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La disciplina dello ius variandi a seguito delle modifiche apportate dal d.lgs. n. 81/2015

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UNIVERSITA’ DI PISA

Dipartimento di Giurisprudenza

Corso di laurea magistrale in Giurisprudenza

La disciplina dello ius variandi a seguito delle modifiche

apportate dal d.lgs. n. 81/2015

Candidata Relatore

Gaia Schiffini Prof. Pasqualino Albi

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Alla mia famiglia, per tutto il sostegno che mi ha dato.

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4

INDICE

INTRODUZIONE ... 7

CAPITOLO I: MANSIONI, QUALIFICHE, CATEGORIE E INTRODUZIONE ALLO IUS VARIANDI ... 12

1. L’oggetto del contratto di lavoro subordinato ... 12

2. Mansioni, Qualifiche e Categorie ... 15

2.1. Categorie legali ... 19

2.2 Categorie convenzionali ... 29

3. Le tecniche contrattuali di inquadramento dei lavoratori. Il nuovo inquadramento sperimentale FCA introdotto dal CCSL per le aziende del gruppo Fiat ... 30

4. L'art. 2103 nel codice civile del 1942: una fragile tutela ... 36

5. Dalle garanzie introdotte con la l. n. 300/1970 alle recenti modifiche apportate dal Jobs Act ... 38

CAPITOLO II: LA MOBILITA’ ORIZZONTALE ... 42

1. La disciplina anteriore al 2015: il concetto di equivalenza e le sue interpretazioni dottrinali e giurisprudenziali ... 42

2. L'intervento del Jobs Act sull’art. 2103 cod. civ. ... 47

3. Il nuovo criterio del livello d’inquadramento e della categoria legale in sostituzione dell’equivalenza ... 53

4. Il superamento della tutela della professionalità nella sua dimensione statica ... 56

5. L'obbligo di formazione generalizzato: espressione dell'evoluzione del concetto di professionalità... 58

6. Le ultime mansioni effettivamente svolte e la questione delle mansioni promiscue ... 62

7. Il mancato riferimento alla conservazione del trattamento retributivo: eclissi o trasformazione? ... 66

(5)

5

CAPITOLO III: L’ADIBIZIONE A MANSIONI SUPERIORI ... 74 1. Continuità con la disciplina antecedente alla riforma. Le fattispecie di

mobilità verticale ... 74 2. Adibizione alle mansioni della categoria superiore successivamente

acquisita: le interpretazioni dottrinali ... 79 3. La promozione automatica e il periodo di tempo necessario per farla

maturare ... 82 4. Effettività e continuità del periodo di svolgimento delle mansioni ... 86 5. L'eccezione all'assegnazione definitiva derivante dal rifiuto del

lavoratore... 90 6. L'eccezione derivante dalla sostituzione di altro lavoratore in servizio e

la promozione temporanea ... 92 7. Progressione del trattamento economico ... 95 8. Adibizione piena alle mansioni superiori e la questione delle mansioni

vicarie ... 97 CAPITOLO IV: L’ADIBIZIONE A MANSIONI INFERIORI...100 l. Il vecchio art. 2103 del codice civile e la nullità dei patti contrari ...100 2. Le eccezioni legali e giurisprudenziali all’inderogabilità della norma .102 3. La nuova disciplina e i casi di legittimo demansionamento ...106 4. Mansioni di un solo livello inferiore, a parità di categoria legale, per

modifica degli assetti organizzativi aziendali che incidono sulla posizione del lavoratore ...108 5. Le ulteriori ipotesi previste dai contratti collettivi ... 111 6. Le modifiche consensuali peggiorative del livello di inquadramento e

della retribuzione, nell’interesse del lavoratore: limiti sostanziali ... 114 7. Segue. I limiti procedurali ... 116 8. Trattamento retributivo nello ius variandi in peius ... 118 9. Le ipotesi di illegittimo demansionamento e le differenze con il mobbing

...120 10. Il repêchage nel licenziamento in relazione all’assegnazione a mansioni

inferiori...124

CAPITOLO V: LA TUTELA DEL LAVORATORE NEL CASO DI

ILLEGITTIMO ESERCIZIO DELLO IUS VARIANDI ...126 1. Il bene giuridico tutelato dall'art. 2103 cod. civ.: la dignità professionale

...126 2. L'autotutela individuale del lavoratore: il rifiuto delle mansioni non

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6

3. Il rifiuto del mutamento legittimo ...131 4. L’azione cautelare ...132 5. L'azione di nullità degli atti e patti contrari ...133 6. L’azione di condanna e il problema dell'incoercibilità della tutela

ripristinatoria ...135 7. La tutela risarcitoria ...137 8. Tipologie di danni risarcibili: patrimoniali e non patrimoniali.

L'interpretazione delle Sezioni Unite ...138 9. L'onere della prova della legittimità o dell'illegittimità del mutamento143 10. La tutela contro la mancata promozione...144

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INTRODUZIONE

La disciplina dello ius variandi, ma più in generale l’intero diritto del lavoro è stato oggetto in tempi recenti di un profondo processo di riforma di cui uno degli obiettivi fondamentali era soprattutto quello di risolvere la grave e perdurante crisi occupazionale che ha investito negli ultimi anni il nostro paese, ma oltre a questo, vi era la volontà di riscrivere l’assetto regolativo del rapporto di lavoro, innovandolo su più fronti e apportando delle vere e proprie modifiche strutturali alla materia1.

Tale riforma è conosciuta con il nome di Jobs Act, termine che fa riferimento alle iniziative legislative promosse dal Governo Renzi in materia di lavoro, negli anni 2014 e 2015, comprendendo in particolare la l. n. 183 del 2014, recante “Deleghe al Governo in materia di riforma degli ammortizzatori sociali, dei servizi per il lavoro e delle politiche attive, nonché in materia di riordino della disciplina dei rapporti di lavoro e dell’attività ispettiva e di tutela e conciliazione delle esigenze di cura, di vita e di lavoro”, per la cui attuazione sono stati varati nel corso del 2015 otto decreti attuativi (n. 22, 23, 80, 81, 148, 149, 150 e 151), tra questi assume rilevanza ai fini della nostra trattazione il d.lgs. n. 81 del 2015.

Questo elaborato si propone infatti di analizzare l’attuale disciplina del potere di modifica delle mansioni in possesso del datore di lavoro contenuta nell’art. 2103 cod. civ., confrontando le novità introdotte dall’art. 3 del suddetto d.lgs. n. 183/2015, che ha operato una vera e propria riscrittura della norma codicistica, cambiandone ratio e contenuto, con la precedente versione dello Statuto dei Lavoratori e con la sua originaria formulazione introdotta dal codice civile 1942.

1

V. SPEZIALE, Le politiche del lavoro del Governo Renzi: Il Jobs Act e la riforma dei contratti e di altre discipline del rapporto di lavoro, WP CSDLE “Massimo D’Antona”.IT, 2014, n. 233.

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Lo scritto che segue è suddiviso in cinque capitoli, aventi ad oggetto rispettivamente: le mansioni, qualifiche, categorie ed introduzione allo ius variandi, la mobilità orizzontale, l’adibizione a mansioni superiori, l’adibizione a mansioni inferiori e le tecniche di tutela nel caso di illegittimo esercizio dello ius variandi.

Lo scopo del primo capitolo è quello di fornire le nozioni fondamentali per un approccio alla materia, viene pertanto innanzitutto definito il concetto di prestazione di lavoro, quale oggetto della principale obbligazione del lavoratore, per poi analizzare subito dopo i tre nomina categoria, qualifica e mansioni necessari per l’individuazione della stessa. Si guarderà alla contrapposizione tra categorie legali e convenzionali, e alla dibattuta questione della distinzione tra categoria operaia e impiegatizia, superata gradualmente con l’introduzione operata della contrattazione collettiva del nuovo sistema di inquadramento unico, oggetto di attenzione proprio perché con la riforma del 2015 tanto il livello d’inquadramento quanto la categoria legale assolvono una nuova ed importante funzione, cioè quella di limitare l’area della mobilità orizzontale2. In tema si prende atto di uno degli effetti dell'ideologia riformatrice del Jobs Act, il riferimento è all'innovazione apportata dal gruppo Fiat con la stipulazione del CCSL del 7 luglio 2015 che introduce un nuovo sistema di classificazione del personale per le proprie aziende, spinto dell'obsolescenza del sistema d'inquadramento unico, introducendo così una tutela della professionalità che guarda al futuro e non più al passato.

Addentrandoci nel cuore della materia, l'elaborazione effettua un breve excursus della normativa contenuta nel noto art. 2103 cod. civ., partendo dalla labile tutela offerta dalla prima versione, ulteriormente aggravata dal formarsi di prassi e orientamenti giurisprudenziali avversi, passando

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poi per le maggiori garanzie introdotte nel 1970 grazie allo Statuto dei Lavoratori, tra cui la più importante è senza dubbio la previsione dell’inderogabilità della disciplina, e vediamo infine come il legislatore della riforma pur mantenendo fermo questo principio gli attribuisce una portata ridotta.

Osserveremo nello specifico le novità introdotte in tema di mobilità orizzontale (Capitolo II), tra cui l’abbandono del criterio basato sulla norma inderogabile a precetto generico, quale era l’equivalenza3

, per passare al criterio del livello d’inquadramento e della categoria legale, ponendo in risalto il ruolo giocato dall’autonomia collettiva; ciò determina anche un cambio di rotta nel modo di intendere la tutela della professionalità, che non sarà più oggetto di protezione nella sua dimensione statica ma verrà ora accolta una concezione dinamica della stessa.

Indispensabile corollario di tale nuova visione è l’obbligo o onere formativo, necessario per i mutamenti verso mansioni che richiedono competenze differenti, ma la cui non chiara formulazione ha portato al sorgere di interpretazioni differenti circa il soggetto gravato, la configurazione come obbligo o onere e i tipi di mutamenti cui dovrebbe essere applicato, portando taluni autori a parlare dell’obbligo formativo e della sua (ir)rilevanza4.

Termineremo l’analisi della disciplina della mobilità orizzontale con uno sguardo al mancato riferimento, nell’attuale normativa, alla conservazione del trattamento retributivo, che come vedremo non sarà da intendersi come un venir meno di tale garanzia.

La riscrittura dell’art. 2103 cod. civ. non pone invece sostanziali novità in tema di adibizione a mansioni superiori, affrontato nel capitolo III, tale

3

C. PISANI, I nostalgici dell’equivalenza, WP CSDLE “Massimo D’Antona”.IT, 2016, n. 310, p.2.

4

U. GARGIUOLO, Lo jus variandi nel “nuovo” art. 2103 cod. civ., WP CSDLE “Massimo D’Antona”.IT, 2015, n. 268, p.10, intitola il suo paragrafo 4 L’«obbligo formativo» e la sua (ir)rilevanza.

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aspetto infatti non rientrava nemmeno tra gli ambiti d’intervento previsti dalla legge delega. In continuità con la versione statutaria infatti, si afferma il diritto del lavoratore alla retribuzione corrispondente alle mansioni superiori cui sarà adibito, così come viene confermato l’istituto della promozione automatica. Gli unici elementi di originalità introdotti dal legislatore del 2015 sono rappresentati dal periodo di tempo necessario a far scattare il diritto a tale promozione, per cui si attribuisce un ruolo privilegiato all’autonomia collettiva, quale soggetto incaricato di fissare tale termine e solo in mancanza si ricorrerà al termine legale, comunque innalzato rispetto all’antecedente normativa, gli ulteriori elementi di novità sono costituiti dalle ragioni sostitutive impeditive della nascita di tale diritto e dal rilievo del consenso del lavoratore5. Il capitolo IV prende invece atto del profondo cambiamento intervenuto nell’ambito della mobilità verticale verso il basso, dato che sotto la vigenza dell’art. 13 della l. n. 300/1990 questa era implicitamente esclusa, visto il mancato riferimento alla stessa congiuntamente con la previsione della nullità dei patti contrari; ciò non aveva però impedito il formarsi di eccezioni legali e giurisprudenziali che sono state recepite dal legislatore della riforma, il quale pur confermando il noto canone dell’inderogabilità della disciplina, con estrema portata innovativa ha sancito all’interno dei comma 2°, 4° e 6° delle ipotesi di legittima adibizione a mansioni inferiori. Queste saranno da noi analizzate in maniera più approfondita nei loro vari aspetti, anche con riferimento alle sorti del trattamento retributivo del dipendente.

L’elaborato si conclude (capitolo V) con una trattazione di quelli che sono i vari strumenti di cui dispone il lavoratore dinanzi un mutamento illegittimo delle mansioni ad opera del datore di lavoro, perché se è vero che l’art. 2103 cod. civ. è la norma di riferimento per la tutela della

5

M. BROLLO, Disciplina delle mansioni (art.3), in Commento al d.lgs. 15 giugno 2015 n.81: le tipologie contrattuali e lo ius variandi (a cura di) F. Carinci, in ADAPT Univesity Press, 2015, p.80.

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professionalità dello stesso, questa può anche essere violata dall’imprenditore, e un simile violazione è in grado di recare pregiudizi a beni fondamentali della persona-lavoratore. Saranno pertanto considerati i vari orientamenti della giurisprudenza delle Sezioni Unite della Corte di Cassazione in tema di tipi di danni risarcibili.

In conclusione l’obbiettivo dello scritto è quello di fornire un quadro il più dettagliato possibile della disciplina del mutamento delle mansioni, alla luce del recente e ambizioso disegno riformatore, il cui scopo era quello di andare incontro alle esigenze del contesto occupazionale e produttivo, e per ciò era sentita come necessaria una riscrittura dell’art. 2103 cod. civ., al fine di rendere la gestione della forza lavoro maggiormente flessibile per l’imprenditore, pur lasciando intatte, ma non inalterate le garanzie previste per il prestatore di lavoro. Durante tale percorso di analisi dei sopracitati mutamenti legislativi, manterremo lo sguardo rivolto alla giurisprudenza che è andata consolidandosi in materia e alle varie posizioni dottrinali, e senza comunque perdere di vista quella che è stata la normativa di partenza, indispensabile per comprendere tutte le evoluzioni intervenute, perché non solo questa tematica ma l’intero diritto del lavoro è una materia oggetto di continue trasformazioni.

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CAPITOLO I

MANSIONI, QUALIFICHE, CATEGORIE E INTRODUZIONE ALLO IUS VARIANDI

SOMMARIO: 1. L’oggetto del contratto di lavoro subordinato; 2. Mansioni, Qualifiche e Categorie; 2.1. Categorie legali; 2.2. Categorie convenzionali; 3. Le tecniche contrattuali di inquadramento dei lavoratori. Il nuovo inquadramento sperimentale FCA introdotto dal CCSL per le aziende del gruppo Fiat; 4. L'art. 2103 nel codice civile del 1942: una fragile tutela; 5. Dalle garanzie introdotte con la l. n. 300/1970 alle recenti modifiche apportate dal Jobs Act.

1. L’oggetto del contratto di lavoro subordinato

Nell'ambito della nostra cultura giuridica si è affermata con decisione la tesi dell'origine contrattuale del rapporto di lavoro6, in base alla quale il contratto di lavoro assolve la funzione di fonte del rapporto e di strumento al cui interno vengono definite le reciproche obbligazioni delle parti.

Nonostante l‘importanza di questo contratto, all'interno del codice civile non ne troviamo una definizione ma dobbiamo ricavarla da altre norme, in particolare dall‘art. 2094 cod. civ. che definisce il prestatore di lavoro subordinato come colui che "si obbliga mediante retribuzione a collaborare nell'impresa, prestando il proprio lavoro intellettuale o manuale alle dipendenze e sotto la direzione dell'imprenditore".

6

F. SANTORO PASSARELLI, Nozioni di diritto del lavoro, Jovene Editore, 1995, p.131; M. PERSIANI, G. PROIA, Contratto e rapporto di lavoro, Cedam, 2003, p.23.

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Da questa norma possiamo individuare le caratteristiche della relazione che intercorre tra l'imprenditore e il dipendente, nonché possiamo giungere a definire il contratto di lavoro subordinato come l'accordo concluso tra questi due soggetti con cui il lavoratore si impegna ad eseguire la prestazione lavorativa, nel rispetto di determinate condizioni (alle dipendenze, sotto la direzione e vigilanza), mentre il datore si impegna, in cambio, a corrispondere la retribuzione.

Siamo quindi di fronte ad un contratto sinallagmatico e oneroso, in cui la prestazione di lavoro e la retribuzione identificano gli elementi dello scambio, nonché ciò che possiamo definire come l'oggetto del contratto di lavoro.

Per quel che riguarda l'obbligazione dell’imprenditore, ossia la corresponsione della retribuzione, questa è di un rilievo sociale tale da ricevere una significativa regolamentazione già a livello costituzionale dall'art. 36 Cost., il quale prevede che la retribuzione deve essere "proporzionata alla qualità e alla quantità del lavoro ed in ogni caso sufficiente ad assicurare al medesimo (lavoratore) ed alla sua famiglia un'esistenza libera e dignitosa". Vengono dunque ad affermarsi i principi costituzionali di proporzionalità e sufficienza della prestazione retributiva a tutela del contraente debole del rapporto di lavoro.

L'obbligazione principale del lavoratore invece è costituita dalla prestazione di attività lavorativa, la quale può consistere tanto nel compimento di un'opera manuale quanto di una intellettuale, come affermato dall'art. 2094 del codice civile. Questa però non può essere definita concettualmente, come un a priori rispetto al rapporto in cui è dedotta7, ovvero può ampiamente essere definita come la prestazione (principale) di un facere, ma assumerà rilevanza giuridica solamente in forza del rapporto in cui è inserita.

Talune posizioni dottrinali si sono mostrate restìe a riconoscere l'attività

7

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come un contenuto esauriente dell'obbligazione del lavoratore ed hanno tentato di collegarla a dati materiali e concreti, identificando, alcune di esse l'attività dedotta nel rapporto come un'erogazione di energie umane8, interpretazione che non è in sé sbagliata ma semplicemente inidonea a rappresentare la vasta gamma di prestazioni deducibili nel rapporto di lavoro (come le prestazioni inattive); altra corrente dottrinale invece ha fatto coincidere il contenuto dell’obbligazione con la messa a disposizione di una capacità o qualifica professionale9, ma come vedremo di seguito la qualifica non è altro che una sintesi terminologica di un insieme di mansioni10; infine vi è la tesi sostenuta da alcuni autori tedeschi che hanno riferito tale contenuto al posto di lavoro. Tutte queste tesi sono influenzate da una concezione materialistica dell'oggetto delle prestazioni di facere, per cui affermare che il lavoro è oggetto di scambio comporta la necessità di ridurlo a bene-cosa e dunque ad un‘erronea ricerca dell’oggetto distinto dall‘attività11

.

La determinazione concreta del contenuto delle due obbligazioni spetta all’autonomia privata, dato che le parti così come hanno il potere di decidere la costituzione di un rapporto giuridico, hanno anche quello di determinarne liberamente il contenuto, pur sempre nei limiti posti dalla legge; in questo ambito l’accordo concluso assume notevole rilevanza, in quanto secondo il principio di contrattualità delle mansioni più volte affermato nel nostro ordinamento, il lavoratore deve essere adibito alle mansioni per cui è stato assunto, le quali nel momento genetico del rapporto vengono individuate in riferimento alla qualifica e alla categoria pattuita nel contratto.

Punto di partenza fondamentale per l’affrontare il tema della disciplina

8

F. CARNELUTTI, Studi sulle energie come oggetto di rapporti giuridici, in Riv. Dir. Comm., 1913, p.388 ss.

9

L. RIVA SANSEVERINO, Del lavoro nell'impresa, in Commentario al codice civile, (a cura di) Scialoja e Branca, Zanichelli Editore, V° edizione, p.237-238; V. MAZZONI, Manuale di diritto del lavoro, 1958, p.345.

10

O. MAZZOTTA, Diritto del lavoro, Giuffrè Editore, 2013, p.419.

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delle mansioni e del potere di modifica delle stesse attribuito al datore, è costituito dall’art. 2103 cod. civ. la cui versione attuale è stata riformata dal Jobs Act nel 2015 e che analizzeremo nei capitoli successivi, prima però occorre far luce sui concetti di mansioni, qualifica e categoria, che costituiscono i tre nomina di riferimento per individuare la prestazione del lavoratore, con l’indispensabile premessa che questa, secondo la giurisprudenza di legittimità, non è solo l’obbligo principale del prestatore di lavoro, ma anche un diritto dello stesso all’esecuzione dell’attività lavorativa12

, quale esplicazione della sua personalità e della sua dignità, di rilievo costituzionale13.

2. Mansioni, Qualifiche e Categorie

La prestazione del lavoratore viene dedotta nel contratto facendo riferimento a tre nomina: la categoria, la qualifica e la mansione. Attraverso questi è possibile effettuare l’inquadramento dei lavoratori subordinati, al fine di determinare il trattamento retributivo spettante ad ognuno di essi in relazione al loro apporto in termini qualitativi.

Nella definizione di questi tre concetti partiamo dalle mansioni, che possono essere definite come la globalità di attività, operazioni, compiti, per lo svolgimento dei quali il lavoratore viene assunto, che è tenuto ad eseguire e che il datore di lavoro può esigere14; è ciò che il lavoratore è obbligato a compiere concretamente (rispondere al telefono, tenere la contabilità, registrare atti, ecc.) in adempimento a quel rapporto sinallagmatico che vi è tra le due parti.

Normalmente, nel linguaggio comune non si parla di mansione al

12

Per Cass. Sez. Un., 6 marzo 2009 n. 5454, l’esercizio del potere datoriale privato di determinare unilateralmente il contenuto dell’obbligo di prestazione lavorativa “è esso stesso oggetto di una obbligazione strumentale a carico del datore di lavoro che è tenuto a conformare la prestazione lavorativa del lavoratore, il quale ha diritto a svolgerla.” 13

In tal senso: Cass. Sez. Un., 7 agosto 1998 n. 7755, in Riv. it. dir. lav., 1999, II, p. 170, con nota di G. Pera.

14

C. PISANI, La nuova disciplina del mutamento delle mansioni, Giappichelli Editore, 2015, p.1.

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singolare perché questa è considerata “l'unità elementare di un facere”15 (ad esempio una singola operazione dell'attività di tornitura), ma viene utilizzato il plurale, proprio perché la singola unità si combina con altre operazioni unitarie, le quali assieme vanno ad identificare uno specifico “modello di prestazione” (nello stesso esempio, l'attività di tornitura). Questo modello assume rilevanza poiché in base alla divisione astratta del lavoro ogni organizzazione produttiva ha bisogno al proprio interno dello svolgimento di vari tipi di attività per il raggiungimento del risultato produttivo, vengono quindi individuati e ripartiti dall’imprenditore tra i lavoratori, i diversi modelli di prestazione, realizzando così la divisione concreta del lavoro e attribuendo una precisa funzione ad ogni dipendente nell’ambito dell‘organizzazione aziendale16.

Per quanto riguarda il concetto di qualifica, nonostante abbia dei contorni meno definiti, può essere indicata come l’insieme di mansioni che identifica una determinata figura professionale (ad esempio il contabile, il saldatore, il tornitore, ecc.).

Molto spesso questo termine viene usato come sinonimo di mansioni e di categoria, ciò accade non solo nel linguaggio comune ma anche in quello usato dal legislatore17 e dalla giurisprudenza18, come se i tre termini fossero tra loro fungibili; in realtà la qualifica non è altro che il riassunto della globalità di mansioni attribuite al lavoratore.

Della qualifica è possibile individuare una dimensione oggettiva ed una soggettiva, intendendo con la prima, l‘espressione riassuntiva della

15

G. GIUGNI, Mansioni e qualifica, in Enc. Dir., voce, XXV, 1975, p.546.

16

G.GIUGNI, Mansioni e qualifica nel rapporto di lavoro, Jovene Editore, 1963, p.3.

17

Ad es., all’art. 3, l. n. 190/1985, il legislatore parla della categoria legale di quadro anche come qualifica; oppure all’art. 24, d.lgs. 165/2001 si riferisce al personale con “qualifica di dirigente”.

18

La giurisprudenza fa spesso riferimento alla qualifica di dirigente, ad es., Cass., 28 agosto 2003, n. 12650, in Mass. giur. lav., 2004, 1-2, 91, 2; Cass., 23 agosto 1996, n. 7761, in Dir. prat. lav., 1997, 3, 178; Cass., 24 maggio 1985, n. 3164, in Foro it., 1985, Lavoro (Rapporto), n. 668.

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pluralità di compiti dedotti nel contratto, proprio per questo motivo è anche meglio indicata come la “variante semantica dell'attività convenuta”19, nella sua accezione soggettiva può avere diversi significati, il primo ad esempio attiene alla professionalità in senso proprio, ossia all’esercizio abituale e continuativo di una determinata attività, mentre il secondo fa riferimento all’insieme di conoscenze e competenze possedute dal lavoratore, indipendentemente dal fatto che queste siano attualmente esercitate, rappresentando dunque il bagaglio personale del suo sapere e delle sue abilità.

Ciò che rileva nel rapporto di lavoro subordinato, è pero solo la dimensione oggettiva della qualifica, quella che “vive nel rapporto20” fungendo da sintesi di mansioni, e non quella soggettiva, che invece assumerà rilevanza nel mercato del lavoro, ovvero nella fase antecedente alla costituzione del rapporto (motivo per cui è anche definita come qualifica precontrattuale21), dato che si configura come un’attitudine personale del lavoratore.

La determinazione della qualifica è di competenza del datore di lavoro e la legge pone a carico dello stesso il dovere di comunicarla al dipendente, assieme alla categoria al momento dell'assunzione22; ciò nonostante possiamo ben affermare che non esiste un vero e proprio diritto alla qualifica oggetto di un’autonoma tutela, di cui il lavoratore può chiedere il riconoscimento, ma piuttosto il suo inquadramento in una precisa categoria (e quindi anche in una qualifica) avviene automaticamente, cioè in base alle mansioni che egli realmente svolge nell’ambito dell’organizzazione aziendale.

Questo ci viene confermato anche dall'art. 96 disp. att. al Codice Civile23,

19

G. GUGNI, Mansioni e qualifica nel rapporto di lavoro, Jovene Editore, 1963, p. 7, 32.

20

G. GIUGNI, Mansioni e qualifica, in Enc. dir. lav., vol. xxv, Milano, 1975, p.545 ss.

21

GIUGNI, op. cit., p.58 ss.

22

Art. 96 disp. att. al cod. civ., co. 1°.

23

Art. 96 disp. att. al cod. civ.: “L'imprenditore deve far conoscere al prestatore di lavoro, al momento dell'assunzione, la categoria e la qualifica che gli sono assegnate in relazione alle

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18

il quale ad una prima lettura ci potrebbe portare erroneamente a ritenere esistente un potere esclusivo di determinazione in capo al datore, in realtà non è così, secondo quanto affermato in dottrina24 la norma in questione valorizzerebbe senza dubbio il momento informativo all'atto di assunzione sotto due aspetti: da un lato l'informazione (della categoria e della qualifica) funge da mezzo attraverso cui il lavoratore, contraente debole del rapporto, acquisisce una consapevolezza maggiore, dall'altro lato quest'informazione gli permette di individuare meglio l'ambito della propria prestazione lavorativa25 e soprattutto la sua funzione, il livello di cooperazione e il ruolo che andrà a ricoprire.

Dunque l'informazione contenuta nel contratto ha una ruolo meramente ricognitivo, e non costituisce oggetto per la pretesa di una specifica qualifica da parte dal lavoratore.

Rimane ora da esaminare la categoria, che identifica il più ampio criterio di classificazione dei lavoratori e che racchiude i precedenti.

A tal fine occorre fare riferimento all’art. 2095 cod. civ. che individua le quattro categorie legali, a cui però dobbiamo aggiungere quelle create dalla contrattazione collettiva, definite convenzionali.

Le categorie altro non sono, che divisioni più ampie in cui vengono raggruppate le qualifiche, fondate anch’esse sul contenuto della prestazione, ed a ciascuna di queste viene riferita una disciplina differenziata negli aspetti retributivi e in numerosi altri istituti normativi26.

La loro nascita è stata determinata da esigenze di sistematica contrattuale e di razionalizzazione del lavoro, appaiono pertanto come una serie omogenea di mansioni, più analiticamente descritte come qualifiche, la cui funzione è quella di permettere l’imputazione di uniformi tabelle

mansioni per le quali è stato assunto”.

24

C. FALERI, Asimmetrie informative e tutela del prestatore di lavoro, Giuffrè Editore, 2007.

25

FALERI, op. cit., p.63.

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retributive a mansioni stabilite come equivalenti, e di discriminare in base alle stesse il trattamento stabilito nei vari istituti normativi; hanno dunque un valore prettamente esteriore e classificatorio27.

La questione che fin dalle origini e per quasi un secolo è stata oggetto di dibattito, è stata quella della distinzione tra la categoria operaia ed impiegatizia, che solo gradualmente è stata superata, in quanto a partire dagli anni sessanta è stato avviato dalla contrattazione collettiva un processo che ha portato alla sostituzione della classificazione tradizionale delle categorie con il sistema dell’inquadramento unico.

Come vedremo nei capitoli successivi, il livello di inquadramento e la categoria legale hanno mutato il loro ruolo con la nuova disciplina in quanto assolvono oltre alla funzione classificatoria, quella ulteriore di limitare l’area della mobilità orizzontale28

.

2.1. Categorie legali

Come abbiamo detto le quattro categorie legali sono individuate dal 1° comma dell'art. 2095 cod. civ., per cui “I prestatori di lavoro subordinati si distinguono in dirigenti, quadri, impiegati e operai”, mentre il comma successivo afferma che “le leggi speciali, in relazione a ciascun ramo di produzione e alla particolare struttura dell'impresa, determinano i requisiti di appartenenza alle indicate categorie”.

Dobbiamo tenere presente però, che le sole leggi speciali di riferimento per l'identificazione delle categorie sono il r.d.l. n. 1825 del 13 novembre 1924, convertito nella legge n. 562 del 18 marzo 1926, recante le “Disposizioni relative al contratto d'impiego privato” ; e la legge n. 190 del 1985 intitolata “Riconoscimento giuridico dei quadri intermedi”. All'interno dell'art. 2095 cod. civ. non troviamo la definizione di categoria legale, né è presente in altre norme codicistiche, così come è

27

G. GIUGNI, Mansioni e qualifica nel rapporto di lavoro, Jovene Editore, p.38.

28

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assente una specificazione delle singole figure e dei requisiti per l'appartenenza alle stesse nonostante l’importanza di quest’ultimo aspetto non solo dal punto di vista normativo, ma anche dal punto di vista economico.

Nella ricerca di ulteriori elementi che stabiliscono l’inclusione in una determinata categoria, un aiuto ci viene fornito dall'art. 95 disp. att. al codice civile, il quale asserisce che quando le leggi non dispongono, l'appartenenza alla categoria di impiegato o operaio è determinata dal r.d.l. n. 1825 del 1924; e anche dal successivo art. 96 disp. att. al cod. civ. in particolare con riferimento ai primi due comma, i quali affermano che “l'imprenditore deve far conoscere al prestatore di lavoro, al momento dell'assunzione, la categoria, la qualifica che gli sono state assegnate in relazione alle mansioni per cui è stato assunto.

Le qualifiche dei prestatori di lavoro, nell'ambito di ciascuna delle categorie indicate nell'art. 2095 del codice, possono essere stabilite e raggruppate per gradi secondo la loro importanza nell'ordinamento dell'impresa. Il prestatore di lavoro inoltre assume il grado gerarchico corrispondente alla qualifica e alle mansioni.” Nei comma successivi si fa invece riferimento alla procedura che può essere prevista dalla contrattazione collettiva, per l'accertamento dei fatti rilevanti ai fini della determinazione della qualifica in caso di divergenza tra datore e prestatore di lavoro.

Dunque oltre a tenere conto dell’aiuto fornito dalle due norme sopra citate, faremo riferimento al rinvio operato dal codice alle leggi speciali29 e alla contrattazione collettiva, quest’ultimo in particolare ha una portata piuttosto ampia dato che l’autonomia collettiva, oltre ad avere il potere di introdurre nuove categorie (convenzionali), ha anche quello di raggruppare e/o unificare i trattamenti economici e normativi di soggetti

29

R.d.l. n. 1825/1924: Disposizioni relative al contratto d'impiego privato; l. n. 190/1985: Riconoscimento giuridico dei quadri intermedi.

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appartenenti a categorie legali diverse30.

Una prima importante distinzione è quella tra operaio ed impiegato, che è stata influenzata dall'evoluzione sociale e legislativa.

Mentre originariamente le disposizioni si riferivano unicamente al lavoro operaio, il quale rappresentava l'unica fonte di sostentamento per le persone e per il quale vi era una notevole offerta, successivamente, ma solo a partire dal conflitto del 1914-1918 il legislatore iniziò a spostare la sua attenzione sul lavoro impiegatizio, anche se nell'ottica di una regolamentazione discriminata, la quale solo dopo un lungo periodo portò all'elaborazione del r.d.l. n. 1825 del 1924.

L'ordinamento corporativo iniziava così a recepire una distinzione operaio-impiegato, se pure ai fini di un inquadramento sindacale differenziato e conseguentemente di una differenziata negoziazione collettiva, ma almeno “le due categorie iniziarono ad accorciare le distanze dal punto di vista sociologico”31

.

Per affrontare la distinzione tra queste due categorie il punto di partenza è costituito dall'art. 1 del r.d.l. sopracitato, il quale al 1° comma ci dice che “Il contratto d'impiego privato, di cui nel presente decreto, è quello per il quale una società o un privato, gestori di un'azienda, assumono al servizio dell'azienda stessa, normalmente a tempo indeterminato, l'attività professionale dell'altro contraente, con funzioni di collaborazione tanto di concetto che di ordine, eccettuata pertanto ogni prestazione che sia semplicemente di mano d'opera.”

In base a quanto affermato possiamo quindi dire che gli elementi identificativi della figura dell'impiegato erano: 1) la continuità del rapporto di lavoro (tempo indeterminato); 2) il carattere professionale dell'attività svolta; 3) la collaborazione sia di concetto che di ordine; dovendo desumere a contrario che l'operaio si caratterizzava per il fatto

30

O. MAZZOTTA, Diritto del lavoro, Giuffrè Editore, 2013, p.421.

31

L. RIVA SANSEVERINO, Commentario al Codice Civile, (a cura di) A. Scialoja e G. Branca, libro quinto: lavoro, art. 2060-2134 cc, Zanichelli Editore, V° edizione, pag.238.

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di svolgere prestazioni prevalentemente manuali.

In realtà questi criteri distintivi lasciano perplessi, e ad oggi possiamo dire che non meritano di essere condivisi dato che la distinzione tra operaio ed impiegato non può assolutamente ricondursi ad una contrapposizione tra prestazione manuale e concettuale, poiché questa è del tutto priva di rilevanza, analogamente gli altri due criteri distintivi, non vanno a caratterizzare in maniera esclusiva la figura dell'impiegato, dato che sia la normale continuità, che la professionalità sono requisiti che vengono riscontrati anche in molte figure operaie, e quindi non caratterizzanti.

E' stato giustamente osservato che “la distinzione tra operai ed impiegati, così come quella tra dirigenti e quadri, deve essere considerata come un criterio preliminare di suddivisione dei lavoratori in categorie corrispondenti ad altrettanti contesti socio-culturali e ad altrettante carriere diverse e tra loro non comunicanti. La funzione della distinzione non è quindi quella di sancire un rapporto di superiorità/inferiorità, bensì un'incomparabilità tra posizioni di lavoro proprie dell'una o dell'altra categoria”32.

Successivamente vi sono stati altri tentativi di affrontare la distinzione tra le due categorie ricorrendo ad altri espedienti, ovvero affermando che l'impiegato è colui che normalmente collabora alla gestione dell'impresa, mentre l'operaio collabora nell'impresa33 (era cioè impegnato nella produzione piuttosto che nella gestione). Questa distinzione facendo perno sull'impiego del termine collaborazione (ritenuto tra l'altro fondamentale anche per distinguere il lavoro subordinato da quello autonomo) distingueva le due categorie utilizzando differenti preposizioni (alla, nella). Questo modo di affrontare il problema però, è piuttosto da considerarsi una mera scappatoia, del tutto inadatta a

32

P. ICHINO, Il contratto di lavoro: Fonti e principi generali, Giuffrè Editore, 2000, p.540.

33

E. GHERA, A. GARILLI, D. GAROFALO, Diritto del lavoro, Giappichelli Editore, 2013, p.124.

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costituire un valido criterio distintivo.

Un chiarimento sul tema è dato dalla Corte di Cassazione, che con la sent. n. 2389 del 6 aprile 1983 ha affermato che le mansioni dell'impiegato si riscontrano in tutti quei casi in cui l'opera del lavoratore riguarda il processo organizzativo, tecnico e amministrativo dell'impresa cooperando con l'attività dell'imprenditore, mentre le mansioni dell'operaio sono quelle strettamente collegate al processo produttivo, come un apporto all'impresa nell'espletamento del proprio risultato. Alla luce di ciò possiamo individuare l'attività impiegatizia come quella svolta alla dipendenze del datore di lavoro, collaborando con esso, ed all'interno di questa categoria viene operata una tripartizione tra: impiegati di concetto con funzioni direttive, impiegati di concetto privi di funzioni direttive e impiegati d'ordine.

I primi sono dotati di autonomia e poteri d'iniziativa nel rispetto delle direttive generali del datore e ad essi è spesso attribuito un reparto dell'azienda; i secondi sono generalmente adibiti ad un servizio, svolgendo la propria attività intellettuale sì con poteri decisori ma nell'ambito delle direttive superiori ricevute; i terzi invece svolgono un lavoro intellettuale semplicemente adempiendo alle direttive superiori e sono privi di poteri d'iniziativa.

Per quanto riguarda invece la figura dell'operaio, la dottrina ritiene che questa sia desumibile a contrario da quella dell'impiegato, identificandola soprattutto in relazione ad un apporto di tipo produttivo. La contrattazione collettiva ha effettuato una distinzione tra operai comuni, operai qualificati e specializzati, in vista della diversa preparazione tecnica degli stessi.

Il superamento della distinzione tra le due figure è stato conseguenza delle modificazioni dei processi produttivi che hanno portato ad una diminuzione degli ambiti del lavoro manuale vero e proprio, di pari passo si è realizzato un graduale ravvicinamento dei trattamenti

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normativi delle due categorie, il quale è culminato nell’adozione del sistema di inquadramento unico34.

Altra categoria legale è quella dei quadri, inizialmente non prevista dell'art. 2095 cod. civ. che individuava solo le categorie dei dirigenti amministrativi e tecnici, impiegati e operai.

La spinta verso la creazione di questa fu data dai mutamenti delle realtà aziendali che andavano a consolidarsi negli anni settanta, parallelamente con l'emersione di nuove figure professionali collegate alle innovazioni tecnologiche, ma il punto di svolta simbolico per l'emanazione della legge istitutiva della categoria fu la cosiddetta “marcia dei quarantamila”, in cui impiegati e quadri della Fiat manifestarono per le strade di Torino contro un picchettaggio sindacale che impediva loro di entrare in azienda; le nuove figure professionali rivendicavano la propria centralità nei nuovi processi produttivi, e protestavano contro la scarsa rappresentazione dei loro interessi da parte dei sindacati confederali, ancora espressione prevalente delle vecchie figure operaie35.

Con la l. n. 190/1985 si giunge dunque alla consacrazione dei quadri, definiti al 1° comma dell'art. 2 come “prestatori di lavoro subordinato che, pur non appartenendo alla categoria dei dirigenti, svolgono funzioni con carattere continuativo di rilevante importanza ai fini dello sviluppo e dell'attuazione degli obiettivi dell'impresa”.

La definizione così fornita non è esaustiva, dato che in essa possono riconoscersi anche talune figure di impiegati o di operai specializzati; proprio per questo motivo un ruolo di particolare importanza è demandato all'autonomia collettiva dal 2° comma dello stesso articolo, secondo il quale “i requisiti di appartenenza alla categoria dei quadri sono stabiliti dalla contrattazione collettiva nazionale o aziendale in relazione a ciascun ramo di produzione e alla particolare struttura

34

O. MAZZOTTA, Diritto del lavoro, Giuffrè Editore, 2013, p.423.

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organizzativa dell'impresa”.

Quindi non essendo possibile basarsi solo sulla definizione legale è necessario far riferimento alla contrattazione collettiva tanto a livello a nazionale quanto a livello aziendale, fermo restando che per quanto riguarda la disciplina applicabile, salvo diversa indicazione, ai quadri si applicano le norme relative alla categoria degli impiegati36.

La tendenza dell'autonomia collettiva è stata quella di inserire nella nuova categoria gli impiegati di grado più elevato, ma possiamo affermare che la figura dei quadri ad oggi è stata scarsamente valorizzata; un esempio si ha in riferimento al settore creditizio in cui assume rilevanza la categoria convenzionale dei funzionari, in posizione intermedia tra impiegati e dirigenti, e rispetto alla quale la categoria dei quadri è collocata ad un livello inferiore.

Resta ora da esaminare la figura del dirigente, la cui nascita si ricollega all'ordinamento corporativo, quando venne previsto che questi fossero organizzati separatamente dagli impiegati e, in aggregazioni a loro volta aggregate alle organizzazioni dei datori di lavoro37.

La concezione originaria di tale figura, confermata anche dalla giurisprudenza, era ben diversa da quella attuale: si riteneva che il dirigente fosse una specie di alter ego del datore di lavoro, che quindi seguiva le sue direttive generali ma con ampi spazi di autonomia, esercitando un potere discrezionale nell'attuazione delle stesse, e con piena libertà di determinazione; un vero e proprio rapporto di collaborazione immediata che lo portava a non chiedere nemmeno continue istruzioni al datore di lavoro, ed anzi, lo rappresentava nei confronti degli altri dipendenti e dei terzi. Non era nemmeno assegnato ad un particolare reparto aziendale, ma svolgeva i suoi compiti

36

Art. 2, co. 3°, l. n. 190/1985.

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nell'ambito dell'impresa, influenzando l'andamento della stessa38.

Questa visione del dirigente, portatrice di una rigida concezione gerarchica dell'organizzazione aziendale entra in crisi nel momento in cui si delineano i nuovi fenomeni di aggregazione, dei gruppi di aziende, e si prende infatti atto dell'evoluzione della categoria, o meglio del suo allargamento verso il basso, facendovi rientrare non solo quei lavoratori che si collocano al vertice della struttura aziendale, ma anche quelli che hanno poteri meno ampi.

I managers attuali (specialmente nelle grandi imprese) non possono più essere considerati come un alter ego dell'imprenditore, ma al contrario all'interno delle imprese vi sono una pluralità di dirigenti, distinti secondo più gradi e con un maggiore decentramento di poteri.

Anche per la definizione di questa categoria legale, analogamente alle precedenti, è necessario ricorrere all'autonomia collettiva, in particolare all'art. 1 CCNL per i dirigenti industriali, il quale li definisce come quei lavoratori che “ricoprono nell’azienda un ruolo caratterizzato da un elevato grado di professionalità, autonomia e potere decisionale ed esplicano la loro funzione al fine di promuovere, coordinare e gestire la realizzazione degli obiettivi dell’impresa”.

Tale contratto collettivo, così come hanno fatto altri in settori analoghi, individua dunque i requisiti di appartenenza alla categoria, in molti casi però, non è così agevole accertare se le mansioni concretamente svolte siano di tipo dirigenziale (o se inerenti alla categoria di impiegato con funzioni direttive o di quadro intermedio), per tale motivo si comprende la scelta della contrattazione collettiva di subordinare l'attribuzione di tale qualifica ad una preciso riconoscimento (nomina) del datore di

38

Per la concezione che identifica il dirigente esclusivamente come alter ego dell'imprenditore ovvero che è preposto alla direzione dell'intera organizzazione aziendale o ramo di essa cfr. Cass., 8 gennaio 1974 n. 50; 11 dicembre 1972 n. 3558; 7 aprile 1972 n. 1053; 17 giugno 1974 n. 1795; 7 ottobre 1974 n. 2642; 18 aprile 1975 n. 2460; 22 dicembre 1976 n. 4722; 23 dicembre 1976 n. 4733; 10 maggio 1978 n. 2293; 12 luglio 1978 n. 3537; 20 aprile 1980 n. 2811; 27 gennaio 1981 n. 644; 5 giugno 1981 n. 3651; 24 ottobre 1989 n. 4326; 11 marzo 1996 n. 1963; 7 ottobre 1999 n. 11218.

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lavoro39.

Di tali clausole di riconoscimento formale, la giurisprudenza40 non ne ha riconosciuto l'efficacia vincolante, dichiarandone l'illegittimità, e ritenendo piuttosto necessario per poter includere un soggetto nella categoria dirigenziale, che questo abbia effettivamente svolto compiti dirigenziali.

In conclusione secondo la dottrina41, questa categoria si caratterizza per l’essere quella che gode di maggior potere e spazio d’incisività decisionale rispetto alle altre, per l’autonomia, la mancanza di una vera e propria dipendenza gerarchica e conseguentemente per un ampio margine di discrezionalità decisionale.

L'appartenenza o meno alla categoria dirigenziale assume particolare importanza dato che per questi è previsto un trattamento giuridico differenziato rispetto a quello stabilito per gli altri lavoratori subordinati, essendo sottratti dall' applicazione di una serie di norme, quali quelle in materia di orario di lavoro (insussistenza di un compenso per lavoro straordinario), di contratto a tempo determinato, del patto di prova, del patto di non concorrenza, di irrinunciabilità delle ferie, di apposizione del termine e soprattutto con riferimento al licenziamento.

Ad essi non si applica inoltre, la tutela legale prevista contro i licenziamenti dalla legge n. 604 del 1966, ed un aspetto a lungo discusso è stato quello relativo all’applicabilità o meno dell’art. 7 dello Statuto dei Lavoratori42 e delle sue garanzie procedimentali.

39

E. GHERA, A. GARILLI, D. GAROFALO, op. cit., p.127.

40

Ad es., Cass., sent. n. 2454/1972; Cass., sent. n. 1497/1975; Cass., sent. n. 530/1984.

41

M. N. BETTINI, Mutamento di mansioni e flessibilizzazione delle tutele, Giappichelli Editore, 2014, p.31 ss.

42

Art. 7 Statuto Lavoratori: “Le norme disciplinari relative alle sanzioni alle infrazioni in relazione alle quali ciascuna di esse può essere applicata ed alle procedure di contestazione delle stesse, devono essere portate a conoscenza dei lavoratori mediante affissione in luogo accessibile a tutti. Esse devono applicare quanto in materia é stabilito da accordi e contratti di lavoro ove esistano. Il datore di lavoro non può adottare alcun provvedimento disciplinare nei confronti del lavoratore senza avergli preventivamente contestato l'addebito e senza averlo sentito a sua difesa. Il lavoratore potrà farsi assistere da un rappresentante dell'associazione sindacale cui aderisce o conferisce mandato. Fermo restando quanto disposto dalla legge 15

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La giurisprudenza della Corte di Cassazione su quest’ultimo aspetto non ha seguito sempre un andamento costante, mentre dapprima ha escluso l’applicabilità della norma in questione 43

affermando che “non troverebbe applicazione nel caso di licenziamento disciplinare del dirigente poiché la natura spiccatamente fiduciaria del rapporto escluderebbe la configurabilità del potere disciplinare del datore di lavoro44”, in altri casi45 ha invece affermato la possibilità di applicare lo stesso art. 7 quando vi è un comportamento negligente a giustificare il licenziamento.

Sul punto sono definitivamente intervenute a risolvere il contrasto le Sezioni Unite della Corte di Cassazione, prevedendo che “le garanzie procedurali devono comunque trovare applicazione sia nel caso in cui il datore di lavoro addebiti al dirigente un comportamento negligente sia nel caso in cui si ponga alla base del recesso condotte che avrebbero fatto venir meno la fiducia”46.

luglio 1966, n. 604, non possono essere disposte sanzioni disciplinari che comportino mutamenti definitivi del rapporto di lavoro; inoltre la multa non può essere disposta per un importo superiore a quattro ore della retribuzione base e la sospensione dal servizio e dalla retribuzione per più di dieci giorni. In ogni caso, i provvedimenti disciplinari più gravi del rimprovero verbale non possano essere applicati prima che siano trascorsi cinque giorni dalla contestazione per iscritto del fatto che vi ha dato causa. Salvo analoghe procedure previste dai contratti collettivi di lavoro e ferma restando la facoltà di adire l'autorità giudiziaria, il lavoratore al quale sia stata applicata una sanzione disciplinare può promuovere, nei venti giorni successivi, anche per mezzo dell'associazione alla quale sia iscritto ovvero conferisca mandato, la costituzione, tramite l'ufficio provinciale del lavoro e della massima occupazione, di un collegio di conciliazione ed arbitrato, composto da un rappresentante di ciascuna delle parti e da un terzo membro scelto di comune accordo o, in difetto di accordo, nominato dal direttore dell'ufficio del lavoro. La sanzione disciplinare resta sospesa fino alla pronuncia da parte del collegio. Qualora il datore di lavoro non provveda, entro dieci giorni dall'invito rivoltogli dall'ufficio del lavoro, a nominare il proprio rappresentante in seno al collegio di cui al camma precedente, la sanzione disciplinare non ha effetto. Se il datore di lavoro adisce l' autorità giudiziaria, la sanzione disciplinare resta sospesa fino alla definizione del giudizio. Non può tenersi conto ad alcun effetto delle sanzioni disciplinari decorsi due anni dalla loro applicazione. ”

43

Cass. Sez. Lav., 15 novembre 2001, n. 14230.

44

G. SANTORO PASSARELLI, Diritto dei lavori e dell‘occupazione, Giappichelli Editore, 2015, p.269.

45

Cass. Sez. Lav., 10 febbraio 1988, n. 1426; Cass. Sez. Lav., 15 febbraio 1995, n. 1641.

46

Cass. Sez. Un., 30 marzo 2007, n. 7880, in Giuda Lav. 2007; recentemente Cass. Sez. Lav., 1 febbraio 2012, n. 1424, in www.diritto24.it.

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2.2 Categorie convenzionali

Come abbiamo detto ad inizio del precedente paragrafo, accanto alle categorie legali vi sono quelle convenzionali, ovvero quelle non previste dal nostro codice civile, bensì dai contratti collettivi.

La stessa giurisprudenza47 ha per prima riconosciuto la possibilità di introdurle anche se spesso questo ha creato problemi e dubbi, in particolare se si tenta di ricollegare taluni degli aspetti di queste entro gli schemi di una categoria legale.

Tra le categorie convenzionali rientra senza dubbio la figura dei funzionari, introdotta dal CCNL del 22 giugno del 1995 per il credito, definendo all'art. 4 tali soggetti come coloro che sono “incaricati dall'azienda di svolgere in via continuativa funzioni e compiti che comportino l'effettivo esercizio di potere negoziale nei confronti dei terzi in rappresentanza dell'azienda stessa, da espletarsi con carattere di autonomia e discrezionalità, in via generale, nell'ambito definito dalle deleghe aziendali di poteri conferite al riguardo. In applicazione di quanto previsto al comma precedente sono funzionari coloro ai quali è conferita la facoltà di firma sociale in via continuativa - anche congiuntamente - in rappresentanza dell'azienda, escluse, quindi, le facoltà di firma non a carattere negoziale (quali, ad esempio, le quietanze e le girate dei recapiti di cassa e delle cambiali).”

La categoria dei funzionari, si colloca in una posizione intermedia tra quella degli impiegati e quella dei dirigenti; ciò che la caratterizza particolarmente è la facoltà di firma sociale, ovvero la rappresentanza dell'azienda.

Vi è poi alla figura degli intermedi in riferimento al settore industriale,

47

Per i riferimenti giursprudenziali si vedano Cass., 10 gennaio 1979 n. 167; 11 gennaio 1980 n. 248; 22 marzo 1980 n. 1938; 29 agosto 1980 n. 5000; 4 settembre 1981 n. 5050; 2 febbraio 1981 n. 623; 25 luglio 1984 n. 4376; 1 marzo 1975 n. 1757; 18 febbraio 1986 n. 4942; 11 marzo 1987 n. 2551; 7 luglio 1987 n. 8145; 28 aprile 1988 n. 3219; 7 settembre 1988 n. 5084; 19 maggio 1990 n. 4561; 7 marzo 1991 n. 2370; 24 giugno 1991 n. 7093; 6 dicembre 1991 n. 13145; 19 dicembre 1991 n. 13749.

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che è situata a metà strada tra la categoria degli operai e quella degli impiegati, identificando quei lavoratori che svolgono funzioni di controllo e impartiscono istruzioni ad altri operai, esempio tipico è il capo operaio.

Questa categoria è stata introdotta principalmente con l'obiettivo di attribuire un livello superiore a quei lavoratori che hanno maggiori responsabilità, guidando e controllando l'operato di altri soggetti, e che svolgono mansioni di particolare fiducia.

In generale possiamo affermare che le categorie convenzionali non sono un qualcosa di necessario, ma un importante strumento nelle mani delle contrattazione collettiva da utilizzare solamente in presenza di determinate esigenze organizzative, produttive e tecniche in uno specifico settore. In mancanza di queste si avrebbe semplicemente un'inutile proliferazione di categorie del tutto prive di importanza48.

3. Le tecniche contrattuali di inquadramento dei lavoratori. Il nuovo inquadramento sperimentale FCA introdotto dal CCSL per le aziende del gruppo Fiat

Con il termine inquadramento si indica quel procedimento logico-concettuale che sulla base dei tre nomina (categoria, qualifica e mansioni), consente alla legge e alla contrattazione collettiva di classificare i lavoratori subordinati.

Questi hanno diritto ad essere inquadrati, con il relativo trattamento, nella categoria e nel livello contrattuale corrispondenti alle mansioni effettivamente svolte, motivo per cui sono nulli eventuali inquadramenti peggiorativi, siano essi di natura consensuale o unilaterale, così come sono nulle le clausole di inquadramento formale, essendo invece rilevanti le mansioni effettivamente svolte dal lavoratore.

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Il sistema oggi utilizzato è frutto dell'evoluzione e dei cambiamenti che si sono susseguiti nel mondo del lavoro e nel settore industriale, e differisce da quello originariamente previsto, e rimasto in vigore fino ai primi anni settanta, che operava una duplice distinzione: in base alle categorie e all'interno delle stesse sulla base delle qualifiche (ad esempio distinguendo la categoria operaia dalle altre, e all’interno della stessa distingueva tra operaio specializzato, qualificato, ecc.).

Questo sistema venne meno quando, sulla scia della tradizione statunitense, negli anni sessanta si tentò anche in Italia di introdurre un nuovo sistema di inquadramento, definito job evaluation, che introduceva lo strumento delle “classi” al posto delle categorie, ed operava una valutazione della specifica posizione occupata dal lavoratore nel contesto aziendale, valutando quindi il “posto” ricoperto.

Per procedere alla valutazione si teneva conto dei cosiddetti fattori di valutazione, che in totale erano 12, legati alla professionalità, alla responsabilità, ai rischi e alla fatica fisica; ad ognuno di essi veniva attribuito un punteggio, sulla base del quale si determinava la classe di appartenenza del lavoratore, a cui corrispondeva una precisa paga (si parla infatti anche di sistema di “paghe di classe”).

La forte opposizione dei sindacati, contrari a questa nuova visione statica dell'organizzazione lavorativa, e soprattutto restii allo spostamento della valutazione solo sul lavoro e non sulla persona, portò alla crisi del job evaluation alla fine degli anni sessanta.

A partire dall’inizio del decennio successivo, sull’onda degli impulsi egualitaristici di cui si fece portatore il sindacato, si ebbe l'introduzione di un nuovo sistema denominato inquadramento unico, che vede i prestatori di lavoro distribuiti tutti insieme su una sola scala classificatoria, suddivisa in livelli (al posto delle tradizionali categorie), all’interno dei quali sono collocate un insieme di posizioni di lavoro o figure professionali (qualifiche), sia operaie che impiegate, che svolgono

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mansioni da considerare tra loro equivalenti.

Questo sistema, tuttora in atto in quasi tutti i settori produttivi, non solo ha portato ad una vera e propria risistemazione delle categorie legali, ma anche al superamento della tradizionale distinzione tra operai ed impiegati ed ha messo in risalto un nuovo concetto di professionalità, da intendersi come quell’insieme di criteri e metodi per valutare e valorizzare sia l’attività prestata dal lavoratore, sia la capacità professionale di cui è portatore49.

Per individuare i requisiti di accesso ad ogni livello di inquadramento, e conseguentemente le posizioni di lavoro omogenee, a cui imputare un determinato trattamento economico e normativo, tale sistema si affida ad una gamma più o meno articolata di indicatori, quali le declaratorie generali, i profili professionali e le mansioni esemplificative.

La declaratoria stabilisce l'insieme di requisiti e caratteristiche necessari per l'inclusione in un livello, riferendosi a sua volta a parametri quali: il grado di conoscenza o esperienza richiesto, il livello di autonomia nello svolgimento dell'attività lavorativa, la quantità di responsabilità richiesta, e l’affidamento o meno al lavoratore di altri dipendenti.

I profili invece descrivono il contenuto professionale delle attività in essi individuate, mentre le mansioni esemplificative non sono altro che un’elencazione che si riferisce genericamente alla figura professionale del lavoratore, pertanto formulate prevalentemente in termini uniformi50. Nel settore dell’industria metalmeccanica è il CCNL del 19 aprile 1973, ad introdurre per la prima volta il sistema dell’inquadramento unico, e, dopo aver previsto all’art.1 che “i lavoratori sono inquadrati secondo una scala classificatoria unica, articolata in 7 categorie e 8 livelli retributivi 51 ”, stabilisce che “l'inquadramento dei lavoratori nelle

49

Cfr. AA.VV., Lavoro: il lavoratore, tomo II, pubblicato in il diritto privato nella giurisprudenza, (a cura di) P. Cendon, Utet Giuridica, 2009 .

50

CCNL 5 dicembre 2012 industria metalmeccanica, art. 1, A), tit. II°, sez. IV°, p.76.

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categorie previste dal presente articolo avviene sulla base delle declaratorie generali, delle esemplificazioni dei profili professionali, e degli esempi”. Per ciò che riguarda la classificazione dei dipendenti prendiamo in considerazione a titolo esemplificativo, la prima categoria, in cui rientrano i lavoratori che svolgono “attività produttive semplici, per cui non occorrono conoscenze professionali ma è sufficiente un periodo minimo di prova; così come vi rientrano coloro che svolgono attività manuali semplici e non direttamente collegate al processo produttivo”. Nella seconda invece confluiscono quei lavoratori che “svolgono attività per abilitarsi alle quali occorre un breve periodo di pratica e conoscenze di tipo elementare”; nonché quelli che “con specifica collaborazione svolgono attività amministrative che non richiedono in modo particolare preparazione e pratica d’ufficio”.

E’ possibile quindi notare, come dopo aver individuato con declaratoria generale le caratteristiche per l’inquadramento in ogni livello, il CCNL elenca i profili professionali e le denominazioni delle posizioni rientranti negli stessi52, includendovi tanto posizioni operaie quanto impiegatizie. E così va avanti, nella determinazione delle altre categorie, richiedendo requisiti, conoscenze e competenze sempre maggiori, nonché livelli di responsabilità più elevati per l’appartenenza alle successive, giungendo a stabilire che dal 1° gennaio 2014 sarà istituita l’ottava categoria, in cui rientrano “i lavoratori che svolgono con carattere di continuità ed elevato grado di capacità gestionale, organizzativa, professionale, funzioni organizzativamente articolate di rilevante importanza e responsabilità, ai fini dello sviluppo e dell’attuazione degli obiettivi dell’impresa, per

classificazione unica articolata su 7 categorie professionali ed 8 livelli retributivi, ai quali corrispondono eguali valori minimi tabellari mensili secondo le tabelle allegate. I livelli indicati sono quelli ragguagliati a mese (173 ore) e sono uguali per tutti i lavoratori indipendentemente dalla differenza di età. L 'inquadramento dei lavoratori è effettuato secondo le declaratorie generali, le esemplificazioni dei profili professionali e le relative esemplificazioni indicate al successivo punto A). ”

52

Ad es., con riferimento alla seconda categoria: lavoratori che conducono, alimentano o sorvegliano una o più macchine attrezzate (guidamacchine attrezzate); Lavoratori che eseguono montaggi semplici a serie anche su linea (montatore); ecc.

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attività di alta specializzazione, di coordinamento e gestione, e/o ricerca e progettazione, fornendo contributi qualificati per la definizione degli obiettivi dell’impresa”53

.

Da questo contratto collettivo possiamo scorgere le innovazioni apportate dal nuovo sistema, in particolare il superamento, quanto meno formale, della distinzione tra operai ed impiegati.

Nonostante questo, ad oggi, si ritiene che il sistema dell’inquadramento unico non sia più adatto a far fronte alle nuove esigenze organizzative delle imprese, e del mondo del lavoro, ritenendo che “è rilievo condiviso, che i mutamenti in atto nell’organizzazione del lavoro, abbiano ormai investito in pieno quegli assetti normativi che su tale modello si basano”54.

La contrattazione collettiva ha posto in essere un graduale processo di adeguamento alle nuove realtà ed esigenze delle imprese, con la volontà di introdurre sistemi meno rigidi di mobilità endo-aziendale 55 , prevedendo ad esempio, l’accorpamento di mansioni, la rotazione di compiti, le aree professionali, e le clausole di fungibilità.

In tempi recenti, a seguito del Jobs Act, è stata attribuita una nuova ed importante funzione al sistema di inquadramento e alla categoria legale, ovvero come vedremo nel prossimo capitolo, questi fungono da limite per la mobilità orizzontale dei lavoratori; ciò ha nuovamente messo alla luce l’obsolescenza dell’attuale sistema di inquadramento.

A seguito della novella funzione attribuitagli dalla riforma del 2015, nel settore metalmeccanico è stata apportata una profonda innovazione di cui si è fatto pioniere il gruppo Fiat, che con la stipulazione del contratto collettivo specifico di lavoro (CCSL) del 7 luglio 2015, ha operato una nuova classificazione del personale, per le aziende appartenenti ai gruppi

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Art. 1, Tit. II°, Sez. IV°, CCNL 05 dicembre 2012.

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U. GARGIUOLO, Sulla definizione di equivalenza delle mansioni, in Dir. lav. rel. ind., 2006, p.331.

55

M. MENEGOTTO, La disciplina delle mansioni dopo il Jobs Act, nuovi spazi per la flessibilità funzionale; WP in ADAPT Univesity Press, n. 7/2016, p.33.

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FCA e CNH industrial.

L’azienda torinese è stata spinta soprattutto dall’urgenza di un aggiornamento dei vecchi sistemi, costituiti da modelli variegati di griglie classificatorie, in alcuni casi troppo strette, scollegate dalla realtà, in altri a fasce troppo larghe, con professionalità molto differenti56; e per tale motivo all’art. 6-bis ha introdotto il nuovo inquadramento sperimentale FCA, per quadri, impiegati e operai, riservato ai soli nuovi assunti, articolato su tre sole aree professionali, mentre per i vecchi dipendenti rimangono cinque gruppi professionali57.

Nella prima area professionale troviamo i lavoratori che svolgono mansioni meramente esecutive e sotto la supervisione di un responsabile, nella seconda gli addetti ai compiti che richiedono maggiore autonomia e che hanno competenze di maggiore rilievo professionale, mentre nella terza ed ultima fascia sono collocati i lavoratori, sia tecnici che amministrativi, che posseggono particolari capacità professionali e progettuali.

Indubbiamente questa riduzione del numero di livelli, che non coinvolge i dipendenti già assunti, porta ad una minore tutela della professionalità nell’ambito della mobilità dei lavoratori, in particolare in relazione a quella orizzontale, dato che all’interno di ogni livello sono contenute un numero maggiore di prestazioni esigibili tra loro disomogenee58. Allo stesso tempo però, l’art.6-bis valorizza una nuova nozione della professionalità declinata al futuro anziché al passato con il riferimento alla compatibilità professionale, prevedendo infatti che “le modalità e i limiti delle ipotesi di demansionamento saranno definiti per accordo tra le Parti. In generale resta fermo il rispetto del principio giurisprudenziale di compatibilità professionale”.

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M. BROLLO, La mobilità professionale dei lavoratori dopo il jobs act: spunti dal caso FIAT/FCA, in Riv. it. dir. lav., fasc. 3, 2016, p.307 ss.

57

Vedi art. 6, Tit. III°, CCSL 7 luglio 2015.

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L’accordo FCA dunque, ci fornisce un primo riscontro degli effetti del Jobs Act, che ha portato ad una manutenzione strutturale del sistema di classificazione dei lavoratori che pone le premesse per una tutela dinamica della professionalità, adattandola alle trasformazioni del lavoro.

4. L'art. 2103 nel codice civile del 1942: una fragile tutela

Come abbiamo affermato in partenza, l'oggetto dell'obbligazione del lavoratore è la prestazione di attività lavorativa in favore del datore, che assume la posizione di creditore della stessa.

Nel rapporto tra questi due soggetti si colloca un particolare potere dell’imprenditore, che è quello di modifica delle mansioni, il cosiddetto ius variandi (letteralmente diritto di variare). Questo potere va ad incidere su situazioni strettamente collegate alla personalità dell'uomo, motivo per cui fin dal principio si è sentita l'esigenza di una rigorosa disciplina, volta a stabilirne i limiti e soprattutto a tutelare la posizione del lavoratore dipendente, da sempre considerato il contraente debole del rapporto; originariamente però, questa tutela è stata piuttosto fragile. Il punto di partenza nell'analisi dello ius variandi è costituito dall'art. 2103 cod. civ., il quale ha subito varie modificazioni dalla sua introduzione con il codice civile fino ad oggi, ma nella sua formulazione originaria recitava: “Il prestatore di lavoro deve essere adibito alle mansioni per cui è stato assunto. Tuttavia, se non è convenuto diversamente, l'imprenditore può in relazione alle esigenze dell'impresa, adibire il prestatore di lavoro ad una mansione diversa, purché essa non importi una diminuzione nella retribuzione o un mutamento sostanziale nella posizione di lui. Nel caso previsto dal comma precedente, il prestatore di lavoro ha diritto al trattamento corrispondente all'attività svolta, se a lui più vantaggioso”.

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