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L'obbligo di formazione generalizzato: espressione dell'evoluzione del

CAPITOLO II: LA MOBILITA’ ORIZZONTALE

5. L'obbligo di formazione generalizzato: espressione dell'evoluzione del

Indispensabile corollario del modernizzato concetto di professionalità, intesa appunto al futuro, è l’obbligo o onere di formazione espressamente sancito al 3° comma dell’art. 2103 cod. civ., con cui il legislatore in maniera innovativa rispetto al passato, riconosce l’importanza della formazione nell’ambito della mobilità endo-aziendale.

La riforma introdotta dal Jobs Act, intervenendo in una situazione di crisi economica, causata dalla diminuzione della richiesta di produzione e quindi della forza lavoro necessaria, nonché dai continui mutamenti che richiedono alle aziende ingenti capacità di adeguamento per rimanere competitive sul mercato, riconosce anche la necessità di una “capacità di adattamento” del lavoratore, di modo da rendere possibile che questo

106

F. AMENDOLA, La disciplina delle mansioni nel d.lgs. n. 81 del 2015, WP CSDLE “Massimo D’Antona”.IT, 2016, n. 291, p.16.

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venga adibito ad attività lavorative diverse rispetto alle precedenti, garantendogli un’adeguata formazione quando questa sia necessaria107

. Il comma 3° infatti, prevede espressamente che “Il mutamento di mansioni è accompagnato, ove necessario, dall’assolvimento dell’obbligo formativo, il cui mancato adempimento non determina comunque la nullità dell’atto di assegnazione delle nuove mansioni”. Nonostante l’importanza di questa previsione, la sua portata viene sminuita dalla non chiara formulazione, che da luogo a dubbi interpretativi.

In primo luogo non viene definito per quali tipi di mobilità è previsto tale obbligo, vi è semplicemente un generico richiamo al “mutamento di mansioni” che ha portato alcuni autori a ritenere che questo debba essere applicato ad ogni modifica delle mansioni108, mentre vi è chi, come Pisani, ha escluso l’applicabilità di questo obbligo alle modifiche consensuali in peius, ex comma 6, argomentando che la formazione è legata all’esercizio dello ius variandi datoriale, va quindi intesa come onere del datore per il legittimo mutamento verso mansioni per cui il lavoratore non ha adeguate competenze109.

Ulteriore aspetto problematico è dato dal vago precetto “ove necessario”, il quale ci porta a ritenere che spetta al datore di lavoro stabilire in quali ipotesi occorre effettuare questa formazione ed in quali no, dando così vita ad una maggiore incertezza che può essere rimossa solo dall’intervento dell’autonomia collettiva; fino a quel momento la correttezza o meno della decisione del datore potrà al massimo essere valutata successivamente dal giudice.

107

Cfr. G. ZILIO GRANDI, E. GRAMANO, La disciplina delle mansioni prima e dopo il Jobs Act, Giuffrè Editore, 2016, p.135 ss.

108

F. LISO, Brevi osservazioni sulla revisione della disciplina delle mansioni contenuta nel decreto legislativo n. 81/2015 e su alcune recenti tendenze di politica legislativa in materia di rapporto di lavoro, WP CSDLE “Massimo D’Antona”.IT, 2015, n. 257, p.12-13; M. BROLLO, Disciplina delle mansioni (art.3); in Commento al d.lgs. 15 giugno 2015 n.81: le tipologie contrattuali e lo ius variandi (a cura di) F. Carinci; in ADAPT Univesity Press; 2015, p.85-86.

109

C. PISANI, La nuova disciplina del mutamento delle mansioni, Giappichelli Editore, 2015, p.146.

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Infine vi è il dilemma di chi sia il soggetto gravato dall’obbligo formativo (se il datore o il lavoratore). Da una prima lettura parrebbe che il soggetto gravato dall’obbligo sia il datore di lavoro, tesi che appare preferibile e si ritiene venga accolta anche dalla giurisprudenza, però più che parlare di un vero e proprio obbligo si deve affermare l’esistenza di un onere in capo al datore, dato che il mancato assolvimento “non determina comunque la nullità dell’atto di assegnazione”, è la carenza della sanzione dunque ad annullare di fatto l’efficacia della parte precettiva della disposizione: un obbligo che non sia sanzionato finisce per non essere un obbligo110.

Ne deriva che in caso di mutamento di mansioni non accompagnato da una formazione professionale, non potranno essere imputati al dipendente eventuali danni ed errori da lui cagionati e dovuti dalle mancate conoscenze necessarie per svolgere tale attività, non sarà dunque passibile di sanzioni disciplinari per la sua inadeguatezza al ruolo. Dal canto suo il lavoratore potrebbe agire chiedendo il risarcimento per i danni da lui subiti nonostante la difficoltà dell’onere della prova che su di lui incomberebbe.

La dottrina per lo più ritiene che se il datore non ha previsto un’adeguata formazione, il lavoratore non potrebbe legittimamente rifiutare lo svolgimento delle nuove mansioni (potrà appunto agire con la tutela risarcitoria), dato che il rifiuto di eseguire la prestazione potrebbe essere esclusivamente conseguenza dell’inadempimento di un obbligo principale della controparte, quale non è l’obbligo formativo (è obbligo principale del datore invece la corresponsione della retribuzione), mentre per altra dottrina111 il lavoratore ha diritto di rifiutare lo svolgimento della prestazione per cui non ha avuto un’adeguata formazione, senza alcuna conseguenza pregiudizievole se il rifiuto è accompagnato

110

U. GARGIUOLO, Lo jus variandi nel “nuovo” art. 2103 cod. civ., WP CSDLE “Massimo D’Antona”.IT, 2015, n. 268, p.10.

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dall’offerta della prestazione dovuta. Sicuramente deve considerarsi incontestabile il rifiuto del lavoratore ad eseguire le nuove mansioni, qualora dall’omissione del datore potrebbero derivare rischi per l’incolumità o la sicurezza del lavoratore, di colleghi o terzi, nell’ottica di adempimento ai doveri di diligenza di cui all’art. 2104 cod. civ.112

. Sulla questione la stessa giurisprudenza si è espressa in modo contrastante, affermando in alcune pronunce la legittimità del rifiuto del lavoratore purché sia proporzionato nella misura e coerente con il principio di buona fede113, mentre in altre ha affermato che il rifiuto del dipendente può essere conseguenza solamente di un totale inadempimento della controparte, ovvero per omessa corresponsione della retribuzione, non essendo possibile un rifiuto a priori di eseguire la prestazione lavorativa senza un avallo giudiziario114.

Per quanto riguarda invece l’ipotesi opposta in cui il datore adempie al proprio obbligo, si ritiene che il prestatore sia obbligato alla formazione, giacché dal suo inadempimento non discenderà la nullità dell’atto di assegnazione e nemmeno il datore potrà obbligarlo, ma potrebbe ben accadere che da questo derivi l’inadeguatezza del lavoratore allo svolgimento dei nuovi compiti, realizzandosi così un inadempimento dell’obbligo principale di prestazione, con tutte le possibili conseguenze sul piano disciplinare115.

L’art. 2103 cod. civ. comma 3° è inoltre carente anche nella definizione delle modalità in cui dovrebbe essere attuato tale obbligo/onere, certamente il datore dovrà fornire una formazione da ritenersi adeguata, e ciò sarà per lui tanto oneroso quanto maggiore sarà la professionalità richiesta per le nuove mansioni, proprio questo potrebbe costituire infatti

112

L. BUCONI, L’obbligo formativo, in AA. VV., La nuova disciplina delle mansioni dopo il Jobs Act, 2016, p. 96.

113

Cass. Sez. Lav., 29 febbraio 2016, n. 3959, in Mass. giust. civ., 2016.

114

Cass. Sez. Lav., 19 gennaio 2016, n. 831, in Mass. giust. civ., 2016 .

115

LISO, Brevi osservazioni sulla revisione della disciplina delle mansioni contenuta nel decreto legislativo n. 81/2015 e su alcune recenti tendenze di politica legislativa in materia di rapporto di lavoro, WP CSDLE “Massimo D’Antona”.IT, 2015, n. 257, p.13.

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un disincentivo all’assegnazione dei lavoratori a mansioni notevolmente diverse; il dipendente invece, dovrà adempiere al proprio obbligo con buona fede e correttezza.

Date le notevoli criticità ed incertezze è da ritenere necessario l’intervento, quanto prima, della contrattazione collettiva, al fine di sciogliere tutti i nodi lasciati irrisolti dalla formulazione del 3° comma.

6. Le ultime mansioni effettivamente svolte e la questione delle