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INQUADRAMENTO ISTITUZIONALE DEL PUBBLICO MINISTERO E ESERCIZIO DELL’AZIONE PENALE

L’ESIGENZA DÌ UNA REVISIONE CULTURALE

1) INQUADRAMENTO ISTITUZIONALE DEL PUBBLICO MINISTERO E ESERCIZIO DELL’AZIONE PENALE

Il pubblico ministero riveste anche in Italia una posizione istituzionale delicata dovuta alla necessità di dover garantire valori di grande rilievo costituzionale spesso in contrasto tra loro e che devono, pertanto, essere adeguatamente bilanciati.

Da un lato, infatti, vi è il valore dell’indipendenza esterna che mira ad assicurare il regolare e uniforme esercizio dell’azione penale, al di fuori di ogni rapporto di subordinazione gerarchica rispetto al potere esecutivo. Il legame con il Governo è regolato, appunto, direttamente dall’art.110 della Costituzione, il quale prevede che la predisposizione, l’organizzazione e il funzionamento dei servizi relativi alla giustizia spettano al Ministro della Giustizia e, dall’art 107, che attribuisce allo stesso ministro la sola facoltà di promuovere l’azione disciplinare nei confronti dei magistrati. Allo stesso tempo la magistratura è costruita come un ordine indipendente la cui autonomia è

custodita e difesa attraverso l’istituzione del Consiglio Superiore della Magistratura, organo competente, secondo le norme sull’ordinamento giudiziario, in materia di assunzioni, assegnazioni, trasferimenti, promozioni e provvedimenti disciplinari nei riguardi dei magistrati ex art.105 Cost241.

Dall’altro lato, troviamo i valori della trasparenza e della responsabilità che i magistrati del pubblico ministero sono chiamati ad osservare nell’esercizio delle loro funzioni, onde evitare un uso arbitrario e discrezionale dei poteri ad essi conferiti.

In Italia, se al principio dell’indipendenza esterna è attribuito notevole rilievo, minore spessore è dato, invece, a quello della trasparenza nelle scelte operate dal pubblico ministero. L’azione penale è esercitata, infatti, in piena autonomia da un corpo burocratico che in nessun modo può essere chiamato a rispondere delle valutazioni che compie nell’ambito del processo penale242.

Il corpo della magistratura requirente in Italia è reclutato per concorso e, quindi, senza legittimazione democratica; per questo, lasciare ad esso delle valutazioni completamente discrezionali, significherebbe attribuire delle competenze politiche ad un corpo totalmente indipendente e, dunque, non responsabile del suo operato di fronte ai cittadini243. Di conseguenza, come vedremo, il principio di obbligatorietà dell’azione penale è la risposta offerta dal Costituente per controbilanciare il valore dell’indipendenza esterna riconosciuto al pubblico ministero244. Al tempo stesso, però, ove il pubblico ministero fosse assoggettato ai poteri di direzione del Guardasigilli (come accadeva prima che l’art. 69 ord. giud. venisse modificato dall’art. 39 r.d. lgs 31 maggio 1946, n. 511), l’obbligo di agire (pur allora formalmente sancito; art. 1 c.p.p del 1930) assumerebbe contorni deboli, prestandosi alle mutevoli correnti della “ragion di Stato”245. Ciò premesso, va sottolineato come l’indipendenza dal potere esecutivo e l’obbligo sancito dall’art. 112 Cost., non mostrano una duplicità di aspetti scissi l’uno dall’altro, ma al contrario danno vita ad una sorta di coppia dialettica i cui termini si giustificano vicendevolmente. Sul piano teorico, infatti, l’obbligo di esercitare l’azione penale

241Per approfondimenti, v. M.Devoto, Obbligatorietà-discrezionalità dell’azione penale. Ruolo del P.M., in Cass. pen., 1996, II, pp. 2025 ss.

242V. per queste osservazioni G. Gargani, Una discussione serena sulla giustizia italiana, in www.ircocervo.it.

243V. G. Di Federico, Obbligatorietà dell’azione penale e indipendenza del pubblico ministero, 2009, in

www.difederico-giustizia.it. e www.giustiziaemagistratura.it

244V. le osservazioni di G. Canzio, Controllo politico del pubblico ministero o riforma del processo

penale?, in La magistratura, 1983, pp. 38 ss.

245G.Fiandaca- G.Di Chiara, Una introduzione al sistema penale. Per una lettura costituzionalmente

scaturisce dal principio d’indipendenza e costituisce il più importante baluardo a presidio dell’indipendenza medesima246.

In altri termini, il dato costituzionale conferma “la fisionomia di un impianto bicefalo fondato sul principio d’indipendenza e sull’obbligo di agire”: il pubblico ministero, in quanto magistrato collocato nell’ordine giudiziario, prende parte dell’autonomia e dell’indipendenza esterna della magistratura (art. 104 Cost.) e gode della garanzia dell’inamovibilità (art. 107 Cost.)247. A completamento di tale indipendenza, il sistema è presidiato dal principio dell’obbligatorietà dell’azione penale, sancito nell’art. 112 Cost., dal quale è agevole desumere l’enunciazione di uno status soggettivo dell’organo dell’accusa. Quest’ultimo, laddove risultino integrati i presupposti per il promovimento dell’azione penale, è tenuto a darvi corso, essendo esclusa, a priori, ogni valutazione di opportunità, calibrata sul caso concreto, circa la proposizione o meno della domanda di giudizio248. All’indipendenza esterna del pubblico ministero, intesa come autonomia del corpo giudiziario rispetto al potere esecutivo, va aggiunto anche il singolare rapporto di dipendenza gerarchica presente all’interno dell’ufficio (del pubblico ministero) e volto a contemperare due esigenze contrapposte. La prima, diretta a garantire la posizione d’indipendenza del singolo magistrato del pubblico ministero, che ha l’obbligo di osservare la legge. La seconda, altrettanto importante, tende ad assicurare la buona organizzazione all’interno dell’ufficio della pubblica accusa, il quale non ha solo funzioni decisorie ma anche oneri di iniziativa e di impulso del procedimento penale249.

Orbene, occorre precisare che il modello di configurazione della pubblica accusa nel corso degli anni ha subito diverse trasformazioni.

Prima della Seconda Guerra mondiale, il pubblico ministero italiano ricalcava il modello napoleonico; espressione del potere esecutivo presso quello giudiziario, sottomesso perciò all’autorità e alla direzione del Ministro della Giustizia. Allo stesso tempo esisteva un forte legame gerarchico tra procuratore generale e procuratore della Repubblica, cosi come all’interno di ogni singola procura, tra procuratore della Repubblica e sostituti procuratori. Un simile legame esisteva già alla stregua dell’ordinamento giudiziario del 1923 e, ovviamente, in quello del 1941.

Va ricordato poi che, sotto il profilo delle garanzie, sussisteva una netta differenza tra la

246V. G.Fiandaca- G.Di Chiara, Una introduzione al sistema penale. Per una lettura costituzionalmente

orientata, cit., pag. 237.

247Cosi G.Fiandaca- G.Di Chiara, op.cit., pag. 238. 248V. ancora G.Fiandaca-G.Di Chiara, op. cit. pp. 240 ss.

249Per approfondimenti sul tema dei rapporti all’interno dell’ufficio del pubblico ministero, a seguito della legge del 24 ottobre n. 269 del 2006, v. P. Tonini, Manuale di procedura penale, Giuffrè, Milano, 2010, pp. 107 ss.

disciplina riguardante i giudici e quella dei magistrati del pubblico ministero. Questi ultimi, infatti, esercitavano le loro funzioni sotto la direzione del Ministro di Grazia e Giustizia e non fruivano della garanzia dell’inamovibilità (poiché poteva esserne disposto il trasferimento su iniziativa del ministro, legittimato altresì a individuare la sede disponibile per il singolo magistrato collocato in aspettativa). Il vincolo di dipendenza rispetto al potere esecutivo era forte. Il ministro poteva, ad esempio, ordinare di archiviare un processo e il pubblico ministero non poteve disattendere tale direttiva, pena la possibilità per il ministro di disporne il trasferimento250.

Tale vincolo è stato ridotto con il d.l. n. 288 del 14 settembre 1944 ai sensi del quale il pubblico ministero non poteva più disporre direttamente l’archiviazione del processo. In tal modo veniva meno, quindi, anche il potere del ministro di ordinare al magistrato del pubblico ministero l’archiviazione251.

Questo percorso verso l’ottenimento della garanzia d’indipendenza del pubblico ministero è stato completato, implicitamente, con il r.d.l. 31 maggio 1946 n. 511, poiché alla “direzione” fu sostituita la semplice “vigilanza” del Ministro di grazia e giustizia, ed inoltre, fu prevista una garanzia d’inamovibilità del pubblico ministero.

La Costituzione del 1948, nell’intento di rompere ogni rapporto con il periodo fascista, ha consacrato l’autonomia della magistratura attraverso un reticolo di disposizioni che, come abbiamo visto, mirano a garantire la totale indipendenza del pubblico ministero rispetto al potere esecutivo. Inoltre, come anticipato, il potere del Ministro della Giustizia, riguardo ai trasferimenti dei magistrati del pubblico ministero, é stato definitivamente eliminato con la legge 24 marzo del 1958 n. 195, che ha equiparato completamente, sotto il profilo della garanzia della inamovibilità, i magistrati requirenti ai magistrati giudicanti, posto che tutte le delibere concernenti trasferimenti, assegnazione di sede, promozioni e

250Il magistrato del pubblico ministero nel codice Rocco e fino alla modifica del 1944 godeva, infatti, di un potere di auto-archiviazione. Per approfondimenti v. A. Allegro, I rapporti tra pubblico ministero e

polizia giudiziaria: autonomia investigativa e dipendenza funzionale, tesi di dottorato di ricerca in

Politiche penali dell’Unione Europea, ciclo XXII 2006-2009, Univ. degli Studi del Molise, facoltà di Giurisprudenza, in http://rod.unimol.it, pp. 5 ss.

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Il d. lg. 14 settembre 1944, n. 288, prevedeva, tuttavia, che il magistrato del pubblico ministero ove ritenesse di non dover esercitare l’azione penale, aveva l’obbligo di richiedere l’archiviazione al giudice istruttore, totalmente indipendente dal potere esecutivo, il quale poteva accogliere detta richiesta oppure disporre con ordinanza l’istruzione formale. V. ancora A. Allegro, I rapporti tra pubblico ministero e

polizia giudiziaria: autonomia investigativa e dipendenza funzionale, tesi di dottorato di ricerca in

Politiche penali dell’Unione Europea, ciclo 2006-2009, Univ. degli Studi del Molise, facoltà di Giurisprudenza, pp. 6 ss.

sanzioni disciplinari sono state attribuite unicamente alla competenza del Consiglio Superiore della Magistratura252.

Con questa innovazione si è voluto escludere un rapporto di tipo gerarchico tra i due organi, per denotare piuttosto un dovere di attenzione rispetto alle condotte dei magistrati, cui il Ministro della Giustizia, titolare dell’azione disciplinare, secondo l’art. 107 c. 2 Cost., è tenuto sia nei confronti dei giudici sia dei magistrati del pubblico ministero. In tale direzione la Costituzione, affermando il principio della distinzione dei poteri, rifiuta la supremazia del potere esecutivo e qualifica il potere giudiziario come un ordine autonomo e indipendente da ogni altro potere253.

Come corollario di questa indipendenza, abbiamo visto, che la Costituzione ha previsto nell’art. 112 l’adozione del principio di obbligatorietà dell’azione penale.

Sebbene i motivi di fondo che hanno influenzato la scelta dell’Assemblea costituente a prediligere un sistema contrassegnato dall’obbligatorietà dell’azione penale risultano condivisibili, tuttavia, oggi, per le ragioni che vedremo, una interpretazione rigida di tale principio, completamente decontestualizzata dalle dinamiche socio-operative, rischia di far riemergere ugualmente sul piano pratico valutazioni completamente discrezionali da parte del pubblico ministero, necessarie per garantire una efficace amministrazione della giustizia.

In altre parole, come ricordato anche dalla dottrina, l’art. 112 Cost. che bandisce, in teoria, ogni forma di “opportunità” nell’esercizio dell’azione penale rispetto alla singola fattispecie, è suscettibile, in pratica, di trasformare qualsiasi atto discrezionale del pubblico ministero in una sorta di “atto dovuto”. Per cui, ad esempio, lo svolgimento di indagini improduttive o inefficienti, anche di notevole costo o di processi avviati per fatti di scarso rilievo sociale e di modesta gravità, non possono dar luogo ad alcuna forma di responsabilità diretta del magistrato procedente, “coperto” dalla necessità di dover rispettare la norma costituzionale254.

Invero, già lo stesso magistrato Giovanni Falcone rimarcava la necessità di razionalizzare e coordinare l’attività del pubblico ministero “finora reso praticamente irresponsabile da

252V. per approfondimenti, M.Scarpone, Pubblico ministero, in Enc. Dir., XXXVII, Milano,1988 ; Sottani, Il pubblico ministero in Trattato di procedura penale a cura di Spangher, Torino, 2009,vol. I, 363.

253V. ancora A. Allegro, I rapporti tra pubblico ministero e polizia giudiziaria: autonomia investigativa e

dipendenza funzionale, pp. 7 ss.

254G. Di Federico, Obbligatorietà dell’azione penale, coordinamento delle attività del pubblico ministero

e loro rispondenza alle aspettative della comunità, in AA.VV. Accusa penale e ruolo del pubblico ministero, a cura di A. Gaito, Jovene, Napoli, 1991; Di Federico G. Obbligatorietà dell’azione penale e indipendenza del pubblico ministero, 2009, in www.difederico-giustizia.it. e G. Gargani, Una discussione

una visione feticista dell’obbligatorietà dell’azione penale e dalla mancanza di efficaci controlli sulla sua attività”, ciò anche per evitare di offrire una immagine della giustizia “che a fronte di interventi talora tempestivi soltanto per fatti di scarsa rilevanza sociale, e talora tardivi per episodi di elevata pericolosità, appare all’opinione pubblica come una variabile impazzita del sistema”255.

Ora, è evidente che l’obbligatorietà nella pratica giudiziaria non funziona efficacemente di fronte all’elevato numero di notizie di reato (o presunte tali) che quotidianamente pervengono negli uffici delle procure, per cui il magistrato del pubblico ministero in mancanza di criteri certi e fissati a monte, è costretto a stabilire le priorità secondo valutazioni necessariamente discrezionali. In altri termini, la conseguenza derivante dalla rigidità interpretativa dell’art. 112 Cost., è quella di un pubblico ministero che si trova a svolgere, di fatto, una selezione delle notizie di reato, operando inevitabilmente a vantaggio di alcune e a svantaggio di altre256.

In tal modo, però, il principio di obbligatorietà dell’azione penale, non è più a garanzia dell’uguaglianza dei cittadini di fronte alla legge, ma diventa fonte di disparità “mascherate” dal rispetto di un principio che, in realtà, dovrebbe essere stimato in base alla sua capacità di adattamento di fronte ai problemi della giustizia penale257. Problemi, questi ultimi, che si sostanziano per un verso, nell’incapacità di tutelare efficacemente gli interessi della persona offesa, sempre più spesso costretta a subire le verbosità burocratiche e, più in generale, la non effettività dell’intervento penale. E, per un altro verso, nella difficoltà di deflazionare il carico della giustizia penale, il quale nel vigente sistema processuale viene smaltito soltanto attraverso l’utilizzo dei riti alternativi, piuttosto che con meccanismi, simili a quelli vigenti nel sistema processuale francese, in grado di incidere sul problema prima ancora che il processo abbia inizio.

255G. Falcone, Evoluzione del principio di obbligatorietà dell’azione penale, in Il giusto processo, 1990. 256V. ancora le osservazioni di G. Gargani, Una discussione serena sulla giustizia italiana, pag. 39, in www.ircocervo.it.

257Per approfondimenti v. A. Rossi, Per una concezione “realistica” dell’obbligatorietà dell’azione

2) L’INCIDENZA

DEL

PRINCIPIO

D’OBBLIGATORIETA’

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