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Le ultime mansioni effettivamente svolte e la questione delle mansion

CAPITOLO II: LA MOBILITA’ ORIZZONTALE

6. Le ultime mansioni effettivamente svolte e la questione delle mansion

Nella nuova formulazione dell’art. 2103 cod. civ. rimane un importante riferimento alle “ultime mansioni effettivamente svolte”, analogamente a come avveniva nella versione passata.

L’effettività fungeva da parametro principale della posizione sostanziale del lavoratore, rispetto alla quale doveva svolgersi il giudizio di equivalenza116, oggi invece ha il ruolo di termine di paragone, non più per verificare l’equivalenza, bensì l’appartenenza al medesimo livello d’inquadramento e categoria legale delle mansioni di nuova adibizione. Con il termine ultime mansioni svolte erano da considerarsi, all’inizio quelle di assunzione, successivamente quelle differenti ma comunque legittimamente eseguite (o perché equivalenti a quelle iniziali o perché corrispondenti alla categoria superiore successivamente acquisita), che il lavoratore svolgeva in maniera stabile e non occasionale.

Tali ultime mansioni nei fatti potevano anche essere estranee al contenuto del contratto, in tal caso però si riteneva che il giudizio di equivalenza dovesse essere effettuato con riferimento a quelle previste nel modello pattuito; solo successivamente, quando venne ad affermarsi una nozione flessibile dell’equivalenza, si ritenne che l’oggetto del contratto di lavoro non fosse determinato solo dalle mansioni concordate

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M. BROLLO, La mobilità interna del lavoratore, mutamento di mansioni e trasferimento, in Il Codice Civile Commentario, Giuffrè Editore, 1997, p.122.

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dalle parti, ma questo si estendeva anche a quelle meramente potenziali, consentendo ai lavoratori l’acquisizione di nuove e diverse competenze117.

Altra questione rilevante, e come vedremo strettamente connessa alle ultime mansioni effettivamente svolte è quella delle mansioni promiscue o polivalenti, intendendo con tale termine quell’insieme di compiti lavorativi dedotti unitariamente e complessivamente nel contratto di lavoro, in sede di pattuizione delle mansioni di assunzione o anche successivamente, in cui alcuni di essi si presentano inferiori agli altri, ovvero appartenenti ad un livello o categoria inferiore118.

Queste si distinguono dalle mansioni accessorie o complementari, che si ritengono implicitamente convenute dalle parti in base al principio di esecuzione in buona fede del contratto, in quanto sono strettamente legate alla prestazione principale pur non essendo prevalenti rispetto ad essa; quelle promiscue invece non sono strumentali o collegate alla prestazione principale.

Il problema che si poneva sotto la vigenza della precedente disciplina, era se dovesse essere svolto il giudizio di equivalenza anche per l’adibizione a mansioni promiscue, dubbio che sorgeva a causa del riferimento alle ultime mansioni effettivamente svolte, e che si potrebbe ripresentare anche adesso data la resistenza alla riforma di tale concetto. L’art. 2103 cod. civ. versione statutaria aveva dato vita a due differenti interpretazioni dottrinali, la prima119 dava rilievo al criterio temporale, per cui le ultime effettivamente svolte dovevano considerarsi quelle mansioni che il lavoratore eseguiva nel momento in cui il datore decide

117

M. N. BETTINI, Mansioni del lavoratore e flessibilizzazione delle tutele, Giappichelli Editore, Torino, 2014, p.72.

118

C. PISANI, La nuova disciplina del mutamento delle mansioni, Giappichelli Editore, 2015, p.58.

119

M. PERSIANI, Prime osservazioni sulla nuova disciplina delle mansioni e dei trasferimenti dei lavoratori, in Dir. lav., 1971, p.13 ss; U. ROMAGNOLI, Commento all’art.13, in Commentario dello Statuto dei lavoratori, (a cura di) A. Scialoja e G. Branca, Zanichelli Editore, 1972, p.184.

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adibirlo ad altri compiti, indipendentemente dall’inclusione di questi ultimi nella più ampia prestazione dedotta nel contratto. Abbracciando questa tesi oggi dovremmo ritenere illegittima l’adibizione a mansioni promiscue convenute tra le parti, che però portano allo svolgimento di compiti rientranti in livelli inferiori a quelli da ultimo svolti. Soluzione questa eccessivamente rigida e criticabile, in quanto limita il potere del datore di lavoro di attribuire il dipendente a compiti inferiori agli ultimi pur avendoli determinati nel contratto stesso.

Una diversa e maggioritaria interpretazione dottrinale 120 formatasi nell’ottica di una maggiore flessibilità, respinge la suddetta lettura, evidenziando il silenzio del legislatore che, se avesse voluto, avrebbe ben potuto prevedere esplicitamente una limitazione così significativa all’autonomia delle parti, per cui le ultime mansioni effettivamente svolte debbono essere interpretate sulla base non solo del criterio cronologico, ma anche in virtù della successione giuridica, per cui tali devono ritenersi quelle svolte con carattere di stabilità (non temporaneità), senza distinguere nella globalità della prestazione i compiti più o meno elevati. Nel caso di mansioni promiscue dunque, l’utilità dedotta nell’obbligazione cioè l’insieme di comportamenti dovuti appare inscindibile ed unitaria, spetta al datore di lavoro esercitare la propria facoltà di scelta.

Anche la giurisprudenza prevalente era orientata nel senso di ritenere gli spostamenti interni a mansioni promiscue esenti dal giudizio di equivalenza, pure nell’ipotesi in cui taluni compiti fossero collocati dall’autonomia collettiva ad un livello inferiore; in generale era riconosciuto alle parti il potere di accordarsi per lo svolgimento di compiti polivalenti, ruotando su più mansioni.

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F. LISO, La mobilità del lavoratore in azienda: il quadro legale, Franco Angeli Editore, 1982, p.149; C. PISANI, La modificazione delle mansioni, 1996, p.151 ss.; M. DELL’OLIO, L’oggetto e la sede della prestazione di lavoro, in Tratt. dir. priv. Diretto da P. Rescigno, XV, I, 1986, p.505.

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Sempre la giurisprudenza inoltre risolveva un’ulteriore problematica, ossia quella dell’inquadramento dei lavoratori nel caso di svolgimento di mansioni promiscue a cavallo tra due diverse qualifiche, una superiore ed un inferiore, ritenendo che la qualifica del lavoratore dovesse essere determinata facendo riferimento esclusivo al “contenuto della mansione primaria e caratterizzante”, da individuarsi sulla base del criterio quantitativo (cioè sulla base della ripetitività) e qualitativo (cioè risulta determinante il grado di specializzazione)121; anche alla luce del nuova norma codicistica si ritiene che questa impostazione sia condivisibile122. La situazione viene complicata dall’intervento delle Sezioni Unite nel 2006 con la sentenza n. 25033123, la quale ha introdotto una serie di limitazioni nell’ambito delle mansioni promiscue. Nel caso in questione la controversia riguardava una dipendente di Poste Italiane s.p.a. che era stata assunta con inquadramento nell’area operativa, per lo svolgimento di attività di sportello e di recapito, in modo promiscuo, inizialmente svolgeva la prima attività, quando successivamente è stata adibita alla seconda, sentendosi demansionata ha agito in giudizio lamentando una violazione dell’art. 2103 cod. civ..

In realtà in questo caso si può affermare che la promiscuità era davvero lieve, dato che le mansioni non erano collocate ad un livello inferiore, ma solo diverse professionalmente, in secondo luogo è da ritenere legittima l’adibizione ad entrambe le mansioni in forza della clausola di fungibilità introdotta dalla contrattazione collettiva.

Tuttavia la giurisprudenza della Corte di Cassazione ha introdotto dei rigorosi limiti all’adibizione a mansioni promiscue, quali la sussistenza di esigenze aziendali giustificatrici, e l’appartenenza alla stessa qualifica di tali mansioni, sennonché si può immediatamente notare che questo secondo limite porterebbe all’inesistenza stessa delle mansioni

121

Cfr. BROLLO, op. cit., p.133.

122

PISANI, op. cit., p.63.

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promiscue che si caratterizzano proprio per la presenza al loro interno di compiti collocati in un livello d’inquadramento inferiore124

. Questo ci porta a ritenere non condivisibile tale orientamento giurisprudenziale. Con l’introduzione dell’attuale disciplina possiamo affermare che la contrattazione collettiva potrebbe essere la fonte di soluzione dei problemi inerenti alle mansioni promiscue, dato che, se agisce inserendole in un determinato livello d’inquadramento rende possibili gli spostamenti del prestatore tra i vari compiti, anche inferiori inclusi nella qualifica promiscua, ai sensi del comma 1 dell’art. 2103 cod. civ..

L’autonomia collettiva è in effetti la sede da privilegiare per individuare e creare fattori di omogeneità tra mansioni attinenti a posizioni di lavoro diverse, ma nonostante questo si ritiene ammissibile anche per le parti del contratto di lavoro pattuire mansioni promiscue, e le modifiche nell’ambito di queste sono sottratte all’applicazione della regola prevista al 1° comma (ovvero le mansioni promiscue non devono essere collocate nel medesimo livello d’inquadramento e categoria legale delle ultime effettivamente svolte).

7. Il mancato riferimento alla conservazione del trattamento