffreddamento e riscaldamento, nonché da un sistema di smaltimento dei rifiuti malfunzionante. La politica industriale deve essere orientata alla generazione di energia rinnovabile, alla conservazione energetica, a sistemi avanzati di riciclaggio degli scarti e ad un sistema di trasporto altrettanto sostenibile. Oltre al solare ed alla biomassa, la Cina sta investendo nell’energia eolica, geotermica ed idrica. In assenza di mezzi finanziari per la produzione di energia verde, anche l’aumento di efficienza degli impianti alimentati a carbone

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può ridurre le emissioni di gas serra. La Cina ha aumentato l’efficienza media di tale impiantistica dal 15% dello scorso decennio al 34%, sostituendo i macchinari di piccola taglia con quelli per produzioni su larga scala con conseguente riduzione delle emissioni annuali di CO2 a 60 milioni di tonnellate. Secondo l’Agenzia Energetica Internazionale, la misura più

idonea alla riduzione drastica delle emissioni inquinanti (di circa un 60%) è il perseguimento dell’efficienza energetica. La semplice sostituzione dei lampioni stradali con luci LED a risparmio energetico o lo sfruttamento di tecnologie verdi nella produzione industriale rientrano in questo obiettivo. Dal punto di vista infrastrutturale, i sistemi di riscaldamento e raffreddamento ad efficienza energetica, gli impianti di ventilazione naturale e di isolamento possono diminuire le emissioni in modo altrettanto rilevante. In Cina stanno aumentando i progetti infrastrutturali verdi ad emissione zero che combinano misure di tipo energy saving all’accumulazione di calore in loco sotto forma di energia solare e biomassa. Nonostante l’aumento dei costi di costruzione pari ad un 10%, il risparmio che si ottiene sui costi energetici è sorprendente poiché è superiore del 50%.

La nuova politica industriale delle ZES rispecchia un apparato normativo all’avanguardia, basato su leggi, sovvenzioni ed incentivi di vario tipo. La definizione di un quadro legale efficace è un presupposto imprescindibile per la creazione di un ambiente economico trasparente, in cui le ZES possano prosperare. La cosa più difficile, rimane dare una definizione di “verde” e di “low-carbon” in termini legali, anche se le normative attuali sono molto più precise a riguardo. Gli investitori sono incentivati ad utilizzare energie rinnovabili nei propri stabilimenti industriali, sia attraverso le leggi tariffarie vantaggiose che per la semplicità amministrativa di penetrazione del mercato verde. All’interno di una ZES ecologica deve essere nominato un dipartimento che svolga la funzione di torre di controllo, occupandosi dell’attuazione delle iniziative low-carbon e che abbia potere decisionale per coordinare la corretta implementazione del piano ambientale, articolato in diversi nuclei tematici, quali l’energia, l’ambiente, l’infrastruttura ed i trasporti.

Uno dei principi cardine per la fondazione di ZES verdi consiste nell’osservanza del principio dell’extraterritorialità: i prodotti ecologici fabbricati entro i confini delle ZES sono certificati a livello nazionale ma non sono sottoposti alla giurisdizione statale in forza di una norma del diritto internazionale ufficialmente riconosciuto.

La sostenibilità ambientale è anche perseguibile attraverso un meccanismo che consenta la determinazione del prezzo del carbonio. Questo metodo riduce notevolmente le emissioni

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inquinanti da parte di attori economici di importanza globale come le multinazionali, internalizzando i costi climatici nel calcolo economico del PIL di ogni paese. Solamente inventando un sistema che diminuisca i ricavi ottenuti da progetti ad alto tasso di carbonio si possono aumentare gli investimenti di tipo climate-friendly.

Il Clean Development Mechanism (CDM) rappresenta uno degli strumenti di mercato più efficaci per l’implementazione di progetti low-carbon nei paesi in via di sviluppo, attraverso la compravendita di crediti di carbonio (CER – Certified Emission Reduction). Con questo meccanismo ad esempio, un’impresa tedesca potrebbe acquisire CER investendo in progetti di energia rinnovabile cileni; allo stesso modo un’acciaieria giapponese potrebbe ottenere crediti carbonio investendo nelle nuove tecnologie pulite delle acciaierie vietnamite. In seguito all’introduzione di questo sistema finanziario nel Protocollo di Kyoto, le emissioni inquinanti di 4000 progetti industriali sono state notevolmente ridotte. All’inizio solamente un piccolo gruppo di paesi a reddito medio - Brasile, Cina, India, Corea - deteneva il 75% delle scorte di crediti carbonio. Nel corso delle negoziazioni dello United Nations Framework Convention for Climate Change (UNFCCC), venne aperto il dibattito su come riformare il sistema CDM risolvendo il problema della distribuzione non equa dei crediti carbonio (la maggior parte dei quali è posseduta dai paesi in via di sviluppo), per ottenere risultati tangibili a livello globale. Il problema fondamentale della commercializzazione del carbonio deriva dalle azioni scorrette delle multinazionali che molto spesso acquistano crediti carbonio per guadagnarsi indirettamente il diritto ad inquinare, senza subire sanzioni.

Un’altra questione delicata riguarda l’incompetenza istituzionale dei paesi in via di sviluppo che, essendo dotati di una normativa ambientale carente, bloccano i progetti: nonostante il CDM sia uno dei principali catalizzatori per la riduzione dei gas serra, il sistema di approvazione a cui è sottoposto a livello nazionale ed internazionale ne compromette il corretto funzionamento.

Oltre ai meccanismi di sviluppo pulito implementabili con il sistema CDM, gli Stati stanno esplorando nuovi percorsi per la ecosostenibilità, tra cui i voluntary carbon markets. I mercati volontari di carbonio designano schemi partecipativi nazionali o privati in cui le imprese riducono le emissioni dei gas serra per ottenere crediti carbonio da scambiare sul mercato. Una delle città cinesi low-carbon più emblematiche è la città di Jilin: attraverso lo scambio dei crediti carbonio entrò ufficialmente a far parte del carbon local market. Essa fu classificata prima ZES verde low-carbon nel XII Piano Quinquennale (2011-2015). Grazie ad

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una partnership sino-europea, la Municipalità di Jilin sta elaborando un reticolo urbano del tutto innovativo che attesta la definitiva trasformazione della città con la partecipazione di istituzioni quali U.K.’s Chatham House, E3G e l’Accademia Cinese delle Scienze Sociali, l’Istituto di Ricerca Energetica e l’Università di Jilin. Nel Washington Post (29 novembre 2010), è possibile rinvenire l’elenco delle tredici città e province cinesi low-carbon stilato dal China’s National Development and Reform Commission. Dopo Jilin, queste aree servivano da zone pilota per testare il tasso di concentrazione del carbonio e definirne i parametri per l’inserimento nel XII Piano Quinquennale. Hangzhou, capitale della provincia orientale dello Zhejiang, prevedeva di ridurre le emissioni di circa il 35% entro il 2015 e del 50% entro il 2020. Secondo la Energy Information Administration (EIA, 2003), le emissioni di gas serra nei paesi in via di sviluppo supereranno quelle degli stati industrializzati intorno al 2018. È necessario intervenire al più presto con misure concrete ed efficaci, soprattutto in vista dell’innalzamento della media annua di biossido di carbonio atmosferico a livello mondiale: tra il 2001 e il 2025 essa sarà di 2.7% superiore alla media attuale.