sorta di rete all’interno della superficie gestita che si colleghi alle isole di senescenza, ove presenti. Questi esemplari devono essere scelti tra le piante più grandi e dovrebbero essere auspicabilmente di specie diffe-renti. Gli individui di grande dimensione presentano spesso anche dendromicrohabitat, cavità, presenza di epifite, zone marcescenti, ed inoltre, soprattutto se la-tifoglie, una componente rilevante di necromassa nel-la chioma costituita da rami anche di notevoli dimen-sioni. La dimensione di questi alberi rilasciati dovrebbe essere superiore ai 40 cm, anche se per alcune specie si possono selezionare diametri inferiori (si veda a tal proposito l’indicatore 6 - Numero di piante di grandi dimensioni). Risulta comunque imperativo rilasciare prioritariamente gli alberi che già presentano cavità di nidificazione, indipendentemente dalla specie e dalla dimensione.
L’eterogeneità spaziale va ricercata sia nella compo-nente verticale che orizzontale. La martellata dovreb-be quindi essere eseguita non in maniera omogenea su tutta la superficie, ma alternando zone a maggior densità di prelievo a zone con maggior rilascio di pian-te in piedi. Nel caso dei popolamenti studiati si è infatti osservato come valori più elevati di vari parametri di biodiversità si riscontrassero nelle strutture più rag-gruppate, soprattutto considerando le piante di abe-te bianco. La struttura a gruppi si riscontra in effetti nella maggior parte dei popolamenti vetusti, soprat-tutto nelle classi diametriche e cronologiche inferiori e intermedie (Lingua et al., 2011; Carrer et al., 2018).
Concentrando la martellata in aree circoscritte si pos-sono quindi aumentare le soluzioni di continuità della copertura forestale. La creazione di aperture o radure è infatti un metodo per ricreare velocemente una gra-dualità di habitat luminosi all’interno dei popolamenti gestiti che possono venire occupati da diverse specie erbacee e arbustive, che a loro volta agiscono da vo-lano, ad esempio per la ricchezza specifica ornitica e dell’entomofauna. La creazione di questi gap può av-venire in modo classico con l’asportazione del mate-riale, oppure rilasciando il materiale a terra o anche tramite l’uccisione delle piante dello strato dominan-te. Da recenti studi si evince come le interruzioni della copertura generate dalla presenza di piante morte in piedi supportano una maggiore quantità di diversi-tà specifica sia in termini di numero di specie che di individui rispetto a radure senza snag o a snag isolati (Lewandowski et al., 2021). In questo modo si riesce al
tempo stesso anche ad aumentare il budget di necro-massa che nei boschi gestiti è presente normalmente in quantità esigua e spesso di ridotte dimensioni. Il le-gno morto è considerato infatti essere l’habitat più ric-co di biodiversità in una foresta sana (Kirby in Dudley e Vallauri, 2004), e da esso dipende oltre il 30% della sua biodiversità (AAVV, 2018). Tutti gli interventi selvi-colturali dovrebbero sempre considerare la possibilità di rilasciare una maggior quantità di legno morto in bosco in quanto di fondamentale importanza non solo per mantenere elevati livelli di biodiversità, ma anche diversi processi e relazioni trofiche (Thorn et al., 2020).
Per aumentare velocemente questo elemento si può ricorrere alla sua creazione artificiale. Per ricreare ne-cromassa a terra si possono scegliere diverse modali-tà, con un diverso livello di difficoltà. La più semplice è l’abbattimento di un albero con il rilascio del materia-le a terra. Rilasciare la sola ramaglia ed i cimali, sep-pur pratica da perseguire, non è sufficiente in quanto si creano unicamente elementi di necromassa di dimen-sione ridotta. La scelta del fusto da abbattere dovreb-be ricadere comunque all’interno delle classi diametri-che maggiori diametri-che garantiscono al tempo stesso grandi volumi e dimensioni diversificate (ovvero elevate alla base del fusto e ridotte in posizione distale). In questo caso si possono selezionare anche gli individui peggio-ri, mal conformati, che rivestono un limitato interesse commerciale e non presentano un genotipo da per-petuare. Non dovrebbero però essere selezionate per l’abbattimento piante che nelle loro malformazioni ospitino dendromicrohabitat, che dovrebbero invece essere preservati come alberi habitat.
Eseguendo il taglio ad una certa altezza invece che prossimo al suolo, si possono ricreare con lo stesso in-tervento sia necromassa a terra che in piedi. In questo modo si simula uno stroncamento di una pianta viva oppure quello che avviene naturalmente con il crollo degli snag (che difficilmente vengono sradicati in quan-to la resistenza meccanica del fusquan-to è compromessa a causa della decomposizione ed alterazione del tessu-to legnoso) (fig. 9.2). L’interventessu-to viene eseguitessu-to facen-do la tacca di direzione all’altezza desiderata (2-4 m), lasciando con il taglio di abbattimento un’ampia cer-niera. Attraverso l’uso di un verricello (trazione diretta o indiretta) si procederà a spezzare il fusto. Se l’acces-sibilità lo consente, l’operazione può essere eseguita molto velocemente ed in sicurezza attraverso l’uso di harvester (Humphrey e Bailey, 2012). Se l’intervento di abbattimento per ricreare necromassa a terra viene eseguito semplicemente con l’utilizzo di motosega e la superficie di taglio risulta facilmente accessibile, è consigliabile creare una superficie irregolare in modo che maggiore superficie venga esposta e che possa dare origine a diversi microhabitat che si generano nelle diverse nicchie e anfratti che raccolgono acqua e materiale organico (fig. 9.1).
In alcune situazioni si può optare per la creazione ar-tificiale di piante sradicate attraverso l’uso di mezzi meccanici come trattori forestali dotati di verricello (con o senza rinvio) o escavatori (a spinta). Queste ope-razioni hanno l’indubbio vantaggio di ricreare quei mi-crohabitat legati alla presenza di estrusione parziale o totale del piatto radicale. In questo modo si generano microrilievi molto importanti per la rinnovazione e av-vallamenti con esposizione di suolo nudo e scheletro utilizzati da diversi animali (es. gallo cedrone). L’utiliz-zo di queste tipologie di mezzi e l’attuazione di queste operazioni deve comunque essere svolta solo dove sia possibile riuscire ad osservare tutte le regole di sicu-rezza. All’interno delle foreste gestite o ad alta frui-zione risulta invece non sempre consigliabile la crea-zione di alberi morti pendenti, inclinati ed appoggiati su alberi limitrofi, per ovvie ragioni produttive (danno diretto alle piante “supporto”) e questioni legate alla sicurezza.
In alcuni ambiti è stato testato anche l’uso di esplosi-vo per ricreare artificialmente necromassa, andando a ricreare quei particolari elementi (fig. 9.3) che si ven-gono a formare sia con gli stroncamenti da vento o da neve, sia a causa di fulmini. Queste operazioni possono essere condotte sia con candelotti che con miccia de-tonante (fig. 9.4). Esperienze di questo tipo sono sta-te ad esempio condotsta-te in Italia all’insta-terno del Bosco Fontana (Cavalli e Mason, 2003) o in foreste boreali in Finlandia (Similä e Junninen, 2012), ma le esperienze risultano ancora circoscritte ad interventi dimostrativi o eseguiti a scopo scientifico, in numero ancora troppo limitato per consentire una valutazione dei risultati ed indicare il metodo come perseguibile su ampia scala.
Al momento sicuramente presenta ovvie difficoltà e limitazioni per poter essere integrato nella gestione ordinaria (es. necessità di personale specializzato ed autorizzato).
Figura 9.1. Particolare della superficie di una ceppaia alta in cui la superficie è stata intagliata con la motosega. Si notino i vari anfratti e nicchie createsi e il materiale accumulatosi.
La creazione di snag, ovvero di alberi morti in piedi, può essere effettuata tramite la cercinatura di alcuni individui. Le piante scelte devono avere un DBH supe-riore ai 30 cm, in quanto piante più piccole non garan-tiscono gli stessi habitat e soprattutto crollano dopo pochi anni. La velocità di crollo delle piante morte in piedi è in effetti funzione della loro dimensione (Mar-zano et al., 2012). L’intervento di cercinatura consiste nell’asportazione della corteccia e di uno strato sotto-stante (fino ad asportare il cambio e ad interrompere il passaggio della linfa) in un anello di ampiezza suffi-ciente (almeno 10 cm di altezza) o in una serie di 2-3 anelli. La mortalità può avvenire anche dopo diverse stagioni vegetative ricreando in questo modo una sca-larità di ambienti luminosi mano a mano che aumenta la trasparenza della chioma, nonché una eterogeneità di livelli di decomposizione. Il ricorso alla cercinatura risulta molto utile nelle stazioni in cui l’apertura di bu-che potrebbe creare delle problematibu-che per la funzio-ne di proteziofunzio-ne svolta dai popolamenti (ad esempio nei confronti della caduta massi) o anche nel limitare l’ingresso di specie invasive marcatamente eliofile.
Attraverso l’uso della motosega si possono ricreare
artificialmente dendromicrohabitat. Si possono realiz-zare alla base dei fusti dei catini basali ovvero delle nicchie dove si possa accumulare acqua e si possano instaurare fenomeni di marcescenza. In questo modo si vengono a creare artificialmente siti che verranno occupati dalla fauna saproxilica. I catini dovrebbero essere creati in numero di 2-3 per albero in modo che al progredire dei fenomeni di degradazione si venga a formare una vera e propria cavità.
Allo stesso modo, nella parte più distale del fusto, si possono creare artificialmente cavità di nidificazione per l’avifauna andando a rimuovere un tassello dal fu-sto che, opportunamente forato e ridimensionato nello spessore per creare una camera interna, verrà poi ripo-sizionato. Le dimensioni del tassello, così come quelle del foro di entrata varieranno a seconda della specie che si vuole favorire, ad esempio dimensioni minori nel caso di paridi, maggiori per gli strigiformi.
Se la dimensione dell’albero è sufficientemente gran-de questi due interventi possono coesistere sullo stes-so fusto, mentre se il fusto è di ridotte dimensioni ver-ranno eseguiti solo i catini basali.
Figura 9.2: piante stroncate a diversa altezza forniscono habitat differenti producendo allo stesso tempo necromassa in piedi e a terra, oppure sospesa, all’interno delle foreste. Queste strutture possono essere facilmente ricreate artificialmente.
Figura 9.3: attraverso l’uso di esplosivo si possono ricreare strut-ture particolari simili a quelli che si generano con i disturbi na-turali.
Figura 9.4: esempio di utilizzo di miccia detonante per creare al-beri stroncati ad una certa altezza dal suolo.
Tabella 9.1: esempio di appendice di valutazione degli effetti dell’intervento sulla biodiversità.
INTERVENTI INDICATORI BIOΔ4
1 2 3 4 5 6 7 8 9 10 11 12 13
A Tagli di maturità X X X X X X X X X X X X
B Miglioramenti boschivi (sfolli, diradamenti, ripuliture) X X X X X
C Tagli fitosanitari, raccolta schianti, installazione trappole per scopi
fitosanitari X X X X X X X X X
D Tagli di manutenzione o mantenimento sicurezza elettrodotti/piste
da sci/fabbricati/strade/ impianti idroelettrici/acquedotti X X X X
E Esbosco (installazione linee di gru a cavo temporanee, impiego di
harvester/skidder/forwarder) X X X X X
F Raccolta/smaltimento della biomassa di sfrido X X X
G Estirpazione/fresatura ceppaie X X
H Concessione diritti di legnatico X X X
I Reimpianto/rinnovazione artificiale X X X X
L Conversione X X
M Mutamento di specie arborea (eventuale reimpianto) X X
N Riduzione di superficie boscata X X
O Pascolo, manutenzione, abbandono delle superfici pascolate
(recinzioni, punti di abbeveraggio, aree di sosta) X
P Raccolta funghi, erbe, radici e/o piccoli frutti * X X X
Q Caccia * X X
R Costruzione/manutenzione di viabilità provvisoria/permanente
(strade, piste, piazzole, aree di sosta) X X X X X X
S Imposizione variazione regime di regolamentazione viabilità
silvopastorale X
T Sistemazioni idrogeologiche (ripristino, stabilizzazione, drenaggio,
regimazione, bonifica, opere paramassi e paravalanghe) X X X
U Potenziamento o manutenzione degli itinerari turistici* X X X
V Realizzazione di fasce taglia fuoco * X
Z
Impegni volontari per la riqualificazione/valorizzazione ecosistemi di interesse naturalistico (es. torbiere, zone umide, cassette nido, percorsi didattici).
X X X X X X X
Y Indagini, studi, monitoraggi, ecc. X X X X
La certificazione del settore forestale
Nell’ambito della filiera foresta-legno italiana il pa-norama della certificazione volontaria è dominato dai sistemi di gestione sostenibile del bosco (GFS o anche noto come SFM dall’acronimo inglese di Sustainable Forest Management), che costituiscono il fondamento delle catene di custodia del legno (CoC).
Gli standard di certificazione forestale più diffusi (FSC®, PEFC™) non si addentrano nel campo della valutazio-ne della qualità tecnologico-funzionale del prodotto legnoso ma si propongono di enfatizzare la provenien-za del legno da un sistema organizprovenien-zato di conduzione del bosco e di controllo della filiera commerciale, ri-spondente all’istanza di rispetto delle risorse naturali e dei diritti fondamentali dell’uomo. Tali principi ca-ratterizzano sempre di più le scelte di una vasta platea di consumatori.
L’ampio ricorso in vari settori al termine “sostenibilità”
ha finito per assuefare il consumatore a un concetto talora abusato o divenuto talmente generico da risul-tare poco chiaro e attrattivo.
Più recentemente EUTR (EU Timber Regulation, Reg.
CE n. 995/2010, conosciuto semplicemente come Tim-ber Regulation) si è di fatto sovrapposto e intrecciato alle certificazioni volontarie di origine del legno, tra-sformando in requisito obbligatorio ciò che in Europa fino al 2013 era prerogativa del legname certificato, ovvero la garanzia dell’origine legale. Benché la le-galità rappresenti solamente una componente della sostenibilità della gestione forestale, il confine tra i due termini è divenuto labile al punto che il significato del secondo viene spesso frainteso o percepito come ridondante anche dall’utente informato.
Nel contesto del progetto BIOΔ4, l’intento di elaborare uno schema prototipale di certificazione della gestio-ne della biodiversità risponde a questa nuova esigenza di sostenibilità, offrendo nella fattispecie l’opportuni-tà di portare all’attenzione del consumatore l’impegno del gestore nel mantenere e/o migliorare il livello di biodiversità del bosco.
In tale contesto, è opportuno premettere che il prefis-so “BIO”, ampiamente sfruttato nel comparto agroali-mentare per segnalare l’origine biologica di partico-lari prodotti, si riferisce alla diversità biologica delle componenti che costituiscono l’ecosistema forestale e non al metodo di produzione del legno e/o dei suoi derivati.