• Non ci sono risultati.

L'intervento del Jobs Act sull’art 2103 cod civ

CAPITOLO II: LA MOBILITA’ ORIZZONTALE

2. L'intervento del Jobs Act sull’art 2103 cod civ

Prima di analizzare i nuovi aspetti della disciplina del mutamento delle mansioni in particolare nell’ambito della mobilità orizzontale, occorre fare un passo indietro e vedere come, ed in quale contesto, viene adottato il Jobs Act che porta alla riscrittura dell’art. 2103 cod. civ.

La spinta alla riforma è stata data dalla grande trasformazione del mondo del lavoro in atto ai giorni nostri, in una realtà caratterizzata dal continuo progresso tecnologico e dalla sua stretta relazione con il mondo del lavoro, con la conseguente necessità di nuove conoscenze e figure professionali prima inesistenti, così come è stata determinata dai mutamenti nell’organizzazione aziendale, nella gestione della produzione e del lavoro delle persone. In una tale situazione di trasformazione dei processi operativi e delle modalità di lavorare, sono inevitabili le ripercussioni sul rapporto di lavoro, soprattutto sempre più forte è la necessità per gli imprenditori di un utilizzo flessibile della forza lavoro. In tale contesto è intervenuta la legge del 10 dicembre 2014, n. 18380, attraverso la quale è stato delegato il Governo di adottare uno o più decreti legislativi, tra cui uno “recante un testo organico semplificato delle discipline, delle tipologie contrattuali e dei rapporti di lavoro”, allo

80

L. 10 dicembre 2014, n. 183: Deleghe al Governo in materia di riforma degli ammortizzatori sociali, dei servizi per il lavoro e delle politiche attive, nonché in materia di riordino della disciplina dei rapporti di lavoro e dell'attività ispettiva e di tutela e conciliazione delle esigenze di cura, di vita e di lavoro.

48

“scopo di rafforzare le opportunità di ingresso nel mondo del lavoro da parte di coloro che sono in cerca di occupazione, nonché di riordinare i contratti di lavoro vigenti per renderli maggiormente coerenti con le attuali esigenze del contesto occupazionale e produttivo”81.

Sempre nel rispetto dei principi direttivi stabiliti dal legislatore, la legge delega attribuisce al Governo il potere di intervenire anche per una “revisione delle mansioni, in caso di processi di riorganizzazione, ristrutturazione o conversione aziendale, individuati sulla base di parametri oggettivi, contemperando l’interesse dell’impresa all’utile impiego del personale con l’interesse del lavoratore alla tutela del posto di lavoro, della professionalità e delle condizioni di vita ed economiche, prevedendo limiti alla modifica dell’inquadramento”, affermando inoltre che “la contrattazione collettiva, anche aziendale, stipulata con le organizzazioni sindacali dei lavoratori comparativamente più rappresentative a sul piano nazionale e livello interconfederale o di categoria, possa individuare ulteriori ipotesi rispetto a quelle disposte ai sensi della presente lettera” 82.

Possiamo però ben affermare che in realtà il legislatore delegato non si è limitato ad una parziale riscrittura della norma, e ad una proposta di nuova disciplina (come prescritto dalla delega), bensì è intervenuto con una quasi totale riscrittura dell’art. 2103 cod. civ., riformando completamente l’ambito della mobilità orizzontale83

.

La legge delega infatti, ha portato da subito a dibattiti in dottrina inerenti la genericità dei principi e dei criteri direttivi, nonché dell’oggetto della stessa84, portando anche qualcuno a ritenere che si debba parlare di delega in bianco. In particolare, in relazione ai criteri direttivi scelti, è

81

L. 10 dicembre 2014, n. 183, art. 1, co. 7°.

82

L. 10 dicembre 2014, n. 183, art. 1, co. 7°, let. E).

83

Cfr. G. ZILIO GRANDI, E. GRAMANO, La disciplina delle mansioni prima e dopo il Jobs Act, Giuffrè Editore, 2016, p.37.

84

L. DE ANGELIS, Note sulla nuova disciplina delle mansioni ed i sui (difficilissimi) rapporti con la legge delega, WP CSDLE “Massimo D’Antona”.IT, 2015, n. 263, p.1.

49

stato contestato che questi in realtà non sarebbero orientati all’adozione di un vero e proprio codice semplificato, come sancito dalla delega stessa. A bilanciare l’elasticità e l’ampiezza dei criteri direttivi vi è lo scopo indicato dall’art. 1 co. 7 della l. n. 183/2014, che deve essere mantenuto come l’obiettivo generale della riforma85

, ovvero quello di rafforzare l’opportunità d’ingresso nel mondo del lavoro e di rendere i contratti di lavoro più coerenti con le esigenze attuali.

Sulla scia della l. n. 183/2014 il Governo esercita la delega attribuitagli, adottando il d.lgs. del 15 giugno 2015 n. 81, con cui all’art. 386, intitolato “disciplina delle mansioni”, riscrive completamente tale materia, prevedendo al 1° comma la sostituzione dell’art. 2013 cod. civ. versione

85

M. BROLLO, Disciplina delle mansioni (art.3), in Commento al d.lgs. 15 giugno 2015 n.81: le tipologie contrattuali e lo ius variandi, (a cura di) F. Carinci, in ADAPT University Press, 2015, p.35.

86

D.lgs. 15 giugno 2015, n. 81: Disciplina organica dei contratti di lavoro e revisione della normativa in tema di mansioni, a norma dell'articolo 1, comma 7, della legge 10 dicembre 2014, n. 183. art. 3: La disciplina delle mansioni, “1. L'articolo 2103 del codice civile è sostituito dal seguente: «2103. Prestazione del lavoro. - Il lavoratore deve essere adibito alle mansioni per le quali è stato assunto o a quelle corrispondenti all'inquadramento superiore che abbia successivamente acquisito ovvero a mansioni riconducibili allo stesso livello e categoria legale di inquadramento delle ultime effettivamente svolte. In caso di modifica degli assetti organizzativi aziendali che incide sulla posizione del lavoratore, lo stesso può essere assegnato a mansioni appartenenti al livello di inquadramento inferiore purché rientranti nella medesima categoria legale. Il mutamento di mansioni è accompagnato, ove necessario, dall'assolvimento dell'obbligo formativo, il cui mancato adempimento non determina comunque la nullità dell'atto di assegnazione delle nuove mansioni. Ulteriori ipotesi di assegnazione di mansioni appartenenti al livello di inquadramento inferiore, purché rientranti nella medesima categoria legale, possono essere previste dai contratti collettivi. Nelle ipotesi di cui al secondo e al quarto comma, il mutamento di mansioni è comunicato per iscritto, a pena di nullità, e il lavoratore ha diritto alla conservazione del livello di inquadramento e del trattamento retributivo in godimento, fatta eccezione per gli elementi retributivi collegati a particolari modalità di svolgimento della precedente prestazione lavorativa. Nelle sedi di cui all'articolo 2113, quarto comma, o avanti alle commissioni di certificazione, possono essere stipulati accordi individuali di modifica delle mansioni, della categoria legale e del livello di inquadramento e della relativa retribuzione, nell'interesse del lavoratore alla conservazione dell'occupazione, all'acquisizione di una diversa professionalità o al miglioramento delle condizioni di vita. Il lavoratore può farsi assistere da un rappresentante dell'associazione sindacale cui aderisce o conferisce mandato o da un avvocato o da un consulente del lavoro. Nel caso di assegnazione a mansioni superiori il lavoratore ha diritto al trattamento corrispondente all'attività svolta e l'assegnazione diviene definitiva, salvo diversa volontà del lavoratore, ove la medesima non abbia avuto luogo per ragioni sostitutive di altro lavoratore in servizio, dopo il periodo fissato dai contratti collettivi o, in mancanza, dopo sei mesi continuativi. Il lavoratore non può essere trasferito da un'unità produttiva ad un'altra se non per comprovate ragioni tecniche, organizzative e produttive. Salvo che ricorrano le condizioni di cui al secondo e al quarto comma e fermo quanto disposto al sesto comma, ogni patto contrario è nullo.». 2. L'articolo 6 della legge 13 maggio 1985, n. 190, è abrogato”.

50

statutaria, con una nuovo articolo intitolato “Prestazione del lavoro”, che da vita ad una corposa e complessa regolazione diretta a modificare in profondità le regole formali della disciplina dello ius variandi, con l’intento di rafforzare le esigenze datoriali, e quindi, per controverso di ridurre le tradizionali protezioni del lavoratore87.

Come abbiamo brevemente analizzato a fine del precedente capitolo, la nuova normativa, differisce dalla precedente in relazione a tre ambiti. Innanzitutto, in tema di mobilità orizzontale si passa dal potere del datore di adibire il lavoratore a mansioni equivalenti alle ultime effettivamente svolte”, a quello di assegnare il prestatore a “mansioni riconducibili allo stesso livello e categoria legale d’inquadramento delle ultime effettivamente svolte”; viene dunque meno il criterio dell’equivalenza, un tempo affidato al sindacato ultimo del giudice88, in favore del nuovo criterio del livello d’inquadramento.

Altri ambiti d’intervento della nuova norma, riguardano le modifiche peggiorative delle mansioni, prevedendo ai commi 2°, 4° e 6°, delle ipotesi in cui è possibile adibire il prestatore di lavoro a mansioni inferiori, rispettivamente, per mezzo dell’esercizio del potere unilaterale del datore, per previsione della contrattazione collettiva o su accordo tra le parti. Quanto alle mansioni superiori, l’assegnazione diviene definitiva dopo il periodo fissato dalla contrattazione collettiva, o in mancanza dopo sei mesi continuativi, mentre nella versione antecedente al 2015 si stabiliva un “periodo comunque non superiore a tre mesi”.

Riguardo al campo di applicazione materiale della novella disciplina, questa si applica al rapporto di lavoro subordinato di diritto privato; quanto invece alla sua applicazione temporale, si applica immediatamente ai rapporti di lavoro subordinato in corso, ponendo però delicati problemi data l’assenza di una norma transitoria: il dubbio nasce

87

BROLLO, op. cit., p.43.

88

F. AMENDOLA, La disciplina delle mansioni nel d.lgs. n. 81 del 2015, WP CSDLE “Massimo D’Antona”.IT, 2016, n. 291, p.6.

51

sulla rilevanza del momento di adozione del provvedimento di adibizione a mansioni differenti89.

Sul punto è intervenuta la giurisprudenza con due decisioni diametralmente opposte. In una prima pronuncia del settembre 2015 il Tribunale di Ravenna 90 ha chiarito che deve essere preso in considerazione il momento in cui è stata adottata la misura (in tale caso di demansionamento), ai fini dell’individuazione della disciplina applicabile, dunque, se il provvedimento con cui il datore esercita il proprio ius variandi è anteriore all’entrata in vigore della nuova normativa si applicherà la disciplina antecedente alla riforma, altrimenti se il provvedimento è successivo alla data del 25 giugno 2015 troverà applicazione il nuovo art. 2103 del codice civile.

Secondo quanto previsto invece dal Tribunale di Roma91, innanzitutto il

89

M. MENEGOTTO, La disciplina delle mansioni dopo il Jobs Act, nuovi spazi per la flessibilità funzionale; WP Adapt University Press, n. 7/2016, p.12.

90

Sent. Trib. Ravenna 22 settembre 2015, n. 174, Motivi della decisione: 2. “La prima questione da decidere attiene l’applicabilità della nuova più permissiva normativa in tema di ius variandi ex art. 2103 cod. civ. nel testo modificato dal d.lgs. 81/2015. La nuova normativa però non si può applicare alla fattispecie perché il fatto generatore (demansionamento) si è prodotto nel vigore della legge precedente. Ed il fatto che segna il discrimine tra una normativa e l’altra è proprio il prodursi del demansionamento. A nulla contando invece che esso continui nel vigore della legge successiva; la quale peraltro non contiene alcuna norma di natura retroattiva e nemmeno di diritto intertemporale.”

91

Sent. Trib. Roma 30 settembre 2015, n. 4245, Motivi della decisione: 3. “Premesso che, in difetto di qualsiasi norma transitoria, sicuramente la descritta novella legislativa si applica anche ai rapporti di lavoro già in corso alla data della sua entrata in vigore, resta da appurare se essa abbia rilevanza rispetto a mutamenti di mansioni disposti (come quello oggetto della presente controversia) prima del 25 giugno 2015 e in atto ancora dopo quella data. Ritiene il Tribunale che all’interrogativo debba darsi risposta affermativa. In effetti il demansionamento del lavoratore costituisce una sorta di illecito “permanente”, nel senso che esso si attua e si rinnova ogni giorno in cui il dipendente viene mantenuto a svolgere mansioni inferiori rispetto a quelle che egli, secondo legge e contratto, avrebbe diritto di svolgere (la giurisprudenza di legittimità ha adottato una simile concezione della dequalificazione allorché ha dovuto individuare il giudice munito di giurisdizione nelle controversie interessanti dipendenti pubblici contrattualizzati in caso di demansionamento iniziato prima e proseguito dopo il 30 giugno 1998, data che segna il discrimine tra la giurisdizione amministrativa e quella ordinaria nel contenzioso del lavoro pubblico ex art. 45, co. 17, d.lgs. n. 80 del 1998: v., ad esempio, Cass. n. 1141 del 2007). Conseguentemente, la valutazione della liceità o meno della condotta posta in essere dal datore di lavoro nell’esercizio del suo potere di assegnare e variare (a certe condizioni) le mansioni che il dipendente è chiamato ad espletare va necessariamente compiuta con riferimento alla disciplina legislativa e contrattuale vigente giorno per giorno; con l’ulteriore conseguenza che l’assegnazione di determinate mansioni che deve essere considerata illegittima in un certo momento, può non esserlo più in un momento successivo.”

52

giudizio di equivalenza tra nuove e vecchie mansioni deve essere condotto utilizzando quale parametro solamente le astratte previsioni del sistema di classificazione adottato dal contratto collettivo applicabile al rapporto, non più guardando al contenuto delle precedenti mansioni svolte, andando ad estendere al lavoro tra privati quanto stabilito dall’art. 52 d.lgs. n. 165 del 2001 per il lavoro alle dipendenze delle pubbliche amministrazioni. Con riferimento all’applicazione temporale, il giudice afferma senza dubbio che la nuova disciplina si applica ai rapporti di lavoro in corso, ma anche a quei mutamenti disposti antecedentemente alla data del 25 giugno 2015, ed ancora in atto dopo tale data, essendo il demansionamento un “illecito permanente”, che si attua di giorno in giorno, e in quanto tale deve sempre essere valutato alla stregua della normativa di volta in volta in vigore.

Ne consegue che l’assegnazione a determinate mansioni potrebbe risultare illecita in un certo momento, sotto la vigenza di una normativa, mentre potrebbe risultare lecita in un secondo tempo, in base ad un’altra. Tale concezione della dequalificazione come “illecito permanente” è stata avallata anche da una recente sentenza del Tribunale di Milano, del 21 luglio 201792. Nel caso oggetto di controversia il dipendente dichiarava di aver subito a partire dall’anno 2000 un demansionamento, il giudice nel valutare la vicenda ha ritenuto di dover utilizzare tanto il criterio dell’equivalenza sostanziale sancito dal vecchio testo, quanto il nuovo criterio del livello d’inquadramento e della categoria legale, giungendo a ritenere illegittimo il provvedimento del datore di lavoro alla luce di entrambi, quindi tanto perché le nuove mansioni non rientravano nel bagaglio professionale acquisito dal lavoratore, quanto perché le nuove mansioni non erano riconducibili allo stesso livello d’inquadramento e categoria legale delle ultime effettivamente svolte, tenendo conto delle declaratorie contrattuali di riferimento, cioè quelle

92

53

del CCNL del Credito93.

3. Il nuovo criterio del livello d’inquadramento e della categoria