AZIENDE E POSSIBILI STRATEGIE DI COLLABORAZIONE CON L’INAIL A FINI PREVENZIONALI
3) Interventi di natura tecnologica
Sotto questa voce vanno inclusi tutti gli interventi che consentono di ridurre il rischio alla fonte, organizzando il ciclo produttivo in modo che le attività più onero-se siano automatizzate più o meno integralmente. Questa strategia, nel caso del comparto del mobile imbottito, è in grado di affrontare e ridurre in maniera notevo-le il rischio notevo-legato alla “movimentazione manuanotevo-le dei carichi”. Per quanto riguarda, invece, gli altri due rischi professionali (postura fissa protratta e movimenti ripetuti e contro resistenza degli arti superiori) le possibilità di un intervento di natura tec-nologica sono al momento ridotte. La produzione del mobile imbottito, per quanto possa essere “industrializzata”, si regge ancora sulla maestria dei singoli operatori e soprattutto sulla loro abilità manuale; ne deriva che a tutt’oggi non esiste una “tec-nologia avanzata” del settore. Oltretutto non esistono aziende industriali “all’avan-guardia” da cui poter “copiare” le innovazioni tecnologiche: il nostro territorio è sede della più alta concentrazione industriale al mondo nel settore del mobile
imbottito e, quindi, l’avanguardia tecnologica è rappresentata proprio dalle nostre aziende.
Risultati attesi e risultati conseguiti
In alcune aziende del comparto, a partire dal 1998, sono state avviate una serie di ini-ziative volte ad affrontare il problema dell’eccesso di patologie osteoarticolari; la popo-lazione dei lavoratori assunti a partire da quella data rappresenta quindi un buon cam-pione per valutare l’utilità degli interventi avviati. Le tabelle che seguono cercheranno di valutare i risultati attesi e quelli ottenuti su questa popolazione.
Risultati attesi: ovviamente non vi sono riferimenti per conoscere in anticipo i benefici di un’eventuale azione di prevenzione. E’ però possibile simulare alcune eventualità e verificarne le conseguenze.
La prima figura (fig. n. 1) propone i dati sulla prevalenza della patologia cervicale nella popolazione dei lavoratori del comparto.
La tabella riassume la prevalenza al 31.12.02 del dato anamnestico di “pregressa pato-logia cervicale” e quindi raccoglie tutti coloro che, dopo l’inizio del rapporto di lavoro, hanno sofferto di patologia del rachide cervicale. La figura evidenzia l’importanza del rischio posturale nella genesi dei disturbi in questione, che raggiungono una prevalenza del 7,24 % nel gruppo dei cucitori, per i quali l’esposizione è elevata. Su questa popola-zione è stata operata una simulapopola-zione, escludendo dalla valutapopola-zione tutti i soggetti che presentano fattori di maggiore suscettibilità che in qualche modo possano incidere sulla prevalenza della patologia: in altre parole si cerca di calcolare quale sarebbe stata la prevalenza di patologie del rachide cervicale, se la prevenzione medica, in corso di visite preventive, fosse stata condotta al meglio, escludendo dalla esposizione al rischio tutti coloro che presentano fattori di maggiore suscettibilità. I principali fattori considerati sono: obesità, giovane età di assunzione e patologie precedenti l’esposizione al rischio in grado di condizionare la successiva comparsa di patologia del rachide cervicale (sco-liosi, listesi, precedenti traumatici, ecc.). La figura successiva (fig. n. 2) mostra il risulta-to di questa simulazione.
E’ evidente che la “prevenzione medica” è in grado di modificare solo marginalmente i dati sulla prevalenza successiva di patologia (in totale uno 0,3 % di episodi in meno, pari all’8,6 % di tutta la patologia) con variazioni percentuali non significative per i sin-goli quadri morbosi e per le singole mansioni.
Lo stesso tipo di simulazione è stata condotta per la patologia del rachide L-S ed è pre-sentata nelle due figure successive (n. 3 e 4).
In questo caso è evidente che la prevenzione medica è in grado di modificare in maniera sostanziale la successiva prevalenza di patologia, potendo ridurre il dato dal 13,8 al 9,8
%, con una differenza pari al 4 % di prevalenza globale (corrispondente al 29 % di tutta la patologia successivamente emersa nella popolazione considerata).
Infine, la stessa simulazione è stata effettuata per la patologia infiammatoria degli arti superiori: i risultati sono presentati in un unico grafico nella figura successiva (fig. 5).
E’ evidente che, nel caso delle patologie infiammatoria degli arti superiori, la “preven-zione medica” è in grado di modificare significativamente i dati prevalenti, senza poter però incidere in misura determinante (in totale 1,5% di eventi in meno, pari al 17,4 % di tutta la patologia in
questione).
Questi primi dati ci consentono di valutare l’impatto di uno solo degli strumenti ipotiz-zati: la sorveglianza sanitaria.
L’informazione appa-re comunque pappa-reziosa perché permette di sti-mare l’entità dei miglioramenti conse-guibili: in assenza di altri provvedimenti di natura organizzativa e strutturale, sarebbe possibile ridurre in
misura variabile la prevalenza di patologie osteoarticolari, minima per la patologia del rachide cervicale (ca. il 9 % in meno), intermedia per la patologia infiammatoria degli arti superiori (ca il 17,5 % in meno) e più corposa per la patologia del rachide L-S (in questo caso la migliore prevenzione medica avrebbe consentito di ridurre di quasi il 30
% la prevalenza successiva di quadri morbosi).
Risultati conseguiti: le figure successive propongono un tipo diverso di valutazione, mettendo a confronto la prevalenza di patologie nei nuovi assunti delle aziende più sen-sibili al problema ergonomico e di altre aziende del comparto, a partire dal 1998, epoca in cui sono state avviate le prime iniziative di prevenzione nelle aziende più impegnate nell’azione di risanamento ergonomico. Per comodità e facilità di discorso e per chia-rezza espositiva nelle figure, chiameremo il primo gruppo di aziende (impegnato nell’azione di risanamento ergonomico) “aziende pilota”.
La fig. 6 è relativa alla patologia del rachide cervicale ed evidenzia che, pur essendo globalmente inferiore la prevalenza dei diversi quadri morbosi nelle aziende pilota (le ultime due colonne, relative a tutti i dipendenti esposti a rischio mostrano che la preva-lenza nelle aziende pilota è pari a circa i due terzi delle altre aziende del settore) questa tendenza si è rafforzata nella popolazione dei nuovi assunti dopo l’1.1.98, portando la prevalenza globale al 50 % di quella registrata nei nuovi assunti delle altre aziende del settore.
La fig. 7 mostra gli stessi dati per la patologia del rachide L-S: in questo caso le diffe-renze riscontrate nella popolazione dei nuovi assunti a partire dall’1.1.98 sono ancora più significative, perché a fronte di una prevalenza globale in tutti i dipendenti esposti a rischio nettamente più alta per i dipendenti delle aziende pilota (pari al 127 % di quella rilevata nei dipendenti delle altre aziende del settore), nella popolazione dei nuovi assunti questo rapporto si è praticamente invertito portandosi a valori decisamente più bassi nella popolazione dei nuovi assunti delle aziende pilota (il 62,5 % di quella riscon-trata nelle altre aziende del settore).
La fig. 8 mostra i dati relativi alla patologia infiammatoria degli arti superiori, sempre mettendo a confronto le popolazioni dei nuovi assunti (a partire dal 1998) nelle aziende pilota ed in altre aziende del settore. Anche in questo caso si evidenzia una netta inver-sione di tendenza: mentre il confronto fra le due popolazioni di dipendenti evidenzia una maggiore prevalenza fra gli esposti a rischio delle aziende pilota (12 % contro il 10,6 % delle altre aziende del comparto), nella popolazione dei nuovi assunti a partire dal 1998, la prevalenza di patologia infiammatoria degli arti superiori è nettamente inferiore nelle aziende pilota rispetto alle altre aziende del comparto (6,2 % contro il 9,8 %).
La fig. 9, infine, descrive l’andamento del fenomeno infortunistico a partire dal 1996 fino ad oggi nelle aziende del gruppo Natuzzi (il più importante gruppo del comparto che per primo ha affrontato il problema dell’eccesso di patologie osteoarticolari).
Anche per questo fenomeno è evidente l’inversione di tendenza fra il 1999 ed il 2000, quando gli effetti dell’azione preventiva si sono resi manifesti.
L’insieme dei dati evidenzia un andamento sicuramente promettente: dimostra che la prevenzione è possibile, e che i risultati si evidenziano in un arco temporale abbastanza breve.
Strumenti attivati: vedremo ora quali strumenti sono stai utilizzati per realizzare questi obbiettivi.
• Formazione ed informazione per tutti i nuovi assunti, con la partecipazione diretta del Servizio Sanitario Aziendale: nell’ambito della formazione teorica per i nuovi assunti, sono stati inseriti dei moduli (a cura dei Medici Aziendali) dedicati proprio alla divulgazione dei principi di ergonomia, alla spiegazione dei rischi professionali ed ai consigli pratici che ne possono ridurre le conseguenze per la salute. I moduli formativi sono stati pensati per tradurre in pratica i principi ergonomici (baricentro, base di appoggio, leva di 1^, 2^ e 3^ tipo, fatica, sforzo, recupero ed allenamento) calandoli nella realtà delle singole mansioni del comparto.
• Sorveglianza Sanitaria: adeguato orientamento in corso di visita preventiva per la corretta attribuzione dei singoli lavoratori alle diverse mansioni disponibili e, succes-sivamente, attraverso un adeguato monitoraggio degli eventi sentinella. Attivazione immediata dei provvedimenti necessari a ridurre l’esposizione al rischio per quei sog-getti che hanno manifestato i primi sintomi delle diverse patologie monitorate.
Ovviamente l’attività di formazione continuerà ed i moduli saranno progressivamen-te migliorati, e, per quanto riguarda la sorveglianza sanitaria, l’esperienza futura potrà permettere ulteriori miglioramenti, ma si può ritenere che questi due aspetti dell’attività di prevenzione abbiano già raggiunto un buon livello di realizzazione e di efficacia.
• Interventi di natura organizzativa, mirati ad una diversa distribuzione dei compiti fra le varie mansioni e ad adeguate rotazioni fra i diversi profili organizzativi della stes-sa mansione. Ulteriori evoluzioni in questo senso sono ancora in corso di valutazio-ne con l’obbiettivo (compatibilmente con le valutazio-necessità di “industrializzaziovalutazio-ne” del processo produttivo) di consentire agli operatori di svolgere attività che fungano da
“pausa” rispetto al rischio professionale in eccesso (affidandogli compiti attualmente svolti da altri operatori: controllo del prodotto, rifinitura e pulizia, ecc.).
• Interventi di natura tecnologica: le maggiori energie si sono concentrate sul rischio
“Movimentazione Manuale dei Carichi” (e non a caso le patologie del rachide L-S sono quelle per cui è stata più netta l’inversione di tendenza, come mostra la fig. 7).
Sono state avviate anche delle attività per ridurre gli sforzi degli arti superiori, sia attraverso l’adozione di nuovi attrezzi che attraverso una serie di interventi correttivi nella fase di progettazione del mobile imbottito, ma va sottolineato che i margini di miglioramento, in questo ambito, sono ancora notevoli. Risultano tuttora in fase di studio, infine, iniziative per la riduzione del rischio posturale (ed è probabilmente questa la ragione che ha determinato risultati meno brillanti per la patologia del rachide cervicale, rispetto alle altre due tipologie nosologiche).
In conclusione, i risultati conseguiti in termini di minore incidenza di malattia sono attribuibili ad una serie di iniziative su più fronti, ma le possibilità di miglioramento tecnologico ed organizzativo sono ancora notevoli e, se le aziende continueranno ad investire nella ricerca di soluzioni, si può ritenere che l’inversione di tendenza registrata nel corso degli ultimi anni potrà giovarsi di una netta accelerazione.
Fin qui i dati.
L’evoluzione normativa dell’ultimo decennio del secolo ormai trascorso è stata deter-minante per il cambio di prospettiva dell’attività dell’INAIL.
Con il DL 517/1993 viene introdotto il concetto che l’assicurazione e la prevenzione possono essere due spazi complementari: l’Inail è chiamato ad utilizzare le sue banche dati per fornire informazioni ai Dipartimenti di prevenzione delle Regioni, affinché a loro volta li trasmettano agli ISPESL a fini prevenzionali. Utilizzare i dati rinvenienti da un organismo posto a valle del sistema di gestione della sicurezza e tutela della salu-te sul lavoro fornisce informazioni utili ai fini dell’aggiustamento del sissalu-tema ssalu-tesso in un delicato meccanismo di feed-back.
Punto di svolta nel panorama legislativo in Italia è il DL 626/94 che riordina complessi-vamente la materia e con l’art. 24 attribuisce all’Inail, in collaborazione con altri Enti ed Istituzioni pubblici, attività di formazione, informazione, consulenza ed assistenza in materia di sicurezza e salute nei luoghi di lavoro, in particolare nei confronti delle piccole e medie imprese e delle imprese artigiane.
Attraverso la legge 144/1999 e le deleghe in essa previste si arriva al DL 38/2000 che ha, di fatto, ricalibrato la mission dell’Istituto: alla fine di questo rapido e certamente non esaustivo excursus normativo l’Inail si configura non più solo come un’assicurazione ma come un sistema integrato per la tutela dei lavoratori e per la competitività delle imprese.
In particolare con l’articolo 13, che individua l’oggetto dell’assicurazione nella perdita dell’integrità psico-fisica, con l’articolo 23 che introduce un ruolo diretto dell’Istituto nel campo della prevenzione (finanziamento di programmi di adeguamento delle strut-ture alle normative di sicurezza) e con l’articolo 24 che vede l’Inail impegnato nella riqualificazione professionale dei disabili e nell’abbattimento delle barriere
architetto-niche in aziende che hanno in organico dei lavoratori diversamente abili, questa tra-sformazione pare completa, almeno nei programmi.
L’INAIL gioca quindi in quella grande squadra di addetti alla Prevenzione il cui Responsabile, inequivocabilmente, è il Datore di Lavoro.
Ma tutti sappiamo che non si può fare prevenzione senza inserirla nel contesto di un gioco di squadra. Hanno obblighi severi nei confronti della sicurezza e della prevenzio-ne: i lavoratori (art. 5/626), i progettisti, i fabbricanti, i fornitori, gli installatori (art.
6/626), il responsabile del servizio di prevenzione e protezione (art. 9/626), il medico com-petente (art. 17/626).
Una serie di Enti ed Istituzioni partecipano a vario titolo alla prevenzione: SPESAL, ISPESL, Servizi sanitari aziendali, Ispettorato del Lavoro, Vigili del fuoco.
Il nostro intento è quello di rendere centrale in questa prospettiva l’attività dell’Istituto.
L’Istituto (il CIV formula questa indicazione nel ‘Programma generale e linee di indi-rizzo 2001’) si proponga come Ente di coordinamento per sviluppare strategie di inte-grazione fra le varie strutture coinvolte nella prevenzione (fig. 10), una sorta di ‘sportel-lo unico della prevenzione’, di ‘conferenza di servizi permanente’: un tavo‘sportel-lo tecnico al cui interno vengano delineati i livelli minimi di sicurezza e le procedure accettate da tutti gli organismi coinvolti nella vigilanza ad evitare inutili sovrapposizioni e incon-gruenze rispetto alla documentazione richiesta. Ma soprattutto, ciò che più ci sta a cuore, promuova un tavolo cui siano presenti tutti i ‘tecnici’ della prevenzione al fine di elaborare le linee guida per l’applicazione di una proposta concreta.
Abbiamo immaginato un nuovo modo di “comporre” il premio assicurativo, aggiun-gendo ai parametri di base utilizzati fino ad oggi, una “quota” legata al “rischio azien-dale specifico” stimato concretamente dall’Inail sulla base della valutazione di ogni specifica realtà aziendale.
L’idea di utilizzare il premio assicurativo come una “leva” per “sollevare” l’azione pre-ventiva, presuppone che siano definiti tutta una serie di parametri di valutazione, che permettano di modulare il premio stesso. E’ ovvio che gli standard di riferimento non possono che essere quelli del D.Lgs 626 e più precisamente:
Il documento di valutazione dei rischi: la qualità della valutazione è premessa indispen-sabile ad un qualunque programma di intervento; non è questa la sede per definire quali siano i criteri per misurare la qualità di un documento di valutazione, ma è certo che a livello tecnico si possono definire e condividere alcuni criteri di base che permet-tano di distinguere un documento di valutazione approntato solo per la necessità di adempiere ad un obbligo di legge da un documento che abbia le caratteristiche per esse-re strumento di successivi interventi di pesse-revenzione.
Programma di sorveglianza sanitaria: non si tratta di intervenire e condizionare le com-petenze del medico aziendale, ma di standardizzare in un tavolo tecnico i protocolli sanitari da applicare per la sorveglianza sanitaria per le più frequenti patologie di com-parto. La Letteratura riporta diversi protocolli sanitari impiegati per monitorare i lavo-ratori esposti a questi rischi. Va concordata l’adozione di protocolli sanitari comuni nelle aziende del comparto e quindi valutati periodicamente i dati della sorveglianza sanitaria. La correttezza del monitoraggio dello stato di salute dei lavoratori, accompa-gnata ad una riduzione delle fasi ‘adverse’ di malattia osservate potrebbe diventare un momento premiante per le aziende in relazione all’applicazione dei premi assicurativi.
Va enfatizzata l’importanza della valutazione statistica dei dati collettivi che può per-mettere di rilevare il nesso di causalità fra singoli rischi e patologie conseguenti. Nel programma di sorveglianza sanitaria va inclusa anche l’attività di formazione e informa-zione: si potrebbero incoraggiare le aziende ad istituzionalizzare ed a formalizzare tutti gli interventi di formazione, archiviando il materiale didattico dei singoli interventi e le verifiche successive.
Programma di riduzione/eliminazione progressiva dei rischi: questo è l’elemento princi-pale per valutare l’effettiva volontà d’intervento; anche in questo caso vanno definiti dei criteri che permettano di distinguere le generiche enunciazioni di volontà da seri pro-grammi di riduzione dei rischi professionali, con scadenze e programmazione di investi-menti. E’ opportuno che ogni azienda abbia un programma adeguato alle proprie risor-se e possibilità, per questo la risor-serietà di un programma di risanamento va verificata sulla base di criteri reali: definizione di uno “standard” di riferimento per ogni mansione a rischio; ricerche di mercato ed acquisizione di proposte di risanamento; programma plu-riennale di investimenti in sicurezza per adeguarsi allo standard definito.
Elaborati i criteri di valutazione dei tre elementi di riferimento, è possibile immaginare un premio assicurativo modulato sulla qualità di questi tre fattori: tanto maggiore sarà la forza e la robustezza dei tre pilastri, tanto più forte sarà l’edificio che andremo a costruire, tanto minore potrà essere il “premio assicurativo” da pagare: il premio assi-curativo è diventato uno strumento effettivo di prevenzione, una sorta di Bonus/Malus delle buone intenzioni e della capacità di metterle in pratica. E’ chiaro che questo mecca-nismo inserisce un elemento veramente nuovo nel panorama della prevenzione, senza snaturare le caratteristiche dell’Istituto Assicuratore, che continua da un lato a svolgere il proprio ruolo istituzionale e da altro lo rafforza nel campo delle nuove competenze.
Questa strategia può permettere di condizionare concretamente le aziende, premiando i comportamenti più virtuosi. Tutta la legislazione in materia di sicurezza sul lavoro si regge oggi su obblighi dei diversi protagonisti e sanzioni per chi non rispetta tali obbli-ghi: l’INAIL può “inventare” una diversa possibilità, proponendo agli imprenditori un
“vantaggio” in cambio di una adeguata politica della sicurezza. Ovviamente questa strategia presuppone un ruolo “attivo” dell’Istituto, che non si limiti a “calcolare” il premio assicurativo ma, proprio come un buon assicuratore, vada a “contrattare” con il cliente le condizioni della polizza.
L’adesione delle aziende sarà, naturalmente, più agevole, se le iniziative e gli
investi-menti proposti permettono un rientro in termini di competitività industriale: l’espe-rienza di molti anni di lavoro in fabbrica insegna che tutti gli interventi che intral-ciano la competitività sono “subiti” dalle aziende e, quindi, trovano difficoltà ad inserirsi nella realtà produttiva. Al contrario, tutto ciò che migliora la competitività e la produttività, viene “accolto” nel processo produttivo con facilità, attivando energie e volontà che ne garantiscono il successo. Una corretta strategia della pre-venzione non può non tenerne conto: se vogliamo garantire certezza di risultati agli interventi di prevenzione, dobbiamo fare in modo che gli stessi non siano di intralcio alla capacità produttiva ma, al contrario e nella misura in cui ciò è possibile, che ne permettano un miglioramento.
Siamo, quindi, arrivati ad immaginare un sistema assicurativo che, valutato il rischio specifico di ogni realtà aziendale e valutato il programma di progressiva riduzione dei rischi professionali, contratta con l’azienda una proposta di modulazione del premio assicurativo (negli anni) che “premi” i comportamenti delle imprese più virtuose attra-verso un progressivo adeguamento del premio al conseguimento degli obiettivi che l’azienda stessa si è proposta con il programma di risanamento. Perché non completare il quadro con la possibilità che l’Istituto promuova o finanzi progetti di risanamento e di miglioramento ergonomico per singoli settori o comparti produttivi da offrire alle aziende, proponendo, a quelle che accettano di impegnarsi nel progetto, un programma di progressiva riduzione del premio assicurativo modulato sulla capacità della singola impresa di realizzare il progetto stesso? E infine, perché non pensare a forme di prestito e/o finanziamento agevolato per permettere alle stesse aziende di aderire al progetto di
Siamo, quindi, arrivati ad immaginare un sistema assicurativo che, valutato il rischio specifico di ogni realtà aziendale e valutato il programma di progressiva riduzione dei rischi professionali, contratta con l’azienda una proposta di modulazione del premio assicurativo (negli anni) che “premi” i comportamenti delle imprese più virtuose attra-verso un progressivo adeguamento del premio al conseguimento degli obiettivi che l’azienda stessa si è proposta con il programma di risanamento. Perché non completare il quadro con la possibilità che l’Istituto promuova o finanzi progetti di risanamento e di miglioramento ergonomico per singoli settori o comparti produttivi da offrire alle aziende, proponendo, a quelle che accettano di impegnarsi nel progetto, un programma di progressiva riduzione del premio assicurativo modulato sulla capacità della singola impresa di realizzare il progetto stesso? E infine, perché non pensare a forme di prestito e/o finanziamento agevolato per permettere alle stesse aziende di aderire al progetto di